Il computo del periodo di incapacità negoziale previsto dal Codice dei contratti pubblici: dibattito giurisprudenziale e recentissime innovazioni normative

Carlo M. Tanzarella
29 Aprile 2019

Il periodo triennale di incapacità negoziale, previsto dall'art. 80, comma 10 del Codice dei contratti pubblici (nel testo antecedente le modifiche recate dal d.l. 18 aprile 2018, n. 32), decorre dalla data di accertamento definitivo del fatto escludente, per definitivo intendendosi l'accertamento che derivi da atto inoppugnabile oppure da sentenza passata in giudicato.
Massimo

Il periodo triennale di incapacità negoziale, previsto dall'art. 80, comma 10 del Codice dei contratti pubblici (nel testo antecedente le modifiche recate dal d.l. 18 aprile 2018, n. 32), decorre dalla data di accertamento definitivo del fatto escludente, per definitivo intendendosi l'accertamento che derivi da atto inoppugnabile oppure da sentenza passata in giudicato.

Il caso

La vicenda esaminata nella decisione in commento riguarda l'impugnazione di un provvedimento di esclusione da una gara d'appalto emesso a carico di impresa che, in passato, aveva subìto la risoluzione anticipata, per inadempimento, di taluni contratti pubblici sottoscritti con altre amministrazioni aggiudicatrici.

La stazione appaltante ha ritenuto ascrivibili alla categoria dei gravi illeciti professionali (art. 80, quinto comma, lett. c) del Codice dei contratti pubblici) i fatti dedotti a fondamento di un provvedimento di risoluzione assunto quasi cinque anni prima della data di pubblicazione del bando di gara, e non contestato in giudizio.

La questione

Con il ricorso, l'impresa esclusa ha dedotto, tra l'altro e per quanto qui di interesse, l'irrilevanza dell'episodio, poiché occorso oltre il triennio antecedente la pubblicazione del bando di gara, e ha a tal fine invocato l'art. 80, comma 10 del Codice dei contratti pubblici che, nel testo risultante dalle modifiche introdotte con l'art. 49 del D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, ha circoscritto a tre anni il periodo di incapacità negoziale degli operatori economici incorsi in una delle cause di esclusione previste dai commi 4 e 5 del medesimo art. 80 (tra le quali rientra l'ipotesi delle significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto che abbiano causato la risoluzione anticipata del rapporto), con la precisazione che il triennio deve essere calcolato dalla data di “accertamento definitivo” dei fatti integranti la fattispecie escludente.

L'interpretazione di quest'ultima locuzione normativa, e l'individuazione del dies a quo di decorrenza del periodo di rilevanza delle vicende di risoluzione anticipata di contratti pubblici (e più in generale, dei fatti integranti motivi di esclusione, ai sensi dei commi 4 e 5 del Codice), sono dunque le questioni giuridiche sottese alla controversia.

Le soluzioni giuridiche

Il Tar le ha risolte nel senso che l'accertamento si considera definitivo quando derivi da atto inoppugnabile oppure da sentenza passata in giudicato: muovendo da tale premessa, il Collegio ha ritenuto inopponibile la vetustà della risoluzione, poiché il triennio previsto dall'art. 80, comma 10 non avrebbe iniziato a decorrere sino a che l'atto di risoluzione non fosse divenuto inoppugnabile con la maturazione (di lì a qualche anno) della prescrizione decennale ai sensi dell'art. 2946 cod. civ.

Tale conclusione (invero contraddittoria, perché qualifica i fatti, ad un tempo, rilevanti per l'esclusione e irrilevanti per il decorso del triennio) è fondata unicamente sul richiamo al precedente costituito da Cons. Stato, Sez. V, 22 giugno 2018, n. 3876, nel cui contesto, tuttavia, è precisato che la violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro è causa di esclusione anche quando il relativo accertamento non sia connotato dal tratto dell'intangibilità proprio della cosa giudicata, con ciò affermando una regola opposta a quella predicata dal Tar per la Puglia.

Attraverso questa più precisa lettura del precedente invocato, si intravvede lo scopo della norma, in considerazione del quale l'interprete deve dare significato al concetto di “definitività” dell'accertamento: esso non attiene alla tutela dell'interesse dell'impresa concorrente a non essere esclusa se non per fatti incontestabili, ma riguarda invece l'individuazione del momento a partire dal quale un fatto acquisisce rilevanza quale potenziale causa di esclusione.

