È risarcibile il danno per assenza di adeguato sostegno da parte del padre?
18 Marzo 2019
La sentenza
Un uomo di trent'anni ha convenuto in giudizio il presunto padre per l'accertamento della sua paternità e per sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale per non avergli fornito un adeguato sostegno. Il convenuto non si è opposto agli accertamenti peritali del caso e ha sostenuto di non essersi mai sottratto agli obblighi di assistenza verso il figlio, pur non avendo mai voluto riconoscerlo. Il tribunale di Matera, con sentenza in data 7 dicembre 2017, accolta, in seguito agli esami genetici disposti, la domanda di “riconoscimento”, ha accolto anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. Quel giudice ha preliminarmente rimarcato che l'attore non ha chiesto il risarcimento di eventuali danni patrimoniali e che il convenuto si era difeso «asserendo di essere comunque stato presente nella vita del figlio e di aver dato a lui sostegno». Al riguardo, però, giudicate perplesse e poco attendibili le testimonianze addotte dal convenuto, fatta eccezione per «la partecipazione ad una festa di nozze e qualche festa di compleanno e laurea», il tribunale ha ritenuto che il convenuto non avesse provato quanto «asserito in comparsa di risposta e in atti circa il sostegno dato al figlio». Incidentalmente si osserva, con riguardo a questa conclusione, che non pare che siano state correttamente applicate le regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Nella sentenza si afferma che «nel caso di specie è riscontrabile … la mancanza da parte del genitore di adeguato (evidenziazione aggiunta) sostegno nei confronti del figlio, non essendo emersi dall'istruttoria elementi idonei in tal senso e tal da poter consentire l'infondatezza delle doglianze dell'attore». La mancanza di adeguato sostegno, però, era allegata dall'attore come il comportamento illecito, che avrebbe causato i danni di cui chiedeva il risarcimento. Pertanto, se si considera extracontrattuale l'illecito contestato, incombeva all'attore provarne la sussistenza in misura rilevante da giustificare i danni subiti e non al convenuto provarne l'inesistenza. La sentenza in esame ha, poi, assimilato la mancanza di adeguato sostegno del padre alla «deprivazione della figura genitoriale paterna, figura che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita», che, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale sia di merito (Trib. Milano, 23 luglio 2014), sia di legittimità (Cass. civ., 16 febbraio 2015, n. 3079), integra «un fatto generatore di responsabilità aquiliana, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c. ». Sulle riferite premesse di fatto ed in conformità ai ricordati precedenti giurisprudenziali, il tribunale ha condannato il padre al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal figlio. Esso, ai fini della quantificazione equitativa del suddetto danno, ha ritenuto di potere applicare, sia pure con adeguata riduzione, i criteri fissati nelle tabelle milanesi per il caso di perdita di un genitore a causa dell'uccisione dello stesso da parte di un terzo. In conclusione il tribunale di Matera ha ritenuto che un padre, che, pur non avendolo riconosciuto, non ha negato la sua paternità ed ha provveduto al mantenimento del figlio (si ricorda che né l'attore, né la di lui madre, hanno chiesto il risarcimento di danni patrimoniali, che si deve ritenere non sussistessero), per non avere fornito adeguato sostegno allo stesso, abbia leso il diritto di sicura rilevanza costituzionale (e, quindi, tutelato dall'art. 2059 c.c.) ad essere istruito e educato (oltre che mantenuto) dai propri genitori.
