La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter ord. penit. nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter.
L'attuale assetto normativo non permette alcuna “via d'uscita” qualora durante la carcerazione si manifesti una grave malattia di tipo psichiatrico.
Infatti, i detenuti che si trovino in tali condizioni: a) non possono accedere alle Rems, né ad altre misure alternative alla detenzione, se il residuo di pena sia superiore ai 4 anni; b) non possono avere accesso alla detenzione domiciliare “ordinaria” di cui all'art. 47-ter, comma 1, lett. c) ord. penit. prevista per i detenuti con pena inferiore ai 4 anni e che siano gravemente malati (sia a livello psichico che psichico), in quanto la patologia deve essere già presente; c) non possono accedere all'istituto del rinvio obbligatorio della esecuzione della pena di cui all'art. 146, primo comma, numero 3), c.p., perché la grave patologia psichica non integra il presupposto ivi previsto della malattia grave, in fase così avanzata da essere refrattaria alle terapie e, infine, d) non possono beneficiare del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena di cui all'art. 147, primo comma, numero 2), c.p., perché questa previsione riguarda solo i casi di grave infermità fisica.
La Consulta, rilevato il vuoto normativo ha, pertanto, affermato che la mancanza di qualsiasi alternativa la carcere per i detenuti affetti da grave malattia psichica sopravvenuta viola i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27, 32, 117, primo comma Cost.
Segnatamente i giudici delle leggi hanno affermato che:
«[…] la sofferenza che la condizione carceraria inevitabilmente impone di per sé a tutti i detenuti si acuisce e si amplifica nei confronti delle persone malate, sì da determinare, nei casi estremi, una vera e propria incompatibilità tra carcere e disturbo mentale», quindi – anche se è competenza del legislatore portare a termine la riforma dell'ordinamento penitenziario nell'ambito della salute mentale attraverso la previsione di apposte strutture interne ed esterne al carcere – la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potersi esimere «dall'intervenire per rimediare alla violazione dei principi costituzionali denunciata dal giudice rimettente, di modo che sia da subito ripristinato un adeguato bilanciamento tra le esigenze della sicurezza della collettività e la necessità di garantire il diritto alla salute dei detenuti (art. 32 Cost.) e assicurare che nessun condannato sia mai costretto a scontare la pena in condizioni contrarie al senso di umanità (art. 27, terzo comma, Cost.), meno che mai un detenuto malato».