In tale prospettiva si muove Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192 che, nel definire una controversia originata da un'esclusione disposta per fatti di reato accertati con sentenza di primo grado e qualificati dall'Amministrazione gravi illeciti professionali, ha da un lato ritenuto irrilevante il tratto della non definitività della condanna e, dall'altro, ha respinto la tesi secondo cui il termine triennale di rilevanza avrebbe dovuto essere calcolato considerando, quale dies a quo, la data di commissione del reato: sul punto, il Consiglio di Stato ha osservato che, diversamente opinando, la funzione della norma verrebbe frustrata ogniqualvolta i fatti di reato non emergano immediatamente, ma rimangano occultati (come spesso accade) per periodi di tempo più o meno lunghi.

Quest'ultima decisione è coerente con il parere 14 settembre 2017, n. 2042/2017, reso sulla proposta di aggiornamento delle Linee Guida Anac n. 6, nel cui contesto il Consiglio di Stato ha posto l'accento sullo scopo della locuzione “accertamento definitivo” introdotta nell'art. 80 comma 10, rilevando come la novella intenda legare la decorrenza del triennio ad un momento preciso, mentre formule mutuate dal lessico euro-unitario (art. 57, par. 7 della Direttiva 2014/24/UE), che facciano riferimento alla “data del fatto”, potrebbero essere intese quale ancoraggio al momento storico di accadimento, e non assicurerebbero parità di trattamento a situazioni che, pur identiche nella loro consistenza, vengano tuttavia alla luce in tempi differenti per fattori del tutto casuali, così ingiustificatamente comprimendo (o addirittura azzerando) il periodo triennale di rilevanza solo per alcuni, e non per altri.

Sembra dunque esservi concordia di opinioni (confortata dal dato normativo) circa l'impertinenza della data di verificazione storica del fatto ai fini del computo del periodo di rilevanza delle cause di esclusione previste dai commi 4 e 5 dell'art 80 del Codice: rimane però da chiarire quando un fatto emerga nell'ordinamento come potenziale causa di esclusione, e cosa si intenda per “definitività” dell'accertamento laddove il legislatore non richieda espressamente che il fatto escludente sia cristallizzato in una sentenza definitiva (come è previsto, ad esempio, nel comma 4 per le infrazioni tributarie).

Su tali profili, la giurisprudenza amministrativa ha fatto registrare varie posizioni: si è infatti sostenuto che non è necessario il giudicato affinché l'illecito professionale rilevi come motivo di esclusione (Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 5 marzo 2019, n. 215), e che nemmeno occorre una sentenza laddove vi siano altri gravi indizi (Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367), ma secondo altre decisioni, pur potendo i provvedimenti del giudice penale rilevare ai fini della valutazione dell'affidabilità del concorrente, l'esclusione non potrebbe comunque essere disposta se non a fronte del passaggio in giudicato della sentenza (Tar Basilicata, Sez. I, 4 febbraio 2019, n. 145).

Con specifico riguardo all'ipotesi della risoluzione contrattuale, la giurisprudenza amministrativa si è mostrata attenta alla formulazione letterale dell'art. 80, comma 5, lett. c), che, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, stabiliva che lo scioglimento del rapporto potesse rilevare quale illecito professionale a condizione che non fosse contestato in giudizio, oppure risultasse confermato all'esito di un giudizio: così, è stata dichiarata l'illegittimità dell'esclusione disposta in pendenza di giudizio contro la risoluzione (Tar Lazio, Latina, Sez. I, 26 febbraio 2019, n. 136), ed è stato altresì affermata la giuridica irrilevanza di fatti di inadempimento che, pur oggetto di controversia giurisdizionale, hanno infine dato scaturigine ad un accordo transattivo e non ad una pronuncia giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5136).

Peraltro, Cons. Stato. Sez. V, 3 maggio 2018, ord. n. 2639 ha rinviato alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale di compatibilità con il diritto dell'Unione dell'art. 80, comma 5 lett. c), nella parte in cui subordina l'esclusione alla intervenuta conferma giurisdizionale della risoluzione contrattuale.

Osservazioni

La decisione in commento non sembra aver considerato la funzione propria della norma in esame, volta a contenere, sotto il profilo temporale, l'efficacia escludente di circostanze potenzialmente incidenti sull'affidabilità dell'operatore economico, che non può certo essere revocata in dubbio per incidenti capitati nella vita imprenditoriale in tempi (anche molto) remoti.

