I professionisti della crisi e i profili di responsabilità civile

Carlo Pagliughi
Maria Multari
14 Febbraio 2019

Le diverse riforme della legge fallimentare che si sono succedute dal 2005 ad oggi hanno incrementato il novero degli strumenti che l'imprenditore ha a disposizione per poter affrontare la propria crisi d'impresa. Basta, infatti, qui richiamare l'istituto del piano attestato, del concordato preventivo nonché degli accordi di ristrutturazione dei debiti e, più di recente, la procedura di sovraindebitamento per gli imprenditori non fallibili. L'introduzione di tutte queste soluzioni volte alla ristrutturazione dell'impresa hanno inevitabilmente determinato...
Premessa

Le diverse riforme della legge fallimentare che si sono succedute dal 2005 ad oggi hanno incrementato il novero degli strumenti che l'imprenditore ha a disposizione per poter affrontare la propria crisi d'impresa.

Basta, infatti, qui richiamare l'istituto del piano attestato, del concordato preventivo nonché degli accordi di ristrutturazione dei debiti e, più di recente, la procedura di sovraindebitamento per gli imprenditori non fallibili.

L'introduzione di tutte queste soluzioni volte alla ristrutturazione dell'impresa hanno inevitabilmente determinato un innalzamento del livello di tecnicità connesso non solo alla scelta dello strumento più idoneo a far fronte alla crisi ma anche all'assistenza – a tutti i livelli e in tutte le fasi – di cui l'imprenditore necessita per traghettare la propria azienda fuori dalla crisi.

Di conseguenza, negli ultimi anni si è assistito ad un innalzamento non solo del numero di professionisti coinvolti nelle procedure concorsuali ma anche dei casi in cui alcuni di essi sono stati ritenuti responsabili dell'esito negativo della procedura o comunque delle criticità e delle problematiche che sono sorte nell'ambito del procedimento di ristrutturazione.

Il ruolo dei professionisti che assistono la società nella procedura di concordato preventivo

Concentrando l'attenzione sulla procedura di concordato preventivo, occorre rilevare come l'attuale configurazione di questa procedura concorsuale richieda necessariamente l'assistenza di un numero e di una varietà di figure professionali scelte sia dall'imprenditore che dal Tribunale che sono:

a) uno o più consulenti (advisor per gli aspetti economico-contabili) per la predisposizione del piano concordatario.Nei casi più complessi possono coesistere ulteriori figure di advisors dedicati a specifici aspetti dell'impresa e dedicati ad obiettivi di ristrutturazione finanziaria o prettamente industriale;

b) il professionista attestatore ex art. 161, comma 3, l. fall., il quale, in taluni casi, può avvalersi della collaborazione della società di revisione o di un revisore contabile per poter esprimere il giudizio sulla veridicità dei dati aziendali nonché di esperti in singole materie allorquando l'oggetto sociale dell'impresa richieda il possesso di particolari competenze tecniche ovvero di conoscenza di un certo business specifico;

c) uno o più legali – cosiddetto advisor legale – per la predisposizione e presentazione del ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall. e, più in generale, per l'assistenza giuridica dinanzi al Tribunale competente;

d) eventuali periti per la stima mobiliare, immobiliare o aziendale, oltre che per rendere attestazioni speciali o integrative come quelle ai sensi dell'art. 160, comma 2, l. fall. ovvero quella di cui all'art. 182 quinquies l. fall.;

e) un precommissario;

f) un o più commissari giudiziali;

g) altri periti estimatori eventualmente nominati dal Giudice Delegato;

h) un liquidatore giudiziale in caso di concordato preventivo liquidatorio.

Di questi, particolare rilievo assumono i professionisti scelti dallo stesso debitore e che formano oggetto del presente scritto, ossia l'advisor, l'attestatore, il legale.

L'advisor economico-contabile dell'imprenditore è coinvolto nella risoluzione della crisi d'impresa sotto un duplice livello poiché, da una parte, è chiamato a consigliare il debitore sulla scelta dello strumento più adatto a far fronte alla crisi mentre, dall'altra, dovrà predisporre il piano di risanamento.

Molto spesso è coinvolto anche in una fase prodromica alla scelta dello strumento di ristrutturazione concernente la necessità di ricorrere o meno ad uno strumento di risoluzione della crisi d'impresa.

