Legittimazione (negata) al voto del creditore proponente il concordato fallimentare

Paolo Bosticco
19 Febbraio 2019

Il termine biennale per la presentazione di domande di concordato fallimentare non si applica ai soggetti diversi dal fallito o dai soggetti correlati ad esso espressamente equiparati dall'art. 124 l.fall.; è incensurabile in Cassazione la valutazione dei giudici del merito quanto all'esistenza dei legami di correlazione previsti dalla norma predetta.
Massima

Il termine biennale per la presentazione di domande di concordato fallimentare non si applica ai soggetti diversi dal fallito o dai soggetti correlati ad esso espressamente equiparati dall'art. 124 l.fall.; è incensurabile in Cassazione la valutazione dei giudici del merito quanto all'esistenza dei legami di correlazione previsti dalla norma predetta.

Al di là delle preclusioni espressamente previste dall'art. 127 l.fall., deve applicarsi al voto nel concordato fallimentare il principio generale in forza del quale non può partecipare al voto colui che è portatore di un interesse in conflitto con quello della collettività votante, e da ciò consegue l'esclusione sia del creditore che proponga il concordato sia anche dei soggetti creditori che siano società correlate alla proponente.

Il caso

La decisione in commento si occupa di un questione giuridica di una certa rilevanza, solo in apparenza destinata a verificarsi raramente (ed anzi in futuro potenzialmente ipotizzabile con una certa frequenza nella pratica), andando a valutare se il creditore dell'impresa fallita che proponga un concordato fallimentare possa votare ai fini dell'approvazione della proposta e se, una volta escluso il diritto di voto, il divieto si estenda alle società correlate al proponente.

Una delle novità della riforma concorsuale, infatti, è proprio costituita dall'ampliamento della legittimazione attiva alla presentazione della domanda di concordato, in passato consentita solo al soggetto fallito, di modo che oggi è possibile che il ceto creditorio venga chiamato a votare su proposte provenienti da soggetti terzi della più disparata natura, sia “vicini” all'impresa fallita, sia del tutto estranei (come le numerose finanziarie che intervengono con fini speculativi basati sul delta tra realizzo e costo del concordato), ma anche in ipotesi interessati alla procedura in veste di creditori del fallito. E se già nella normativa del '42 venivano previste specifiche situazioni di esclusione dal voto sulla proposta concordataria, connesse con i legami esistenti tra il creditore ed il fallito, nulla ha precisato il legislatore circa la legittimazione al voto del creditore che sia egli stesso promotore di un concordato.

Nel caso di specie, appunto, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere sulla correttezza o meno della decisione dei giudici del merito – con la precisazione che sul punto la Corte d'Appello aveva riformato la decisione del Tribunale – di computare, ai fini del raggiungimento della maggioranza approvativa del concordato, il voto favorevole dello stesso creditore che aveva presentato la proposta. In via preliminare, la pronunzia delle Sezioni Unite deve altresì superare un primo motivo di ricorso inerente alla tardività della domanda di concordato, formulato sul presupposto che la proponente fosse (in tesi del ricorrente) società correlata alla fallita.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Come si accennava, la sentenza in commento esamina con attenzione una serie di questioni attinenti al voto nel concordato, escludendo in primis che nella fattispecie si fosse realizzata un irregolarità procedurale, sotto il profilo del denunziato decorso del termine biennale dall'esecutività del passivo.

I giudici di legittimità, al riguardo, precisano in punto di diritto che i termini temporali previsti al primo comma dell'art. 124 l.fall. sono fissati per situazioni precipue - costituendo il termine ad quem una sorta di sanzione per il fallito ed i soggetti ad esso correlati che, con intenti dilatori, tardino a concretizzare la soluzione concordataria – non estensibili ai creditori ed ai terzi. Su tale premessa, poi, la contestazione viene respinta in quanto i giudici del merito avevano motivatamente escluso che tra la società proponente il concordato e la fallita fosse ravvisabile un legame di correlazione come previsto dall'art. 124 l.fall.