In tale prospettiva, la soluzione accolta dal Tar conduce a conseguenze paradossali e in aperto contrasto con tale ratio legis: una risoluzione contrattuale risalente di cinque anni è ritenuta idonea a giustificare l'esclusione, senza che sia legittimamente opponibile il decorso del termine triennale di rilevanza fintanto che sia pendente quello prescrizionale decennale per proporre l'azione giurisdizionale, con l'effetto ultimo di espandere oltremodo il periodo di rilevanza escludente del fatto, che potrebbe così determinare la pretermissione dell'impresa dal mercato delle commesse pubbliche per ben tredici anni (corrispondenti alla somma del decennio prescrizionale e del triennio di incapacità negoziale), o addirittura per un periodo più lungo (se l'azione fosse promossa allo spirare del termine di prescrizione e si dovessero attendere tre gradi di giudizio).

Il tema di fondo, da cui dipende la corretta applicazione della norma, è quello dell'individuazione del momento di emersione dei fatti potenzialmente escludenti, a partire dal quale questi possono (e anzi, debbono) essere valutati.

È un accertamento da operare caso per caso, per soddisfare le esigenze di prevedibilità e di certezza del diritto in rapporto alla peculiarità della fattispecie e garantire l'ordinato svolgimento delle procedure di evidenza pubblica: in tal senso depone anche la decisione CGUE, Sez. IV, 24 ottobre 2018, causa C-124/2017 che, investita di questione pregiudiziale relativa alla determinazione del dies a quo del periodo triennale di incapacità negoziale in una vicenda in cui la fattispecie escludente era integrata da un'intesa restrittiva della concorrenza sanzionata dalla competente Autorità garante nazionale, ha ritenuto rilevante tale provvedimento e non invece il momento storico nel quale aveva operato l'intesa, e ciò ha affermato recependo le conclusioni dell'Avvocato Generale, secondo cui per “data del fatto”, ai sensi dell'art. 57, par. 7 della Direttiva 2014/24/UE, deve intendersi il momento in cui l'Amministrazione aggiudicatrice può disporre di informazioni sicure e dimostrabili sull'esistenza di un fatto potenzialmente escludente (nel caso esaminato, le intese restrittive della concorrenza sono esistenti solo quando accertate dall'Autorità competente).

Sul tema, occorre segnalare che l'art. 5 del d.l. n. 138/2018, modificando il quinto comma dell'art. 80 del Codice dei contratti, ha fatto obbligo alle stazioni appaltanti, in relazione alla fattispecie (ora tipica e non più solo esemplificativa) delle significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto che abbiano causato la risoluzione o la condanna al risarcimento o altre sanzioni comparabili, di motivare l'esclusione anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione: rimasto immutato il comma 10, le due norme debbono essere coordinate, e il coordinamento può essere operato nel senso che, all'interno del triennio, residua comunque un margine di apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione in merito all'incidenza del tempo trascorso sulla possibilità di instaurare un vincolo di fiducia con il concorrente.

Peraltro, l'art. 1, comma 1, lett. n), n. 6 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 ha interamente riscritto il comma 10 dell'art. 80 e introdotto un nuovo comma 10 bis, nel cui contesto si prevede che il termine di interdizione per tutte le fattispecie escludenti di cui al comma 5 decorre dalla data di adozione del provvedimento di esclusione (pare dunque che debba esservi già stata un'esclusione, sicché potrebbe rimanere aperto il tema della rilevanza temporale dei fatti che l'hanno originata), oppure dalla data di passaggio in giudicato della sentenza in caso di contestazione in giudizio dell'esclusione: in tal caso, nelle more della definizione del gravame, l'Amministrazione deve valutare la sussistenza dei presupposti per l'esclusione, tenendo conto della circostanza che sia stata impugnata l'esclusione.

Sarà da verificare se tale nuova disciplina verrà mantenuta in sede di approvazione della legge di conversione.

Osservazioni

F. Pignatiello, Le novità in tema di cause di esclusione, in M.A. Sandulli – M. Lipari – F. Cardarelli (a cura di), Il correttivo al codice dei contratti pubblici, Milano, 2017, 207.

P. Giammaria, Art. 80, in L.R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, II ed., Milano, 719

L. Mazzeo – L. De Pauli, Le linee guida dell'Anac in tema di gravi illeciti professionali, in Urb. App., 2018, 155.

C. Contessa, Il nuovo “codice dei contratti” e la polimorfa nozione di “gravi illeciti professionali”, in Urb. App., 2018, 657.

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