Cittadinanza

09 Maggio 2024

La cittadinanza consiste in uno status rappresentativo di una relazione di appartenenza del singolo allo Stato; nell’ordinamento italiano, in particolare, le relative modalità di acquisto, perdita, rinuncia, revoca e riacquisto sono disciplinate dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante «Nuove norme sulla cittadinanza» di cui, quindi, nel costante dialogo con la giurisprudenza, si proverranno a delineare i confini, individuando le principali applicazioni pratiche e questioni problematiche.

*Aggiornamento a cura di A. Lestini

Inquadramento

La cittadinanza consiste, in generale, nel legame tra gli appartenenti al popolo e lo Stato: si tratta di «un particolare status (cioè di una somma di situazioni giuridiche soggettive) acquisito nei modi prestabiliti dall'ordinamento» e «rappresentativo di una relazione di appartenenza all'ente» (G. Guzzetta, F.S. Marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, Torino, 2011, p. 35).

La disciplina organica delle norme sulla cittadinanza è attualmente contenuta nella Legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante «Nuove norme sulla cittadinanza», che prevede le relative modalità di acquisto (sulla base del principio dello ius sanguinis ed in via integrativa, al ricorrere di determinati requisiti, dello ius soli nonché della attribuzione per matrimonio, per beneficio di legge e per naturalizzazione) e – sul presupposto, comunque, che «nessuno può essere privato, per motivi politici … della cittadinanza» (art. 22 Cost.) – di perdita, rinuncia, revoca e riacquisto.

In tale ottica, il discorso si snoda inevitabilmente in una lettura sistematica della disciplina normativa che, nel dialogo con la dottrina e la giurisprudenza (seppure limitato ai più significativi orientamenti), prova a fondare un sintetico ragionamento giuridico capace di orientare il lettore tra i più dedicati, articolati e specifici profili problematici che si presentano nella prassi forense (L. Dell'Osta, a cura di, Cittadinanza: nuove regole, diritti, giurisdizione, Milano, 2019, pp. 54 ss.).

L’acquisto della cittadinanza iure sanguinis: nascita, filiazione e adozione

È cittadino italiano «il figlio di padre o di madre cittadini» (art. 1, lett. a, l. 91/1992), il soggetto nei confronti del quale vi è stato il «riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione» (art. 2, comma 1, l. 91/1992) nonché il «minore straniero adottato da cittadino italiano» (art. 3, comma 1, l. 91/1992).

La prima ipotesi considerata è frutto del mutato contesto sociale: come noto, infatti, l'acquisto (a titolo originario) dello status civitatis era originariamente riferito al solo «figlio di padre cittadino» (l. 13 giugno 1912, n. 555, art. 1, n. 1), sicché per giungere a quella che sarebbe successivamente divenuta l'attuale formulazione della norma, fu necessario l'intervento dalla Corte Costituzionale (Corte cost., 9 febbraio 1983, n. 30), che dichiarò l'illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita «anche il figlio di madre cittadina».

Nell'acquisto della cittadinanza iure sanguinis rientrano, come anticipato, anche i casi di accertamento della filiazione fuori del matrimonio per riconoscimento (quale «atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato fuori del matrimonio»: C.M. Bianca, Diritto civile. La famiglia, Milano, 2017, p. 401) ovvero per dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (quale «azione di stato di reclamo» volta «a conseguire l'accertamento formale dello stato di figlio rispetto ad un genitore non coniugato»: C.M. Bianca, Diritto civile. La famiglia, cit., p. 426) del minore.

Ed invero, mentre il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio determina l'acquisto della cittadinanza, se «il figlio riconosciuto o dichiarato è maggiorenne», la regola è che questi «conserva il proprio stato di cittadinanza», con la precisazione che può comunque «dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale, ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione» (art. 2, comma 2, l. 91/1992; Cass., 31 ottobre 2018, n. 27925): in tal caso, la dichiarazione produce effetti retroattivi sin dal momento della nascita del dichiarante (Cass., 1 marzo 2024, n. 5518).

Le predette regole sul riconoscimento e dichiarazione giudiziale della filiazione – al fine di evitare una irragionevole disparità tra eguali – «si applicano anche ai figli per i quali la paternità o maternità non può essere dichiarata, purché sia stato riconosciuto giudizialmente il loro diritto al mantenimento o agli alimenti» (art. 2, comma 3, l. 91/1992).

