Morte della persona offesa dal reato e art. 12 d.lgs. 36/2018: profili di illegittimità costituzionale

Andrea Bigiarini
Andrea Bigiarini
19 Aprile 2019

Come noto, il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 ha introdotto il regime della procedibilità a querela per una serie di reati precedentemente perseguibili d'ufficio. L'art. 12 di detto decreto, affrontando espressamente il problema dei procedimenti instaurati o da instaurare per i fatti (costituenti uno dei reati sopra citati) commessi prima...
Abstract

Come noto, il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 ha introdotto il regime della procedibilità a querela per una serie di reati precedentemente perseguibili d'ufficio. L'art. 12 di detto decreto, affrontando espressamente il problema dei procedimenti instaurati o da instaurare per i fatti (costituenti uno dei reati sopra citati) commessi prima dell'entrata in vigore del nuovo testo normativo, ha previsto una disciplina transitoria.

Ai sensi del primo comma della disposizione menzionata «per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato». Il secondo comma così prosegue: «se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata».

In altri termini, qualora il reato precedentemente perseguibile d'ufficio sia stato commesso prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018 (che ne ha condizionato la perseguibilità alla proposizione della querela da parte della persona offesa) e non sia già pendente un procedimento penale, da quella data decorre il termine per la presentazione della querela da parte della persona offesa che abbia in precedenza avuto notizia del fatto costituente reato. Se, invece, la persona offesa ne ha avuto notizia successivamente, torna ad applicarsi la disciplina ordinaria di cui all'art. 124 c.p., il termine per proporre la querela decorrendo dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato.

Qualora, viceversa, il procedimento sia stato già instaurato, l'autorità giudiziaria (pubblico ministero o giudice a seconda della fase procedimentale) deve procedere ad avvisare la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela; in tal caso, il termine per la presentazione della querela decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.

Un problematico caso di “fantasia” (ma di possibile verificazione)

Veniamo ora all'esposizione di un caso – ipotetico ma di verificazione tutt'altro che improbabile – che potrebbe porre all'attenzione dell'interprete una serie di interessanti questioni di ordine sia teorico che pratico.

Tizio, promotore finanziario per conto di una banca, in data ampiamente precedente al 9 maggio 2018 (data di entrata in vigore del d.lgs. 36/2018), si appropria di una consistente somma di denaro dell'anziano Caio, cliente della banca, con condotta abusiva riconducibile all'art. 61, comma I, n. 11 c.p. È appena il caso di rilevare che, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018, il delitto di appropriazione indebita aggravato nei termini appena descritti era procedibile d'ufficio ai sensi dell'art. 646, comma III, c.p. (nella formulazione precedente alla riforma).

A seguito dell'emersione della notizia di reato, sempre in epoca precedente al 9 maggio 2018, si instaura un procedimento penale a carico di Tizio, per il delitto di appropriazione indebita aggravata commesso nei confronti di Caio: reato, è bene ribadirlo, procedibile d'ufficio secondo la disciplina vigente al momento del compimento del fatto (ed altresì al momento della successiva iscrizione dello stesso nel registro delle notizie di reato).

In data – ancora una volta – precedente al 9 maggio 2018 sopravviene la morte di Caio. Come già ampiamente detto, con l'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018, il delitto di cui al testo pre-riforma dell'art. 646, comma III, c.p., procedibile d'ufficio all'epoca del commesso reato, diventa procedibile a querela.

Problema: può trovare applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 12 d.lgs. 36/2018, sopra brevemente tratteggiata?

In astratto il caso appena rappresentato, pendente il procedimento penale all'epoca dell'entrata in vigore del decreto, si collocherebbe nell'ambito di applicazione del comma secondo della disposizione da ultimo citata. Tuttavia, è di tutta evidenza che, intervenuta la morte della persona offesa in data anteriore al 09.05.2018, risulta inapplicabile la disciplina transitoria. Ne consegue altresì che, rebus sic stantibus,viene ad essere esclusa in radice la stessa possibilità di procedere nei confronti di Tizio per il delitto ascrittogli.

Come anticipato in premessa, il caso di “fantasia” appena descritto solleva alcune questioni di non poco momento sia, da un punto di vista più strettamente penalistico, per quanto concerne lo statuto giuridico e la natura dell'istituto della querela, sia, da un punto di vista costituzionalistico, per quanto riguarda la tenuta in punto di ragionevolezza della disciplina introdotta con l'art. 12 d.lgs. 36/2018.

