Obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne che rifiuta di frequentare il padre
09 Aprile 2019
Massima
La decisione del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente di non frequentare il genitore non interferisce, in termini economici, col fatto che quest'ultimo non vada incontro ad alcun diretto esborso o ad alcuna cura in favore dello stesso; parametri che vanno obiettivamente valutati in sede di determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento in favore della prole. Il caso
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 2237/2017 depositata il 5 aprile 2017, in parziale riforma della pronuncia di separazione di primo grado, riduceva ad euro 1.200,00 l'assegno di mantenimento per la figlia a carico del padre. Quest'ultimo proponeva ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti), affidandolo a quattro motivi: 1) mancata considerazione della decisione della figlia divenuta maggiorenne di non frequentare il padre; 2) mancata considerazione della potenziale redditività dei coniugi; 3) mancata considerazione della effettiva documentazione fiscale richiesta ai coniugi; 4) mancata considerazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del marito, condannandolo alle spese di lite. L'ordinanza in commento concerne il caso di un padre che ha chiesto la riforma della sentenza di appello di separazione sotto il profilo della determinazione dell'assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne non autosufficiente, lamentandosi del fatto che, a suo dire, la Corte di Appello non avesse considerato diverse circostanze, tra cui il fatto che i rapporti personali con la figlia si fossero interrotti a causa del volere di quest'ultima. Dal tenore letterale dell'ordinanza non si comprende con certezza se il ricorrente avesse richiesto la revoca dell'assegno di mantenimento o solo la mera quantificazione di un importo inferiore. La questione
Ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non autosufficiente, è rilevante la circostanza che quest'ultimo si rifiuti di frequentare il genitore sul quale grava l'onere economico? Le soluzioni giuridiche
La fattispecie affrontata dalla Suprema Corte concerne l'obbligo di mantenimento dei figli e, in particolare, di quelli maggiorenni. Il dovere di mantenimento dei genitori in favore della prole è sancito dall'art. 30, comma 1, Cost., dall'art. 315 bis c.c. (formulato, in realtà, dal punto di vista dello speculare diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni) e dall'art. 316 bis c.c., che sancisce il principio della ripartizione dell'onere economico tra i genitori in proporzione alle loro rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo. In caso di separazione dei genitori (intesa latu sensu come rottura di qualsiasi coppia genitoriale, coniugata o non), vige l'art. 337 ter, comma 4, c.c., secondo cui al fine di realizzare il principio di proporzionalità, ove necessario, il giudice stabilisce un assegno periodico da determinare considerando le esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Sotto il profilo che qui maggiormente interessa, come è noto, il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio non estingue automaticamente l'obbligo dei genitori di mantenerlo. Tale è il senso dell'art. 337 septies c.c. (che ha ripreso testualmente quella dell'abrogato art. 155 quinquies c.c.). La norma viene, appunto, interpretata nel senso che il mantenimento del figlio maggiorenne è sempre dovuto, salvo che si verifichi un fatto estintivo dell'obbligazione. La naturale causa estintiva è certamente il raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio, ma trattandosi di un evento futuro e (purtroppo) incerto, rimesso in parte anche alla volontà dello stesso figlio, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato ulteriori cause di estinzione dell'obbligo di mantenimento, in particolare riconducibili alle condotte del figlio maggiorenne. In tal senso, per indirizzo costante e unanime della giurisprudenza e della dottrina, l'obbligo di mantenimento viene meno quando il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica sia causato da negligenza o dipenda da fatto imputabile al figlio. Ciò si ravvisa, ad esempio, nell'ipotesi in cui il figlio maggiorenne, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l'autonomia economica dai genitori, abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento. I requisiti del rifiuto ingiustificato e della colpevole inerzia, quali condizioni per l'estinzione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, non sono previsti espressamente in alcuna norma di legge, ma possono rientrare nel novero delle circostanze che, ex art. 337 septies c.c., il giudice è tenuto a valutarenel caso concreto per disporre o revocare l'assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne. Allo stesso modo, ci si potrebbe domandare se la condotta del figlio maggiorenne che rifiuti di avere rapporti con un genitore possa integrare una di quelle circostanze che il giudice è tenuto a valutare e se nello specifico possaintegrare una causa di estinzione (o di riduzione) del diritto di mantenimento in capo al primo. Sul punto la Suprema Corte ha considerato la circostanza dedotta dal padre del tutto irrilevante ai fini del suo obbligo di mantenimento, di fatto rispondendo negativamente al quesito sopra formulato. L'ordinanza, in realtà, non ha approfondito la questione, che ha liquidato con la seguente concisa motivazione: «il fatto che la mancata frequentazione della figlia sia dovuta alla decisione della stessa non interferisce, in termini economici, col fatto che il ricorrente non vada incontro ad alcun diretto esborso o ad alcuna cura in favore della stessa, parametri che vanno obiettivamente