Acquisto di elettrodomestici per l’appartamento dell’ex convivente: no al rimborso
01 Marzo 2019
Massima
È ingiusto l'arricchimento da parte di un convivente nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni naturali nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato alle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - perché travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Costituisce adempimento di un'obbligazione naturale l'acquisto di elettrodomestici e di piccoli beni mobili da impiegare nella casa del convivente. Il caso
Davanti al Tribunale di Milano veniva proposta una domanda, nei confronti dell'ex convivente, di condanna alla restituzione di una somma di denaro che l'attrice aveva speso per elettrodomestici e piccoli beni mobili funzionali all'abitazione del convenuto. Quest'ultimo però sosteneva che si era trattato di adempimento di obbligazione naturale. La sentenza in esame afferma il principio (riprendendo Cass. n. 13330/2008, Cass. n. 1277/2014 e Cass. n. 14732/2018) secondo cui le unioni di fatto sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura economica. Ne consegue che le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente more uxorio effettuate nel corso del rapporto configurano adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza. È invece possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente a danno dell'altro in presenza di prestazioni che travalichino i detti limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Dopo avere richiamato questi principi, la sentenza in esame esamina le particolarità del caso concreto, previo accertamento del rapporto di convivenza tra le parti (menage, invero, contestato dall'attrice) attraverso l'escussione di diversi testi e le prove documentali addotte dal convenuto, ritenendo così irrilevante il diverso dato formale emergente dal certificato di residenza dell'attrice. Dal testo della sentenza si comprende che la coppia aveva convenuto di dividersi gli esborsi per l'acquisto di elettrodomestici e di arredi destinati alla loro abitazione (quali parte della cucina, lavastoviglie, forno a microonde, soffione doccia, forno elettrico, piano cottura, ecc.). Il giudice milanese ha ritenuto che l'acquisto di questi beni, rimasti tutti nell'immobile dell'ex convivente, costituiva adempimentoche la morale ritiene doveroso «in un rapporto affettivo consolidato che non può non determinare una forma di collaborazione e assistenza morale e materiale dell'altro». Il Tribunale ha ritenuto rispettati i limiti sopra ricordati di proporzionalità e adeguatezza tenuto conto dell'importo concretamente speso dall'attrice, della durata biennale della convivenza, delle condizioni economico-sociali delle parti e del fatto che l'attrice non aveva comunque pagato canoni di locazione avendo abitato nell'appartamento del convenuto. La questione
A quali condizioni può essere accolta la domanda avanzata ai sensi dell'art. 2041 c.c. nei confronti dell'ex convivente per il rimborso delle spese sostenute per l'acquisto degli elettrodomestici e degli arredi dell'appartamento del partner nel quale è iniziata e si è svolta la coabitazione? Le soluzioni giuridiche
Uno dei primi precedenti in materia risale al 1978 quando, con la sentenza Cass. 27 febbraio 1978, n. 1024, si era affermato, valorizzando l'aspetto volontaristico, che l'arricchimento senza causa non sussiste se lo squilibrio economico sia voluto dagli interessati. In altri termini, in questa prospettiva, l'art. 2041 c.c. non si applicherebbe quando il trasferimento dell'utilità economica sia giustificato dal consenso del “danneggiato”, posto che la volontaria prestazione escluderebbe l'ingiusto arricchimento. La concorde volontà delle parti renderebbe quindi irrilevanti le conseguenze patrimoniali economiche, vantaggiose o svantaggiose (v. anche Cass. n. 2118/1967). In Cass. n. 1024/1978 si afferma anche che l'attività lavorativa svolta in favore del convivente deve presumersi resa a causa di affetto o di benevolenza (e perciò non costitutiva di un rapporto di lavoro col relativo diritto alla retribuzione), con presunzione superabile se emerge il nesso sinallagmatico tra le due prestazioni, e quindi che i due soggetti abbiano inteso obbligarsi, rispettivamente, ad un lavoro e ad un compenso (cfr. Cass. n. 3203/1971). Su tale scia, nel 1991 il Tribunale di Roma affermava che non sono ripetibili le somme spese dal convivente titolare di impresa edile per ristrutturare la casa di proprietà del partner e all'interno della quale si era svolta la convivenza, non essendo stata provata nel caso di specie l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e oneroso tra le parti o di un accordo per la ripetizione delle somme impiegate per i lavori effettuati (Trib. Roma, 30 ottobre 1991). Un diverso orientamento è quello che si ricava da Cass. n. 1007/1980 secondo la quale la configurabilità di un'obbligazione naturale richiede due accertamenti: 1) la sussistenza di un dovere morale o sociale in rapporto alla valutazione corrente nella società; 2) l'adempimento spontaneo di tale dovere con una prestazione che presenti caratteri di proporzionalità e di adeguatezza con riferimento alla specifica situazione considerata. Principi analoghi si trovano in Cass. n. 3713/2003 in forza della quale un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente configura adempimento di un'obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. In quel caso, durante la convivenza la convenuta aveva comprato un terreno sopra il quale erano stati costruiti dall'attore, con il proprio lavoro e tramite l'acquisto dei materiali, sia la casa di abitazione che un edificio di tre piani. Nella