Il riferimento è, evidentemente, al «figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta» (art. 278 c.c.), rispetto al quale il riconoscimento e l'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità richiedono la «previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio» (artt. 251 e 278 c.c.).

Ebbene, proprio per il caso in cui tali atti (riconoscimento o dichiarazione giudiziale) non venissero autorizzati, la tutela della persona si esplica nella possibilità di agire per ottenere (se minore) il mantenimento, l'istruzione e l'educazione ovvero (se maggiorenne) gli alimenti (art. 279 c.c.) e, di conseguenza, nell'applicazione della normativa in materia di cittadinanza.

Discorrendo di tali argomenti, si segnala come nella collocazione sistematica delle ipotesi di acquisto della cittadinanza iure sanguinis si è soliti ricomprendere anche l'adozione del minore straniero (quale istituto che recide il vincolo formale e sostanziale del soggetto con la propria famiglia di origine): il minore adottato, infatti, «acquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile» (art. 34, comma 3, l. 4 maggio 1983, n. 184).

(Segue): Cittadinanza iure sanguinis e grande naturalizzazione brasiliana

Tradizionalmente (cfr., N. Brutti, Cittadinanza iure sanguinis e grande naturalizzazione brasiliana, in NGCC, n. 1/2023, pp. 77 ss.), al criterio dello ius sanguinis, basato sulla discendenza diretta e risalente al Code Napoléon, ricorrono – al fine di mantenere (anche nella prospettiva di future politiche di ripopolamento) un legame con i cittadini espatriati – i Paesi di forte emigrazione, tra cui l'Italia (ove, come noto, «tra il 1871 e il 1970, oltre 26 milioni di italiani lasciano la penisola»: M. Savino, a cura di, Oltre lo ius soli. La cittadinanza italiana in prospettiva comparata, Napoli, 2014, p. 4).

All'opposto, al criterio dello ius soli, volto a facilitare una più rapida integrazione dello straniero nel Paese ospite, si ispirano evidentemente gli ordinamenti di forte immigrazione (tra cui quello brasiliano), così da considerare cittadini coloro che nascono nel territorio di quello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori (G. Cordini, Considerazioni sulla cittadinanza nella comparazione degli ordinamenti costituzionali. Africa, America Latina e Asia, in Il Politico, n. 3/2010, pp. 195 ss.).

In tale contesto, quindi, si inseriscono le richieste di cittadinanza italiana da parte dei discendenti di quegli italiani emigrati in Brasile e ivi sottoposti – come subito si dirà – alla naturalizzazione di massa di fine Ottocento.

A livello giuridico e sociale si tratta di questione fondamentale (anche in ottica lavorativa ed economica, posto che ai sensi dell'art. 9 TUE chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro è cittadino dell'Unione europea), che interroga l'istituto della perdita o meno della cittadinanza degli avi, attesi, appunto, i riflessi sulla linea di trasmissione dei discendenti: del resto, se il capostipite della famiglia era cittadino italiano, questi trasmette la cittadinanza iure sanguinis al figlio, il quale, a sua volta, la trasmette alla propria prole e così via, sempreché non vi sia stata rinuncia, da parte di alcuno di essi, alla cittadinanza italiana (così Trib. Roma, sez. I, 5 luglio 2017, n. 13659).

Al riguardo, seppure in estrema sintesi e con un inevitabile grado di approssimazione, il discorso può prendere le mosse da un lato dai decreti di grande naturalizzazione brasiliana (Decreto n. 58-A emanato dal Governo provvisorio brasiliano il 15 dicembre 1889, riprodotto dall'art. 69, comma 4, della Costituzione brasiliana del 1891, e Decreto n. 6.948 del 14 maggio 1908), in forza dei quali gli stranieri che non avessero dichiarato, alla data del 24 agosto 1891, l'interesse a mantenere la nazionalità di origine, sarebbero stati considerati come «tacitamente naturalizzati», purché avessero chiesto l'iscrizione alle liste elettorali o il rilascio della tessera elettorale; e, dall'altro lato, dalla disciplina prevista dall'ordinamento italiano, secondo la quale la cittadinanza (italiana) «riconosciuta a tutti i discendenti di cittadini, a meno che non vi siano interruzioni nella linea di trasmissione dello status civitatis» (N. Brutti, Cittadinanza iure sanguinis e grande naturalizzazione brasiliana, cit.), si perdeva, tra l'altro, ed in disparte l'ipotesi di rinuncia espressa, laddove il soggetto avesse ottenuto «la cittadinanza in un paese estero» (art. 11, Codice Civile del 1865, applicabile, ratione temporis, al periodo della grande naturalizzazione brasiliana del 1889-1891).

