Il rapporto di lavoro subordinato nel nuovo Codice della crisi d’impresa

Francesco Geria
11 Aprile 2019

Il D.lgs. n. 14/2019 - conseguente alla delega contenuta nella Legge 19 ottobre 2017, c. 155 - tenta di realizzare (finalmente) un coordinamento delle norme afferenti la composizione della crisi dell'impresa con quelle del diritto del lavoro. Il nuovo dettato normativo annovera, tra i principi ispiratori, quelli concernenti il superamento dei contrasti interpretativi sorti nell'ambito della ancora vigente normativa regolatrice della materia, rispetto alla disciplina dei rapporti giuridici pendenti e la specifica individuazione degli effetti della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato (in particolare per gli aspetti dei licenziamenti, del trattamento di fine rapporto e delle modalità di insinuazione al passivo).
La composizione dei rapporti di lavoro subordinato

Il D.lgs. n. 14/2019 - conseguente alla delega contenuta nella Legge 19 ottobre 2017, c. 155 - tenta di realizziare (finalmente) un coordinamento delle norme afferenti la composizione della crisi dell'impresa con quelle del diritto del lavoro.

Il nuovo dettato normativo annovera, tra i principi ispiratori, quelli concernenti il superamento dei contrasti interpretativi sorti nell'ambito della ancora vigente normativa regolatrice della materia, rispetto alla disciplina dei rapporti giuridici pendenti e la specifica individuazione degli effetti della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato (in particolare per gli aspetti dei licenziamenti, del trattamento di fine rapporto e delle modalità di insinuazione al passivo).

Ripercorrendo la precedente disciplina (R.D. n. 267/1942) la gestione dei rapporti di lavoro non veniva regolamentata, se non adottando, soprattutto a cura della giurisprudenza, quanto sancito dall'art. 72, Legge Fallimentare, consentendo di includere, così, anche i rapporti di lavoro subordinato tra quei contratti definiti “pendenti, e pertanto destinatari della sospensione automatica a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento.

Oggi tale posizione trova pieno accoglimento a livello normativo tramite l'art. 189, comma 1, D.lgs. n. 14/2019 dove viene puntualmente sancito che “i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso”.

Da ciò la conferma dell'immediata sospensione dei rapporti di lavoro in essere all'atto della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, una volta ottenuta l'autorizzazione del Giudice Delegato.

Chiaramente il curatore gode anche della facoltà, qualora lo ritenga necessario, di subentrare nei rapporti di lavoro o invece di comunicare il “recesso” (termine non del tutto puntuale, nel diritto del lavoro, per definire un atto che dovrebbe avere le caratteristiche e gli effetti del licenziamento).

Vi è da osservare che la norma, all'apertura della liquidazione giudiziale, pone immediatamente i rapporti di lavoro in una sorta di “limbo” giuridico dal quale non potranno scaturire obblighi e doveri per ambo le parti (impresa-curatore e lavoratori) nelle more dell'autorizzazione del giudice preposto e in attesa del parere da parte del Comitato Creditori (con funzione consultiva).

Le modifiche al Codice Civile

Al fine di coordinare al meglio le previsioni codicistiche, in tema di risoluzioni dei rapporti di lavoro subordinato, l'art. 376, D.lgs. n. 14/2019, modifica le disposizioni di cui all'art. 2119 c.c. sostituendo il secondo comma e definendo che “non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa”.

Viene così eliminato il riferimento al fallimento, ripreso poi nel secondo periodo dello stesso comma ove viene sancito che “gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell'insolvenza”.

Conseguentemente, nell'ambito della liquidazione giudiziale (ex fallimento), punto di riferimento giuridico per i contratti di lavoro sarà quanto sancito all'art. 189, comma 1, CCI secondo il quale “l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento”.

A ben vedere, comunque, leggendo in modalità coordinata l'art. 189 CCI e il novellato art. 2119 c.c. sembra non esservi una vera e propria “novità” interpretativa rispetto alla previgente disciplina.

Il recesso del curatore e il licenziamento individuale

Come anticipato, il curatore può avvalersi della facoltà di recesso dei rapporti di lavoro subordinato già sospesi per effetto dell'apertura della liquidazione giudiziale.

