L’anticorruzione riscrive il reato di traffico di influenze illecite

13 Febbraio 2019

La legge anticorruzione (o c.d. spazzacorrotti) ha introdotto notevoli modifiche alla disciplina penalistica di contrasto alla corruzione, tra cui va segnalata la completa riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) che ha assorbito l'abrogato reato di millantato credito (art. 346 c.p.), ha ampliato la portata applicativa della norma e ha aumentato la pena. Le modifiche apportate sono per lo più condivisibili...
Abstract

La legge anticorruzione (o c.d. spazzacorrotti) ha introdotto notevoli modifiche alla disciplina penalistica di contrasto alla corruzione, tra cui va segnalata la completa riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) che ha assorbito l'abrogato reato di millantato credito (art. 346 c.p.), ha ampliato la portata applicativa della norma e ha aumentato la pena. Le modifiche apportate sono per lo più condivisibili, peraltro in linea con quanto previsto da Convenzioni internazionali sul tema. Tuttavia rimangono perplessità sul trattamento sanzionatorio, che pur essendo stato innalzato, non consentirà probabilmente un'efficace attività repressiva del fenomeno illecito in quanto non si potranno disporre le intercettazioni telefoniche, né applicare la custodia cautelare in carcere. Resta poi non affrontata la questione di fondo, ossia l'individuazione del discrimen con l'attività lecita di lobbying.

Le modifiche apportate dalla legge 3/2019

Come è noto la legge 9 gennaio 2019, n. 3 (detta anche “Bonafede”, dal nome del Ministro proponente) ha introdotto, oltre all'importante novità dell'interruzione definitiva del decorso della prescrizione a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado, numerose innovazioni in tema di reati contro la pubblica amministrazione, al dichiarato scopo di incrementare il contrasto ai fenomeni corruttivi che appaiono da troppi anni molto diffusi in Italia.

Tra le novità certamente non trascurabile vi è la completa riscrittura del delitto di traffico di influenze illecite previsto dall'art. 346-bis c.p. (introdotto a suo tempo dalla l. 190/2012 c.d. Severino), con contestuale abrogazione del delitto di millantato credito previsto dall'art. 346 c.p., che è stato di fatto assorbito dalla prima norma. Infatti il primo comma del nuovo art. 346-bis c.p. ora prevede:

«Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter c.p. e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi».

Le modifiche apportate – come di seguito si dirà – appaiono certamente migliorative, in quanto, in primo luogo, sono maggiormente conformi alla Convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia. Infatti da un lato l'art. 12 della Convenzione penale del Consiglio d'Europa del 1999, impone di incriminare «il fatto di promettere, offrire o procurare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di remunerazione a chiunque afferma o conferma di essere in grado di esercitare un'influenza sulla decisione di una persona di cui agli articolo 2, 4–6 e 9–11 (titolari di pubbliche funzioni), così come il fatto di sollecitare, ricevere o accettarne l'offerta o la promessa a titolo di remunerazione per siffatta influenza, indipendentemente dal fatto che l'influenza sia o meno effettivamente esercitata oppure che la supposta influenza sortisca l'esito ricercato», e dall'altro la Convenzione di Mérida (Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione del 2003, ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116), che all'art. 18 lett. a) stabilisce che gli Stati devono incriminare «il fatto di promettere, offrire o concedere ad un pubblico ufficiale o ad ogni altra persona, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio affinché detto ufficiale o detta persona abusi della sua influenza reale o supposta, al fine di ottenere da un'amministrazione o da un'autorità pubblica dello Stato Parte un indebito vantaggio per l'istigatore iniziale di tale atto per ogni altra persona» e alla lettera b) impone l'incriminazione «per un pubblico ufficiale o per ogni altra persona, che abbia sollecitato o accettato, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per un'altra persona al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un'amministrazione o da un'autorità pubblica dello Stato Parte».