La giurisprudenza di merito aveva avuto modo di pronunciarsi al riguardo ritenendo – ad avviso di chi scrive correttamente, anche se sul punto non vi è uniformità in dottrina – che l'eadem ratio, correlata alla volontà di scoraggiare tattiche dilatorie, giustificasse l'estensione ai soggetti correlati al fallito (Trib. Mantova, 29 maggio 2007, in Ilcaso); proprio argomentando dalla finalità della norma, si deve ritenere corretta la pronunzia in commento laddove, non risultando un collegamento del proponente con il fallito, bensì con soggetti creditori, le Sezioni Unite hanno ritenuto corretta la valutazione dei giudici del merito, mancando una situazione di inerzia addebitabile al proponente, analoga a quella sanzionata dall'art. 124 l.fall..

Per quel che concerne, invece, la questione primaria, ovvero l'ammissione al voto dello stesso creditore che propone il concordato, la sentenza in commento muove dalla considerazione, già in passato proposta in giurisprudenza, che in effetti non esiste nella normativa fallimentare una disciplina del conflitto di interessi similare a quella prevista per le decisioni assembleari e consigliari nelle società di capitali dagli artt. 2373 e 2391 c.c..

Ed invero, proprio la non estensibilità delle norme societarie sul conflitto di interessi alla fattispecie del concordato fallimentare, nonché la ritenuta natura eccezionale delle previsioni di esclusione dal voto dettate dall'art. 127 l.fall., costituivano nelle, pervero non numerose, pronunzie anteriori (il più autorevole precedente è costituito da Cass., Sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274, che conferma App. Napoli, 29 maggio 2009) gli argomenti a favore dell'ammissione al voto del creditore: pur con tutte le perplessità sull'assenza di una previsione normativa al riguardo, si riteneva non si potesse ipotizzare una sanzione per quella situazione di potenziale conflitto di interessi e ciò in quanto si muoveva dal presupposto che il fallimento non costituisca soggetto giuridico autonomo: se si ipotizza che la massa dei creditori rappresenti un mero coacervo deliberante casuale e non volontario, non sarebbe – secondo la tesi proposta dalla pronunzia di legittimità pocanzi citata – configurabile una contrapposizione soggettiva nella titolarità di un interesse.

La sentenza in commento, di contro, non si arresta alla presa d'atto dell'assenza di norme specifiche o applicabili indirettamente alla fattispecie, ragionando bensì in termini di principi del diritto, anzitutto andando a valutare se le ipotesi di esclusione dal voto già previste dalla disciplina concorsuale al quinto comma dell'art. 127 l.fall. siano tipiche e quindi non estensibili a fattispecie espressamente non previste.

La Suprema Corte, al riguardo, osserva come la disciplina del conflitto di interessi non costituisca un'eccezione, quanto piuttosto il portato di un principio generale dettato al fine di impedire che, qualora una pluralità di soggetti sia chiamata ad assumere a maggioranza decisioni che influiscono su ciascuno dei membri di quella collettività che si viene così a formare, l'espressione del voto venga influenzata da interessi conflittuali presenti in capo ad uno o più partecipanti. In forza di tale assunto, le Sezioni Unite concludono sancendo che l'esclusione tout court dal voto del creditore che presenti una proposta di concordato fallimentare costituisce l'unica soluzione idonea a garantire la salvaguardia dell'interesse collettivo dei creditori, atteso che i diritti di costoro subiscono una compressione per effetto del principio maggioritario che impone la sterilizzazione di situazioni di abuso e conflitto.

Incidentalmente, i giudici di legittimità osservano come nel disciplinare il concordato fallimentare l'intervento riformatore abbia tralasciato di introdurre una previsione similare a quella introdotta dal D.L. 83/2015 nella recente figura del concordato concorrente, laddove si consente a coloro che formulino una proposta concorrente di votare solo se costoro siano stati inseriti in una apposita classe; da tale silenzio la sentenza in commento desume l'impossibilità di superare la situazione di conflitto, dovendosi scegliere tra l'alternativa secca dell'esclusione o dell'ammissione al voto.

Osservazioni

La soluzione proposta dalla pronunzia in commento pare corretta alla luce proprio della valutazione sui principi generali alla base delle previsioni che negano il diritto di voto a soggetti che siano portatori (o si presumano tali, come avviene per i soggetti societari correlati) di interessi in conflitto.