Altro ruolo dell'advisor è quello di informare il debitore, insieme all'advisor legale, in ordine ai comportamenti che potrebbero rivelarsi non conformi alla legge quali il pagamento di alcuni creditori soltanto nell'immanenza del deposito della domanda di concordato preventivo ovvero il pagamento di crediti sorti in epoca anteriore al deposito della domanda di concordato.

Va da sé che, stante la varietà di strumenti che il legislatore mette a disposizione per la risoluzione della crisi d'impresa, diventa particolarmente complesso individuare lo strumento più idoneo ad affrontare la crisi in concreto manifestatasi.

Elementi da prendere in considerazione per decidere in un senso piuttosto che in un altro sono, a titolo esemplificativo, il fabbisogno di liquidità nel breve periodo, il numero e le caratteristiche dei creditori, il rischio di perdita della continuità aziendale, di dispersione del patrimonio per effetto di azioni esecutive e di lesione della par condicio creditorum per effetto dell'iscrizione di ipoteche giudiziali o di compensazioni.

In parallelo all'attività di analisi e scelta dello strumento di risoluzione della crisi d'impresa nonché di predisposizione del piano, l'advisor dovrà valutare quali siano le iniziative idonee ad ottenere la sospensione o la riduzione temporanea dei pagamenti ai fornitori limitando gli esborsi a favore di quelli ritenuti strategici, lo smobilizzo rapido di crediti e del magazzino, un periodo di moratoria per gli adempimenti verso le banche finanziatrici e il mantenimento dell'operatività delle linee di credito in essere.

Molto si è già detto, invece, circa la figura dell'attestatore. Pertanto, in questa sede ci si limiterà a ricordare che questi è chiamato a predisporre una relazione nella quale esprime un giudizio professionale essenzialmente, da un lato, sulla veridicità dei dati aziendali e, dall'altro, sulla fattibilità del piano medesimo.

Questi dovrà poi eventualmente rendere attestazioni speciali o integrative nei seguenti casi:

  1. modifiche sostanziali della proposta o del piano concordatario;
  2. concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis l. fall. nel quale dovrà attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;
  3. richiesta di finanziamenti interinali ai sensi dell'art. 182 quinquies, comma 1, l. fall., ove dovrà attestare, ancora una volta, che tali finanziamenti sono funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori;
  4. concordati in continuità aziendale nei quali siano pendenti contratti pubblici e/o in cui l'impresa intenda partecipare a procedure di assegnazione di contratti pubblici ove dovrà attestare la conformità di tali contratti al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto.

A seguito dell'entrata in vigore del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 132, l'attestatore è, altresì, chiamato, nella propria relazione, a verificare e attestare la garanzia di soddisfacimento dei creditori chirografari nella percentuale minima del 20% dell'esposizione debitoria in caso di concordati liquidatori ovvero, laddove il debitore voglia escludere l'ammissibilità di proposte concorrenti, nella percentuale minima del 40% in caso di concordato liquidatorio o del 30% in caso di concordato con continuità aziendale.

Infine, dovrà verificare e attestare, ai sensi dell'art. 161, comma 1, lett. e), l. fall., “l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

La complessità della normativa che trova applicazione nella procedura concordataria rende indispensabile anche la presenza di un professionista che offra assistenza legale.

L'advisor legale, oltre a collaborare di concerto con l'advisor contabile nel guidare l'imprenditore nella scelta dello strumento giuridico più adatto alla risoluzione della crisi d'impresa e ad avere il compito di predisporre la domanda di concordato preventivo sia essa con riserva oppure definitiva, dovrà supportare il debitore nella gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa pendente la procedura concordataria nonché strutturare le eventuali operazioni straordinarie propedeutiche e necessarie in relazione alla complessa procedura di riorganizzazione quali le operazioni di ricapitalizzazione e di aumento del capitale sociale, di fusione e di scissione, di conferimento, di affitto e di cessione del ramo d'azienda.

Nella fase preconcordataria ha poi il delicato compito, insieme all'advisor contabile, di “istruire” l'imprenditore circa il divieto assoluto di eseguire pagamenti di debiti pregressi, pena la dichiarazione d'inammissibilità della domanda di concordato preventivo.