Ci si è pertanto interrogati, se lo status di cittadino potesse essere oggetto di rinuncia attraverso la mera permanenza in un altro paese ed in mancanza di una manifestazione di volontà (quasi che la perdita della cittadinanza potesse dipendere da decisioni attuate in altri sistemi giuridici, unitamente al silenzio o all'inerzia dell'interessato o alla non opposizione ad un provvedimento governativo) ovvero, al contrario, se l'intenzione abdicativa dovesse manifestarsi espressamente, tenuto conto della specifica natura del diritto de quo (così A. Iermano, La grande naturalizzazione brasiliana degli emigrati italiani di fine ottocento e il diritto alla cittadinanza iure sanguinis, in Fam. Dir., n. 3/2023, pp. 248 ss.).

Ebbene, in questa sede, non potendosi ripercorre tutti gli snodi argomentativi, anche in chiave storica, che hanno portato alla soluzione del quesito problematico, può solamente rilevarsi come secondo la prevalente dottrina, i predetti decreti di naturalizzazione «non conferiva[no], di per sé, la cittadinanza brasiliana agli stranieri, ma solo la possibilità di acquisire definitivamente tale status attraverso il compimento di un'attività ulteriore e positiva dell'interessato, consistente nella sua espressa richiesta di iscrizione alle liste elettorali o del rilascio della tessera elettorale» (G. Bonato, Grande naturalizzazione brasiliana e cittadinanza italiana, in Judicium, 2021).

Nel medesimo senso, in giurisprudenza, si è autorevolmente rilevato che la locuzione “ottenere la cittadinanza” implica una istanza proveniente dall'interessato: di conseguenza, ciò non potrebbe che significare come «la cittadinanza si perde per rinuncia, purché volontaria ed esplicita, consistente in un atto libero e spontaneo diretto all'acquisto di una cittadinanza straniera», onde «una rinuncia tacita – desumibile da un'accettazione tacita di una cittadinanza straniera imposta a mezzo di un provvedimento generale di naturalizzazione – non è idonea a determinare la perdita della cittadinanza italiana» (Cass., Sez. Un., 24 agosto 2022, n. 25317;  App. Roma, sez. I, 28 luglio 2023, n. 5403).

Inoltre, dal punto di vista probatorio, si è chiarito come lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano, donde la prova è nella linea di trasmissione; ne segue, quindi, che il soggetto che rivendica la cittadinanza ha il solo onere di dimostrare di essere discendente di un cittadino italiano, incombendo sulla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell'evento interruttivo della predetta linea di trasmissione (così, sempre Cass. civ., sez. un., 24 agosto 2022, n. 25317).

Quanto alla competenza, val bene rammentare come le controversie in materia di cittadinanza italiana sono attribuite al «tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora» (art. 19 bis, comma 2, d.lgs. n. 150/2011) e «sono regolate dal rito semplificato di cognizione» (art. 19 bis, comma 1, d.lgs. n. 150/2011).

L'acquisto della cittadinanza per beneficio di legge legato alle proprie ascendenze

La cittadinanza si acquista anche per beneficio di legge legato alle proprie ascendenze, cioè quando sussistono i requisiti di fatto e di diritto previsti dall'art. 4, comma 1, l. 91/1992 (L. Mezzetti, Manuale breve. Diritto costituzionale, Milano, 2020, p. 39).

In particolare, lo straniero o l'apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, diviene cittadino:

a)     se ha prestato effettivamente servizio militare (per lo Stato italiano), cioè abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze armate italiane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare (a condizione che queste siano interamente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore riconosciute dalle autorità competenti) e abbia preventivamente dichiarato di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, comma 1, lett. a, l. 91/1992 e art. 1, comma 2, lett. b, d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572);

b)    se ha assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all'estero, e abbia dichiarato di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, comma 1, lett. b, l. 91/1992);

c) se, al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiara, entro un anno dal raggiungimento, di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, comma 1, lett. b, l. 91/1992).

