I “fenomeni criminali” e l'erosione delle garanzie processuali
18 Febbraio 2019
Ancorché ogni processo penale faccia “storia a sé”, tutti sono riconducibili – con le possibili varianti – ai due grandi archetipi del modello accusatorio e inquisitorio. La scelta dipende dalla storia e dalle tradizioni giuridiche di un Paese, dalla sua cultura in materia di giustizia, nonché dalla struttura delle sue istituzioni. Un sistema autoritario si dota di un modello di giustizia a impronta inquisitoria; un regime democratico prevede un processo impostato secondo i caratteri accusatori. Resta, infatti, fermo che tutti gli stati – escluse eccezioni dove si cerca di affrontare i problemi addirittura non consentendo i processi – prevedono un sistema di accertamento dei reati e delle responsabilità. Del resto, oggi, nel momento globalizzato, le relazioni tra Stati, la presenza di organismi internazionali, consentono di individuare le scelte – autoritarie o meno – dei diversi Paesi, soprattutto con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali delle persone. Tendenzialmente in ogni sistema diritto penale e giustizia penale sono tutt'uno: all'interno del processo “tutto si tiene” in un insieme armonico, che non esclude discrasie legate all'evoluzione nelle scelte del potere politico.La storia del nostro Paese evidenzia quanto appena affermato. Da un lato, codice penale e codice di procedura del 1930 erano ispirati dalla stessa visione ideologica. La separazione dei due codici ha evidenziato, inevitabilmente, le diverse impostazioni. Un paio di esempi sono sufficienti a suffragare quanto detto. Si pensi alla differenza tra la “morte del reo” di cui all'art. 150 c.p. contrapposta alla “morte dell'imputato” di cui all'art. 69 c.p.p.; alla ricerca dei colpevoli rispetto alla ricerca degli autori del reato; alla carcerazione preventiva rispetto alle misure cautelari; al proscioglimento per insufficienza di prove rispetto all'assoluzione in caso di prove insufficienti o contraddittorie. Il processo penale, entro questi schemi, ha inevitabilmente subito evoluzioni significative. Dal codice del 1930, per tappe progressive, contrassegnate dalla presenza della Costituzione, della Corte costituzionale, dal maturare della consapevolezza di dover tutelare la garanzia ed i valori fondamentali, si è passati alla riforma del 1988. Non sono necessarie molte parole, trattandosi di questioni arate, per sottolineare questa evoluzione. Va, però, sottolineato come già all'interno di questo “passaggio” tra modelli, fosse stata messa in evidenza la presenza – con ricadute significative sulla disciplina processuale e sostanziale – dei fenomeni criminali.
Invero, dagli anni '70 ad oggi il nostro Paese è stato interessato da varie stagioni nelle quali la criminalità ha evidenziato alcune forti specificità e radicate estrinsecazioni. Volendo tradurre questa riflessione con una immagine può farsi riferimento alla differenza tra la malattia e l'epidemia. La prima consente una risposta puntuale, seria e isolata; la seconda richiede un intervento ampio, di percezione, di elaborazione, di profilassi, di prevenzione. Lo stesso discorso riguarda il reato e il fenomeno criminale, che a differenza del primo richiede interventi ampi e coordinati, capaci di arginare, contenere, contrastare la complessità dell'azione criminale, coinvolgenti il diritto penale, il processo, il regime esecutivo della pena. Si considerino due possibili approcci definitori: il processo penale è uno strumento che accerta, secondo certe regole fissate dalla legge, se un fatto è avvenuto, se è lecito o illecito, se una persona lo ha o non lo ha commesso; il processo penale è uno strumento finalizzato ad accertare, secondo certe regole, se un fatto è avvenuto, se è lecito o illecito, se una persona lo ha o non lo ha commesso. Apparentemente omogenee, le due definizioni sottendono due contrapposti modi di concepire il processo.