Importante puntualizzare come il subentro del curatore nella titolarità dei contratti di lavoro decorre dal momento in cui il curatore lo comunicherà ai lavoratori.

Sembra possibile affermare che tale “subentro” debba verificarsi nel caso in cui il curatore ritenga utile proseguire con l'attività aziendale avvalendosi delle prestazioni dei dipendenti; diversamente, infatti, i rapporti di lavoro devono intendersi quantomeno sospesi (e quindi facendo venir meno il sinallagma contrattuale).

Sarà utile capire, una volta che il decreto entrerà a regime, quali effetti giuridici scaturiranno tra la curatela e i lavoratori, per il periodo di “sospensione” una volta esercitata l'opzione del subentro da parte del curatore (ma è assai dubbio che quel periodo possa intendersi a pieno carico della procedura in regime di prededuzione).

Sorge, inoltre, un nuovo obbligo in capo alla curatela: l'obbligatoria comunicazione contenente l'elenco dei lavoratori coinvolti all'ITL del luogo ove è stata aperta la procedura entro 30 giorni dall'avvio della liquidazione giudiziale stessa.

Il curatore, comunque, può chiedere al Giudice Delegato di prorogare tale termine per ulteriori 30 giorni,qualora l'impresa occupi più di 50 dipendenti (sarà utile capire come tali dipendenti dovranno essere conteggiati).

La norma, purtroppo, dimentica che nella gestione dei rapporti di lavoro dipendente esistono altri enti coinvolti (INPS, INAIL, Fondi di Previdenza Complementare, Enti bilaterali, Centri per l'Impiego etc). Si ritiene che tale comunicazione debba essere trasmessa anche a tali soggetti, quanto meno per sospendere alcuni adempimenti (ad es. invio dei flussi Uniemens).

Quanto sopra evidenziato denota la facoltà offerta al curatore di intimare, pertanto, dei licenziamenti individuali o individuali plurimi (c.d. recesso). Reputo lecito ipotizzare che tale risoluzione debba avvenire nel rispetto dei requisiti formali, procedurali e sostanziali stabiliti dall'ordinamento giuslavoristico per i licenziamenti individuali.

La risoluzione di diritto

Il CCI introduce, come elemento del tutto desueto al panorama giuslavoristico, la previsione della c.d. “risoluzione di diritto”.

Il primo periodo dell'art. 189, co. 3, CCI ribadisce che, “qualora non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell'azienda o di un suo ramo o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l'assetto dell'organizzazione del lavoro, il curatore procede senza indugio al recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato”, intimando i conseguenti licenziamenti.

Tale comunicazione dovrà necessariamente essere effettuata per iscritto.

Nel momento in cui il curatore rimane “inattivo” per 4 mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale (quindi non sia subentrato nei contratti o non abbia comunicato la risoluzione), “i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati (es. per dimissioni volontarie presentate dal lavoratore stesso) si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale”.

Considerato quanto sancito dall'art. 189, co. 3, CCI sorge immediatamente il dubbio sulla possibile “messa in mora” del curatore così come stabilito dall'art. 172 CCI per i rapporti pendenti.

Mutuando quanto già a suo tempo chiarito dall'art. 72, Legge Fallimentare, è possibile escludere tale rischio stante la specialità della disciplina dell'art. 189, caratterizza da una propria autonomia.

Se si volesse invece considerare ammissibile la messa in mora del creditore, lasciando agli interessati la possibilità di richiedere al giudice un termine non superiore ai sessanta giorni, decorso il quale in contratto si intende sciolto, ci si troverebbe dinnanzi ad una possibile inapplicazione del principio della par condicio creditorum violando, altresì, quello spatium deliberandi previsto dall'art. 189, co. 3 e 4, CCI.

In tutto ciò, la vera novità risiede nella volontà del Legislatore di introdurre una nuova tipologia legale di risoluzione dei contratti di lavoro che si verifica del tutto automaticamente a seguito dell'inerzia del curatore protrattasi per un arco temporale di 4 mesi.

Tale fattispecie risulta essere molto rara nel panorama del diritto del lavoro se non per alcune casistiche contrattuali legali (es: contratto intermittente con risoluzione ope legis al compimento del 25° anno di età nei casi di ricorso ai requisiti c.d. soggettivi) o per specifiche previsioni inserite nei contratti collettivi (es. CCNL Poste Italiane e risoluzione del contratto al compimento dell'età pensionabile).

