Risarcimento per diffamazione colposa derivante da dichiarazioni infondate all'Autorità Giudiziaria
26 Aprile 2019
Massima
La denuncia infondata di un reato perseguibile d'ufficio, o le dichiarazioni infondate alla A.G., sono fonte di responsabilità per danni in sede civile a carico del denunciante ai sensi dell'art. 2043 c.c. anche quando esse non configurino una fattispecie di reato. Ciò perché se in campo penale l'illecito è perseguibile soltanto nel caso in cui la condotta offensiva dell'agente sia connotata da coscienza e volontà, in sede civile è sufficiente che la condotta sia connotata dall'elemento soggettivo della colpa. Il caso
Tizio, coinvolto in una indagine per concorso esterno in associazione mafiosa, nel corso di una audizione innanzi all'A.G., accusa Caio, componente di una Giunta Regionale e a sua volta indagato per lo stesso reato, di essersi incontrato in una occasione conviviale con un esponente della criminalità organizzata. La stessa accusa nei confronti di Caio viene ribadita con certezza da Tizio in un secondo interrogatorio, con ulteriori particolari circostanziati. Le dichiarazioni rese ai PM hanno avuto ampio clamore mediatico sulla carta stampata e in televisione. Dopo circa sei mesi, Tizio, con una lettera all'A.G., ritratta le precedenti dichiarazioni, ammettendo di avere avuto in buona fede ricordi imprecisi, in particolare escludendo che Caio si fosse mai accompagnato con il predetto mafioso. Caio conviene in giudizio Tizio innanzi al Tribunale civile di Marsala per il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza delle sue dichiarazioni, in quanto queste, nonostante la successiva ritrattazione, anche in virtù dell'eco mediatica, ne avrebbero aggravato la posizione giudiziaria e leso la reputazione sociale e l'immagine pubblica. Il Tribunale di Marsala accoglie la domanda risarcitoria di Caio. La Corte di Appello di Palermo conferma la decisione di primo grado. Caio notifica la sentenza a Tizio e questi non propone ricorso in Cassazione. La sentenza acquisisce autorità di res iudicata.
La questione
La questione giuridica affrontata nel caso in esame è la seguente: assume rilevanza l'elemento soggettivo della colpa ai fini del riconoscimento di una responsabilità di tipo risarcitorio in sede civile derivante da una denuncia che, sebbene rivelatasi infondata, non integri gli estremi del reato di diffamazione? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Appello di Palermo ha fornito risposta positiva percorrendo il seguente iter logico:
a) non è entrata nel merito circa la possibile commissione del delitto di calunnia; b) ha escluso la consumazione del delitto di diffamazione per assenza della coscienza e volontà dell'agente; c) ha quindi valutato in concreto gli elementi costitutivi della condotta del convenuto, inquadrandola nella c.d. diffamazione colposa.
La decisione in commento, pur richiamandosi all'orientamento giurisprudenziale vigente, in realtà appare innovativa e sembra accogliere alcune osservazioni sollevate dalla dottrina (D. SALARI, Il risarcimento del danno da denuncia infondata è limitata ai soli casi di calunnia in Ridare.it; S. FERRARA, Rilevanza della colpa nelle azioni risarcitorie da denuncia infondata. Spunti per un ripensamento in Ridare.it) che aveva evidenziato un deficit di tutela risarcitoria nei casi in cui il comportamento del dichiarante, pur non connotato da dolo, fosse gravemente colposo. L'orientamento giurisprudenziale prevalente, infatti, ritiene che la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio non sarebbe «fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell'art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione», se non quando essa possa considerarsi calunniosa. E ciò in quanto, «al di fuori di tale ipotesi l'attività pubblicistica dell'organo titolare dell'azione penale» si sovrapporrebbe all'iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e così interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa e il danno eventualmente subìto dal denunciato. (Ex multis, Cass. civ., sez. I, 20 marzo 2014, n.6554). Il fondamento logico-giuridico di tale orientamento risiede nella necessità di evitare che alla disponibilità dei cittadini a collaborare con l'autorità giudiziaria, attraverso la denuncia di comportamenti criminosi, siano poste remore derivanti dal timore di incorrere, nel caso di errore, in conseguenze di carattere risarcitorio. Riferire all'A.G. giudiziaria notizie di reato sulla base della erronea convinzione della veridicità dei fatti riferiti esclude, quindi, l'elemento soggettivo del dolo e, di conseguenza, ogni profilo risarcitorio in favore del soggetto danneggiato. Va anche detto che la S.C., temperando il richiamato orientamento, ha comunque chiarito che se «l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosità di un'accusa espressa in termini perentori. L'ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato» (Cass. pen. sez. VI, 21 settembre 2015, n. 26819). Inoltre, in un obiter dictum, la S.C. aveva aperto la strada alla possibilità, nel caso in cui la condotta, pur non essendo calunniosa, risultasse comunque diffamatoria, di riconoscere tutela risarcitoria in sede civile anche in presenza dell'elemento soggettivo della colpa (Cass. civ., n. 10285/2015). La sentenza in commento, dunque, ha ritenuto fonte di responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. per colpa la tardività con cui Tizio ha ritrattato le proprie dichiarazioni. Osservazioni