La morte della persona offesa titolare del diritto di querela

L'ipotesi della morte della persona offesa titolare del diritto di querela (o che abbia già esercitato tale diritto) è espressamente disciplinata dall'art. 126 c.p., ai sensi del quale «il diritto di querela si estingue con la morte della persona offesa»(comma 1) e «se la querela è stata già proposta, la morte della persona offesa non estingue il reato»(comma 2).

a)Dal primo comma della disposizione in parola si evince che il diritto-potere di querela ha carattere strettamente personale ed è legato a doppio filo alla persona offesa dal reato, quale titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice violata. Tale intimo legame tra persona offesa e interesse tutelato rende la querela intrasmissibile ad eredi e prossimi congiunti. La morte della persona offesa è fatto estintivo del diritto di querela, laddove tale diritto non sia già stato esercitato (ROMANO – GRASSO, 320).

b)Laddove, viceversa, detto diritto sia stato esercitato prima della morte dalla persona offesa, trova applicazione il secondo comma dell'art. 126 c.p., espressione del principio del favor querelae: mentre la morte della persona offesa prima della presentazione della querela estingue il diritto ed il potere connesso alla condizione di procedibilità (comma 1), la morte della vittima dopo l'avvenuto esercizio del diritto di querela conserva la perseguibilità del delitto e, di riflesso, consente la punibilità del fatto (comma 2; salva la possibilità di remissione da parte degli eredi ex art. 156 c.p., come modificato per effetto dell'intervento additivo della Corte Costituzionale n. 151 del 1975, sul punto v. FORTI – S. SEMINARA – G. ZUCCALÀ, 560).

La ratio dell'art. 126 comma 2 c.p. consiste proprio nella persistenza dell'interesse dello Stato a perseguire il delitto, nonostante l'intervenuta morte del titolare del bene giuridico protetto.

A ben vedere, tuttavia, nessuna delle due norme appena descritte si attaglia perfettamente al caso che stiamo esaminando.

a)E infatti, da un lato, giusta la procedibilità d'ufficio al tempo della commissione del fatto costituente reato (reato che, giova ribadirlo, è divenuto procedibile a querela in un momento successivo alla morte della persona offesa) siffatto diritto di querela non può considerarsi in astratto mai sorto in testa al “possibile” querelante.

Ciò, a meno di non volere ritenere che il diritto di querela sorga in testa alla persona offesa dal reato per il fatto stesso di essere stata vittima di un qualsivoglia reato – procedibile o meno a querela – e dal momento della sua consumazione. Circostanza che sembra smentita dalla lettera dell'art. 120 c.p., che attribuisce il diritto di querela alla persona offesa non da un generico reato, ma da un reato per il quale non debba procedersi d'ufficio (o dietro richiesta o istanza). Ne consegue che quale fonte del diritto di querela non può ritenersi sufficiente, in positivo, il mero accadimento di un fatto costituente reato che coinvolga, quale vittima, il “possibile” querelante (prima condizione) ma deve altresì verificarsi, in negativo, un ulteriore presupposto: l'assenza di un diverso regime di procedibilità (seconda condizione). Solo se sussistono entrambe le condizioni appena esposte – i.e. consumazione del reato e, in positivo, procedibilità a querela dello stesso – come si desume dal chiaro dettato dell'art. 120 c.p., si può concludere che il diritto di querela sia effettivamente sorto in testa alla persona offesa dal reato.

Tanto premesso, tornando al caso immaginario che ci occupa, Caio è deceduto in un momento antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018. Pertanto, seguendo il ragionamento fin qui sviluppato, egli non è mai stato – nemmeno per un giorno – astrattamente titolare di un diritto di querela da poter esercitare in concreto, attesa la precedente procedibilità d'ufficio del delitto di cui all'art. 646, comma III, c.p. Non risulta, pertanto, essersi verificato il presupposto per l'applicabilità dell'art. 126, comma I, c.p., i.e. l'insorgenza (con annessa facoltà di esercizio) del diritto-potere di querela in capo alla persona offesa, la morte non potendosi considerare alla stregua di un “fatto estintivo” di un diritto mai sorto (e, dunque, mai concretamente esercitabile).

Ulteriori conferme rispetto a questo assunto sono rinvenibili, a contrariis, nella disciplina delle deroghe all'art. 126, comma I, c.p. Con precipuo riferimento alla diffamazione (art. 597, comma III, c.p.) e ai delitti sessuali (art. 609-septies,comma II, c.p.), il legislatore ha eccezionalmente previsto che, se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, possono proporre querela i prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato, così derogando al generale carattere personale e intrasmissibile della querela (v. FORTI – S. SEMINARA – G. ZUCCALÀ, 560).

