Estinzione definitiva del diritto all'assegno di mantenimento per il coniuge che conviva more uxorio
22 Febbraio 2019
Massima
Anche in caso di separazione legale dei coniugi, con la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, indipendentemente dalla probabile risoluzione del rapporto coniugale, si opera una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario della solidarietà (in questo caso, ancora) coniugale, con il conseguente riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendola venire definitivamente meno. Il caso
La Corte di Appello di Perugia, con la sentenza n. 26/2015, ha accolto il ricorso con cui un marito separato aveva chiesto la revoca dell'assegno di mantenimento in favore della moglie, statuito dal giudice di primo grado nonostante fosse stato provato che quest'ultima avesse instaurato una convivenza more uxorio. Su tale presupposto, ritenendo applicabile il principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile, la Corte Territoriale ha revocato l'assegno di mantenimento in favore della donna. Quest'ultima ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo afferente alla violazione dell'art. 5 l. n. 898/1970 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. e ha chiesto la riconferma del principio di diritto secondo cui il diritto all'assegno di mantenimento non può essere automaticamente negato per il fatto che il suo titolare abbia intrapreso una convivenza more uxorio, influendo tale convivenza solo sulla misura dell'assegno ove si dia prova, da parte dell'onerato, che essa influisca in melius sulle condizioni economiche dell'avente diritto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della moglie, condannandola alle spese di lite. La questione
La formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge separato determina la definitiva cessazione del diritto di quest'ultimo al riconoscimento di un assegno di mantenimento a carico dell'altro coniuge? Le soluzioni giuridiche
Da decenni dottrina e giurisprudenza di merito e legittimità si interrogano sui riflessi che l'instaurazione di una convivenza more uxorio, da parte del coniuge separato economicamente più debole, possa avere sul diritto di quest'ultimo a vedersi riconosciuto l'assegno di mantenimento ex art. 156 c.c.. Ovviamente, non si ha riguardo ad una mera coabitazione, ma ad una convivenza tra due persone che abbia i caratteri di stabilità, continuità e condivisione di un progetto di vita. Da un punto di vista normativo, non esiste alcuna disposizione di legge che preveda l'esclusione dell'assegno di mantenimento come diretta conseguenza dell'instaurazione di una convivenza more uxorio. L'unica previsione normativa di causa di esclusione si riferisce all'assegno di divorzio ed è rappresentata dal passaggio a nuove nozze dell'ex coniuge beneficiario (art. 5, comma 10, l. n. 898/1970). Nonostante ciò, ad eccezione di poche ed isolate pronunce che hanno ritenuto la convivenza more uxorio priva di qualsiasi effetto sull'assegno divorzile e di mantenimento (Cass. n. 9505/1996; Cass. n. 12557/2004), la giurisprudenza di legittimità è sempre stata propensa a riconoscerne l'incidenza, seppur di varia natura, in particolare sull'assegno divorzile. Riguardo quest'ultimo, per anni, secondo l'orientamento prevalente, la convivenza more uxorio è stata considerata alla stregua di una mera circostanza attenuante la quantificazione del contributo, sul presupposto degli indubbi vantaggi economici che derivano da essa al richiedente o beneficiario dell'assegno (Cass. n. 4761/1993, Cass. n. 5024/1997 e Cass. n. 3503/1998). Un successivo orientamento della Corte di legittimità ha, invece, ritenuto che, raggiunta le prova della stabilità della convivenza e del miglioramento economico che essa aveva determinato sull'ex coniuge, il diritto all'assegno poteva entrare in una fase di “quiescenza”, di modo che, all'eventuale venire meno del beneficio economico derivante dall'instaurazione della nuova convivenza, fosse conseguibile il ripristino dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile (Cass. n. 17195/2011). In seguito, la Corte di Cassazione è approdata ad una nuova soluzione (Cass. n. 6855/2015; Cass. n. 2466/2016) e, facendo propria un'interpretazione estensiva dell'art. 5, comma 10, l. n. 898/1970, ha affermato che l'instaurazione di una stabile convivenza da parte dell'ex coniuge beneficiario determina il venir meno di ogni presupposto di riconoscibilità dell'assegno divorzile, il quale resta così definitivamente escluso (e, quindi, non più in uno stato di mera quiescenza, come si riteneva in precedenza). Si è sostenuto, infatti, che la formazione di una nuova famiglia rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale ed è espressione di una libera scelta esistenziale, che si caratterizza