Sono note le stagioni che la società italiana ha vissuto: criminalità terroristica legata alla strategia della tensione; criminalità organizzata di stampo mafioso e terroristico; insicurezza sociale connessa all'attività predatoria; criminalità terroristica internazionale; criminalità economica da profitto. Ognuna di queste stagioni è stata affrontata secondo i principi di legalità che ispirano e governano il nostro sistema costituzionale. Riserva di legge e di giurisdizione sono stati da sempre i riferimenti dell'azione del Governo e del Parlamento, incardinati nella presenza di una magistratura indipendente. Naturalmente, tutto ciò ha determinato non poche – anzi molte e significative – modifiche dell'impianto codicistico, che si è irrigidito e reso maggiormente autoritario. Il dato più significativo, quello che ha evidenziato la rottura della linea di evoluzione garantista contrassegnata dal codice del 1988, sono state le famose sentenze della Corte costituzionale del 1992 e 1994 che hanno “ferito a morte” quel processo. La reazione garantista è culminata nella riforma dell'art. 111 Cost.
Tuttavia, va sottolineato come si tratti di modelli diversi. Il codice del 1988 era incentrato sull'oralità. Sintomatici l'art. 146 disp. att. che fotografa l'aula d'udienza; la presenza dell'art. 525, comma 2, c.p.p., la cui violazione non casualmente è sanzionata con la nullità assoluta, l'unica speciale di tutto il codice. Il “codice” del 2000 mette al centro il diverso concetto del contraddittorio, espressione che non casualmente non figurava in tutta la legge delega, imperniata sul diverso principio dell'adozione del metodo orale. Al di là del fatto terminologico, si tratta di un elemento concettuale destinato a cambiare l'intelaiatura del processo. Si consideri, da questo punto di vista, il significato emblematico che aveva il giudizio immediato richiesto dall'imputato strettamente connaturato alla logica del sistema bifasico; il diverso ruolo dei riti premiali; la mancanza di possibilità per l'imputato di richiedere i riti a seguito della modifica dibattimentale dell'imputazione emergente dagli atti di indagine. Si trattava della verifica giurisdizionale, nel dibattimento, dell'impianto accusatorio ipotizzato dal p.m. Significativo lo sbilanciamento del nuovo criterio del contraddittorio: incrinazione del sistema bifasico e recupero del precedente; ampliamento dei casi di incidente probatorio; regime particolare della prova; circolazione della prova da altri procedimenti. Inevitabile, in questo contesto, già segnato dalla evanescente capacità critica del giudice delle indagini preliminari, della giurisdizione che si piega sull'azione penale. Invero, lo schema originario, nella fluidità delle indagini, sottintendeva una certa discrezionalità dell'accusa accompagnata da un certo potere dispositivo delle parti. Inevitabile la crisi del dibattimento oggi accentuato dal diffuso ricorso dei processi a distanza.
Come anticipato, queste modifiche sono state sicuramente innestate dalle “stagioni” alle quali si è fatto riferimento, confezionando percorsi differenziali dentro il nuovo schema che avevano contribuito a determinare. I riferiti elementi forniscono una risposta ad una domanda risalente, ma in qualche modo fondamentale in materia.
Le garanzie possono essere ridimensionate in presenza di reati di minore gravità e all'opposto devono essere rafforzate in presenza di reati particolarmente gravi? La risposta che sembra emergere con chiarezza è orientata nel senso che i diritti fondamentali della persona entrano sempre più in bilanciamento con le altre esigenze che ad esse si contrappongono. L'esigenza del contrasto, della lotta al fenomeno, delle istanze securitarie, inevitabilmente condizionano l'ampiezza dei diritti individuali, anche di quelli ritenuti inviolabili che si contemperano e si bilanciano, in termini di proporzionalità, con le istanze collettive. Non può negarsi che spesso si tratta di esigenze che rischiano di mettere in discussione la tenuta democratica e sociale di un paese. Il processo, in tal modo, diventa un significativo, ineludibile, strumento di politica sociale per cercare di venir incontro alle patologie della società ed al disagio collettivo. Il dato inevitabilmente nasconde spesso un corto circuito tra istanze, vere o percepite, e il consenso che la politica non può non ricercare nella misura in cui proprio circuito lo alimenta. In questo contesto si evidenzia – più recentemente – la mancanza di mediazione per la carenza della presenza e della dialettica dei c.d. gruppi intermedi, che possono “filtrare” le istanze sociali. Nel contesto dei riferiti fenomeni di criminalità, si segnala un ulteriore elemento di novità, al di là di quello del contrasto, della lotta e della repressione. Il tema riguarda un più accentuato ruolo che, in relazione a fenomeni criminali di impatto a forte tasso di emotività, sta interessando la presenza nel processo della vittima del reato. Già presente nel passato, il fenomeno associativo della vittima, tuttavia, si collocava nella dimensione dello stimolo delle indagini, alla ricerca degli autori del reato. Il dato ha riguardato soprattutto il periodo delle stragi terroristiche. Da ultimo, l'individuazione dei “responsabili” e la celebrazione dei processi, unita ad un rafforzamento dei poteri processuali della persona offesa, fa di quest'ultima un soggetto che, senza assurgere al ruolo di parte, un protagonista del processo e del contesto sociale. In questo suo ruolo, la vittima – titolare di diritti e di interlocuzioni mediatiche – rivendica un ruolo – non esclusivamente risarcitorio, spesso ritenuto irrilevante e marginale – di “titolare” della pretesa punitiva in nome dell'effettività della pena, vista non nella sua funzione rieducativa, ma in quella retributiva. Il dato trova in alcuni casi un aggancio nella presenza anticipata di misure personali di protezione. Il sistema penitenziario entra così esso pure in tensione tra una logica di recupero, di possibile mediazione e di condotte riparatorie, ed una più strettamente sanzionatoria che esclude premialità e benefici.
Nella ricostruzione del modello processuale come si è prospettato alla vigilia della sua annunciata riforma che, alla luce della l. 3/2019, dovrebbe accompagnare la modifica della prescrizione, va sottolineata l'elaborazione della giurisprudenza, soprattutto di quella delle Sezioni unite. Seguendo l'impostazione del suo Presidente, peraltro già evidenziatasi in precedenza, la giurisdizione processuale penale si sta strutturando secondo tre direttrici: il principio di non regressione; quello di concentrazione; quello di progressione. Se, invero, il procedimento appare teso ad un risultato di accertamento, dovrebbe escludersi, se non eccezionalmente, che esso possa regredire; la necessità di evitare decisioni contrastanti sembra richiedere decisioni ispirate dalla unitarietà, evitando eccessive decisioni incidentali; la logica della procedimentalità impone di concepire il processo come uno strumento che, pur prevedendo le segmentazioni, sia per un verso capace di integrarle progressivamente in una logica suscettibile di raccordarle in una visione di sistema, e per un altro idonea ad escludere stasi ed arresti, giuridicamente non giustificati. Il quadro così delineato va completato con l'incremento delle normative secondarie, della c.d. soft law, con la quale attraverso decreti presidenziali, protocolli dei protagonisti della giurisdizione, convenzioni tra organi di vertice, nazionali e locali, si cerca di rendere maggiormente efficiente la macchina giudiziaria.
In questo contesto è difficile ipotizzare linee riformatrici, non solo perché – come si è accennato – il dato può essere fortemente condizionato dal contesto della criminalità nella quale la giustizia penale è chiamata ad operare, ma anche per le incertezze della linea della politica criminale dell'Esecutivo. Sicuramente sarà necessario assicurare una durata ragionevole del processo. Si tratta di individuare una ipotesi – articolata sulla gravità del reato – di durata del processo, sulla quale costruire lo schema delle fasi e dei gradi del procedimento. Escluso che sia possibile un ritorno generalizzato alla centralità del dibattimento, da assicurare – comunque à alle ipotesi di maggior gravità - sarà necessario definire il ruolo dell'udienza preliminare. Probabilmente, sarà necessario rimodulare il percorso procedimentale tra la fine delle indagini e l'apertura del dibattimento. L'udienza preliminare potrebbe connotarsi di una triplice funzione: incardinamento dei riti premiali; filtro delle azioni penali non solo non azzardate, ma anche strutturalmente deboli; preparazione della fase del giudizio. Quanto alla fase delle indagini, dove potrebbero trovare spazio iniziative tese alla depenalizzazione, sembrerebbe imporsi il rafforzamento del gip quale organo di garanzia. Il processo penale è un meccanismo complesso e sofisticato; occorrono solide basi dogmatiche per affrontare le sfide della criminalità ed individuare le soluzioni più idonee a fronteggiarla, ma è anche il luogo nel quale i diritti fondamentali dell'uomo non possono essere pregiudicati. |