Il Codice della crisi e la disciplina civilistica in tema di impresa: novità ed “eterno ritorno”

13 Febbraio 2019

Lo schema di decreto legislativo recante il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza”, definitivamente approvato dal Governo il 10 gennaio scorso, ha inciso, fra l'altro, sulla disciplina dettata dal codice civile in tema di impresa. Di qui, lo spunto per l'analisi critica delle nuove disposizioni che, in parte, sono innovative e, in parte, ripropongono la disciplina anteriore alla riforma del diritto societario del 2003.
Le modifiche alla disciplina civilistica in tema di impresa tra le disposizioni di immediata attuazione e le altre disposizioni

Il 10 gennaio scorso, il Governo ha definitivamente approvato lo schema di decreto legislativo recante il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza” (di qui, in breve, anche solo il “Codice della crisi”), recependo così, in gran parte, le indicazioni di modifica della disciplina civilistica in tema di impresa dettate dall'art. 14 della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, elaborata dalla c.d. “Commissione Rordorf” ed entrata in vigore il 14 novembre 2017.

In particolare, la parte II del Codice della crisi, rubricata “Modifiche al codice civile”, si compone di dieci articoli (artt. 375 – 384). Tali norme, con l'unica eccezione dell'art. 376 relativo all'incidenza della liquidazione coatta amministrativa e della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro, attengono all'ambito del diritto commerciale e, stante l'art. 389, si distinguono in:

  • disposizioni di immediata attuazione, che entreranno in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del Codice della crisi in Gazzetta Ufficiale (i.e.: artt. 375, 377, 378, 379);
  • altre disposizioni, che entreranno in vigore, una volta decorsi diciotto mesi dalla pubblicazione del Codice della crisi in Gazzetta Ufficiale (i.e.: artt. 376, 380, 381, 382, 383, 384).

Ciò posto, non resta che analizzare criticamente il futuro del diritto di impresa, occupandosi, dapprima, dei contenuti delle disposizioni di immediata attuazione e, poi, di quelli delle altre disposizioni.

(fonte: IlSocietario)

L'assetto organizzativo dell'impresa delineato dall'art. 2086 c.c.

Il primo articolo della parte II del Codice della crisi, l'art. 375, rubricato “Assetti organizzativi dell'impresa”, interviene sull'art. 2086 c.c., che, figlio dell'ottica tipica dell'ordinamento corporativo, configura l'imprenditore quale “capo” dell'impresa, da cui “dipendono gerarchicamente” i collaboratori.

Due sono le novità nell'art. 2086 c.c.:

  • la rubrica, da “Gestione e gerarchia dell'impresa”, diviene “Gestione dell'impresa”, favorendo così la lettura della norma in chiave aziendalistica (v. art. 375, comma 1);
  • l'introduzione di un secondo comma che configura, a carico dell'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, il dovere di istituire un “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell'impresa” e funzionale alla rilevazione tempestiva della “crisi dell'impresa” e della “perdita della continuità aziendale” e il dovere di attivarsi tempestivamente per l'adozione degli “strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (v. art. 375, comma 2).

Particolarmente rilevanti sono, senza dubbio, le previsioni del secondo comma dell'art. 2086 c.c. sia per la pregnanza dei termini utilizzati sia per l'impatto sull'attività di amministratori, sindaci e revisori.

(Segue) L'esegesi dell'art. 2086, comma 2, c.c.

Per quanto concerne il profilo semantico, occorre precisare che:

  • l' “assetto organizzativo, amministrativo e contabile” consiste nel complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire la gestione efficiente dell'impresa societaria e può ritenersi “adeguato alla natura e alla dimensione dell'impresa”, quando, in base a un giudizio ex ante e rispettoso dei margini di imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari (v., al riguardo, Montalenti, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, 78), è astrattamente idoneo ad assicurare l'operatività delle funzioni aziendali;
  • la “crisi dell'impresa” viene definita dal Codice della crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza […] e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettivi a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (v. art. 2, comma 1, lett. a);
  • la “continuità aziendale”, prevista dal Principio Contabile Internazionale (IAS) 3 novembre 2018, n. 1 e menzionata dall'art. 2423-bis c.c., implica l'idoneità dell'impresa a operare sul mercato come “entità in funzionamento”, ossia nell'ottica della prosecuzione dell'attività per un periodo pari ad almeno dodici mesi dalla chiusura dell'esercizio;
  • gli “strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” sono le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la convenzione di moratoria, il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale.
(Segue) L'impatto sull'attività di amministratori, sindaci e revisori

