Assegno divorzile e assegno di mantenimento: come regolarsi nella fase presidenziale del giudizio di divorzio?

Rita Russo
11 Marzo 2019

Qualora si adottino i provvedimenti provvisori di divorzio si tratta di una attribuzione provvisoria per assicurare gli effetti della decisione di merito o di una modifica del regime esistente?
Massima

Il giudice del divorzio non è vincolato alle statuizioni della separazione e in sede presidenziale può avvenire una rivalutazione degli assetti economici, in ragione della funzione anticipatoria e in senso lato cautelare dei provvedimenti provvisori.

Il caso

Due coniugi, sposati dal 1994, si separano consensualmente nel 2014 e alla moglie, che svolge attività lavorativa, sebbene con guadagni inferiori al marito, è attribuito assegno di mantenimento. Un anno dopo, interviene tra i coniugi una scrittura privata con la quale i due regolano i rapporti patrimoniali pendenti. Alla moglie è attribuito un capitale derivante dalla vendita di un immobile e sono divisi i risparmi comuni; è acquistata una casa, intestata alla figlia ma in uso alla madre e dove vivono entrambe; il padre ha peraltro acquistato a nome della figlia altro immobile, locato. Nel 2018 il marito promuove azione per il divorzio e in sede di udienza presidenziale chiede la modifica del regime di contribuzione per la figlia e per la moglie.

La questione

Al Tribunale di Torino, o meglio al Presidente che tratta la fase inziale del giudizio di divorzio, viene richiesta la adozione di provvedimenti provvisori, modificativi del regime vigente. Sebbene l'art. 4 della legge 898/1970 espressamente preveda che il Presidente, in esito alla comparazione personale dei coniugi e ove non riesca il tentativo di conciliazione, adotta «anche d'ufficio con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole», la richiesta, in passato, non era particolarmente diffusa. Di regola, infatti, si giunge al giudizio di divorzio dopo la separazione personale, giudiziale o consensuale, e quindi già muniti di un titolo che regola l'affidamento della prole e il mantenimento dei figli e del coniuge. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, i coniugi arrivano al divorzio con un assetto dei loro rapporti già definito e stabilizzato, eventualmente modificato in sede di revisione delle condizioni ex art. 710 c.p.c. Nel passato questo rappresentava un assetto tendenzialmente stabile perché assegno di mantenimento ed assegno divorzile -sebbene la giurisprudenza da sempre sia attenta ad avvisare che essi hanno natura, finalità e presupposti diversi- condividevano essenzialmente il parametro di quantificazione, rapportato al tenore di vita matrimoniale. Il revirement della Corte di Cassazione sull'assegno divorzile, dapprima con la sentenza della Prima Sezione del 10 maggio 2017 (Cass. civ. sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504), e poi con la sentenza delle sezioni unite dell'11 luglio scorso (Cass. civ. S.U., 11 luglio 2018, n. 18287), ha però aperto la strada alle richieste di modifica del regime di contribuzione in favore del coniuge (o ex coniuge) anche a giudizio di divorzio in corso. Anzi, è da ritenere che la prospettiva di potere modificare le condizioni economiche della crisi coniugale abbia, in taluni casi, accelerato la corsa al divorzio. La questione che il Tribunale di Torino si trova ad affrontare non è però semplice. Qualora si adottino i provvedimenti provvisori di divorzio, infatti, si tratta di una attribuzione provvisoria per assicurare gli effetti della decisione di merito o di una modifica del regime esistente? In particolare è da chiedersi se è legittimo modificare le condizioni di separazione in una prospettiva anticipatoria, e cioè considerando che l'assegno, già accordato a titolo di mantenimento del coniuge, non spetterà più o spetterà in misura sensibilmente inferiore una volta pronunciato il divorzio.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice torinese chiarisce immediatamente che con riferimento alla fase presidenziale del giudizio di divorzio non si può ancora parlare di assegno divorzile, misura a vantaggio del coniuge in posizione più debole, che sorge soltanto con la sentenza che definisce il giudizio. Ed invero, la giurisprudenza ha sempre evidenziato che l'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione dei coniugi spetta fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, sicché la richiesta di provvedimenti provvisori di divorzio che regolino diversamente rispetto alla separazione la contribuzione in favore del coniuge (anche nel senso di negarla) è nei fatti una richiesta di modifica delle condizioni di separazione, da ritenersi ammissibile nel giudizio di divorzio senza necessità di avviare un autonomo procedimento ex art. 710 c.p.c. in ossequio al principio di economia processuale che determina l'opportunità del simultaneus processus innanzi allo stesso giudice per la definizione delle questioni patrimoniali connesse (Cass. civ. sez. I, 22 luglio 2011, n.16127; Cass. civ. 15 gennaio 2009, n. 813). Inoltre è affermazione costante nella giurisprudenza che le statuizioni adottate in sede di separazione non sono vincolanti per il giudice del divorzio, così come non è vincolante ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile il non avere chiesto, ovvero ottenuto, assegno di separazione, pur potendosi trarre, dal giudizio di separazione, elementi di valutazione delle condizioni economiche dei coniugi (Cass. Civ. sez. I, 29 gennaio 2019, n.2480; Cass. civ. sez. I, 13 gennaio 2017, n.788; Cass. civ. sez. I, 15 maggio 2013, n.11686).