In generale, avrà altresì il compito i) di interfacciarsi con il ceto creditorio, con il Commissario Giudiziale e con il Giudice Delegato, ii) di evidenziare i rischi legali legati a determinate condotte poste in essere dall'imprenditore durante la procedura concordataria, iii) di affrontare e risolvere le questioni giuridiche che dovessero sorgere nell'ambito della procedura concordataria e iv) di rendere pareri nonché redigere le bozze degli atti anche di quelli aventi natura negoziale.

La figura del perito estimatore e dell'attestatore ai sensi dell'art. 160, comma 2, l. fall. è pregnante soprattutto in caso di presentazione di una domanda di concordato preventivo liquidatorio ove l'attivo è costituito per la maggior parte da beni immobili o mobili.

Il loro compito è, infatti, quello di eseguire la valutazione dei beni – siano essi mobili o immobili - che compongono il patrimonio aziendale e di determinarne l'effettivo valore di mercato al fine di dimostrare che gli stessi non sono capienti per un determinato creditore privilegiato, il quale verrà, pertanto, degradato al chirografo.

La responsabilità civile dell'advisor, dell'attestatore, del legale e dei periti

La peculiarità dei ruoli ricoperti dalle figure professionali sopra delineate, la rilevanza delle posizioni ricoperte e la crucialità del loro intervento nella risoluzione della crisi d'impresa non possono, come sopra accennato, che comportare il risvolto della loro responsabilità nel caso di tenuta di comportamenti negligenti nello svolgimento del proprio incarico.

L'advisor, l'attestatore, il legale e i periti possono, quindi, essere ritenuti civilmente responsabili nei confronti dell'imprenditore in favore del quale è stata espletata l'attività professionale.

La responsabilità nei confronti di tale soggetto è di tipo contrattuale ex art. 1218 c.c. in ragione del vincolo negoziale che esiste tra l'imprenditore da un lato e l'advisor, l'attestatore, il legale e i periti dall'altro.

La responsabilità dei predetti professionisti dev'essere commisurata ai canoni di diligenza professionale propri dell'attività dagli stessi svolta, restando inteso, peraltro, che le obbligazioni assunte dal professionista devono essere annoverate tra le cosiddette obbligazioni di mezzi e non di risultato, non essendo il professionista tenuto a pervenire ad un determinato esito, ma dovendo, invece, mantenere nel corso della propria attività determinati standard di diligenza che, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., devono essere proporzionati alla natura dell'attività svolta.

Parte della giurisprudenza ha, tuttavia, sostenuto che è necessario comunque vagliare l'oggetto del mandato conferito dal debitore.

In molti casi, infatti, tali mandati, sia per quanto riguarda i profili più propriamente giuridici che per quelli economico - aziendali, non sono conferiti e diretti esclusivamente al compimento di un singolo atto del procedimento – tranne naturalmente quelli per l'attestazione ai sensi dell'art. 161, comma 3, l. fall. ovvero per la relazione ai sensi dell'art. 160, comma 2, l. fall. che presuppongono l'indipendenza e la terzietà del professionista incaricato – ma sono formulati in modo ampio, comprensivo di tutte le attività propedeutiche e ritenute necessarie per l'analisi ed il superamento della crisi attraverso il ricorso allo strumento del concordato preventivo.

Nei casi, quindi, in cui il professionista accetta di svolgere un'attività definita “attività di consulenza per il superamento della crisi attraverso lo strumento concordatario”, la prestazione oggetto del contratto non costituirebbe un'obbligazione di mezzi, bensì di risultato, in quanto egli si sarebbe obbligato ad offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di adottare una consapevole decisione a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi che possono impedire la realizzabilità del risultato sperato (Cass. Civ., 23 maggio 2012, n. 8014; Cass. Civ., Sezioni Unite, 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. Civ., Sezioni Unite, 28 luglio 2005, n. 15781; Cass. Civ., 14 novembre 2002, n. 16023, la quale, con particolare riferimento all'avvocato che accetti di svolgere attività di consulenza, ha affermato espressamente l'esistenza di un'obbligazione di risultato “nel caso in cui il professionista riceva e accetti l'incarico di svolgere un'obbligazione di mezzi, ma a realizzare un opus che soddisfi l'interesse perseguito dal cliente rivolgendosi al professionista”).