La riforma realizzata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 aveva introdotto nella disciplina societaria il concetto di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile”, menzionandolo in due disposizioni che, con riferimento alle s.p.a., trattavano rispettivamente dell'attività degli amministratori e del collegio sindacale:

  • l'art. 2381 c.c., che, al terzo comma, assegnava al consiglio di amministrazione il compito di valutare l' “adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società” e, al quinto comma, incaricava gli amministratori delegati di curare che “l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile <fosse> adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa”;
  • l'art. 2403 c.c., che, al primo comma, onerava il collegio sindacale del dovere di vigilare, in particolare, “sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”.

Secondo i pronostici di qualche autorevole voce dottrinale (v. Buonocore, Adeguatezza, gestione, responsabilità: chiose all'art. 2381, commi terzo e quinto del codice civile, in Giur. comm., 2006, 5, nonché, di recente, Irrera (diretto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, Bologna, 2016, passim), la descritta innovazione sarebbe stata idonea a incidere profondamente sulla valutazione della responsabilità degli organi di gestione e di controllo.

Tuttavia, le aspettative sono state frustrate.

Del resto, come opportunamente osservato (v. Gennari, Modelli organizzativi dell'impresa e responsabilità degli amministratori di s.p.a. nella riforma della legge fallimentare, in Giur. comm., 2018, 295), la scarsa sensibilità alle innovazioni del nostro sistema e il labile confine tra obbligo di legge e discrezionalità amministrativa insindacabile nelle scelte di gestione (c.d. “business judgement rule”) hanno fatto sì che la giurisprudenza riconoscesse alla presenza di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile un ruolo assai limitato nel giudizio circa l'adempimento, da parte di amministratori, sindaci e revisori, degli obblighi connessi alla carica.

Nel descritto quadro di riferimento, il Codice della crisi ha certamente inteso valorizzare il carattere precettivo delle disposizioni concernenti la previsione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, delineandone altresì le concrete ricadute sull'attività degli organi di gestione e di controllo.

Per quanto riguarda l'attività degli organi di gestione, l'art. 377 del Codice della crisi estende espressamente il modello di cui all'art. 2086 c.c. (e, quindi, il dovere dell'imprenditore di dotarsi di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile) a tutti i tipi di società. A tal fine, modifica:

(i) l'art. 2257 c.c. relativo all'amministrazione delle società di persone; (ii) gli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c. relativi all'amministrazione delle s.p.a.; (iii) l'art. 2475 c.c. relativo all'amministrazione delle s.r.l., disponendo, peraltro, analogamente a quanto era previsto prima della riforma del 2003 (v. vecchio art. 2487, comma 2, c.c.) e sulla scia di Cass. 7 dicembre 2016, n. 25085 (in Il Societario, con nota di Riolfo), l'espressa applicabilità a tale tipo societario della disciplina contemplata dall'art. 2381 c.c. per le deleghe gestorie consiliari nelle s.p.a. (Per approfondimenti al riguardo, v. Cagnasso, La delega di potere gestorio e la s.r.l., in Giur. it., 2017, 888; Di Bitonto, Anche nella s.r.l. è valida la delega consiliare soggettivamente plurima a carattere generale e disgiunto, in Le Società, 2017, 438).