Il Tribunale di Torino osserva, tuttavia, che i provvedimenti economici adottabili ex art. 708 c.p.c. hanno una natura e funzione composita, cautelare e al tempo stesso anticipatoria, cosicché "non sarebbe giustificato onerare una delle parti di una contribuzione verosimilmente destinata alla revoca o a una riduzione, all'esito del giudizio". Nel provvedimento in esame si puntualizza che l'assegno divorzile non può continuare ad essere agganciato allo sviluppo patrimoniale del coniuge, bensì deve essere rivolto alla vita matrimoniale, da un lato, al fine di garantire l'autosufficienza e, dall'altro, per compensare la disparità economica fra le parti ove sia stata causata dalle scelte familiari e in particolare, sia riconducibile ai sacrifici fatti dal coniuge debole in favore della famiglia. Operate queste valutazioni, il giudice ritiene che nel caso di specie, in prospettiva, l'assegno divorzile debba essere valutato nella sua funzione assistenziale e quindi nella misura sufficiente ad assicurare una esistenza dignitosa; esclude quindi implicitamente, nel caso concreto e pur con la clausola di riserva degli accertamenti di merito, la funzione compensativa e una volta verificato che, oltre al riequilibrio patrimoniale già operato dai coniugi, il marito ha contratto i suoi redditi, e la moglie svolge anche attività lavorativa, riduce l'assegno in suo favore, sempre a titolo di mantenimento, ad euro 1.000,00 mensili. Nella sostanza si è operata una modifica delle condizioni di separazione, applicando però i criteri di determinazione dell'assegno di divorzio.

Osservazioni

Per quasi trent'anni la giurisprudenza ha affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, individuandone il presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio (Cass. S.U. 29 novembre 1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492); e ciò sebbene negli ultimi anni, la Corte di Cassazione abbia precisato che i criteri relativi al quantum possono ridurre fortemente e persino azzerare l'assegno (Cass. civ. sez. I, 11 novembre 2009, n.23906) e i giudici di merito abbiano adottato soluzioni concrete volte a contrastare la costituzione di rendite parassitarie.

Il criterio della conservazione del tenore di vita è stato poi messo in discussione dalla Prima sezione Civile della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 11504/2017 decide, in nome del principio di auto-responsabilità, di valorizzare il diverso criterio dell'autosufficienza economica, che si ha quando il soggetto dispone di:

1) redditi di qualsiasi specie, compresi quelli di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari,

2) capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione ad età, salute, sesso, mercato del lavoro,

3) stabile disponibilità di una casa di abitazione.

La decisione non è andata esente da critiche (CASABURI, Tenore di vita ed assegno divorzile (e di separazione): c'è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d'antico, in Foro It., 2017, I, 1895LUCCIOLI, Il nuovo indirizzo giurisprudenziale in tema di assegno di divorzio, in www.giudicedonna.it., 2-3\2017) e nel 2018 sono intervenute le Sezioni Unite,bilanciando il principio di auto -responsabilità con quello di solidarietà e affermando che l'assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa. Abbandonato quindi il criterio del tenore di vita, ma mantenuta una lettura solidaristica dell'istituto del matrimonio, assumono rilievo la durata dell'unione e la disparità economica, se essa è conseguenza delle scelte concordate per la ripartizione dei ruoli, e dei sacrifici fatti per la famiglia.