fattispecie, la proporzionalità è stata esclusa. Su questa linea si colloca anche Cass. n. 11330/2008 (seguita da Cass. n. 1277/2014 e Cass. n. 14732/2018) che invoca sempre i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Si trattava qui del caso in cui il denaro speso per gli acquisti immobiliari del convivente deceduto derivava «anche e soprattutto» dai proventi del lavoro della convivente superstite e risultava senza giusta causa il «rilevante contributo economico e lavorativo» fornito dalla compagna per oltre venti anni con riferimento agli acquisti immobiliari effettuati dal partner deceduto. Quest'ultimo aveva profittato, acquistando immobili a lui solo intestati, dei contributi economici e lavorativi della convivente superstite, i quali, essendo significativi, continui ed unilaterali, non sono stati ritenuti adempimento di doveri morali. Osservazioni
Il punto di partenza di ogni ragionamento in tema di azione di arricchimento è che essa ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, il che comporta che non può invocarsi la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale (cfr. Cass. n. 15243/2018; Cass. n. 14732/2018; Cass. n. 11330/2009; Cass., S.U., n. 14215/2002). In particolare, l'azione ex art. 2041 c.c., norma di chiusura della disciplina delle obbligazioni, è esperibile in tutti i casi in cui un soggetto subisce un danno e l'altro si arricchisce “senza una giusta causa”, e cioè senza che sussista una ragione che, secondo l'ordinamento, giustifichi il profitto o il vantaggio dell'arricchito. Essa, quindi, ha natura sussidiaria (in quanto esercitabile solo quando al depauperato non spetti nessun'altra azione, basata su un contratto, su un fatto illecito o su altro atto o fatto produttivo dell'obbligazione restitutoria o risarcitoria - art. 2042 c.c.) e carattere generale (perché è esperibile in una serie indeterminata di casi, in quanto espressione del principio per cui non è ammissibile l'altrui pregiudizio patrimoniale senza una ragione giustificativa). A tal ultimo proposito, però, può ritenersi sussistente un'obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. se si allega e si dimostra che esiste un dovere morale o sociale in rapporto alla valutazione corrente nella società e che tale dovere è stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente i requisiti della proporzionalità e della adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso. Senza questi requisiti, da valutare in relazione alle concrete condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, sussiste un arricchimento ingiustificato ed è esperibile l'azione ex art. 2041 c.c. Il punto centrale riguarda, quindi, proprio il rispetto dei limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Un conto è, infatti, che l'ex convivente paghi una parte consistente del prezzo di un immobile intestato all'altro, caso con riferimento al quale tale pagamento si traduce in un incremento patrimoniale quando la somma corrisposta sia rilevante e non sia adeguata e proporzionata in considerazione delle condizioni sociali e patrimoniali dei partner. In tal caso va certamente esclusa l'applicabilità dell'art. 2034 c.c. (cfr. Cass. n. 18632/2015). Altra cosa è che il convivente compri degli elettrodomestici, dei beni mobili e degli accessori funzionali all'abitazione del partner. Questo è proprio il caso posto all'attenzione del Tribunale di Milano nella sentenza in commento. Ed in questo caso non possono di certo ritenersi superati i limiti di proporzionalità ed adeguatezza che caratterizzano l'adempimento di un dovere morale e sociale. L'evidente differenza che intercorre tra casi come quelli appena descritti porta a condividere il principio espresso nella sentenza in esame. Resta il fatto che agevole e meno discrezionale è l'esclusione della configurabilità dell'azione ex art. 2041 c.c. nei casi in cui la singola fattispecie risulti inquadrabile nell'ambito di un rapporto contrattuale (cfr. Cass. n. 2312/2008 e Cass. n. 5689/2005), mentre più opinabile e complessa è la valutazione, in relazione alle molteplici situazioni che possono presentarsi nel caso concreto, circa la ricorrenza del carattere dell'adeguatezza e della proporzionalità della prestazione. È stata, così, esclusa l'invocabilità dell'art. 2041 c.c. (restandosi quindi nell'ambito dell'art. 2034 c.c.) se il convivente si occupa in modo esclusivo delle faccende domestiche o si preoccupa di fornire il contributo economico necessario per fare fronte alle esigenze della coppia o di effettuare, compatibilmente alle sue disponibilità economico-patrimoniali, un esborso monetario funzionale e proporzionato alle esigenze del convivente (cfr. Cass. n. 389/1975). L'accento va a questo punto posto sul versante probatorio. Gli elementi che dimostrano l'assenza dei requisiti della proporzionalità e dell'adeguatezza della prestazione devono essere rigorosamente dedotti e provati in giudizio, essendo molto forte la tentazione di far passare, dopo la cessazione della convivenza o la morte di uno dei due, come fonte di arricchimento ingiustificato prestazioni che invece erano giustificate, nel momento della loro effettuazione, da una reale causale affettiva. Tornando alla sentenza in commento, va quindi osservato che la soluzione fornita opera una corretta applicazione del principio elaborato dalla Cassazione in tema di arricchimento tra conviventi poiché dalle risultanze processuali emergeva che la convivente si era limitata ad acquistare degli elettrodomestici e piccoli beni mobili, senza quindi che fossero superati i limiti di proporzionalità e di adeguatezza tipici dell'adempimento delle obbligazioni naturali nascenti dal rapporto di convivenza. |