Invece, per quanto concerne l'attività degli organi di controllo, il Codice della crisi introduce specifici obblighi, volti ad assicurare, per quanto possibile, la prevenzione della crisi di impresa. Nello specifico, gli organi di controllo:

  • anche al di là degli indici elaborati con cadenza triennale dal Cndcec ex art. 13, forniscono le valutazioni in merito alla perdita della continuità aziendale o all'eventuale crisi di impresa, motivando adeguatamente nella nota integrativa di bilancio (v. art. 13, comma 3). È interessante notare la perfetta coerenza di tale compito degli organi di controllo con le elaborazioni giurisprudenziali concernenti la stima specifica (e non astratta) del requisito della continuità aziendale. Al riguardo, si consideri, ad esempio, Trib. Milano (decr.) 19 aprile 2016, n. 1096, in questo portale e in Le Società, 2017, 299, secondo cui “al fine di valutare la sussistenza del presupposto della continuità aziendale, non è sufficiente rilevare eventi che pongano in dubbio la sussistenza stessa, ma occorre valutare la capacità della società di dare una soluzione a tali problematiche”. Nello stesso senso, pur con considerazioni più sintetiche, Trib. Milano 6 luglio 2016, n. 8436, in questo portale;
  • verificano che l'organo amministrativo valuti costantemente l'adeguatezza dell'assetto organizzativo dell'impresa, l'equilibrio economico finanziario e il prevedibile andamento della gestione (v. art. 14, comma 1);
  • segnalano immediatamente all'organo amministrativo e, in caso di inerzia di quest'ultimo, al competente organismo di composizione della crisi di impresa (c.d. OCRI), l'esistenza di fondati indizi della crisi (v. art. 14, commi 1 e 2).
L'azione dei creditori sociali nelle s.r.l.

L'art. 378 del Codice della crisi, rubricato “Responsabilità degli amministratori”, aggiunge all'art. 2476 c.c., dopo il quinto, un ulteriore comma, che, riproponendo per le s.r.l. le disposizioni vigenti per le s.p.a. e per le s.a.p.a. (i.e.: artt. 2394 e 2455 c.c.):

  • sancisce espressamente la responsabilità degli amministratori con riferimento agli obblighi di conservazione del patrimonio sociale nei confronti dei creditori;
  • consente ai creditori di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, quando il patrimonio della società risulti insufficiente a soddisfare i loro crediti;
  • esplicita che la rinuncia, da parte della società, all'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori non impedisce l'esercizio di tale azione da parte dei creditori;
  • prevede che la transazione sull'azione sociale di responsabilità può essere impugnata dai creditori soltanto con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono i presupposti.

La modifica è senz'altro apprezzabile, perché risolve le questioni interpretative sorte con la riforma realizzata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

Prima della menzionata riforma, l'art. 2487, comma 2, c.c., disponeva espressamente l'applicazione dell'art. 2394 c.c. all'amministrazione delle s.r.l. Successivamente all'intervento del legislatore delegato del 2003, per contro, stante il silenzio del nuovo art. 2476 c.c., nessuna disposizione si occupava della responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti dei creditori per il depauperamento del patrimonio sociale.

Di qui, in ambito giurisprudenziale e dottrinale, si erano delineate due letture del dato normativo.

Alcuni avevano escluso che ai creditori di s.r.l. spettasse l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori che avessero violato gli obblighi di conservazione del patrimonio sociale (così, in giurisprudenza, ex multis: Trib. Torino 8 giugno 2011, in Giur. it., 2012, 332; App. Napoli 28 giugno 2008, in Giur. merito, 2009, 2470; Trib. Milano 27 febbraio 2008, n. 2589, in Giustizia a Milano, 2008, 13; Trib. Milano 25 gennaio 2006, in Le Società, 2007, 320; Trib. Santa Maria Capua Vetere 18 marzo 2005, in Fall., 2006, 190. In dottrina, a titolo meramente esemplificativo: Ciampi, Novità della Novella per le azioni di responsabilità nelle s.r.l., in Le Società, 2006, 289; Proto, Le azioni di responsabilità contro gli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Fall., 2003, 1133; Di Amato, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, 303).

Altri, invece, avevano sostenuto l'esatto contrario, argomentando sul presupposto dell'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. anche alle s.r.l. (In questo senso, in giurisprudenza, ex plurimis: Trib. Roma 21 febbraio 2017, n. 3398, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino 11 novembre 2015, in Giur. it., 2016, 1155; Trib. Milano 15 novembre 2012, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 22 dicembre 2010, n. 14632, in Le Società, 2011, 757; Trib. Pescara 15 novembre 2006, in Foro it., 2007, I, 2262. In dottrina, fra i più noti: Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Liber Amicorum G.F. Campobasso, Torino, 2007, III, 662; Mozzarelli, Responsabilità degli amministratori nella s.r.l., Torino, 2007, 180).