Per una critica a questa decisione ritengo che si debbano prendere le mosse dall'individuazione del dovere giuridico posto, in primo luogo, dall'art. 30 Cost., che sancisce che «é dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» e, in specificazione relativa, dall'art. 315-bis c.c., secondo il quale «il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori». Il dovere dei genitori, è, quindi, un dovere di natura composita economica e morale e, come affermato in dottrina (FINOCCHIARO F. Matrimonio, II ed., in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 84-158, Bologna-Roma, 1993, 312), non è vera e propria obbligazione civile. Per gli aspetti propriamente economici dell'obbligo di mantenimento è pacifico che, in caso di violazione da parte di uno dei genitori (specie in casi di mancato riconoscimento del figlio) «l'altro genitore, il quale nel frattempo ha sostenuto l'onere di mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato, ha diritto di regresso per la corrispondente quota» (Cass. civ., 14 luglio 2016, n.14417). Peraltro, se è vero, che, a fondamento di questo diritto di regresso, gli obblighi in esame retroagiscono al momento della nascita, anche se accertati successivamente, non si può qualificare come illecita la violazione di un obbligo prima del suo venire ad esistenza. Il genitore, che non ha riconosciuto o ha tardato a riconoscere un figlio, ha esercitato un suo diritto (cfr. art. 51 c.p.) e non ha violato alcun obbligo e non può essere condannato a risarcire le conseguenze dannose di un suo comportamento, che, quando fu posto in essere, era lecito. La sanzione specifica prevista dall'art. 330 c.c. per la violazione dei doveri dei genitori è la decadenza dalla responsabilità genitoriale; sarebbe illogico che nel momento in cui, ad iniziativa del figlio, fosse dichiarata la paternità o la maternità nei confronti del genitore che non lo aveva riconosciuto, fosse pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale dello stesso per avere violato quei doveri, divenuti esigibili in forza della stessa sentenza. Esclusa la sanzione specifica, per la stessa ragione, dell'inattualità degli obblighi violati, il genitore non potrebbe essere condannato a risarcire eventuali danni patrimoniali e non patrimoniali indirettamente conseguenti alla sua (non illecita) omissione. Viceversa, diverse sentenze, tra cui quella in esame, hanno ritenuto sanzionabile, ai sensi dell'art. 2043 c.c. per gli eventuali danni patrimoniali e dell'art. 2059 c.c. per i danni non patrimoniali, il mancato (o solo tardivo) riconoscimento di un figlio. Come già sostenuto in altra occasione (per un maggior approfondimento, vedi anche MANDRIOLI, Limiti alla risarcibilità dei danni endofamiliari e residua specialità del diritto di famiglia in Ridare.it, 2017) ritengo che, pur in progressiva attenuazione, permanga nel nostro ordinamento una specialità del diritto di famiglia, che contempla al suo interno rimedi specifici, ai quali si possono aggiungere quelli generali della responsabilità aquiliana solo nei casi in cui le violazioni incidano su diritti costituzionalmente rilevanti indipendentemente da vincoli familiari, quali l'integrità fisica e morale e la libertà personale. In quella occasione avevo anche ritenuto non risarcibile un danno non patrimoniale per la privazione del rapporto genitoriale a carico di chi non avesse spontaneamente riconosciuto un figlio, perché attualmente il nostro ordinamento consente e tutela la libertà di non riconoscere un figlio, ferma la possibilità di questo di agire per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità (ferma, però, anche la possibilità di reiterare la volontà della madre di conservare l'anonimato, come riconosciuto da Corte Cost. 278/2013 e da successive pronunce giudiziarie). Il rapporto di filiazione non sorge automaticamente e necessariamente con la nascita (anche se, come visto, alcuni effetti retroagiscono a quel momento); come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 162/2014), all'origine di questo rapporto devono esistere «la libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia»; occorre, cioè, un elemento ulteriore, quali, ma non solo, una dichiarazione resa all'ufficio di stato civile, un riconoscimento o una dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità. La necessità per il sorgere del rapporto di filiazione di un atto libero e volontario, a mio parere, è confermata dalla rilevanza, sempre più diffusamente