Ciò nondimeno, in linea generale il canone di diligenza da seguire nello svolgimento delle attività dei professionisti in questione è quello medio per l'esecuzione di attività professionali ovvero caratterizzato dalla necessaria cautela e dall'osservanza degli standard comportamentali (in particolar modo per l'attestatore) che la prassi operativa ha elaborato a partire dalla riforma introdotta dalla L. 14 marzo 2005, n. 80.

Nel caso in cui la prestazione professionale resa sia riferita a problemi tecnici di particolare difficoltà che potrebbero richiedere un impegno professionale superiore a quello mediamente richiesto e avuto riguardo all'ambito professionale ed economico in cui l'impresa opera, si ritiene generalmente che si possa escludere la responsabilità del professionista in presenza di colpa lieve a mente dell'art. 2236 c.c. sussistendo, invece, solo nel caso di dolo o colpa grave.

Sotto un diverso profilo, invece, l'advisor, l'attestatore, il legale e i periti potrebbero essere reputati responsabili anche nei confronti dei terzi.

In queste ipotesi, la fonte della responsabilità è generalmente ritenuta extracontrattuale – e, pertanto, riconducibile ai principi di cui all'art. 2043 c.c. – e andrebbe individuata nell'affidamento che i soggetti terzi ripongono nell'attività del professionista che ha assistito il debitore nella risoluzione della crisi d'impresa.

Nello specifico, ci sarebbe una lesione del diritto di corretta informazione dei creditori dei terzi nonché nell'affidamento che i terzi avrebbero riposto su tali informazioni.

Un parte della dottrina ha, per converso, ritenuto possibile ricondurre la responsabilità di detti professionisti nei confronti dei terzi nella categoria della responsabilità contrattuale da contatto sociale.

In questi casi, soprattutto per quanto concerne la figura dell'attestatore, il professionista assumerebbe nei confronti dei terzi creditori un dovere di protezione desumibile dal dato normativo che gli imporrebbe di esprimere un giudizio sulla fattibilità del piano avente ad oggetto la soddisfazione di tutti i creditori.

In sede concordataria, la responsabilità del professionista sussiste nei confronti dei creditori anteriori all'omologazione il cui danno conseguente può essere quantificato all'esito di un'analisi differenziale che identifichi la minor somma che tali creditori potranno ricavare dal successivo fallimento rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere nel caso di una tempestiva apertura della procedura fallimentare.

Di converso, devono essere opportunamente considerati anche i vantaggi che l'attività professionale ha comportato. Ad esempio, nel caso della procedura di concordato, in ipotesi revocato, non omologato o non approvato dalla maggioranza dei creditori, potrebbe essere stata realizzata una quota rilevante dell'attivo anche in ragione dell'intervento dei professionisti a vario titolo coinvolti.

In caso di conseguente dichiarazione di fallimento, la legittimazione all'esercizio dell'azione risarcitoria spetterebbe ai terzi danneggiati e non al curatore il quale, invece, sembrerebbe essere il soggetto deputato ad agire per il risarcimento del danno subito dall'imprenditore derivante da responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.

Più nello specifico, le condotte che possono dar luogo a responsabilità contrattuale verso il debitore da parte dell'advisor economico-contabile si individuano, a titolo esemplificativo, nella dichiarazione di verifiche non eseguite, nella circolarizzazione dei crediti e dei debiti dichiarata e non effettuata, nella dichiarazione di riscontro di rimanenze non effettuata, nell'omissione di accertamenti dichiarati e non effettuati e nella redazione di un piano industriale inattendibile e non conforme alle best practice professionali.

Quanto all'attestatore, invece, si richiamano condotte riconducibili all'omessa o all'erronea esecuzione degli accertamentiche il ruolo ricoperto dallo stesso gli impone di eseguire a favore del ceto creditorio e che potrebbe riverberarsi in una errata attestazione negativa in termini di fattibilità, in una errata attestazione di fattibilità di un piano non meritevole e sin dall'inizio non realizzabile e conseguentemente in seguito non omologato, in una attestazione positiva formatasi sulla base di considerazioni logiche non corrispondenti alle risultanze acquisite.