Le Convenzioni richiamate non distinguono la posizione degli aderenti al patto (il privato compratore e il venditore dell'influenza), entrambi ugualmente puniti per le rispettive condotte. Né distinguono a seconda dell'effettiva esistenza delle relazioni con il funzionario pubblico. L'eventuale inganno di una parte a danno dell'altra e il conseguente errore sul buon esito dell'operazione non devono incidere in alcun modo sulla configurabilità della fattispecie e sulla responsabilità dei soggetti coinvolti. Infatti in entrambe le Convenzioni si fa riferimento espressamente al fatto di abusare di una supposta influenza, oltre alla influenza reale, quindi equiparando le condotte del vero “faccendiere” a quelle del mero millantatore. Del resto in entrambi i casi si è di fronte a un privato che vuole comprare “il favore” del pubblico ufficiale e per far ciò si appoggia consapevolmente all'attività di un intermediario, dando o promettendo denaro a altra utilità per l'intermediazione illecita. Ciò è ritenuto sufficiente per punire entrambi, in quanto si tratta di un reato di pericolo in astratto, che intende anticipare – fino a un limite ragionevole – la difesa penalistica di fronte ai tentativi di corrompere i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, innalzando in modo figurato un muro a difesa della pubblica amministrazione punendo già le condotte prodromiche al successivo accordo corruttivo.

In questo quadro mantenere la distinzione tra traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) e millantato credito (art. 346 c.p.), a seconda se le relazioni del mediatore con il pubblico funzionario fossero reali o meramente millantate, era probabilmente non conforme alla lettera delle citate previsioni contenute nelle Convenzioni internazionali per il contrasto alla corruzione. Inoltre tale distinzione comportava inevitabilmente in sede processuale delle notevoli difficoltà, in quanto non era ben chiaro quale fosse il criterio distintivo in tutte le ipotesi di confine, quando ad esempio la relazione con il pubblico funzionario fosse derubricabile a una mera conoscenza, oppure quando la relazione era esistente ma veniva millantata la capacità di incidere effettivamente nelle scelte dell'amministratore pubblico.

In secondo luogo la nuova fattispecie del delitto di traffico di influenze illecite prevede in ogni caso la punibilità sia del “trafficante” che del privato, con il medesimo trattamento sanzionatorio. Tale doppia sanzionabilità in precedenza contenuta solo dall'art. 346-bis c.p. era giustificata dal fatto che quest'ultima norma presupponeva lo sfruttamento di relazioni esistenti con il pubblico ufficiale, mentre nel reato di millantato credito il privato non era chiamato a rispondere penalmente, poiché ritenuto sostanzialmente vittima di un truffa a opera del millantatore che non era in grado di interferire nelle scelte del funzionario.

Anche sotto questo profilo va precisato che la doppia punibilità dei due soggetti protagonisti del traffico di influenze, è perfettamente conforme alle su richiamate Convenzioni, che non distinguono in nulla la posizione dell'intermediario da quella del privato che vuole comprare i suoi “servigi”. Qualche commentatore ha criticato la scelta draconiana fatta dal legislatore interno, ritenendo che le norme convenzionali non impedivano quantomeno di differenziare sul piano sanzionatorio la posizioni del privato che è vittima di un inganno del millantatore, da quella in cui il pericolo dell'interferenza illecita è reale e concreto non essendoci alla base alcuna “vendita di fumo”. Ad avviso di chi scrive la scelta fatta dalla c.d. legge Bonafede appare invece non solo in linea con le Convenzioni internazionali ma anche opportuna perché evita i “contorcimenti” in sede processuale per capire se le relazioni con il pubblico ufficiale siano o meno effettive, attuali, idonee a giungere ad un accordo corruttivo ecc. ecc. Del resto il privato che paga l'intermediazione illecita agisce sempre con lo stesso animus, quello di voler corrompere il pubblico funzionario tramite l'opera di avvicinamento dell'intermediario; ai fini della tutela della pubblica amministrazione non interessa quindi che questi sia vittima sostanzialmente di una truffa, perché già la presenza di un accordo illecito con il “trafficante” crea una situazione di discredito per la pubblica amministrazione, che è oggetto delle intenzioni criminali del privato. Non può essere sottaciuto però che una parte della dottrina ritiene che in questi casi vi possa essere un vulnus ai principi costituzionali di offensività e di proporzionalità posti alla base delle fattispecie penali, in quanto si andrebbe a «[...] punire una mera intenzione malvagia del cliente, senza alcun pericolo per il corretto e imparziale funzionamento della P.A., perché è assente qualsivoglia capacità del “mediatore” di porsi in relazione con agenti pubblici nel caso specifico».