riconosciuta, di forme di genitorialità diverse da quella biologica. A parte la maternità genetica della donna, che abbia acconsentito ad una surrogazione di maternità (ancora vietata in Italia, ma praticata in diversi stati stranieri con successivi riconoscimenti in Italia), si parla frequentemente, sia in dottrina sia in giurisprudenza, di genitori sociali o intenzionali. Nei casi di divergenza tra rapporto biologico e rapporto legale o solo sociale, resi più frequenti dalla possibilità di fecondazione artificiale anche eterologa, e nel conseguente conflitto con il favor veritatis, tende sempre più ad affermarsi la prevalenza del c.d. favor minoris per la convinzione che sia più rispettoso dell'interesse del minore conservare i rapporti con coloro che, anche in assenza di legami biologici (per es.: nel caso di operatività della presunzione di paternità del marito della madre o in quello di fecondazione eterologa), abbiano assunto di fatto un ruolo genitoriale. In tal senso orientano anche recenti scelte del legislatore; in tal senso la legge n. 154/2013, ha sottoposto l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità al termine di decadenza di un anno (art. 263, comma 3, c.c. per il suo autore e di cinque anni per gli altri legittimati; così Cass. civ., n. 3834/2017), decorso il quale il rapporto di filiazione solo legale, in quanto basato su un riconoscimento non veritiero, si stabilizza e potrà essere contestato solo dal figlio; similmente la l. n. 173/2015, a modifica della legge sulle adozioni, riconosce rilevanza, ai fini della pronuncia dell'adozione, al rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. La stessa Corte Cost. n. 162/2014, con richiamo all'istituto dell'adozione, ha affermato che « … il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa …»; sulle sue orme la Corte di cassazione (Cass. civ. n. 8617/2017) ha ribadito «l'assenza di ogni automatismo nel cogliere l'interesse del minore rispetto al principio di verità biologica della filiazione. La necessità di un attento bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo è peraltro imposta non solo dalle fonti interne, ma anche da quelle sovranazionali». In conclusione, il legame biologico tra genitore e figlio non è più considerato elemento essenziale o solo prioritario per il sorgere dei reciproci diritti ed obblighi; occorrono anche libertà e volontarietà dei genitori. A fronte di questo libero esercizio della volontà del genitore necessaria per il sorgere di un rapporto giuridicamente rilevante di filiazione, paiono contrapporsi i diritti del minore, sempre più ampiamente e solennemente riconosciuti, di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia (art. 1, l. n. 184/1983 e di conoscere la propria origine e l'identità dei genitori biologici (art. 28, comma 5, l. n. 184/1983); anche la Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge. n. 176/1991, all'art 7, afferma che «il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha un diritto … a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi». Non solo: di recente si è anche affermato, nel tentativo di conciliare il diritto del figlio a conoscere le sue origini biologiche e quello dei genitori a non volere quel rapporto, che, qualora la madre, rimasta anonima al momento della nascita, «… abbia risposto positivamente all'interpello, rimuovendo la dichiarazione iniziale, si costituisce non un nuovo status, ma sicuramente un rapporto familiare del tutto inedito: tra madre e figlio non si ripristina alcun rapporto giuridicamente rilevante, … tuttavia, viene a configurarsi una genitorialità affettiva non presa in considerazione dalla legge ..» (CASABURI, Grande è la confusione sotto il cielo: … in Foro it. 2017, I. 169). Avere individuato il genitore biologico non fa sorgere in capo a questo gli obblighi e le responsabilità che gravano sul genitore legale. Questa scissione tra rapporto biologico (e genetico nei casi si surrogazione di maternità) e rapporto di filiazione giuridicamente rilevante incide ulteriormente sulla possibilità di giudicare come illecito il comportamento del genitore biologico che, nell'esercizio della libertà, riconosciutagli dal nostro ordinamento, non riconosca giuridicamente il figlio. Dal momento in cui fosse accertata giudiziariamente la sua genitorialità egli sarebbe certamente obbligato verso l'altro genitore al rimborso delle spese sostenute per il mantenimento, ma non dovrebbe, a mio avviso, rispondere per l'inadempimento di