L'acquisto della cittadinanza iure soli

Il soggetto che «è nato nel territorio della Repubblica» acquista la cittadinanza italiana iure soli, purché (art. 1, comma 1, lett. b, l. 91/1992) sia figlio di genitori entrambi ignoti o entrambi apolidi, ovvero non segua la cittadinanza dei propri dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono. Sotto tale ultimo profilo, peraltro, una ulteriore limitazione è prevista dall'art. 2, d.P.R. n. 572/1993, secondo il quale il soggetto non acquista la cittadinanza «qualora l'ordinamento del Paese di origine dei genitori preveda la trasmissione della cittadinanza al figlio nato all'estero, eventualmente anche subordinandola ad una dichiarazione di volontà da parte dei genitori o legali rappresentanti del minore, ovvero all'adempimento di formalità amministrative da parte degli stessi».

Parimenti, è cittadino «lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età» sempreché abbia dichiarato – a pena di decadenza: entro un anno da tale data – di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, comma 2, l. 91/1992).

Non è superfluo specificare, per ciò che concerne la permanenza del soggetto, come si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede in maniera «non clandestina» (Cass., 17 maggio 2017, n. 12380), cioè a dire avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica (art. 1, comma 2, lett. a, d.P.R. 572/1993).

Al fine di consentire la dichiarazione volta a manifestare la volontà di acquisire la cittadinanza italiana ex art. 4, comma 2, l. 91/1992, poi, gli ufficiali di stato civile sono tenuti, nel corso dei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, a comunicare all'interessato la possibilità di esercitare il proprio «diritto» entro il compimento del diciannovesimo anno di età: in mancanza di tale comunicazione il diritto può essere esercitato anche oltre tale data (art. 33, comma 2, d.l. 21 giugno 2013, n. 69), onde l'illegittimità dell'eventuale provvedimento di rigetto dell'istanza di acquisto della cittadinanza italiana nel caso in cui la stessa sia stata presentata successivamente al predetto termine (compimento dei diciannove anni), in assenza del ricevimento da parte dell'interessato di una apposita comunicazione del Comune relativa alla facoltà di poter richiedere la cittadinanza (Trib. Palermo, sez. I, 12 settembre 2017, n. 4606)

Infine, sempre in base al criterio dello ius soli, è cittadino italiano «il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza» (art. 1, comma 2, l. 91/1992).

L'acquisto della cittadinanza iure communicatio

La cittadinanza si acquista altresì per iure communicatio (art. 5, l. 91/1992) con decreto del Ministro dell'interno, a seguito di proposizione di istanza dell'interessato da presentarsi alla competente autorità consolare o, nel caso di residenza in Italia, al sindaco del proprio comune: il coniuge, straniero o apolide di cittadino italiano, invero, può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero (sempre che al momento dell'adozione del decreto del Ministro dell'interno che fa acquisire lo status, non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi). I termini sono dimezzati nel caso in cui vi siano figli (anche adottivi) dai coniugi.

La valutazione dei requisiti, in taluni casi, deve essere effettuata al momento della presentazione dell'istanza; e, così, si è ritenuto che la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento, non può considerarsi come causa ostativa al riconoscimento del diritto di cittadinanza, essendo un evento naturale sottratto al dominio dell'istante ed estraneo alla sua condotta (Corte cost., 26 luglio 2022, n. 195).

Quanto alla nullità del matrimonio (ex art. 122 c.c.), per fatti e comportamenti ignoti al cittadino ma imputabili e conosciuti dallo straniero, invece, si è ritenuto che la mala fede di quest'ultimo (consapevole dell'esistenza di una causa di invalidità) non potrebbe che determinare l'inapplicabilità della disciplina del matrimonio putativo, e quindi la mancanza dell'elemento indispensabile perché la cittadinanza richiesta possa essere riconosciuta (Cass., 11 novembre 2020, n. 25441).

La concessione della cittadinanza per iure communicatio, comunque, è subordinata al possesso, da parte dell'interessato, di un'adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER); peraltro, il richiedente, che non abbia sottoscritto l'accordo di integrazione di cui all'articolo 4 bis del testo unico immigrazione (di cui al d.l.gs. 25 luglio 1998, n. 286), o che non sia titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è tenuto, all'atto della presentazione dell'istanza, ad attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto, ovvero a produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto (art. 9.1, l. 91/1992).