Sul punto è appena il caso di precisare che il presupposto di applicabilità della regola (art. 126, comma I, c.p.) e delle eccezioni (artt. 597, comma III, e 609-septies c.p.) è il medesimo, e cioè che la persona offesa sia morta prima del decorso del termine per proporre querela (ma dopo l'inizio dello stesso). Diverso è il caso, come quello che ci occupa, in cui la persona offesa non abbia mai avuto la possibilità di proporre querela, in astratto prima ancora che in concreto, non essendo logicamente configurabile qualsivoglia decadenza in assenza dell'avvio della decorrenza del termine.

In altri termini, poiché la persona offesa è deceduta in un momento antecedente al mutamento del regime di procedibilità, non si è mai verificata la seconda condizione sopra rappresentata quale necessario fondamento del diritto di querela, i.e. la previsione normativa della procedibilità a querela del reato. In assenza di tale previsione, non può considerarsi mai sorto in testa alla vittima del reato alcun diritto di querela. Non essendo sorto il diritto di querela, non si è neppure mai verificato il presupposto per la decorrenza del termine per il relativo esercizio: un diritto mai sorto, non esistente nella sfera giuridica della persona offesa, non può logicamente considerarsi esercitabile. Ed infatti, perché vi sia decorrenza del termine per l'esercizio di un diritto, occorre che quel diritto sia sorto. In assenza di detto diritto di querela nella sfera giuridica della persona offesa, la morte di quest'ultima non ne può logicamente determinare l'estinzione, non potendo trovare applicazione il comma 1 dell'art. 126 c.p.

b) Tanto precisato con riguardo al comma 1 dell'art. 126 c.p., è di tutta evidenza, dall'altro lato, l'inapplicabilità al caso che ci occupa del comma 2 della disposizione citata, atteso che la persona offesa non ha proposto querela né era titolata a farlo, giusta la precedente procedibilità d'ufficio del reato di cui all'art. 646 comma 3 c.p.p.

Mutamento del regime di procedibilità e successione di leggi

Non pare, dunque, che il quesito sollevato dal nostro caso immaginario possa essere serenamente risolto attraverso l'applicazione dell'art. 126 c.p. In assenza di una espressa disciplina normativa, la giurisprudenza – pur non occupandosi dello specifico tema delle conseguenze della mancata presentazione della querela, nel caso in cui la persona offesa sia morta prima del mutamento del regime di procedibilità – ha enucleato alcuni principi di ordine generale in materia di modifiche della procedibilità e successione di leggi.

In via preliminare, occorre evidenziare che la perseguibilità a querela è generalmente considerata più favorevole della perseguibilità d'ufficio (FORTI – S. SEMINARA – G. ZUCCALÀ, 545). Sulla scorta di tale premessa, la Corte di Cassazione ha espressamente richiamato la natura mista della querela (processuale e sostanziale), facendo così applicazione della disciplina sostanziale della successione di leggi nel tempo e, in particolare, dell'art. 2, comma 4, c.p. in materia di legge più favorevole al reo.

Con sentenza n. 40399 del 2008 la Suprema Corte, affrontando il problema dell'applicabilità del disposto dell'art. 642 c.p. alle condotte commesse anteriormente alla nuova formulazione della norma (sostituita con la l. 12 dicembre 2002, n. 273, art. 24), ha così statuito:

«Il nuovo testo dell'art. 642 c.p. stabilisce […] la procedibilità a querela di parte, posto che tale previsione, contenuta nel secondo comma dello stesso articolo, si riferisce ad entrambe le forme (semplice o aggravata) in cui il reato può consumarsi, rispettivamente previste dal comma 1 e dal comma 2 […]. Nella successione delle leggi, pertanto, in considerazione della natura mista (sostanziale e processuale) dell'istituto della querela, deve applicarsi il disposto dell'art. 2 c.p., comma 4, secondo il quale "se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo".
Pertanto, in ogni caso, con riferimento a tutte le ipotesi criminose contestate ex art. 642 c.p., commesse in data anteriore o posteriore alla novella legislativa, è necessario che il giudice accerti la sussistenza della querela e la sua tempestività» (n.d.a. corsivi aggiunti).