Tale “metodologia” di risoluzione non risulta gradita né alla giurisprudenza (Cass. 29 dicembre 1999, n. 14697 o anche Cass. 21 gennaio 2015, n. 1025), né alle Organizzazioni Sindacali poiché, nel nostro diritto del lavoro, i contratti di lavoro non possono venire meno se non per dimissioni volontarie o per licenziamento (salvo i casi legali prospettati e la c.d. risoluzione consensuale quale accordo di ambo le parti).

Sembra comunque possibile affermare, a differenza delle argomentazioni giurisprudenziali, che la risoluzione di diritto di cui all'art. 189 cc. 3 e 4, CCI, sia ora ampiamente lecita poiché espressamente prevista da una specifica normativa (salva possibile ed eventuale diversa interpretazione della Corte Costituzionale).

Tuttavia la risoluzione di diritto, pur non potendo essere considerata un atto unilaterale riconducibile all'espressa volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto (anche se collegato ad un comportamento omissivo), fa comunque sorgere il diritto del lavoratore all'indennità di mancato preavviso, ai sensi dell'art. 189, co. 8, CCI.

Il dettato normativo di cui all'art. 189, co. 3 trova le sue eccezioni nei commi 4 e 6.

Il comma 4 prevede infatti una deroga al comma 3, permettendo al curatore o al Direttore dell'ITL del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale, qualora sussista la possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell'azienda o di un suo ramo, di chiedere al giudice delegato, con istanza da depositarsi presso la cancelleria del tribunale a pena di inammissibilità, una proroga del termine di cui al comma 3, almeno 15 giorni prima della scadenza.

L'istanza può essere presentata anche personalmente o per mezzo di un difensore con procura autenticata, anche dai singoli lavoratori. In questo caso la proroga ha effetto solo nei confronti dei lavoratori istanti; l'istanza del lavoratore deve contenere, a pena di inammissibilità, elezione di domicilio o indicazione di indirizzo PEC ove ricevere le comunicazioni.

Il giudice delegato, se il curatore entro il termine di 4 mesi non abbia proceduto al subentro o al recesso, entro 30 giorni dal deposito dell'istanza ovvero, in caso di più istanze, dal deposito dell'ultima di queste, può assegnare al curatore un ulteriore termine non superiore a 8 mesi, tenendo conto delle reali prospettive di ripresa delle attività o di trasferimento dell'azienda. Il termine così concesso decorre dalla data di deposito in cancelleria del provvedimento del giudice delegato, che è immediatamente comunicato al curatore e agli eventuali altri istanti.

Se entro termine prorogato dal giudice, il curatore non procede al subentro o al recesso, i rapporti di lavoro subordinato non cessati si intendono definitivamente risolti di diritto, con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, salvo quanto previsto per le procedure di licenziamento collettivo.

È importante precisare che, a favore di ciascun lavoratore nei cui confronti è stata disposta la proroga, è riconosciuta un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 8 mensilità, che sarà ammessa al passivo come credito successivo all'apertura della liquidazione giudiziale (in prededuzione).

Le dimissioni per giusta causa

L'art. 189, co. 5, CCI, apporta novità di rilievo non del tutto condivisibili.

Qualora sia trascorso il termine di 4 mesi dall'apertura della liquidazione giudiziale, le dimissioni eventualmente presentate dal lavoratore si devono intendere rassegnate per giusta causa secondo le previsioni di cui all'art. 2119 c.c. (con riconoscimento dell'indennità di preavviso) e con efficacia dalla data dell'apertura della liquidazione giudiziale stessa.

Quanto espresso induce a presumere che tale facoltà di recesso possa essere esercitata dai lavoratori alla sola condizione che siano decorsi 4 mesi dall'apertura della liquidazione giudiziale, indipendentemente dal fatto che il loro rapporto di lavoro sia stato sospeso ovvero che il curatore abbia deciso di subentrarvi.

Tale presunzione viene però a scontrarsi con le indicazioni di cui al comma 3 poiché, se la sospensione del rapporto di lavoro si protrae per oltre 4 mesi dall'avvio della procedura liquidatoria il contratto risulta venir meno già per previsione di legge.