Ecco, allora, che il Codice della crisi fa assoluta chiarezza, sciogliendo ogni dubbio in merito all'esperibilità, da parte dei creditori di s.r.l., dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, in presenza dei presupposti e con le modalità previste dall'art. 2394 c.c., la cui lettera, non certo per caso, è esattamente riproposta dal nuovo comma dell'art. 2476 c.c.

I criteri per la quantificazione del danno risarcibile ex art. 2486 c.c.

Come noto, l'art. 2486 c.c. configura una responsabilità risarcitoria solidale a carico degli amministratori che, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, non adempiano al dovere di gestione conservativa.

La liquidazione dei danni risarcibili ex art. 2486 c.c., però, ha, da sempre, posto significativi problemi agli operatori del diritto: definire il quantumdei pregiudizi derivanti dai plurimi atti di gestione richiesti dalla dinamicità dell'impresa siè rivelato assai difficile, se non addirittura impossibile.

Perciò, la giurisprudenza ha optato per la liquidazione equitativa di tali nocumenti, facendo storicamente ricorso a due criteri presuntivi:

  • il c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”, che fa coincidere il danno con la differenza tra l'attivo e il passivo accertati nell'ambito della procedura concorsuale;
  • il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali”, che fa coincidere il danno con la differenza tra il patrimonio netto della società al momento in cui gli amministratori avrebbero dovuto accorgersi del verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto della società al momento della messa in liquidazione, entrambi stimati secondo criteri liquidatori.

Il c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”, ritenuto generalmente incompatibile con il nesso eziologico che dovrebbe sussistere tra condotta e pregiudizio (v., ex multis: Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032; Cass. 8 febbraio 2000, n. 1375; Trib. Milano 23 settembre 2015, n. 10652), ha avuto un'operatività limitata, trovando applicazione quando mancassero o fossero completamente inattendibili le scritture contabili (v., ad esempio, Cass. 4 aprile 1998, n. 3483; Cass. 19 dicembre 1985, n. 6493; Trib. Bologna 22 maggio 2007; Trib. Treviso 29 ottobre 2009) oppure quando il dissesto fosse diretta conseguenza di comportamenti colposi degli amministratori (v., ex plurimis, Cass. 17 settembre 1997, n. 9252).

è stato, invece, decisamente preferito, soprattutto dopo Cass., Sez. Un. 6 maggio 2015, n. 9100, cit., che aveva ulteriormente ridotto l'ambito applicativo del c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”, il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali”, avallato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità e di merito (Così, ex multis: Cass. 20 aprile 2017, n. 9983, in Il Societario, con nota di Galletti; Trib. Torino 4 luglio 2018, n. 3431, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 5 giugno 2018, n. 6324; Trib. Bologna 21 dicembre 2017, n. 2846, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 28 novembre 2017, in Le Società, 2018, 703; Trib. Milano 7 ottobre 2015, in Danno e resp., 2016, 870; App. Torino 12 gennaio 2009, in Fall., 2010, 35; Trib. Padova 24 giugno 2009, in Fall., 2010, 729).

Peraltro, è stato rilevato che pure il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali” non è esente da censure, perché si astiene dall'accertare se la perdita si sia verificata per effetto della mala gestio oppure si sarebbe prodotta anche in caso di condotta diligente degli amministratori (In questo senso, in giurisprudenza, ad esempio: Cass. 23 giugno 2008, n. 17033; Trib. Milano 1 aprile 2011, n. 4480, in Le Società, 2012, 288. In dottrina, di recente: Carminati, Responsabilità dell'amministratore e liquidazione del danno per differenza tra netti patrimoniali, in Le Società, 2018, 710; Facci, La valutazione del danno in via equitativa, il criterio della differenza dei netti patrimoniali e la responsabilità degli amministratori, in Danno e resp., 2016, 880).