Ne consegue che, nella prospettiva della Corte di legittimità, alla luce del principio del favor rei, non è possibile procedere, se non a seguito di presentazione di querela, per fatti che, procedibili d'ufficio in base alla legge precedente, sono per l'attuale procedibili a querela.

L'orientamento espresso dalla Suprema Corte, da un canto, non risulta scevro da considerazioni critiche di portata teorico-generale; d'altro canto, non si attaglia perfettamente al caso di specie.

a)In primo luogo, il citato arresto si fonda sulla premessa – non dimostrata – della natura mista, sostanziale e processuale, della querela.

Di diverso avviso è la dottrina unanime che adotta la tesi della natura processuale della querela: posizione suffragata da una serie di argomenti di difficile confutazione.

In primo luogo, la querela non tocca la criminalizzazione in astratto di un fatto, cioè la sua astratta punibilità, non incidendo sul giudizio di disvalore penale formulato dal legislatore: trattasi, infatti, di condizione di procedibilità e non di punibilità. La querela è un atto di impulso della persona offesa volto a sollecitare l'instaurazione del procedimento penale: la volontà del privato non rende illecito il fatto (che resta astrattamente punibile), bensì lo rende perseguibile in concreto (DOLCINI – GATTA, 35; M. ROMANO – G. GRASSO, 287; VOLPE, 553).

In secondo luogo, è lo stesso codice di procedura penale del 1988 che contempla espressamente la querela tra le condizioni di procedibilità (cfr. artt. 336 ss., art. 345 c.p.p. Cfr. GAITO, 737).

In terzo luogo, al difetto di querela non conseguono pronunce di merito, bensì provvedimenti in rito (sulla natura processuale della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela v. Cass. pen., Sez. Unite, n. 35599/2012): archiviazione (art. 411 c.p.p.), sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.), sentenza di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), a seconda della fase procedimentale (GAITO cit.; SCOMPARIN, 223; VOLPE, 553).

La tesi appena esposta è stata considerata degna di adesione anche da parte della giurisprudenza civilistica. Le Sezioni Unite civili della Suprema Corte, con sentenza n. 27337 del 2008, pronunciandosi in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, hanno espressamente adottato siffatta prospettiva, statuendo:

«È infatti decisamente superata in materia processual-penalistica la tesi minoritaria e datata, secondo cui la querela costituisse una condizione di punibilità ed avesse, quindi natura sostanziale, per cui la sua mancanza impediva che il fatto potesse considerarsi reato (Cass. pen. Sez. 3^, 8.4.1971, n. 1359). La querela non assurge a rango di elemento essenziale della struttura del reato, né concorre a definire il tipo di illecito ed il contenuto del disvalore del fatto che, invece, si presuppone già realizzato (la querela viene proposta dalla persona già “offesa” dal reato).
Neppure può ravvisarsi nella querela una condizione di punibilità, poiché detta condizione attiene, a sua volta, alla fattispecie materiale in senso ampio e si collega al "dovere sostanziale di punire".
Inoltre, e soprattutto, l'art. 345 c.p.p. vigente espressamente individua nella querela una condizione di procedibilità (Cass. pen., Sez. V, n. 38967/2005; Cass. pen., Sez. VI, n. 44929/2004)» (n.d.a. corsivi aggiunti).

Appare, dunque, quantomeno discutibile che i problemi sollevati dalla successione di leggi in materia di procedibilità d'ufficio/a querela possano essere risolti attraverso l'applicazione analogica dell'art. 2 c.p., dovendo viceversa più correttamente trovare applicazione il principio tempus regit actum.

b)In ogni caso, anche a volere concordare con la citata impostazione mista, non v'è chi non veda come la Suprema Corte abbia affermato l'applicabilità dell'art. 2 c.p. in un caso particolare: e cioè, con precipuo riferimento al caso di successione di leggi penali incidenti sul regime di procedibilità (d'ufficio/a querela), in assenza di una disciplina transitoria.

Viceversa, laddove il legislatore abbia previsto una speciale disciplina volta a regolare le situazioni giuridiche coinvolte nella successione di leggi attraverso una c.d. norma transitoria, l'orientamento (criticabile) sopra esposto non può (e non deve) trovare applicazione. Con riferimento al caso di specie, come riferito supra, il legislatore ha tenuto conto dei problemi derivanti dall'adozione del d.lgs. 36/2018, che ha determinato il mutamento del regime di procedibilità rispetto ad una serie di fattispecie incriminatrici.