Inoltre, se è vero che le dimissioni per giusta causa “si intendono rassegnate con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale”, questo presuppone necessariamente che nel frattempo il curatore non sia subentrato nel rapporto di lavoro dandovi esecuzione e, conseguentemente, corrispondendo ai lavoratori il trattamento retributivo in regime di prededuzione.

Alla luce di quanto sopra sembra possibile affermare che l'art. 189, co. 5, CCI, può risultare valido solamente nei confronti di quei lavoratori i cui rapporti di lavoro siano sospesi da più di 4 mesi. Non sembrerebbe ammissibile configurare una “giusta causa” per le dimissioni presentate durante il decorso del termine di 4 mesi.

Resta da chiarire, sia per le dimissioni per giusta causa che per la risoluzione di diritto, come debbano effettuarsi le Comunicazioni Obbligatorie ai Centri per l'Impiego stante il fatto che i rapporti di lavoro, nelle casistiche prospettate, si risolvono, insieme ai loro effetti giuridici, con decorrenza dall'apertura della liquidazione giudiziale.

I licenziamenti collettivi

Il nuovo Codice della Crisi d'Impresa, in via del tutto derogatoria a quanto stabilito dalla normativa vigente in tema di licenziamenti collettivi (art. 4, cc. da 2 a 8, L. 23 luglio 1991 n. 223), all'art. 189, co. 6, prevede una precisa procedura operativa.

Il curatore che vuole effettuare un licenziamento collettivo è tenuto a darne comunicazione preventiva per iscritto (anche per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato) alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, ovvero alle rappresentanze sindacali unitarie e alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione è trasmessa altresì all'ITL del luogo ove i lavoratori interessati prestano in prevalenza la propria attività e, comunque, all'Ispettorato Territoriale del Lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale.

La comunicazione deve contenere sintetica indicazione:

  • dei motivi che determinano la situazione di eccedenza;

  • dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;

  • del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato;

  • dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;

  • delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo e del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

Entro 7 giorni dalla data del ricevimento della comunicazione, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero le rappresentanze sindacali unitarie e le rispettive associazioni formulano per iscritto al curatore istanza per esame congiunto; l'esame congiunto può essere convocato anche dall'Ispettorato territoriale del lavoro, nel solo caso in cui l'avvio della procedura di licenziamento collettivo non sia stato determinato dalla cessazione dell'attività dell'azienda o di un suo ramo. Qualora nel termine di 7 giorni non sia pervenuta alcuna istanza di esame congiunto o lo stesso, nei casi in cui è previsto, non sia stato fissato dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro in data compresa entro i 40 giorni dal ricevimento della comunicazione, la procedura si intende esaurita.

L'esame congiunto, cui può partecipare il direttore dell'ITL o funzionario da questi delegato, ha lo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti.

La procedura si applica, ricorrendo le condizioni di cui all'art. 24, co. 1, L. 23 luglio 1991, n. 223, anche quando si intenda procedere al licenziamento di uno o più dirigenti, svolgendo l'esame congiunto in apposito incontro.

La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo sindacale, salvo che il giudice delegato, per giusti motivi ne autorizzi la proroga, prima della sua scadenza, per un termine non superiore a 10 giorni.

Raggiunto l'accordo sindacale o comunque esaurita la procedura, il curatore provvede ad ogni atto conseguente ai sensi dell'art. 4, co. 9, L. 23 luglio 1991, n. 223.

L'art. 368, CCI, introduce il richiamo alla procedura esposta nelle relative disposizioni della L. n. 223/1991 e del D.lgs. n. 23/2015 che disciplinano le sanzioni conseguenti ai vizi procedurali nei licenziamenti collettivi.

L'indennità di mancato preavviso e il ticket licenziamento

Nel coordinare la disciplina dei rapporti di lavoro subordinato in un contesto di procedura concorsuale il Legislatore non ha dimenticato di riconoscere i dovuti indennizzi ai lavoratori.

In caso di recesso del curatore, licenziamento (collettivo?), dimissioni per giusta causa, risoluzione di diritto secondo quanto stabilito dall'art. 189, CCI, al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato deve essere riconosciuta la relativa indennità di mancato preavviso che, per l'ammissione al passivo, è considerata, unitamente al trattamento di fine rapporto, come credito anteriore all'apertura della liquidazione giudiziale.