L'art. 378 del Codice della crisi, nel modificare l'art. 2486 c.c., anzitutto, positivizza il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali” opportunamente “rettificato” rispetto alle criticità riscontrate e, poi, sulla scia di Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100, il cui Presidente Relatore era proprio il dott. Renato Rordorf, configura un ambito residuale di applicazione per il c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”.

E, infatti, il nuovo terzo comma dell'art. 2486 c.c. sancisce che, fatta salva la prova di un danno di diverso ammontare, il danno risarcibile si presume:

  • pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o alla data di apertura di un'eventuale procedura concorsuale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento della società, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione;
  • pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura, se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se, per qualsivoglia ragione, i netti patrimoniali non possono essere determinati.

La nomina degli organi di controllo nelle s.r.l.

L'art. 379 del Codice della crisi, rubricato “Nomina degli organi di controllo” modifica l'art. 2477 c.c., estendendo le ipotesi di obbligatorietà di nomina dell'organo di controllo nelle s.r.l. e le possibilità di intervento sostitutivo del tribunale, in caso di inerzia della società.

In particolare, per quanto più rileva, il nuovo art. 2477 c.c. dispone:

  • al terzo comma, che la nomina dell'organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato, se controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti e se ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: (i) totale dell'attivo dello stato patrimoniale pari a euro 2 milioni, (ii) ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a euro 2 milioni, (iii) dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 10 unità. Al riguardo, si noti che, prima del Codice della crisi, il terzo comma dell'art. 2477 c.c. prevedeva il richiamo ai limiti indicati nell'art. 2435-bis c.c., di molto superiori rispetto a quelli menzionati (i.e.: totale dell'attivo dello stato patrimoniale pari a euro 4.400.000,00; ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a euro 8.800.000,00; dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 50);
  • al quarto comma, che l'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore cessa, quando, per tre esercizi consecutivi (e non più due, come nella formulazione del comma in questione anteriore al Codice della crisi), non è superato alcuno dei limiti di cui al terzo comma;
  • al sesto comma, che, in caso di inerzia dell'assemblea nella nomina dell'organo di controllo, potrà provvedervi il tribunale, oltre che – come già previsto prima del Codice della crisi – su richiesta di qualsiasi soggetto interessato, anche su segnalazione del conservatore del registro delle imprese.

Peraltro, è previsto un “periodo di transizionedi nove mesi dalla data di entrata in vigore dell'art. 379 del Codice della crisi, per consentire alle s.r.l. e alle società cooperative nella forma di s.r.l. tenute alla nomina dell'organo di controllo e del revisore di ottemperare all'incombente, adeguando, se necessario, l'atto costitutivo e lo statuto (v. art. 379, comma 3).

L'applicabilità dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l.

Prima della riforma attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, l'art. 2488 c.c., all'ultimo comma, prevedeva espressamente l'applicabilità dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., pur se prive del collegio sindacale.

Il legislatore delegato del 2003 aveva abrogato l'art. 2488 c.c. e aveva inserito la disciplina relativa al collegio sindacale nelle s.r.l. nell'art. 2477 c.c., che, però, non conteneva alcun riferimento esplicito all'art. 2409 c.c.

Di qui, si erano delineati due orientamenti in merito alla possibilità di ricorrere, con riferimento alle s.r.l., al controllo giudiziario descritto dall'art. 2409 c.c.

Alcune pronunce, anche alla luce della posizione assunta dalla Corte Costituzionale (v. Corte Cost. 29 dicembre 2005, n. 481 e Corte Cost., ord., 7 maggio 2014, n. 116, che avevano escluso la contrarietà a Costituzione della disciplina legislativa relativa alle s.r.l. per l'assenza di richiami all'art. 2409 c.c.), avevano negato l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., in base a quattro argomenti:

(i) il principio di generalizzata ammissibilità di un controllo giudiziario della gestione delle società di capitali era ormai superato, perché la riforma del 2003 configurava la s.r.l. non come una “piccola s.p.a.”, ma come un ente caratterizzato, da un lato, dalla valorizzazione della persona del socio nella vita della società (elemento tipico delle società di persone) e, dall'altro, dall'autonomia patrimoniale perfetta (elemento tipico delle società di capitali);