Come anticipato, l'art. 12 di detto decreto, rubricato Disposizioni transitorie in materia di perseguibilità a querela, con riferimento ai reati precedentemente procedibili d'ufficio, regola espressamente la decorrenza del termine per la presentazione della querela da parte della persona offesa dalla data di entrata in vigore del decreto (comma 1).

Con le parole delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 40150 del 2018), recentemente espressasi sul tema, la circostanza che discrimina la previsione del secondo comma rispetto a quella del primo comma della citata disposizione «è costituita dalla pendenza del procedimento e non dalla conoscenza del fatto costituente reato da parte della persona offesa»; il correttivo del secondo comma dell'art. 12 alla regola posta nel primo comma «è da spiegare con l'intento di impedire che i procedimenti promossi per reati originariamente perseguibili di ufficio possano chiudersi con una sentenza di proscioglimento per mancanza di querela sulla base della "fictio legis" e non già a seguito di una formale informativa rivolta dal giudice alla persona offesa in ordine alla facoltà di esercizio della privata doglianza» (n.d.a. corsivi aggiunti).

Tanto premesso, l'introduzione di una specifica disposizione transitoria, volta a disciplinare i casi in cui non era stata precedentemente proposta querela in relazione a fatti per i quali era prevista la procedibilità d'ufficio, testimonia la persistenza dell'interesse dello Stato nel perseguire tali fattispecie criminose. Nella sentenza da ultimo citata, nel descrivere la ratio complessiva dell'intervento legislativo in parola, le Sezioni Unite chiariscono che «il legislatore del 2018 non si è infatti limitato ad introdurre la causa di procedibilità anteriormente non prevista, con l'effetto di avviare tutti i processi pendenti al proscioglimento per mancanza sopravvenuta della querela e della conseguente procedibilità. Al contrario, volendo tutelare in primo luogo la persona offesa, ha disegnato un meccanismo di restituzione nel termine senza finzioni legali, con l'avviso ad ogni singolo interessato» (n.d.a. corsivi aggiunti).

Ne consegue che l'intento del legislatore, lungi dal volere creare sacche di impunità, attraverso una surrettizia introduzione di una causa di non punibilità “travestita” da condizione di procedibilità, fosse proprio quello di permettere la perseguibilità dei reati nel frattempo divenuti procedibili a querela.

Quali soluzioni?

Ebbene, è di tutta evidenza che l'ipotesi oggetto di analisi – i.e. la morte della persona offesa prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018 – non è stata espressamente presa in considerazione dal legislatore e, a rigore, non rientra nel campo di applicazione della disposizione transitoria di cui all'art. 12 del citato decreto.

Ne deriva un vuoto normativo da colmare alla luce della ratio complessiva dell'intervento legislativo in parola, efficacemente espressa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel recente arresto sopra citato: occorre, cioè, rendere materialmente possibile l'attivazione del meccanismo di restituzione nel termine al fine della proposizione della querela.

Più nel dettaglio, due percorsi ermeneutici alternativi si prospettano dinanzi all'interprete: da un lato, operare una – per vero forzata – interpretazione costituzionalmente orientata della norma transitoria, che estenda la facoltà di presentare la querela ai prossimi congiunti della persona offesa deceduta, al fine di rendere quantomeno possibile la perseguibilità del delitto; dall'altro lato – opzione che pare preferibile alla luce del principio di legalità processuale – sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 d.lgs. 36/2018 per violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza. Violazione dell'art. 3 Cost. che si manifesterebbe – nel caso di specie ed in tutti i casi di morte della persona offesa avvenuta in un momento precedente al mutamento del regime di procedibilità di un reato (ed alla conseguente applicabilità in concreto della norma transitoria ad hoc) – da un canto, nel contrasto con la ratio legis, atteso il perdurante interesse del legislatore a perseguire i reati in precedenza sottoposti al regime della procedibilità d'ufficio, manifestato proprio mercé la previsione di una norma transitoria; d'altro canto, nell'irragionevole disparità di trattamento che si verrebbe a determinare tra quegli autori del reato, nei confronti dei quali la persona offesa ha avuto la concreta possibilità di proporre querela ai sensi del citato art. 12, e quegli autori del medesimo fatto di reato che hanno avuto la “fortuna” e il “privilegio” di incappare nella morte della persona offesa (verificatasi prima che quest'ultima avesse anche solo la giuridica possibilità di manifestare il proprio proposito rispetto alla perseguibilità del fatto costituente reato), rispetto ai quali il menzionato vuoto normativo si rivelerebbe alla stregua di una sorta di discriminatoria causa di estinzione del reato.