anche per l'assunzione del rischio di una cessazione del rapporto e che, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale da parte dell'altro ex coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo. Il fondamento di tale interpretazione viene ravvisato nel principio di autoresponsabilità e nella valorizzazione della scelta esistenziale, libera e consapevole dell'ex coniuge di costituire una famiglia di fatto, avente rilievo costituzionale (art. 2 Cost.). La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, prende le mosse dalla pronuncia del 2015 in tema di assegno divorzile e da un più recente arresto concernente l'assegno di mantenimento (Cass. n. 16982/2018), nel quale la Suprema Corte ha sostenuto che la convivenza more uxorio, presumendosi che da essa consegua un aumento delle disponibilità economiche del coniuge separato, determina l'eliminazione o la riduzione del diritto all'assegno di mantenimento. Resta, in ogni caso, ferma la facoltà del coniuge titolare o richiedente l'assegno di dimostrare che quella convivenza non influisca in melius sulle proprie condizioni economiche, restando i suoi mezzi inadeguati a fargli conservare il tenore di vita coniugale. Secondo tale impostazione, la convivenza, quindi, incide sulla valutazione dell'adeguatezza dei mezzi e sulla quantificazione dell'assegno. Nella sentenza in commento, la Suprema Corte dichiara di voler accogliere le conclusioni interpretative della appena citata pronuncia Cass. n. 16982/2018, pur facendo alcune essenziali precisazioni: 1) anche nella fase di separazione, così come nel divorzio, il fondamento della cessazione dell'obbligo di contribuzione deve essere ravvisato nel principio di autoresponsabilità del coniuge che, con una «scelta consapevole, chiara, orgogliosamente manifestata» ha dato luogo ad una «unione personale stabile e continuativa che si è sovrapposta con effetti di ordine diverso, al matrimonio»; 2) seppure non vi sia stata la risoluzione del rapporto coniugale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto comporta – al pari di quanto avviene in fase di divorzio - la rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale e, di conseguenza, la perdita definitiva del diritto all'assegno di mantenimento; 3) a nulla rileva la circostanza che sussista in astratto la possibilità che i coniugi separati possano riconciliarsi, poiché in tal caso il diritto all'assegno di mantenimento non rivivrebbe comunque. La formazione di una famiglia di fatto, in altri termini, rileva in quanto tale, essendo ininfluente l'eventualità che essa non incida sulle reale e concreta situazione economica del coniuge separato ed è considerata quale causa di esclusione irreversibile dei doveri di mantenimento. Osservazioni
Al giorno d'oggi, si assiste alla diffusione di una molteplicità di modelli familiari che si sovrappongono l'un l'altro e, nella variegata trama di rapporti personali che possono sorgere successivamente alla rottura della coppia coniugale, assume particolare rilievo l'ipotesi in cui il coniuge titolare di un assegno di mantenimento (o l'ex coniuge percettore di un assegno divorzile) dia vita ad una famiglia di fatto. Sorge, di conseguenza, l'esigenza di stabilire se tale situazione influisca sul diritto all'assegno di mantenimento, a quali condizioni e se con effetti reversibili o meno. Con una sentenza innovativa, ma che al contempo si pone come punto di approdo di un percorso dottrinario e giurisprudenziale iniziato decenni fa e teso ad attribuire alla convivenza more uxorio sempre maggiori riflessi sull'obbligo di mantenimento tra ex coniugi e coniugi separati, la Suprema Corte applica per la prima volta all'assegno di mantenimento un principio di diritto già enunciato con riferimento all'assegno divorzile (Cass. n. 6855/2015). Pochi mesi prima della pubblicazione della sentenza in commento, la Cassazione aveva già affrontato la questione (Cass.n. 16982/2018), fornendo, però, un'interpretazione più cauta, che considerava la convivenza more uxorio come una situazione idonea a produrre un mero stato di quiescenza (reversibile) dell'assegno di mantenimento, salvo che il coniuge titolare o richiedente l'assegno provasse di non ottenere benefici economici da essa. Nella sentenza de qua, invece, la Cassazione giunge ad una soluzione drastica e sensibilmente distante rispetto alla precedente, ritenendo che: a) la convivenza more uxorio determina l'esclusione del diritto all'assegno, escludendo l'ipotesi di una mera riduzione dell'entità del contributo, in quanto essa incide sullo stesso presupposto di riconoscibilità dell'assegno; b) la revoca del diritto all'assegno costituisce una conseguenza inevitabile della convivenza more uxorio, a prescindere dalla circostanza che il nuovo assetto familiare abbia effettivamente