Con riferimento, viceversa, all'advisor legale, è possibile ipotizzare l'omessa prospettazione al cliente, in violazione del principio di buona fede contrattuale, delle questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l'utile esperimento della procedura concordataria ovvero, più banalmente, la redazione di un ricorso per concordato o di altri atti che denotino la non conoscenza di consolidati principi giurisprudenziali in materia.

Profili di responsabilità, infine, si possono individuare sia nei confronti del perito estimatore del compendio immobiliare del debitore per non aver tenuto conto ai fini della relativa valutazione, a titolo esemplificativo, dello stato di occupazione degli immobili o dell'eventuale presenza di contenziosi pendenti o ancora della destinazione urbanistica degli stessi sia nei confronti del professionista che ha reso l'attestazione ai sensi dell'art. 160, comma 2, l. fall. per aver richiamato acriticamente nella propria relazione le inadeguate valutazioni del perito senza, quindi, effettuare un'analisi dell'intrinseca validità sostanziale dei beni, dei criteri di stima utilizzati e delle criticità rinvenibili nella situazione giuridica degli immobili.

L'eccezione di inesatto adempimento e di non utilità della prestazione

La responsabilità dei professionisti che hanno assistito la società nella procedura concordataria viene tipicamente in rilievo in sede di ammissione allo stato passivo dei crediti da questi vantati nel conseguente fallimento.

In sede di ammissione dei predetti crediti al passivo del successivo fallimento, il curatore, in linea di diritto, qualora ravvisi profili di responsabilità della condotta tenuta dal professionista nel corso della procedura concordataria, può contestare sotto un profilo prettamente qualitativo la prestazione resa dal professionista in ciò sostanziandosi un'eccezione di inesatto adempimento tale da paralizzare l'ammissibilità del credito stesso non solo in grado di prededuzione, ma addirittura in qualunque altro grado deteriore.

La pretesa creditoria del professionista verrebbe, quindi, arrestata da un'eccezione di compensazione sollevata dal curatore del successivo fallimento basata su un controcredito di tipo risarcitorio derivante dalla mancata diligenza tenuta dal professionista nell'espletamento del proprio incarico cui sia scaturito un danno per la massa dei creditori.

Tale esclusione del credito si avrà, quindi, nei casi in cui le prestazioni professionali non dovessero risultare, con giudizio formulato ex ante, connotate da sufficiente diligenza e perizia che comprende anche la correttezza e la ragionevolezza delle scelte tecniche operate dal professionista che devono essere ispirate al principio del miglior soddisfacimento dei creditori.

Trattandosi di un'exceptio inadimpleti contractus, al fine della verifica circa la sussistenza dell'inesatto adempimento, opera il principio di diritto generale secondo il quale “in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento” (cfr. Cass. Civ. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533 nonché Cass. Civ., 12 febbraio 2010, n. 3373).

Applicate all'eccezione di inadempimento del professionista, le pronunce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamate hanno, quindi, statuito che qualora il curatore sollevi l'exceptio inadimpleti contractus, deducendo un inesatto adempimento, sarà il professionista a dover provare il proprio adempimento che costituisce il presupposto per l'accoglimento della propria pretesa creditoria.

Spetterà, pertanto, ai destinatari dell'eccezione di inadempimento offrire la prova concreta del proprio esatto adempimento, la quale non pare possa esaurirsi in allegazioni di meri fatti generici né nell'invocazione della distinzione, come sopra accennato, tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, dal momento che tale distinzione non sembra comunque poter liberare il professionista dall'onere di effettuare una prestazione diligente e di aver operato diligentemente osservando le regole dell'arte e conformandosi ai protocolli dell'attività che è stato chiamato a svolgere (Cass. Civ., 28 febbraio 2014, n. 4876).

Come sostenuto dalla recente giurisprudenza di legittimità, l'inadempimento del professionista dev'essere direttamente e specificatamente sollevato dal curatore in sede di ammissione al passivo del fallimento ed eventualmente contestato mediante ricorso in opposizione ai sensi dell'art. 98 e ss. l. fall., non potendo essere eccepito per la prima volta in sede di ricorso per cassazione.

La valutazione degli effetti in concreto prodotti dall'attività dei professionisti è destinata a ripercuotersi anche sul concetto di funzionalità del credito vantato dal professionista ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 111 l. fall. allorquando determini un danno alla massa dei creditori.