Inoltre – salvo la riabilitazione, che fa cessare gli effetti preclusivi della condanna – l'istante non deve avere subìto né una condanna per delitti contro la personalità internazionale dello Stato, la personalità interna dello Stato o contro i diritti politici del cittadino (art. 6, comma 1, lett. a, l. 91/1992), né una condanna per qualsiasi delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni o ad una pena detentiva (per reato non politico) superiore ad un anno da parte di una autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza sia stata riconosciuta in Italia (art. 6, comma 1, lett. b, l. 91/1992); infine, non devono sussistere, nel caso specifico, comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica (art. 6, comma 1, lett. c, l. 91/1992).

Ne deriva, dal punto di vista procedimentale, che l'istanza è dichiarata inammissibile se non sussistono i requisiti di cui all'art. 5 (ovvero in caso di mancata regolarizzazione della documentazione richiesta: art. 2, d.P.R. 18 aprile 1994, n. 362), mentre la presenza di cause ostative ex art. 6 determinano il rigetto della stessa con decreto motivato: in quest'ultimo caso, l'istanza potrà essere riproposta, solamente dopo che siano trascorsi cinque anni dal rigetto (art. 8, L. 91/1992).

Seguendo un consolidato indirizzo, la giurisdizione in materia spetta, nei casi di diniego della concessione di cittadinanza per mancanza di requisiti soggettivi (di cui agli artt. 5 e 6, comma 1, lett. a e lett. b, l. 91/1992) al giudice ordinario, a differenza dell'ipotesi di cui all'art. 6 comma 1, lett. c, l. 91/1992 (sussistenza di motivi inerenti alla sicurezza nazionale), devoluta al giudice amministravo (Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2007, n. 1355; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 19 aprile 2011, n. 3419): la concessione della cittadinanza per matrimonio, infatti, attiene ad una situazione giuridica soggettiva avente la consistenza di diritto soggettivo, che affievolisce ad interesse legittimo solo in presenza dell'esercizio, da parte della P.A., del potere discrezionale di valutare l'esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a detto acquisto (TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 13 marzo 2024, n. 984).

Ulteriore forma di acquisto della cittadinanza iure communicatio è prevista, per tutelare i soggetti deboli, in favore dei figli minori che convivono (stabilmente ed effettivamente) con chi abbia acquistato o riacquistato la cittadinanza (italiana); tali soggetti, tuttavia, divenuti maggiorenni, se sono in possesso di altra cittadinanza, possono rinunciare a quella italiana (art. 14, l. 91/1992).

L’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione

La cittadinanza italiana «può essere concessa» – discrezionalmente e sempre che l'interessato abbia una adeguata conoscenza della lingua italiana – con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno:

a)     Allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita (art. 9, comma, 1 lett. a, prima parte, l. 91/1992) o che è nato nel territorio della Repubblica (art. 9, comma, 1 lett. a, seconda parte) e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni.

La disposizione, tuttavia, facendo salvo il disposto di cui all'art. 4, si applica solamente agli stranieri che non abbiano voluto o potuto dichiarare, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, la volontà di acquisire (automaticamente) la cittadinanza italiana.

b)    Allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione (art. 9, comma 1, lett. b, l. 91/1992);

c)     Allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato (art. 9, comma 1, lett. c, l. 91/1992);

d)    Al cittadino di uno Stato membro dell'Unione Europea che risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica (art. 9, comma 1, lett. d, l. 91/1992);

e)     All'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica (art. 9, comma 1, lett. e, l. 91/1992);

f)     Allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica (art. 9, comma 1, lett. f, l. 91/1992).

Tale norma – che legittima un provvedimento fondato su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini ( T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 17 agosto 2023, n. 13362; Consiglio di Stato, sez. III, 2 agosto 2023, n. 7484) – è stata interpretata nel senso che il requisito della residenza decennale nel territorio della Repubblica italiana deve essere posseduto attualmente ed ininterrottamente alla data di presentazione della domanda, esigendosi non la mera presenza in Italia dello straniero, ma la residenza legale ultradecennale, ossia il mantenimento di una costante situazione fattuale di residenza accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe (T.A.R., Lazio, Roma, sez. V, 20 novembre 2023, n. 17233).