Del resto, la Corte Costituzionale (con sentenza n. 151 del 1975) ha ritenuto di attribuire agli eredi della persona offesa dal reato, purché tutti vi acconsentano, l'esercizio del diritto di remissione della querela ai sensi dell'art. 156 c.p., sulla scorta del seguente ragionamento: «l'art. 156 c.p., escludendo la facoltà di rimettere la querela quando sia venuto meno il soggetto, alla valutazione del quale la legge ha attribuito il diritto di proporre la querela e di rimetterla, si pone in contraddizione con la logica stessa dell'istituto, giacché preclude agli eredi quella stessa facoltà di valutazione che avrebbe potuto essere esercitata dal de cuius» (n.d.a. corsivi aggiunti).

Se tale ragionamento vale per la remissione della querela, a fortiori esso deve considerarsi valido per l'antecedente logico della remissione, i.e. la proposizione della querela. Ed infatti, le medesime conclusioni possono efficacemente essere estese al caso de quo, ove il titolare del bene giuridico offeso, facendo “affidamento” sulla procedibilità d'ufficio del reato all'epoca in cui era in vita, non è stato messo dall'ordinamento nella condizione di poter valutare la proponibilità o meno della querela (né avrebbe potuto, non essendo mai effettivamente esistito nella sua sfera giuridica il diritto di querela).

Per le ragioni sopra esposte, pertanto, l'art. 12 d.lgs. 36/2018 parrebbe porsi in contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che il diritto ad essere informati della facoltà di esercitare il diritto di querela – nel caso di morte della persona offesa avvenuta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018 – spetti ai prossimi congiunti della persona offesa, con decorrenza del termine dal giorno in cui questi ultimi sono stati informati.

La proposta soluzione della impasse, tramite il coinvolgimento degli eredi, non va letta nella prospettiva della tutela dell'interesse privatistico degli stessi alla costituzione di parte civile nel processo penale, atteso che sussisterebbe pur sempre la possibilità di fare valere simili pretese in un procedimento civile. Al contrario, essa si rivela una scelta necessitata alla luce dell'interesse pubblicistico al perseguimento di reati che altrimenti resterebbero privi della stessa possibilità di sanzione.

E infatti, occorre ribadire che, qualora non si riconoscesse agli eredi siffatta facoltà di valutazione, si dovrebbe ritenere che l'intervento normativo in discorso, nei casi assimilabili a quello che ci occupa, lungi dal prevedere un diverso regime di procedibilità, abbia viceversa surrettiziamente introdotto nell'ordinamento una causa di estinzione del reato, rectius una condizione obiettiva di punibilità “mascherata”; ciò che contrasta con la natura di condizione di procedibilità assegnata alla querela dal codice di procedura penale, nonché con la ratio del d.lgs. n. 36/2018. Non v'è chi non veda, infatti, come – in questi casi – sarebbe assolutamente impossibile procedere nei confronti dell'autore del delitto.

Guida all'approfondimento

A. BIGIARINI, Il caso Contrada e l'esecuzione delle sentenze della Cedu. Il punto di vista del processualista, in Dir. pen. proc., 2018, p. 243 s.;

E. DOLCINI – G. GATTA, Codice penale commentato, IV ed., Milano, 2015;

G. FORTI – S. SEMINARA – G. ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, VI ed., Milano;

A. GAITO, Procedibilità (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Aggiornamento II,Milano, 1998;

L. SCOMPARIN, Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), in Enc. dir., Annali, 2008;

M. ROMANO – G. GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, vol. II, artt. 85-149, IV ed., Milano.

F. VOLPE, Querela, in Dig. pen., X, Torino, 1994, p. 553.

Commento a Cass. pen., Sez. Un., 21 giugno 2012, n. 35599:

I. ALESSANDRUCCI, L'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di non doversi procedere, in Giur. it., 2013, p. 447;

L. COLLINI, Declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela e interesse ad impugnare della parte civile, ivi, p. 2347;

P. SPAGNUOLO, La parte civile non ha interesse ad impugnare la sentenza di proscioglimento per difetto di querela, in Cass. pen., 2013, p. 919.

Commento a Cass. Sez. Un., 21 giugno 2018, n. 40150:

L. SCOLLO, Le Sezioni Unite sulla procedibilità a querela sopravvenuta in pendenza del giudizio di cassazione.