Questo sofferto percorso di rivisitazione della natura e funzioni dell'assegno divorzile, ha avuto, tra l'altro, la conseguenza di diversificare ancora più nettamente l'assegno di mantenimento che il coniuge può ottenere in sede di separazione, dall'assegno divorzile. Immediatamente dopo il revirement del 2017, la stessa Corte di Cassazione ha precisato che i nuovi criteri di accertamento dell'assegno divorzile (oggi già superati dal dictum delle sezioni unite) non si applicano in sede di separazione, ove rileva invece il tenore di vita matrimoniale, poiché durante la separazione il dovere di assistenza materiale è ancora attuale e si caratterizza per «una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio». Anche la dottrina riconosce questa progressiva accentuazione delle differenze, pur ricordando che i due istituiti condividono una base comune, in quanto strumenti funzionali a realizzare il principio fondamentale ed inderogabile della parità dei coniugi e dell'equiparazione tra lavoro casalingo ed extra-domestico. (Cass. Civ. sez. I 16 maggio 2017, n. 12196; in dottrina, AL MUREDEN: L'assegno divorzile e l'assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Fam. dir., 2018, 1019).

In termini pratici, la differenza è sensibile: mentre fino ad oggi nella maggior parte dei casi chi era titolare di assegno di mantenimento poteva ragionevolmente sperare - a condizioni economiche invariate - nel riconoscimento di un assegno divorzile di importo pari o comunque prossimo, oggi nulla è scontato, in particolare per i matrimoni che non hanno avuto lunga durata e per quelle istanze di assegno divorzile che non sono sostenute da adeguate allegazioni e prove sulla inadeguatezza dei mezzi del richiedente e sul contributo dato alla famiglia e alla costituzione del comune patrimonio.

Inoltre, l'assegno di separazione è tendenzialmente destinato a breve vita e cioè fino al conseguimento del diverso status di coniuge divorziato, per il quale oggi è sufficiente il decorso di un anno dalla udienza presidenziale di separazione, o anche di sei mesi, se si tratta di separazione consensuale. Inevitabile pertanto che, promosso il giudizio di divorzio, le parti (o quantomeno il soggetto onerato dell'assegno di mantenimento) si pongano in una ottica anticipatoria: perché continuare a pagare se, una volta divorziati, l'assegno probabilmente sarà negato o riconosciuto in misura inferiore? Ciononostante, occorre chiedersi se è corretto ridurre l'assegno di mantenimento solo perché è stato instaurato il giudizio di divorzio in esito al quale gli assetti economici sono destinati (forse) a cambiare. Il provvedimento in esame per un verso sembra accedere alla soluzione positiva, nella parte in cui richiama la funzione anticipatoria dei provvedimenti provvisori «cosicché non sarebbe giustificato onerare una delle parti di una contribuzione verosimilmente destinata alla revoca o a una riduzione, all'esito del giudizio» e richiama i criteri di autosufficienza economica posti dalla (ormai superata) sentenza del 2017. D'altro canto, il provvedimento è, nella sua concretezza, fondato sull'esame di circostanze di fatto nuove particolarmente rilevanti ai fini della modifica delle condizioni di separazione, anche a prescindere dalla valutazione anticipatoria sull'an e quantum dell'assegno divorzile; dopo la omologazione della separazione infatti, i coniugi hanno diviso il patrimonio, con un miglioramento delle condizioni economiche dell'avente diritto al mantenimento, mentre di contro è accertata una contrazione dei rediti del soggetto obbligato.

In definitiva il provvedimento in esame si pone nella zona grigia del passaggio dalla separazione al divorzio con un approccio problematico, che, nella difficile operazione di bilanciamento degli interessi in gioco, non dà nulla per scontato, nella consapevolezza che per la maggior parte dei cittadini italiani la separazione altro non è che un passaggio obbligato per giungere al divorzio. Altre corti di merito, invece, preferiscono operare una distinzione più netta tra i criteri per determinare (o modificare) l'assegno di separazione e i criteri per determinare l'assegno di divorzio, ritenendo che nella fase della adozione dei provvedimenti resi ex art. 4 l. n. 898/1970 debbano continuare ad applicarsi i primi (App. L'Aquila 4 ottobre 2018 n. 839).

Guida all'approfondimento

Bianca C.M.: L'ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa? in www.giustiziacivile.com (editoriale del 9.6.2017)

Simeone A.: Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro? in Ilfamiliarista 17 luglio 2018

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