Anzitutto, non pareva del tutto convincente l'assunto proposto dalla giurispudenza precedente circa l'assenza di un soggetto autonomo costituito dalla massa dei creditori. Come un commentatore aveva correttamente osservato poco dopo la pronunzia 3274/2011 della Suprema Corte (G. D'Attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d'interessi tra i creditori. in Fallim., 2012, 757), nel diritto fallimentare la terzietà del curatore che operi a tutela della massa dei creditori è principio pacifico: nell'esercizio di azioni revocatorie (cfr. da ultimo, Cass., Sez. VI, 27 luglio 2017, n. 18682; Cass., Sez. I, 24 agosto 2015, n. 17093), ma anche nella verifica del passivo ove appunto all'interesse di un creditore istante si contrappone l'interesse della massa dei creditori all'esclusione di crediti o privilegi non spettanti (cfr. Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24168, in sito Ilcaso.it); se così è, prescindendo da formalismi, è indubbio che – pur non essendovi una soggettività in senso proprio – un interesse “collettivo” in capo alla massa dei creditori esiste ed è tutelato, conseguendo da ciò che ben si possa ipotizzare la conflittualità tra l'interesse del singolo e quello della collettività dei creditori.

D'altro canto, prendendo a prestito il concetto dal concordato preventivo, se è vero che il “contratto” concordatario – che di fatto consente di pregiudicare l'interesse dei creditori dissenzienti – trova la sua ratio nel principio maggioritario, è agevole concludere che tale meccanismo (che, come si diceva, penalizza il diritto del singolo in funzione di una valutazione di convenienza espressa dalla maggioranza) non possa essere sorretto da interessi in conflitto; da ciò l'assunto condivisibile secondo il quale l'esclusione dal voto del soggetto che sia portatore di un interesse contrastante con quello della collettività non è ipotesi eccezionale, essendo semmai la regola proprio al fine di supportare l'imposizione di un sacrificio alla massa.

Questa ricostruzione della situazione di contrapposizione di interessi consente anche di superare una ulteriore eccezione che emerge dalla giurisprudenza in materia: vero è che nel diritto societario, al divieto di voto del soggetto in conflitto di interessi si è sostituita una valutazione più elastica in forza del quale il voto è solo annullabile e la sua invalidazione postula che si dimostri l'effettiva perniciosità della decisione assunta con il voto del soggetto portatore di un interesse contrapposto (sul punto vedasi Trib. Verona, 27 marzo 2013, in Fallim., 2014, 328 in tema di esclusione dal voto di un soggetto correlato e soprattutto la nota di G. D'Attorre, Concordato preventivo proposto da controllante ed esclusione dal voto della società controllata, in Fallim., 2014, 330, che giustamente nota come, pur se non chiarissima, la pronunzia sembra appunto aver valutato in concreto la conflittualità dell'interesse); peraltro, nell'ipotesi del voto nelle procedure minori, alla luce di quanto osserva la Suprema Corte, parrebbe ritenersi presunto il danno laddove in effetti è intuitivo e quasi in re ipsa che il proponente il concordato abbia interesse ad un esborso più limitato possibile e che quindi comporterà un minor soddisfo per il ceto creditorio (contra, per la possibilità di una valutazione in concreto sulla convenienza, arg. da Calandra Bonaura, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in GComm, 2012, I, 14 ss., tesi che peraltro non convince G. D'Attorre, Le sezioni unite riconoscono (finalmente) il conflitto d'interessi nei concordati. in Fallim., 2018, 963, il quale osserva che la disciplina del conflitto viene risolta dall'art. 127 l. fall. con l'esclusione, non essendo ammesse soluzioni valutative).

Le questioni aperte

La stessa Suprema Corte, come si accennava, solleva una questione a valere de jure condendo, laddove osserva come nella norma speciale dettata dall'art. 163 l.fall. come aggiunto dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (poi convertito in L. 6 agosto 2015, n. 132) sia previsto il voto dei soggetti “in conflitto”, ma solo se inseriti in classi separate, salvo poi concludere che, in difetto di una norma specifica similare a quella dettata per l'ipotesi (eccezionale) della proposta concorrente, non resta che applicare il principio dell'esclusione dal voto di chi sia comunque portatore di un interesse in conflitto con la massa dei creditori votanti.