L'Amministrazione, oltre al requisito della residenza legale continuata per almeno dieci anni, deve altresì verificare l'inserimento del soggetto richiedente nel contesto sociale del Paese, attraverso un insieme di ulteriori elementi, atti a dimostrare l'avvenuta stabile integrazione del soggetto interessato nella collettività sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta, tra cui particolare rilievo assume il comportamento tenuto dal richiedente nel rispetto delle regole della convivenza civile e non solo di quelle di rilevanza penale (così, testualmente, Consiglio di Stato, sez. I, 2 ottobre 2023, n. 1246).

Inoltre, indipendentemente dalle ipotesi di concessione legate al periodo di residenza, la cittadinanza può essere concessa (con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri) allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all'Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato (art. 9, comma 2).

Al riguardo, si ritiene che – in ragione degli interessi sottesi alla fattispecie – l'avvio del procedimento di concessione non avvenga ad istanza di parte ma ad iniziativa della stessa Pubblica amministrazione, la cui valutazione è massimamente discrezionale.

Ciò posto occorre ulteriormente ribadire come la giurisprudenza amministrativa è solita affermare, in via generale, che il provvedimento di concessione della cittadinanza per c.d. naturalizzazione costituisce un atto squisitamente discrezionale di alta amministrazione, condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere (T.A.R., Lazio, Roma, sez. V, 4 agosto 2023, n. 13105), valutando l'inserimento del richiedente nella comunità nazionale; e, ciò, nel precipuo senso che «la cittadinanza sancisce l'integrazione già avvenuta e il soggetto deve dimostrare di potersi inserire in modo duraturo nella comunità nazionale, evitando problemi di sicurezza e rispettando i valori dello Stato» (T.A.R., Lazio, Roma, sez. V, 12 febbraio 2024, n. 2776).

In definitiva, «l'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, come si ricava dalla norma attributiva del relativo potere, contenuta nell'art. 9, comma 1, l. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa. Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei diritti politici di elettorato attivo e passivo, e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato- comunità, con implicazioni di ordine politico-amministrativo; si tratta, infatti, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini» (T.A.R., Roma, sez. V, 3 novembre 2023, n. 16276).

Il decreto di concessione della cittadinanza, in ogni caso, non ha effetto se il beneficiario, entro sei mesi dalla notifica, non presti giuramento «di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato» (art. 10, l. 91/1992); ed infatti, l'acquisto della cittadinanza ha effetto dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalità richieste (art. 15, l. 91/1992), tra cui, appunto, il giuramento.

Ulteriori ipotesi di acquisto della cittadinanza

Un cenno meritano, infine, alcune leggi speciali che hanno disciplinato l'acquisizione della cittadinanza.

Si tratta, in particolare, da un lato della Legge 14 dicembre 2000, n. 379, in virtù della quale, entro il 20 dicembre 2010, era possibile ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore delle persone nate e già residenti nei territori dell'ex impero austroungarico, oltre che dei loro discendenti; e, dall'altro lato, della Legge 8 marzo 2006, n. 124, che ha disciplinato (introducendo gli artt. 17 bis e 17 ter, l. 91/1992) il riconoscimento della cittadinanza a favore dei residenti in Istria, Fiume e Dalmazia, oltre che nella zona B dell'ex Territorio Libero di Trieste.

Perdita, rinuncia, revoca e riacquisto della cittadinanza

Restano da considerare, da ultimo, le ipotesi di perdita, revoca e riacquisto della cittadinanza.

La prima ipotesi di perdita della cittadinanza riguarda il cittadino italiano che, avendo accettato un impiego pubblico od una carica pubblica da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l'Italia, ovvero prestando servizio militare per uno Stato estero, non ottempera, nel termine fissato, all'intimazione che il Governo italiano può rivolgergli di abbandonare l'impiego, la carica o il servizio militare (art. 12, comma 1, l. 91/1992).

Fattispecie peculiare è poi quella del cittadino italiano che, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego pubblico od una carica pubblica, od abbia prestato servizio militare per tale Stato senza esservi obbligato, ovvero ne abbia acquistato volontariamente la cittadinanza: in tal caso la perdita della cittadinanza italiana si verifica al momento della cessazione dello stato di guerra (art. 12, comma 2, l. 91/1992).

Con specifico riferimento all'adottato, inoltre, è previsto che questi perda la cittadinanza italiana (sempre che – al fine di evitare situazioni di apolidia – sia in possesso di altra cittadinanza o la riacquisti), qualora l'adozione sia revocata per un fatto a lui riconducibile.

