Ai fini dell'informativa interdittiva è sufficiente il “pericolo” di assoggettamento dell'impresa alla gestione mafiosa

02 Aprile 2019

L'informativa interdittiva antimafia esprime il risultato della valutazione, del complessivo quadro istruttorio, compiuta dall'autorità prefettizia. Ciò che rileva è il mero “pericolo” di assoggettamento dell'impresa alla gestione mafiosa, e non anche l'attuale dimostrazione di una condivisione economica dell'azienda con la criminalità organizzata.

Il caso: Il TAR Lombardia ha respinto le censure con le quali l'impresa destinataria di un'informativa interdittiva antimafia, ha contestato l'operato dell'autorità prefettizia che, a suo avviso, non avrebbe adeguatamente valorizzato alcune recenti pronunce di assoluzione in sede penale di uno dei rappresentanti della società; circostanza di per sé sufficienti ad escludere qualunque concreto “pericolo” di infiltrazione da parte della criminalità organizzata nei confronti dell'impresa stessa. Sempre ad avviso dell'impresa ricorrente non sussistevano neppure elementi idonei a dimostrare l'esistenza di una vera e propria comunanza di affari tra la stessa ed esponenti della criminalità organizzata.

La ratio e i principi dell'informativa interdittiva antimafia. Il TAR Lombardia coglie l'occasione per fare il punto sulla ratio dell'interdittiva antimafia e sui presupposti necessari per la sua adozione, alla luce della più che consistente giurisprudenza amministrativa. Per quanto riguarda la ratio dell'istituto, il TAR precisa che si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione. L'obiettivo è quello di privare della “fiducia” delle Istituzioni una particolare categoria di imprenditori. In tale prospettiva il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ha “tipizzato” un istituto mediante il quale si constata un'obiettiva ragione di insussistenza della perdurante “fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell'imprenditore”, che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte un'amministrazione.

Quanto ai presupposti, il Collegio sottolinea che l'informativa interdittiva antimafia si fonda sugli accertamenti, compiuti dai diversi organi di polizia, successivamente analizzati, sotto il profilo della loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente il quale dispone di una “ampia discrezionalità” (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 29 aprile 2009, n. 3593; TAR Campania Napoli, sez. I, 6 aprile 2011, n. 1966; Cons. St., sez. III, 3o gennaio 2015, n. 455), che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati.

Sottolinea ancora il TAR che ciò che rileva, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale, è il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento; con la conseguenza che un “visione parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri (TAR Lombardia Milano, sez. IV, 10 gennaio 2017, n. 39). Quanto alla consistenza del quadro indiziario rilevante dell'infiltrazione mafiosa, come precisato sempre dalla giurisprudenza, occorre dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di “gravità”, “precisione” e “concordanza”, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non” (Cons. St., sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709). Gli elementi di inquinamento mafioso, lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l'insidiosa pervasività e mutevolezza del fenomeno mafioso, ad un rigido inquadramento, tanto che il legislatore ha enucleato un catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso. La formulazione della fattispecie normativa a struttura aperta, propria dell'informazione interdittiva antimafia, consente all'autorità amministrativa e, ove insorga contestazione in sede giurisdizionale, al giudice amministrativo di apprezzare, in sede di sindacato sull'eccesso di potere, tutta una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l'influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d. lgs. n. 159/2011), delle organizzazioni mafiose sull'attività di impresa, nella duplice veste della c.d. “contiguità soggiacente” o della c.d. “contiguità compiacente”, elementi che sfuggirebbero, invece, ad una rigorosa, tassativa, asfissiante tipizzazione di tipo casistico, che elenchi un numerus clausus di situazioni sintomatiche.

Conclusioni. Il TAR ha affermato che nel caso di specie i richiamati principi sono stati correttamente rispettati. L'autorità prefettizia, oltre ad aver preso in esame il complessivo quadro istruttorio, ha chiaramente evidenziato la situazione di fatto e le ragioni sottese all'adozione dell'impugnato provvedimento, che «complessivamente e oggettivamente esprimono, sostenute da valutazioni coerenti e ragionevoli, l'attuale pericolo di infiltrazione mafiosa».