valutati in sede di determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento in favore della prole». In altre parole, la circostanza che sia la figlia maggiorenne a non voler vedere il padre non toglie rilevanza al fatto che quest'ultimo - non frequentandola - non vada incontro ad esborsi diretti e a compiti di cura in favore della stessa. Tali ultime circostanze, infatti, devono essere comunque valutate obiettivamente nella fase della determinazione del quantum dell'assegno. E' presumibile che il ricorrente, in propria difesa, abbia dedotto che il non provvedere direttamente al mantenimento ed alla cura della figlia non dipenda dalla sua volontà, bensì da quella della figlia che rifiuta di frequentarlo e che, per tale ragione, tali circostanze non dovrebbero essere considerate ai fini della quantificazione dell'assegno. La Corte ha ritenuto inammissibili anche le restanti censure mosse dal ricorrente, ritenendole attinenti al merito della controversia: «anche in questo caso, sotto le mentite spoglie di un omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti il ricorrente tende ad una diversa, e maggiormente benevola, valutazione delle risultanze processuali». Così, in merito all'asserita mancata considerazione della potenziale redditività dei coniugi, i giudici di legittimità hanno ritenuto che fosse stata appieno considerata dalla Corte territoriale, tramite l'adeguata valutazione di tutti dati acquisiti (competenza professionale, assenza di oneri abitativi per la madre, fluttuazioni reddituali e oneri abitativi del padre), dalla quale è conseguita la riduzione dell'entità dell'assegno di mantenimento. Anche il terzo motivo di impugnazione (la mancata considerazione della effettiva documentazione fiscale richiesta ai coniugi) è stato dichiarato inammissibile, in quanto si traduceva in una critica dell'apprezzamento dei dati fattuali, precisando che la Corte di Appello di Roma aveva dato il giusto rilievo alla circostanza che il marito non avesse dato contezza del reimpiego di alcune somme ricavate dalla vendita di un immobile. Quanto all'ultimo motivo (la mancata considerazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio), è stato anch'esso ritenuto afferente al merito della controversia e, quindi, non di competenza del giudice di legittimità. Gli Ermellini hanno, infatti, rilevato che la decisione della Corte di Appello non si era fondata sull'elevato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (dedotto dalla controparte), ma sui dati reddituali acquisiti. Infine, da un punto di vista più strettamente processuale, la Corte di Cassazione ha rilevato che la nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (introdotta dal d.l. n. 83/2012 conv. con l. n. 134/2012) ha ridotto al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), restando esclusa la sindacabilità di una diversa valutazione delle risultanze processuali in sede di legittimità. Osservazioni
I casi di figli che rifiutano di frequentare un genitore – generalmente quello non convivente – sono sempre più frequenti e pongono diverse problematiche. Riguardo ai figli minorenni si pone, in particolare, la questione della coercibilità della frequentazione del genitore rifiutato, risolto il più delle volte in senso negativo (si veda, in proposito, il provvedimento del 4 aprile 2017 del Tribunale ordinario di Torino, secondo cui i provvedimenti impositivi di rapporti, visite e incontri nel caso concreto non rispondevano all'interesse del minore ad una proficua bigenitorialità). Non vi sono, in ogni caso, dubbi circa il fatto che il figlio minore continui ad essere titolare del diritto di essere mantenuto anche dal genitore rifiutato. Ovviamente, sul fronte dei figli maggiorenni, non si pone più alcun problema di coercibilità della frequentazione, non sussistendo più il profilo dell'affidamento e del regime di frequentazione con il genitore non convivente. Tuttavia, può essere sollevato il dubbio circa il fatto che la scelta di non incontrare il genitore possa escludere o limitare nel quantum il diritto ad essere mantenuto. La soluzione che volesse considerare la scelta del figlio rilevante ai fini del suo diritto al mantenimento, potrebbe sostenere che la condotta di quest'ultimo rientri nella categoria delle “circostanze” che il giudice ex art. 337 septies c.c. è tenuto a considerare nella determinazione dell'assegno, oppure che integri una violazione dell'obbligo di rispetto nei confronti del genitore, sancito dall'art. 315 bis, comma 4, c.c., da cui potrebbe discendere la perdita del diritto di essere mantenuto. In realtà, quanto a questa ultima ipotetica argomentazione, se anche si volesse sostenere che il comportamento del figlio integri una violazione del suo obbligo di rispetto nei confronti del genitore (e ciò è opinabile), non si potrebbe in ogni caso sostenere che da tale violazione possa discendere alcuna perdita del diritto – di rango costituzionale – di essere mantenuti. Nel caso di specie, inoltre, il giudizio di inammissibilità espresso dalla Suprema Corte prescinde da ogni considerazione circa l'esistenza o meno di una eventuale giusta causa all'origine della decisione della figlia di troncare ogni rapporto con il padre. E', pertanto, ininfluente che il rifiuto del figlio di frequentare il genitore non sia supportato da alcuna valida ragione. Belelli, I doveri dei figli verso i genitori nella legge di riforma della filiazione, in Dir. fam. e pers., Giuffrè, 2013 Contiero, Il mantenimento del figlio maggiorenne nella separazione e nel divorzio, Giuffrè, 2017 Iorio, Il fondamento dell'estinzione dell'obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Fam. e dir., 2012, 11 Magli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Fam. e dir., 2014 |