Immodificabilità dell'offerta e interpretazione correttiva

20 Febbraio 2019

Affinché possa essere in via interpretativa posto rimedio ad un eventuale errore materiale nel quale è incorso il concorrente nella predisposizione della propria offerta è necessario che dalla stessa offerta risulti con certezza che quello commesso dal concorrente rappresenti un mero refuso

La questione giuridica sottoposta all'attenzione del T.A.R. Lazio. Con la sentenza in parola la III sezione del T.A.R. Lazio è tornata ad occuparsi della questione relativa ai limiti che incontra la Stazione appaltante nel rimediare in via interpretativa agli eventuali errori materiali commessi da un concorrente nella predisposizione della propria offerta.

Più precisamente, il Collegio era chiamato a stabilire “se, una volta appurata l'incongruenza e la contraddittorietà del dato fornito dal [concorrente] come costo della manodopera (…), rispetto alla percentuale di ribasso da(l) medesim(o) indicata (…), sia stato legittimo, da parte della S.A., procedere ex post alla correzione di quello che essa ha interpretato come un errore materiale, autoevidente e quindi emendabile, sulla base di quanto ammesso e chiarito [dallo stesso concorrente] nel corso del sub-procedimento di giustificazione dell'anomalia”.

Sulla decisione assunta dal T.A.R. Lazio. Nel riscontrare tale quesito la III sezione ha preso le mosse dal principio generale che, per ovvie ragioni di par condicio, imparzialità e trasparenza, sancisce la immodificabilità dell'offerta. La quale, una volta presentata, non può essere oggetto di operazioni manipolative che vadano ad alterare i dati in essa risultanti.

Con riferimento a tale principio il Collegio ricorda, però, che lo stesso non preclude alla Stazione appaltante di operare una interpretazione dell'offerta volta a “superare eventuali ambiguità nella formulazione [della medesima]” (Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827) e a “ricercare l'effettiva volontà del dichiarante” (Con. Stato n. 1827/2016).

Dunque, in via interpretativa la Stazione appaltante ben può “rettifica(re) …eventuali errori di scritturazione o di calcolo”, tutto ciò però a condizione che l'errore risulti palese sulla base della lettura complessiva dell'offerta e senza necessità di “attingere a fonti di conoscenza estranee all'offerta [stessa]”.

Solo in tali ipotesi, infatti, può ritenersi che l'attività interpretativa dell'offerta non finisca per ledere il già richiamato principio generale dell'immodificabilità dell'offerta.

Ebbene, calando tali principi nel caso di specie, il Collegio, evidenziando che l'errore commesso dal concorrente nel formulare la propria offerta non poteva essere emendato sulla base delle altre informazioni contenute nell'offerta stessa, e rilevando che di fatti tale errore è stato corretto ricorrendo a “fonti di conoscenza esterne” alla stessa offerta (id est i successivi scritti giustificativi), ha ritenuto che la Stazione appaltante avrebbe dovuto escludere il concorrente senza poter dunque consentire allo stesso di emendare , ex post, l'errore nel quale era incorso.

Con la pronuncia in questione la V Sezione del Consiglio di Stato, riformando la sentenza del T.A.R. Lazio n. 8686/2018 (già segnalata da chi scrive su questo Portale), stabilisce che “la causa di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici prevista dall'art. 80, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 non si applica nei confronti dei sindaci supplenti”, ma solo nei confronti dei membri effettivi del collegio sindacale (in termini si veda Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6016),

Le ragioni poste a fondamento della decisione assunta. A tale approdo il Consiglio di Stato giunge prendendo le mosse dalle pertinenti previsioni del Codice civile e, in particolare, dall'art. 2401, il quale prevede, da un lato, che i membri supplenti “subentrano” ai titolari solamente in caso di “morte, di rinunzia o di decadenza” di questi ultimi, e dall'altro, che gli stessi rimangono in carica “fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del collegio”.

Da dette previsioni, come si legge testualmente nella sentenza in commento, si evince quindi che i supplenti non operano “se non al ricorrere di una delle cause di cessazione dalla carica” dei membri effettivi e si evince, altresì, che i sindaci supplenti sono chiamati a sostituire i sindaci titolari per il “tempo strettamente necessario a ricomporre la pluralità dell'organo”.

Dette limitazioni rendono, a parere del Collegio, di per sé irrilevanti, ai sensi e per gli effetti del citato art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016, le eventuali condanne penali che abbiano riguardato i sindaci supplenti. E ciò, essenzialmente, perché ai fini dell'applicazione di tale disciplina non basta la mera “investitura formale” di un soggetto, ma è necessario che lo stesso abbia “in concreto esercitato” sulla Società un potere di vigilanza.

Solamente in tale ultima ipotesi, infatti, può ritenersi “integrato il presupposto del “contagio” alla persona giuridica della causa di inaffidabilità morale della persona fisica condannata per precedenti penali ostativi”. Se così non fosse, del resto, come soggiunge il Collegio, si “determinerebbe (…) un avanzamento eccessivo della soglia di prevenzione dell'affidamento di contratti pubblici” e si finirebbe per giustificare esclusioni non “assistit(e) da un'effettiva esigenza sostanziale dell'amministrazione”.

Da qui la conclusione, secondo il Collegio desumibile anche dalla sentenza della Corte di Giustizia 20 dicembre 2017, in causa C-178/16, che “se la persona fisica raggiunta dalla condanna per reati ostativi non abbia mai agito per la società di capitali, quest'ultima non può ritenersi priva del requisito di partecipazione di ordine generale rispetto a fatti che ad essa sono estranei”.

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