La seconda importante novità consiste nel venir meno della finalizzazione dell'accordo illecito con l'intermediario al solo compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, limitazione che tante perplessità e dubbi interpretativi aveva raccolto. Ora il nuovo art. 346-bis c.p. fa riferimento all'intermediazione illecita nei confronti dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio «[…] in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri», quindi ricomprendendo, oltre ovviamente alla corruzione propria, anche le ipotesi di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p., norma peraltro ignorata dall'iniziale clausola di sussidiarietà del precedente art. 346-bis c.p. Ne consegue che in base alla nuova formulazione della fattispecie anche l'accordo illecito con il trafficante finalizzato alla corruzione cosiddetta impropria (ma si deve ritenere, per ragioni sistematiche, anche, ad esempio, per far compiere abusi d'ufficio e rivelazioni di segreti d'ufficio) potrà essere punita penalmente, fatto di cui in precedenza era più che legittimo dubitare. L'ipotesi del traffico di influenze finalizzato alla corruzione cosiddetta propria va invece a integrare l'aggravante di cui al quarto comma, come ora modificato dalla legge 3/2019, in ragione dell'oggettivo maggior disvalore della proiezione della condotta illecita di cui al primo comma al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio.

La predetta opzione ampliativa dell'art. 346-bis c.p. ha indotto opportunamente il legislatore a modificare anche la clausola di sussidiarietà contenuta all'inizio della norma («…fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di cui corruzione di cui all'art. 322-bis c.p. [...]»), introducendo il riferimento espresso, prima assente, alle ipotesi di corruzione cosiddetta impropria di cui all'art. 318 e alle specifiche condotte di cui all'art. 322-bis c.p. (che riguarda ipotesi di corruzione comunitaria e internazionale).La clausola di sussidiarietà è a favore degli imputati, nel senso che qualora la mediazione vada a buon fine e si consumi una delle ipotesi di corruzione ivi indicate, il delitto di cui all'art. 346-bis c.p. sarà assorbito dalle più gravi fattispecie di corruzione, attraverso il fenomeno della progressione criminosa, così evitando un possibile concorso di reati con il traffico di influenze.

Altra novità da commentare con favore è ravvisabile nella sostituzione nei primi tre commi dell'art. 346-bis, delle parole altro vantaggio patrimoniale con la diversa nozione di altra utilità, scelta conforme a quanto previsto in tutte le norme in tema di reati contro la pubblica amministrazione (tra cui anche nell'abrogato reato di millantato credito) ove, accanto al denaro si fa sempre riferimento alle altre utilità. L'intento è quello di ricomprendere anche vantaggi che non hanno natura patrimoniale ma che soddisfino comunque altri interessi umani, come ad esempio le prestazioni sessuali, con l'effetto di ampliare la portata applicativa della norma penale. Al pari positiva è la nuova disciplina dell'art. 317-bis c.p. che applica a tutti i soggetti punibili ex art. 346-bis le pene accessorie di cui all'art. 317-bis che, a seguito della stessa l. 3/2019 comprende oggi, quale reato presupposto per cui vi è stata condanna, anche il traffico di influenze illecite (senza distinguere tra ipotesi di cui al 1° e al 2° comma, come, invece, avviene all'art. 317-bis, comma 1, per il delitto di cui all'art. 319-quater c.p.).

Il regime intertemporale

Riguardo alla disciplina intertemporale, precise indicazione sono fornite dalla Relazione di accompagnamento al disegno di legge (C1189), in cui si afferma che vi è continuità normativa tra l'abrogato art. 346 c.p. e la nuova fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p., in linea con i principi espressi dalla sentenza delle Sez. unite, n. 12228 del 24 ottobre 2013, imp. Maldera, che ha risolto il rapporto tra previgente art. 317 c.p. e nuovo art. 319-quater c.p., introdotto dalla legge Severino.

Tuttavia è evidente che con riferimento alla condotta del privato acquirente di una relazione solo vantata ma in realtà inesistente, che prima non era sanzionato dall'abrogato art. 346 c.p., si tratta di una nuova area di incriminazione, con la conseguente inapplicabilità della fattispecie ai fatti pregressi all'entrata in vigore del nuovo articolo 346-bis c.p. Analogamente con riguardo al traffico di influenze finalizzato alla corruzione c.d. impropria oppure nell'ipotesi di promessa o dazione di utilità non patrimoniali, tutte condotte in precedenza non punite, per le quali non si pone in radice un problema di successioni di leggi penali nel tempo.