(ii) l'art. 8, d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 disponeva espressamente l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle società sportive, pur se costituite in forma di s.r.l., lasciando, così, intendere che, altrimenti, la norma non si sarebbe applicata;

(iii) la disciplina delle s.r.l. non conteneva un esplicito riferimento all'art. 2409 c.c.;

(iv) l'art. 92 disp. att. c.c., nello stabilire che il decreto di nomina dell'amministratore giudiziario di cui all'art. 2409 c.c. privava l'imprenditore dell'amministrazione della società, faceva riferimento solo alle società di cui ai capi V e VI del libro V, ossia alle s.p.a. e alle s.a.p.a. (In questo senso, ex multis: Cass. 13 gennaio 2010, n. 403; Trib. Como 27 aprile 2016; Trib. Venezia, decr., 13 marzo 2013, in Le Società, 2013, 1345; Trib. Piacenza 27 giugno 2012; Trib. Firenze, ord., 25 ottobre 2011, in Le Società, 2012, 5; App. Roma 13 aprile 2005, in Foro it., 2005, I, c. 3469; Trib. Lecce, decr., 16 luglio 2004, in Le Società, 2005, 358; Trib. Terni 9 aprile 2004, in Foro it., 2005, I, c. 868. Analogamente, in dottrina: Presti, La s.r.l. e la scomparsa dell'art. 2409 c.c.: la difficile “elaborazione” del lutto, in Benazzo-Cera-Patriarca (diretto da) Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di G. Zanarone, Torino, 2011, 417; Abriani, Commento all'art. 2477, in Benazzo-Patriarca (diretto da), Il codice commentato delle s.r.l., Torino, 2006, 389; Rordorf, I sistemi di amministrazione e di controllo nella nuova s.r.l., in Le Società, 2003, 672).

Altre decisioni, invece, avevano ritenuto applicabile il controllo giudiziario alle s.r.l. dotate obbligatoriamente dell'organo di controllo e su richiesta di quest'ultimo, in virtù del rinvio di cui all'art. 2477, comma 5, c.c., alle “disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni”, fra le quali sarebbe compreso anche l'art. 2409 c.c. (Così, ex plurimis: Trib. Milano, decr. 12 aprile 2018; Trib. Milano 25 gennaio 2016, n. 963, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Bologna 4 febbraio 2015, in questo portale; Trib. Ascoli Piceno 1 marzo 2013, in Le Società, 2013, 599; Trib. Napoli 14 maggio 2008, in Le Società, 2009, 1019; Trib. Treviso, decr., 27 settembre 2004, in Vita not., 2004, 1628; Trib. Roma 6 luglio 2004, in Le Società, 2005, 359; Trib. Udine 1 luglio 2004, in Le Società, 2005, 357. Per la stessa posizione, in dottrina: Corapi, Il controllo interno nelle s.r.l., in Le Società, 2003, 1575; Mainetti, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Le Società, 2003, 943; Nazzicone, La denunzia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409: le novità della riforma societaria, in Le Società, 2003, 1079).

In questo contesto, l'art. 379 del Codice della crisi, anzitutto, introduce, all'art. 2477 c.c., un settimo comma che prevede l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., anche se prive di organo di controllo (v. art. 379, comma 2) e, in secondo luogo, modifica l'art. 92 disp. att. c.c., menzionando pure le società del capo VII del titolo V del libro V, ossia le s.r.l. (v. art. 379 comma 4).

Il nuovo dettato legislativo toglie, quindi, ogni incertezza in merito all'applicabilità dell'art. 2409 c.c. a tutte le s.r.l.

Le disposizioni di non immediata attuazione

Esaminati i contenuti delle disposizioni di immediata attuazione, si considerano i contenuti delle altre disposizioni del Codice della crisi, che, come ricordato (v., supra, § “1”), entreranno in vigore, decorsi diciotto mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Nello specifico, tali norme prevedono:

  • l'inserimento della liquidazione giudiziale (alter ego del vecchio fallimento) e della liquidazione controllata (alter ego della vecchia liquidazione giudiziale ex artt. 14 ss. della legge 27 gennaio 2012, n. 3) tra le cause di scioglimento delle società di capitali, elencate dall'art. 2484 c.c. (v. art. 380 del Codice della crisi). In tal modo, viene parzialmente ripristinato il regime anteriore alla riforma realizzata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6: il legislatore del 2003 aveva, infatti, abrogato l'art. 2448, comma 2, c.c., che includeva espressamente la dichiarazione di fallimento tra le cause di scioglimento delle società di capitali, introducendo così, come rilevato in dottrina (v. Nicolini, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell'estinzione delle società di capitali, in Ambrosini (a cura di), La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, 172), una discrasia tra la disciplina prevista per le società di capitali e quella prevista per le s.n.c. e per le s.a.s. dagli artt. 2308 e 2322 c.c.;
  • alcune modifiche in merito alla gestione della crisi e dell'insolvenza delle società cooperative e, segnatamente: (i) la modifica, meramente formale, dell'art. 2545-terdecies c.c., che attualmente dispone l'assoggettamento delle società cooperative che svolgono attività commerciale “anche a liquidazione giudiziale” e non più “anche al fallimento”; (ii) la modifica, decisamente sostanziale e innovativa, dell'art. 2545-sexiesdecies, che, nella nuova formulazione, per le ipotesi di crisi o di insolvenza della società, consente all'autorità di vigilanza di autorizzare il commissario a domandare la nomina del collegio o del commissario per la composizione assistita della crisi ovvero l'accesso a una delle procedure regolatrici previste dal Codice della crisi (v. art. 381 del Codice della crisi);
  • la sostituzione, agli artt. 2288, 2308 e 2497 c.c., dei termini “fallito” e “fallimento” con il termine “liquidazione giudiziale” (v. art. 382 del Codice della crisi);
  • la modifica della disciplina prevista dall'art. 2467 c.c., eliminando la restituzione del rimborso dei finanziamenti dei soci di s.r.l. avvenuto “nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società”, con la conseguenza che, a fronte della novella, il rimborso di tali finanziamenti risulta semplicemente postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori (v. art. 383 del Codice della crisi). Per completezza, è interessante rilevare che analoghe disposizioni sono contemplate anche dagli artt. 164 e 292 del Codice della crisi, concernenti il rimborso dei finanziamenti dei soci rispettivamente in caso di liquidazione giudiziale e nei rapporti infragruppo;
  • l'abrogazione dell'art. 2221 c.c., che conteneva l'indicazione degli imprenditori “soggetti […] alle procedure del fallimento e del concordato preventivo” (v. art. 384 del Codice della crisi).
In conclusione

Analizzate le modifiche alla disciplina del codice civile in tema di impresa introdotte dal Codice della crisi, una domanda sorge spontanea: che cosa c'è davvero di nuovo?

In realtà, meno di quanto inizialmente si potrebbe pensare.

Le vere innovazioni si riducono a sei:

(i) il potenziamento dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell'impresa e la conseguente estensione dei doveri posti in capo agli organi di gestione e controllo ;

(ii) l'introduzione, a livello normativo, di criteri per la determinazione del danno risarcibile ex art. 2486 c.c.;

(iii) l'estensione delle ipotesi in cui è obbligatoria la nomina degli organi di controllo nelle s.r.l.;

(iv) l'inserimento della liquidazione controllata fra le cause di scioglimento delle società di capitali;

(v) la previsione della possibilità di autorizzare il commissario di una società cooperativa a domandare la nomina del collegio o del commissario per la composizione assistita della crisi ovvero l'accesso a una delle procedure regolatrici previste dal Codice della crisi;

(vi) il fatto che non debba più essere restituito il rimborso dei finanziamenti dei soci di s.r.l., avvenuto “nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società”.

Le restanti modifiche, laddove non abbiano natura meramente formale, hanno riproposto la disciplina anteriore alla riforma societaria del 2003: così è per l'applicabilità alle s.r.l. dell'art. 2381 c.c., dell'azione dei creditori sociali e dell'art. 2409 c.c., nonché per l'introduzione della liquidazione giudiziale (alter ego del vecchio fallimento) tra le cause di scioglimento delle società di capitali.

Che dire?

Forse questa riforma non è sfuggita, per dirla con Nietzsche, alla logica dell'“eterno ritorno”.

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