La sentenza in commento apre uno squarcio nella casistica giudiziaria dominante secondo cui, nel caso di rivelazione di notizie infondate all'A.G., idonee ad accreditare ipotesi di reato contro un terzo, affinché sussista una responsabilità risarcitoria è necessario che sia stato commesso il delitto di calunnia. Sotto tale profilo la soluzione offerta al caso dalla sentenza in commento si smarca dall'insidia rappresentata dalla necessità di dimostrare, al fine di riconoscere una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo. Una prova che spesso risulta assai difficile da offrire in giudizio e che in molti casi, pur in presenza di denunce o di propalazioni infondate all'A.G., ha determinato la sostanziale irresponsabilità del dichiarante (si confronti: Cass. civ.,sez. III, 11 dicembre 2013 n. 27756). Il limitato numero di sentenze civili in cui è stato accertato incidentalmente il reato di calunnia conferma la predetta difficoltà (Trib. Palermo, ord. 18 marzo 2016). Al tempo stesso non vanno nascoste le possibili conseguenze nel delicato equilibrio tra due beni costituzionalmente rilevanti. Ovvero, da un lato, l'esigenza di non intimorire i cittadini che vogliano collaborare con la giustizia per i rischi connessi ad eventuali conseguenze risarcitorie e, dall'altro, l'esigenza che alle vittime di denunce infondate sia assicurato il giusto ristoro. Posto che l'errore di fatto sul fatto esclude il dolo e, pertanto, esclude la responsabilità penale per quei fatti che non siano espressamente preveduti come delitto colposo, nel caso di dichiarazioni infondate all'A.G., quando la colpa andrebbe considerata rilevante a fini risarcitori ex art. 2043 c.c.? Prendendo le mosse dal caso di specie se, per esempio, l'errore nel riconoscimento del soggetto mafioso non fosse mai stato rettificato perché, in perfetta buona fede, il dichiarante fosse rimasto fermo nelle sue convinzioni, si darebbe luogo a responsabilità risarcitoria? È evidente che la valutazione non potrà prescindere dal caso concreto e da un esame che tenga conto di tutti gli elementi di fatto che lo costituiscono. In particolare, si ritiene che per garantire un giusto contemperamento tra i beni costituzionali in conflitto, il grado della colpa che giustifichi un risarcimento in sede civile non potrà essere lieve. Cioè, la condotta non dolosa potrà essere fonte di responsabilità risarcitoria quando sia obbiettivamente ravvisabile e riconoscibile una (significativa) misura di divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e la condotta che era invece da attendersi in base alla norma cautelare cui ci si doveva attenere nel caso di specie. (FIANDACA MUSCO, Diritto penale, Parte Generale). Ma proprio per garantire un equo contemperamento tra beni costituzionali in conflitto (l'esigenza di favorire la massima collaborazione con la giustizia da parte dei consociati e di tutelare i danneggiati), anche innanzi al Giudice civile, è necessario individuare un quid che connoti l'elemento soggettivo della colpa. Si ritiene inoltre che un discrimine tra condotta diffamatoria colposa che dia luogo a risarcimento e condotta diffamatoria colposa che non dia luogo a risarcimento potrebbe essere la riprovevolezza dell'azione del dichiarante. Ovvero quando, in relazione alle circostanze del caso, le conseguenze lesive alla reputazione di un terzo abbiano origine da un comportamento colposo qualificato, caratterizzato dunque non solo dal venir meno a regole di ordinaria diligenza, ma che sia anche contrario al comune sentire. Come nella sentenza in commento in cui la tardività nel ritrattare le dichiarazioni, oltre a non essere intrinsecamente diligente, risulti ingiustificata ed intollerabile in quanto le conseguenze dannose in capo al soggetto colposamente diffamato erano ampiamente prevedibili dal dichiarante al momento delle dichiarazioni rese all'A.G. (anche se non volute e senza che il dichiarante ne accettasse il rischio, altrimenti sussisterebbe il dolo eventuale) e comunque ben visibili allo stesso dopo il clamore mediatico suscitato. E, nonostante ciò, questi abbia atteso oltre sei mesi prima di porvi rimedio. D. SALARI, Il risarcimento del danno da denuncia infondata è limitata ai soli casi di calunnia in Ridare.it; S. FERRARA, Rilevanza della colpa nelle azioni risarcitorie da denuncia infondata. Spunti per un ripensamento in Ridare.it; G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale, Parte Generale. |