Con riferimento invece all'intermediario vanno distinte le diverse ipotesi: se le condotte pregresse erano riconducibili all'abrogato millantato credito, trova applicazione la nuova fattispecie in quanto si tratta di norma più favorevole all'imputato; se invece le condotte erano già ascrivibili al reato di traffico di influenze, continuerà ad applicarsi il precedente art. 346-bis c.p., perché contenente una sanzione più mite.

In conclusione

Come anticipato all'inizio dell'articolole modifiche appaiono tutte condivisibili, sia perché maggiormente conformi alle Convenzioni internazionali sia perché ampliano la portata applicativa dell'art. 346-bis c.p., norma finora rimasta marginale – perché di ridotta applicazione – nel sistema di contrasto alla corruzione; inoltre l'abrogazione del reato di millantato credito e il suo assorbimento nel nuovo art. 346-bis c.p., dissipa le incertezze interpretative in ordine al confine delle due fattispecie.

Va detto che l'apprezzabile sforzo del legislatore non è sicuro che riesca a dare centralità a questa norma, così come riformulata dalla c.d. legge Bonafede. Infatti la previsione sanzionatoria, malgrado sia stata innalzata prevedendo una pena che va da un minimo di un anno a un massimo di anni 4 e mesi sei di reclusione (in precedenza la pena era da uno a tre anni di reclusione), appare però ancora inadeguata per consentire un'efficace repressione del fenomeno criminale sottostate, ossia quello del “faccendiere” che opera a margine della pubblica amministrazione per concludere accordi corruttivi con terzi avvalendosi dei suoi contatti ben collaudati con politici e funzionari pubblici. La pena è rimasta comunque inferiore a quanto prevedeva prima dell'abrogazione il reato di millantato credito nell'ipotesi base (la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309 a euro 2.065), il che appare irragionevole perché la fattispecie del traffico di influenze è ontologicamente reato più grave dell'abrogato art. 346 c.p.

Inoltre la sanzione prevista dal nuovo traffico di influenze, malgrado l'innalzamento del minimo e del massimo della reclusione, non consentirà di applicare la misura cautelare della custodia in carcere e soprattutto di effettuare le intercettazioni telefoniche, unico efficace strumento di indagine nei casi di c.d. reati contratto, nei quali vi è un accordo tra i protagonisti e nessuno ha la posizione processuale di persona offesa, quindi nella condizione di denunciare e di collaborare con la giustizia (peraltro la nuova causa di non punibilità prevista dall'art. 323-ter c.p. per chi denuncia i fatti di corruzione non richiama l'art. 346-bis c.p.).

Questa prudenza del legislatore è forse ascrivibile ai dubbi sulla questione che sta alla base del reato di traffico di influenze illecite, ossia l'assenza di un chiaro discrimine all'interno dell'ordinamento tra attività di lobbying lecita (funzionale alla promozione di interessi di gruppi o categorie che offrono il loro punto di vista e le loro conoscenze specifiche agli amministratori pubblici) e quella invece “torbida” finalizzata al perseguimento di interessi illeciti o quantomeno non trasparenti. Finché non avverrà a livello normativo questo auspicabile chiarimento, la fattispecie penale del traffico di influenze verrà guardata sempre con sospetto, perché potenzialmente idonea ad allargare a dismisura la portata repressiva in danno di legittime esigenze di confronto con la P.A. che vengono veicolate di regola dall'attività professionale di lobbisti, in altri Paesi regolamentata con la massima trasparenza.

Guida all'approfondimento

R. CANTONE, A. MILONE, Verso la riforma del delitto di traffico di influenze illecite, in Dir. Pen. Cont. del 3.12.2018;

A. CISTERNA, Anticorruzione : Daspo e undercover nella giusta direzione, in Guida Dir., n. 40/2018

M. GAMBARDELLA, Considerazioni sull'inasprimento della pena per il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione (art.318 c.p.) e sulla riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art.346-bis c.p.) nel disegno di legge Bonafede, in Cass. Pen. n.11/2018, pagg. 3577 ss.;

C.D. LEOTTA, Traffico di influenze illecite: da oggi in vigore le modifiche all'art. 346-bis c.p., in Quot. Giur. del 31.01.2019.

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