Pervero, proprio nella direzione suggerita implicitamente dalla Suprema Corte pare muoversi anche il legislatore della riforma, se è vero che al comma sesto dell'art. 114 del testo del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in cui avrebbe dovuto essere esplicitata la delega per la Riforma concorsuale contenuta nella L. 19 ottobre 2017 n. 155, la disposizione in tema di voto nel concordato preventivo era stata così implementata: “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi. Sono in conflitto d'interessi i creditori portatori di un interesse in conflitto con il miglior soddisfacimento dei creditori, fatte salve le cause legittime di prelazione”, peraltro con l'opportuna precisazione che “Il creditore che propone il concordato può votare soltanto se nella proposta è previsto il suo classamento. La medesima regola opera per le società controllate, controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi del primo comma dell'articolo 2359 del codice civile”. Nello schema di decreto legislativo modificato attualmente all'approvazione del Parlamento, la previsione è stata solo leggermente modificata, laddove l'art. 109 della bozza licenziata conferma che “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi” (è stata quindi espunta, rispetto al testo precedente, l'invece opportuna descrizione del concetto di conflitto). “Il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l'inserimento in apposita classe” (è stata quindi semplicemente utilizzata un'espressione diversa, ma la sostanza è rimasta invariata).

L'introduzione di una disciplina specifica per il creditore proponente ed i soggetti ad esso correlati, dovrebbe quindi consentire di superare l'assunto della sentenza in commento in merito alla necessità di escludere senz'altro dal voto quel soggetto in quanto portatore di interesse in conflitto; si dovrà valutare, di contro, se – tenuto conto della confermata esclusione generica dal voto di chi sia portatore di interessi in conflitto - non torni attuale l'obiezione che si evince anche dagli interventi di taluni Tribunali che hanno censurato la formazione di classi quando questa sia comunque preordinata dal debitore per garantirsi il voto favorevole (Trib. Monza, 25 novembre 2011, in Fallim., 2012, 237).

Conclusioni

Proprio alla luce di quanto pocanzi osservavamo, la questione risolta dalle Sezioni Unite in base alle disposizioni normative attuali costituisce uno dei tanti argomenti forse destinati a trovare una soluzione più corretta nell'ambito della attesa riforma organica delle procedure concorsuali.

Soluzione auspicabile poiché, come si accennava, la fattispecie può sembrare di rara applicazione, ma così non è, proprio per le ragioni che inducono la Suprema Corte a ravvisare un conflitto di interessi: ed invero, la presentazione di proposte di concordato fallimentare può essere anche uno strumento – ovviamente per creditori di una certa dimensione – per tentare di rimediare in parte al danno subito per effetto del dissesto del proprio debitore, laddove lucrando sul delta tra valori acquisiti e pagamenti promessi ai creditori la perdita può essere appunto controbilanciata da un guadagno ed è altrettanto plausibile che in tali casi taluni creditori facciano intervenire società a sé correlate in quanto specificamente deputate ad operazioni similari. Da ciò la previsione che in futuro possa più frequentemente ricorrere situazioni di conflitto di interessi.