un obbligo non ancora attuale e, nel caso in discorso, per avere privato il figlio del rapporto affettivo e del sostegno morale, al quale il figlio ha diritto. Anche a prescindere dalla natura più propriamente etica, piuttosto che giuridica, di tali obblighi, questi non sono più inscindibilmente legati al rapporto biologico, ma possono derivare da rapporti di altra natura (per esempio ed in primo luogo dall'adozione) e, al contrario, da un rapporto puramente naturale, come sostenuto in dottrina (v. supra CASABURI), non sorgerebbe alcun rapporto giuridicamente rilevante, ma solo verrebbe a configurarsi una genitorialità affettiva non presa in considerazione dalla legge, neanche ai fini risarcitori. Il rischio di una condanna al risarcimento dei danni, inoltre potrebbe scoraggiare la madre, originariamente anonima, a revocare quella sua volontà, in contrasto con l'esigenza, in via di progressivo riconoscimento, dei figli a conoscere le proprie origini biologiche alla base della propria identità. Non metto in dubbio la rilevanza anche costituzionale dell'interesse di un figlio a ricevere da entrambi i genitori, non solo il mantenimento da un punto di vista economico, ma anche un'assistenza spirituale e morale e gli affetti che lo aiutino a crescere e svilupparsi serenamente; dubito, però, fortemente dell'opportunità che le violazioni relative possano essere sanzionate anche con una condanna al risarcimento dei danni. Non avere mantenuto o assistito moralmente un figlio, che sia tale agli effetti civili, costituisce violazione di un dovere giuridico, che può essere sanzionata con la decadenza dalla responsabilità genitoriale o anche con la dichiarazione dello stato di adottabilità; viceversa, non avere mantenuto o assistito moralmente un figlio, di cui non sia stato accertato il rapporto di filiazione, costituirebbe violazione di un obbligo non attuale, che non può essere sanzionato, né con i rimedi previsti per i figli riconosciuti, né con un risarcimento in denaro, perché il danno sarebbe causato da un comportamento non illecito. L'interesse di un fanciullo ad essere mantenuto, istruito e assistito moralmente può essere soddisfatto anche da soggetti diversi dai genitori biologici. Mi pare contraddittorio, da un lato, affermare, come fa la recente giurisprudenza, la prevalenza dell'interesse alla continuità del rapporto con i genitori cosiddetti sociali o intenzionali (favor minoris) sull'interesse ad una filiazione conforme alla natura biologica (favor veritatis) e, dall'altro lato, considerare illecita (ai fini di una condanna al risarcimento dei danni) l'omissione del riconoscimento di una filiazione naturale, che non è più considerata prevalente rispetto ad altre forme di filiazione. Ulteriore motivo di perplessità circa la decisione di condannare il padre biologico, che non aveva riconosciuto il figlio, al risarcimento di danni non patrimoniali (di questi si era occupata la sentenza in rassegna) si può trarre, a mio giudizio, dall'affermazione del tribunale di Matera, secondo cui «nel caso di specie è riscontrabile … la mancanza da parte del genitore di adeguato (evidenziazione aggiunta) sostegno nei confronti del figlio, non essendo emersi dall'istruttoria elementi idonei in tal senso e tali da poter consentire l'infondatezza delle doglianze dell'attore». Precisamente il riferimento ad una valutazione di adeguatezza del sostegno pare implicare un controllo giurisdizionale sull'intensità e sulle modalità con cui un genitore biologico, genetico o legale offre al figlio sostegno morale. Nel caso deciso dal tribunale di Matera, infatti, il convenuto aveva affermato di avere partecipato ad alcuni eventi significativi della vita del figlio, ma il giudice ritenne che questo non fosse sufficiente e che questa inadeguatezza fosse qualificabile come atto illecito, dal quale sarebbe derivato un obbligo di risarcimento dei danni non patrimoniali. A me pare che ammettere siffatto controllo giurisdizionale, oltre i casi limite del necessario rispetto dei diritti fondamentali della persona, sia molto pericoloso e possa giungere fino a ledere i diritti sanciti dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea («Ogni persona ha diritto al rispetto della vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni») e dall'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ratificata con legge. n. 848/1955 (1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.).
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