Il cittadino italiano, poi, può rinunciare alla cittadinanza italiana qualora risieda o stabilisca la sua residenza all'estero (art. 11, l. 91/1992); ne deriva, per un verso che non è possibile rinunciare alla cittadinanza italiana qualora il soggetto sia residente in Italia e, per altro verso che l'acquisto della cittadinanza straniera, pur se accompagnato dal trasferimento all'estero della residenza, non implica necessariamente la perdita della cittadinanza italiana, essendo necessario che l'interessato vi rinunci con un atto consapevole e volontario (Cass., 3 novembre 2016, n. 22271).

La cittadinanza italiana acquisita ai sensi dell'art. 4, comma 2 (cioè dallo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età e che abbia dichiarato, entro un anno da tale data, di voler acquistare la cittadinanza italiana) dell'art. 5 (per matrimonio) e dell'art. 9 (per naturalizzazione) è, invece, revocata in caso di: condanna definitiva per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni; condanna definitiva per ricostruzione di associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l'ordinamento politico e giuridico dello Stato; condanna per il reato di partecipazione a banda armata;  condanna per assistenza ad associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico; condanna per sottrazione di beni o di denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo. In questi casi la revoca della cittadinanza (da adottarsi con d.P.R. su proposta del Ministro dell'interno) è disposta entro tre anni dal passaggio in giudicato dalla sentenza penale di condanna (art. 10 bis, l. 91/1992).

La norma, peraltro, così come formulata, sembrerebbe individuare una revoca automatica, vale a dire anche per il caso in cui il soggetto non sia in possesso di altra cittadinanza, così ponendosi in contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione della apolidia, adottata a New York Adottata il 30 agosto 1961 e ratificata e ratificata con Legge 29 settembre 2015, n. 162 (L. Dell'Osta, Cittadinanza: nuove regole, diritti, giurisdizione, cit.).

L'art. 13, l. 91/1992, infine, disciplina i casi di riacquisto della cittadinanza; in particolare, chi ha perduto la cittadinanza la riacquista se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara previamente di volerla riacquistare ( art. 13, comma 1,lett. a,  l. 91/1992) ovvero se, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all'estero, dichiara di volerla riacquistare (art. 13, comma 1,lett. b,  l. 91/1992).

In altre ipotesi, invece, il riacquisto della cittadinanza può essere «inibito» con decreto del Ministro dell'interno, per gravi e comprovati motivi e su conforme parere del Consiglio di Stato (art. 13, comma 3, l. 91/1992); si tratta del caso in cui il soggetto:

  1. dichiara di voler riacquistare la cittadinanza ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica (art. 13, comma 1,lett. c,  l. 91/1992);
  2. ha stabilito, per oltre un anno, la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine (art. 13, comma 1,lett. d,  l. 91/1992);
  3. avendo perduto la cittadinanza per non aver ottemperato all'intimazione di abbandonare l'impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, sempre che abbia stabilito la residenza da almeno due anni nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l'impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione del Governo italiano (art. 13, comma 1,lett. e,  l. 91/1992).

In ogni caso, però, non è ammesso il riacquisto della cittadinanza né a favore di chi l'abbia perduta per aver accettato o non abbandonato, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, un impiego pubblico od una carica pubblica, ovvero prestato servizio militare per tale Stato senza esservi obbligato, o acquistato volontariamente la cittadinanza; né a favore dell'adottato che l'abbia perduta per fatto a lui riconducibile (art. 13, comma 2, l. 91/1992).

Conclusioni

Per concludere, può solo osservarsi come la vigente disciplina in materia di cittadinanza ha suscitato, nel tempo, una attenta partecipazione di quanti (non solo giuristi, ma anche filosofi e studiosi delle più diverse discipline) ne invocano una revisione (parziale o completa) ovvero di chi è variamente chiamato alla discussione e formazione delle regole giuridiche (per esempio: in materia di ius scholae, di ulteriori modalità di acquisto della cittadinanza o di riapertura dei termini per la presentazione della dichiarazione per il riacquisto della stessa).

Così, indipendentemente dalle eventuali soluzioni che, in futuro, verranno adottate, v’è da credere che il tema sarà comunque destinato a suscitare un interesse sempre maggiore: perché – come pure è stato avvertito – «l’esperienza ci dice che non v’è nulla al mondo che il diritto non voglia toccare, disciplinare, possedere» (S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, 2009).

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