Come noto, infatti, l'art. 111, comma 2, l.fall. considera crediti prededucibili anche quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.

L'orientamento – confermato anche recentemente – della giurisprudenza di legittimità è nel senso di riconoscere la prededuzione ai crediti sorti a seguito di prestazioni rese per la redazione del concordato preventivo e per la relativa assistenza, determinando, in tal modo, una vera e propria presunzione di utilità e funzionalità della prestazione del professionista.

Detta utilità e funzionalità si desumerebbe dall'oggettivo vantaggio che la massa dei creditori ricava dal deposito della domanda di concordato preventivo in termini di cristallizzazione del passivo e di decorrenza del periodo sospetto per l'esercizio delle azioni revocatorie fallimentari che retroagisce, in virtù del principio di consecuzione delle procedure concorsuali, alla data di deposito della stessa e non alla data della successiva dichiarazione di fallimento.

A ciò si aggiunga l'inefficacia delle ipoteche iscritte nei 90 giorni anteriori alla pubblicazione del ricorso presso il Registro delle Imprese ai sensi dell'art. 168 l. fall. nonché la cessazione della decorrenza degli interessi per i creditori chirografari a mente dell'art. 55 l. fall.

Ciò nondimeno, il carattere funzionale della prestazione resa dal professionista potrebbe essere messo in discussione – facendo venir meno anche la natura prededucibile del credito – non tanto in via automatica a seguito dell'esito infausto del concordato preventivo – dichiarato inammissibile, non approvato o non omologato – quanto, piuttosto, qualora venisse provata la manifesta inutilità per la massa dei creditori della prestazione professionale.

La prededuzione, pertanto, potrebbe essere negata ove la curatela dimostri che il ricorso alla procedura di concordato, astrattamente funzionale, per le ragioni anzidette, all'interesse dei creditori concorsuali, si è rivelato in concreto inutile, in quanto non avrebbe determinato un apprezzabile vantaggio in termini di conservazione/incremento del patrimonio a disposizione della massa dei creditori

Queste considerazioni basate sulla verifica ex post della utilità della prestazione professionale, ad evidenza non dovrebbero riguardare l'attività dell'attestatore, posto che la funzionalità della sua prestazione è connessa al suo ruolo “necessario” previsto nell'iter concordatario, al punto che sul piano sostanziale la valenza di una attestazione si misura nella qualità del contributo informativo sottoposto ai creditori ed agli Organi della procedura, a prescindere dagli esiti della attestazione o dai benefici economici derivanti dal ricorso alla procedura concordataria.

Riferimenti dottrinali e giurisprudenziali

Per la dottrina cfr. C. RAVINA, Ruolo e responsabilità dei professionisti della crisi d'impresa, Milano, 2017; M. GREGGIO, Le ambivalenze della giurisprudenza di legittimità in tema di prededucibilità del credito del professionista nel fallimento che segue al concordato preventivo: l'ammissione è una condizione necessaria?, in www.ilcaso.it, 2018; S. AMBROSINI, Appunti in tema di prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo e nell'eventuale successivo fallimento, in www.osservatorio-oci.org, 2017; G. COVINO e L. JEANTET, La relazione del professionista attestatore tra fattibilità del piano e “assicurazione” del pagamento proposto nel ricorso, in www.dirittobancario.it, 2016.

Per la giurisprudenza cfr. Cass. Civ., 23 maggio 2012, n. 8014; Cass. Civ., Sezioni Unite, 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. Civ., Sezioni Unite, 28 luglio 2005, n. 15781; Cass. Civ., 14 novembre 2002, n. 16023; Cass. Civ. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533; Cass. Civ., 28 febbraio 2014, n. 4876; Cass. Civ., 6 marzo 2018, n. 5254; Cass. Civ., 30 marzo 2018, n. 7974; Cass. Civ., 16 maggio 2018, n. 12017; Cass. Civ. 8 marzo 2016, n. 9542; Cass. Civ., 4 maggio 2018, n. 10752; Cass. Civ., 23 settembre 2016, n. 18705; Cass. Civ., 12 febbraio 2010, n. 3373; Trib. Milano, 16 novembre 2015; Trib. Rimini, 10 dicembre 2014; Trib. Monza, 4 novembre 2014.

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