Guida all'approfondimento

In dottrina, la sentenza in commento viene salutata con un plauso da G. D'Attorre, Le sezioni unite riconoscono (finalmente) il conflitto d'interessi nei concordati. in Fallim., 2018, 963. Del resto, nel senso ora proposto dalle Sezioni Unite si era già pronunciata la maggior parte della dottrina: in tal senso, A. Jorio, sub art. 124, in A. Nigro, V. Santoro, M. Sandulli (a cura di), Legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1694; S. Sanzo, Il nuovo concordato fallimentare, in S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali, Bologna, 2008, 440; V. Confortini, Interesse di classe e autonomia concorsuale, in RdC, 2013, 1223 ss.; F. Iozzo, Nota in tema di concordato fallimentare, in GI, 2012, I, 103; G. Ivone, La disciplina del voto. L'approvazione del concordato fallimentare, in L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini (a cura di), in Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2011, 131; M. Vitiello, Il nuovo diritto fallimentare, in A. Iorio, M. Fabiani (a cura di), Le riforme del diritto italiano, Torino, 2007, 2010; G. Lo Cascio, Il concordato fallimentare: aspetti attuali e prospettive future, in Fallim., 2011, 385, in ciò critico rispetto alla pronunzia 3274/2011 della Suprema Corte. Contra, a favore del diritto del creditore proponente di partecipare al voto, in assenza di previsione espressa che lo escluda, si sono espressi: G. Nuzzo, l'abuso del diritto di voto nel concordato preventivo. interessi protetti e regola di correttezza, Roma, 2018, 31 ss., il quale riprende la tesi della non configurabilità di un interesse collettivo, scindendo l'interesse della massa creditoria rispetto a quello del fallimento; M. Caffi, Il concordato preventivo, in G. Schiano Di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 648; M. Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2007, 1031; S. Pacchi, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2005, 213; sulla limitata richiamabilità delle norme in tema di delibere endo-societarie: A M Perrino Il concordato fallimentare: aspetti procedimentali, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Torino, 2016, 2533, il quale dubita della natura della sanzione, che applicando le norme societarie, potrebbe essere la responsabilità ex post piuttosto che non l'esclusione dal voto.

Sulla necessità – riferita precipuamente al controllo sulla formazione di classi nei concordati - di precludere qualsiasi manipolazione delle maggioranze volta a garantire l'approvazione della proposta, cfr. R. Sacchi, Dai soci di minoranzaai creditori di minoranza, in Fallim., 2009, 1062; A. Penta, I poteri di controllo del tribunale in sede di omologazione di un concordato fallimentare, in DF, 2012, II, 418; P. Catallozzi, La formazione di classi tra autonomia del proponente e tutela dei creditori, in Fallim., 2009, 581, che propone una disamina fondata proprio sulla possibile esistenza di interessi non omogenei nel ceto creditorio; M. Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fallim., 2009, 437, il quale sottolinea come la necessaria considerazione della disomogeneità di interessi sia riconducibile alla stessa struttura del concordato, che impone un sacrificio in nome del principio di maggioranza; F. Di Marzio, Il diritto negoziale delle crisi di impresa, Milano, 2011, 244 ss.; sulla necessaria formazione di classi in caso di postergazione volontaria dei crediti, stante la disomogeneità di interessi che così viene a crearsi: C. D'Alonzo, Il voto del creditore volontariamente postergato nel concordato preventivo, in DF, 2015, I, 461; proprio in base al principio generale anche A. Danovi e F. D'Aquino, Il concordato fallimentare, in A. Jorio, B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2017, 38 giungono alla conclusione che debba essere sterilizzato il voto del creditore proponente.

In giurisprudenza, di contro, l'affermazione sull'eccezionalità delle cause di esclusione, proposta da Cass. 3274/2011 per giungere all'ammissione al voto del creditore che proponga il concordato, si ritrova in Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in GI, 2012, I, 103 e Trib. Teramo, 24 giugno 2014, in sito Ilcaso.it, 2015.

Sulla questione, affrontata marginalmente nella sentenza in commento, della disciplina dei termini per la presentazione della proposta di concordato per il fallito (e per i soggetti correlati), si veda invece: S. Sanzo, La nuova normativa in materia di concordato fallimentare: le incertezze sulla disciplina transitoria e le prospettive del decreto correttivo, in Fallim., 2008, 926. La sentenza in commento, incidenter tantum, sembra dare per scontata l'estensione della limitazione temporale ai soggetti correlati (in tal senso: S. Scarafoni, Concordato fallimentare, in A. Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, Padova, 2011, 1102; L. Stanghellini, Il nuovo diritto fallimentare, in A. Iorio - M. Fabiani (a cura di), Le riforme del diritto italiano, Torino, 2007, 1953, che ipotizza una svista nella mancata estensione; S. Pacchi, Il concordato fallimentare, inG. Fauceglia, L. Panzani(a cura di), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1378; A. Danovi e F. D'Aquino, Il concordato fallimentare, cit., 38); peraltro, sul punto si riscontra anche la tesi contraria che intende il termine biennale come riferito esclusivamente al fallito (cfr. A. La Malfa, Concordato fallimentare. Chiusura del fallimento e i suoi effetti, in L. Ghia - C. Piccininni - F. Severini (a cura di) Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2011, 14).

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