comportato un beneficio economico per il coniuge titolare o richiedente l'assegno; c) la revoca del diritto all'assegno è irreversibile, non potendosi chiedere che questo venga ristabilito in seguito all'eventuale cessazione della convivenza, in quanto ciò che rileva non è il (possibile) miglioramento delle condizioni economiche derivante dalle costituzione di una famiglia di fatto, bensì la mera costituzione della stessa. Si ritiene, pertanto, che la costituzione di una nuova famiglia, seppur non matrimoniale, incida in modo significativo e definitivo sui diritti e doveri coniugali ancora esistenti tra coniugi separati. La Suprema Corte è, così, approdata alla medesima posizione assunta con riguardo all'assegno divorzile, equiparando due fattispecie (separazione e divorzio) nelle quali, però, i reciproci diritti ed i doveri tra le parti hanno origine e natura differenti. La separazione legale dei coniugi presuppone la permanenza del vincolo coniugale e, secondo l'orientamento consolidato di dottrina e giurisprudenza, sancisce la mera sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, di convivenza e collaborazione, ma non del dovere di solidarietà economica. Il contributo economico ex art. 156 c.c. è, pertanto, considerato la proiezione dell'obbligo di assistenza materiale ancora in essere tra coniugi separati (Cass. n. 4178/2013; Cass. n. 12196/2017; Cass. n. 11504/2017), obbligo che, a sua volta, ha un fondamento costituzionale rinvenibile nell'art. 29 Cost.. Nel divorzio il vincolo coniugale è stato definitivamente sciolto e l'assegno divorzile è espressione della c.d. solidarietà postconiugale. Relativamente a tale forma di contributo è prevista una precisa causa di esclusione, costituita dal passaggio a nuove nozze dell'ex coniuge beneficiario, la quale può essere interpretata estensivamente ricomprendendovi anche l'ipotesi della costituzione di una famiglia di fatto. Lo status di coniuge separato e quello di ex coniuge sono, quindi, ontologicamente diversi e, considerato che tra i coniugi separati continua a sussistere l'obbligo di assistenza materiale coniugale nella forma dell'assegno di mantenimento, il dubbio che si pone dinanzi alla sentenza in commento è se sia corretto attribuire efficacia estintiva di tale obbligo ad una fattispecie non prevista come tale dalla legge e se, più in generale, in assenza di una previsione normativa, sia corretto ritenere che la famiglia di fatto possa in quanto tale, solo per la sua costituzione, incidere sui diritti conseguenti allo status di coniuge. Non può, infatti, trascurarsi l'assenza di qualsiasi riferimento normativo alla convivenza more uxorio quale causa estintiva dell'obbligo di assistenza materiale tra coniugi. Diversamente, quando il legislatore ha voluto attribuirle riflessi sui rapporti coniugali, l'ha fatto espressamente, come nel caso in cui ha previsto che essa determini la revoca dell'assegnazione della casa coniugale (art. 155-quater c.c.). Per di più, nella famiglia di fatto i partner non assumono alcun obbligo reciproco di mantenimento, che possa sostituirsi a quello di natura coniugale. Eppure, nella sentenza de qua, al pari di quanto affermato nella pronuncia del 2015 in tema di assegno divorzile, la Corte sostiene che la nuova famiglia di fatto si sovrapponga, con effetti di ordine diverso, al matrimonio e determini una «rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa vita matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale». Da questa premessa, si deduce apoditticamente che verrebbe meno anche il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale e, quindi, lo stesso presupposto di riconoscibilità dell'assegno di mantenimento. A tale soluzione, potrebbe obiettarsi che se la “rottura” indicata dalla Suprema Corte opera senz'altro su di un piano esistenziale, stessa cosa non può dirsi su quello giuridico, ove l'esistenza dei presupposti necessari al riconoscimento dell'assegno di mantenimento (disparità reddituale tra i coniugi e inadeguatezza a conservare il medesimo tenore di vita matrimoniale) possono permanere anche con la costituzione di una famiglia di fatto. Tra l'altro, anche con riferimento all'assegno divorzile, in seguito al drastico ridimensionamento del parametro del tenore di vita operato dalla sentenza delle Cass., S.U., n. 18287/2018), sorgono dubbi in merito all'attuale validità del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza Cass. n. 6855/2015. In conclusione, posto che è indubbio che la formazione di una famiglia di fatto non può essere considerata un fatto neutro, in assenza di un intervento ad hoc del legislatore, sarebbe più aderente al dato normativo annoverarla tra le “circostanze” che il giudice è tenuto a considerare nella quantificazione del contributo (art. 156, comma 2, c.c.). |