Nei casi di cessazione dei rapporti esaminati risulta sempre dovuto il contributo previsto dall'art. 2, co. 31, L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. ticket licenziamento), anche in caso di risoluzione di diritto e sarà ammesso al passivo come credito anteriore all'apertura della liquidazione giudiziale.

La continuazione dell'impresa nella liquidazione giudiziale

Nel caso in cui il curatore ritenga di proseguire l'esercizio dell'impresa del debitore in liquidazione giudiziale (a suo tempo definito “esercizio provvisorio”) i rapporti di lavoro subordinato in essere proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderli o esercitare la facoltà di recesso ai sensi della disciplina lavoristica vigente.

Il riferimento alla “disciplina vigente” dovrà intendersi quale applicazione delle disposizioni contenute nello stesso art. 189 CCI ai commi dal 2 al 6 e al co. 8.

Trattamento Naspi

Il Legislatore, rifacendosi quanto previsto in materia di sostegno al reddito, ha voluto anche affrontare la problematica dei trattamenti Naspi a favore dei lavoratori interessati e coinvolti nelle procedure di cui all'art. 189 CCI.

Secondo l'art. 190 CCI, la cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 189 costituisce perdita involontaria dell'occupazione di cui all'art. 3, D.lgs. 4 marzo 2015, n. 22 e al lavoratore è riconosciuto il trattamento Naspi, a condizione che ricorrano i requisiti di cui al predetto articolo, nel rispetto delle altre disposizioni ex D.lgs. n. 22/2015.

Effetti del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro

Il Codice della Crisi d'Impresa chiarisce come nei casi di trasferimento d'azienda nell'ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo e al trasferimento d'azienda in esecuzione di accordi di ristrutturazione si applicano:

  • l'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428;

  • l'art. 11, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito nella L. 21 febbraio 2014, n. 9;

  • le altre disposizioni vigenti in materia.

Il ruolo del consulente del lavoro nella crisi d'impresa

Tra le altre novità introdotte dal Codice della Crisi d'Impresa spicca la possibilità per i Consulenti del Lavoro a ricoprire incarichi nell'ambito delle procedure concorsuali.

L'art. 356 CCI introduce l'Albo degli incaricati della gestione e del controllo nelle procedure stabilendone i requisiti.

L'Albo è istituito presso il Ministero della Giustizia, dove posso iscriversi tutti i soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel CCI.

Possono ottenere l'iscrizione i soggetti che, in possesso dei requisiti di cui all'art. 358, co. 1, lett. a), b) e c), dimostrano di aver assolto gli obblighi di formazione di cui all'art. 4, co. 5, lett. b), c) e d), D.M. 24 settembre 2014, n. 202 e successive modificazioni.

Solo ai fini del primo popolamento dell'Albo, possono ottenere l'iscrizione anche i soggetti in possesso dei requisiti di cui all'art. 358, co. 1, lett. a), b) e c) che documentano di essere stati nominati, alla data di entrata in vigore del presente articolo, in almeno 4 procedure negli ultimi 4 anni, curatori fallimentari, commissari o liquidatori giudiziali.

All'art. 358 CCI poi vengono definiti i requisiti necessari per la nomina agli incarichi nelle procedure.

Possono, pertanto, essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale e liquidatore, nelle procedure di cui al codice della crisi e dell'insolvenza:

  • gli iscritti agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei consulenti del lavoro;

  • gli studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse siano in possesso dei requisiti professionali di cui sopra, e, in tal caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;

  • coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore sono nominati dall'autorità giudiziaria tenuto conto:

  • delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'art. 16-bis, commi 9-quater, 9-quinquies e 9-septies, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228;

  • degli incarichi in corso, in relazione alla necessità di assicurare l'espletamento diretto, personale e tempestivo delle funzioni;

  • delle esigenze di trasparenza e di turnazione nell'assegnazione degli incarichi, valutata la esperienza richiesta dalla natura e dall'oggetto dello specifico incarico;

  • con riferimento agli iscritti agli Albi dei consulenti del lavoro, dell'esistenza di rapporti di lavoro subordinato in atto al momento dell'apertura della liquidazione giudiziale, del deposito del decreto di ammissione al concordato preventivo o al momento della sua omologazione.

Sommario