Accertamento in via incidentale dell'“ingiustificatezza” del licenziamento del dirigente

Luigi Di Paola
06 Maggio 2019

In tema di licenziamento del dirigente, quando l'erogazione delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro presupponga, in base al c.c.n.l. di settore, che il licenziamento non sia giustificato, l'ingiustificatezza può formare oggetto di un accertamento incidentale...
Massima

In tema di licenziamento del dirigente, quando l'erogazione delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro presupponga, in base al c.c.n.l. di settore, che il licenziamento non sia giustificato, l'ingiustificatezza può formare oggetto di un accertamento incidentale nel giudizio sulle spettanze economiche, senza necessità di un'autonoma impugnazione del licenziamento; ne consegue che la mancata presentazione o l'intervenuta prescrizione della domanda di annullamento del recesso datoriale non precludono l'esame della domanda relativa alle indennità.

Il caso

Un dirigente agisce in giudizio per il conseguimento, tra l'altro, dell'indennità sostitutiva del preavviso e di quella supplementare.

La sentenza di rigetto - incentrata sulla maturata prescrizione dell'azione di impugnativa del licenziamento - viene riformata in appello, sul rilievo (per come si legge nella motivazione della pronuncia in commento) “che l'onere di impugnazione del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale é sottratto alla previsione di cui all'art. 6, l. n. 604 del 1966, trattandosi di rapporto recedibile ad nutum e quindi estraneo alla legislazione vincolistica, con la conseguenza che può essere esercitata entro il normale termine di prescrizione l'azione giudiziaria finalizzata all'accertamento relativo alla mancanza di giustificatezza del licenziamento e la condanna del datore di lavoro al pagamento dell'indennità supplementare”.

La Cassazione, confermando la pronuncia di secondo grado, rigetta il ricorso proposto dall'azienda.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel rapporto di lavoro dirigenziale, la “ingiustificatezza” del licenziamento può essere accertata in via meramente incidentale dal giudice?

Le soluzioni giuridiche

La S.C. dà al quesito risposta positiva, sul centrale rilievo che il dirigente, ove voglia conseguire determinate poste economiche correlate alla ingiustificatezza del recesso, non é tenuto a chiedere in via esplicita al giudice l'accertamento del vizio, la cui sussistenza, quindi, potrà essere valutata in via incidentale (quale antecedente logico - si potrebbe aggiungere - della domanda).

Pertanto, non essendovi necessità di un'azione di impugnativa del licenziamento, la prescrizione non può operare con riguardo a quest'ultimo, ma solo in relazione alle spettanze economiche; e, nel caso esaminato, il corso della prescrizione era stato interrotto con un atto di costituzione in mora (onde l'irrilevanza del decorso del quinquennio dal momento del recesso a quello dell'azione giudiziale).

Si tratta ora di approfondire le ragioni di una tale ricostruzione.

Occorre partire dall'affermazione della S.C. secondo cui, nel caso, difetterebbe un interesse del dirigente all'annullamento del licenziamento.

Ciò porta a ritenere che, anche qualora il dirigente formulasse in giudizio esplicita richiesta - in via strumentale al conseguimento delle poste monetarie - di accertamento della ingiustificatezza, la richiesta in questione non avrebbe peso giuridico, onde, se anche fosse decorso il termine di prescrizione quinquennale, non sarebbe impedito al giudice di procedere oltre nella sequenza delle questioni da affrontare, pervenendo alla decisione sulle indennità.

Al riguardo, la S.C. richiama alcuni precedenti, nei quali è affermato, da un lato (cfr. Cass. 22 giugno 2006, n. 14461), che “in caso di recesso non affetto da nullità, ma soltanto ingiustificato, l'atto di recesso è inidoneo a realizzare la risoluzione del rapporto soltanto nell'ambito dell'area di operatività della stabilità reale”, e, dall'altro (cfr. Cass. 21 novembre 2007, n. 24246), che “in tema di licenziamento ingiustificato (del dirigente), non sussiste un interesse all'affermazione dell'esistenza di una forma di illiceità piuttosto che di un'altra, sotto il profilo della non giustificatezza, ove la distinzione non produca rilevanti effetti in ordine alle conseguenze dell'illegittimità del recesso”.

Dalla combinazione dei riportati principi sembrerebbe prendere forma l'idea che ove non possa operare la tutela ripristinatoria, l'azione di impugnativa del licenziamento non è necessaria, poiché il vero oggetto del giudizio è costituito dal connesso diritto alle poste monetarie.

Tale conclusione, sul piano dogmatico, potrebbe in astratto valere anche nel caso del lavoratore - non dirigente - licenziato che agisca in giudizio, in difetto di impugnazione del licenziamento, per il conseguimento della sola tutela indennitaria ex art. 18, commi 5 o 6, St.lav. (oppure art. 3, comma 1, e art. 4, d.lgs. n. 23 del 2015, quanto ai nuovi assunti); sennonché, avuto riguardo al dato positivo, ciò è da escludersi, poiché una strategia processuale di tal fatta determinerebbe un non consentito aggiramento della decadenza ex art. 6, l. n. 604 del 1966.

Proprio l'eventuale inapplicabilità di quest'ultima norma al recesso dal rapporto dirigenziale potrebbe, in effetti, avvalorare la soluzione adottata dalla S.C. (dovendo ad ogni buon conto precisarsi che, nella vicenda, non pare esser venuta in rilievo la questione della decadenza dall'impugnativa del licenziamento, non risultando che la società abbia proposto la relativa eccezione in giudizio).

Va però sul punto evidenziato che l'art. 32, comma 2, l. n. 183 del 2010 (il cui comma 1, come modificato, ha sostituito l'art. 6, l. n. 604 del 1966, stabilendo il termine di decadenza di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento e il termine di inefficacia di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale), ha previsto che “Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”.

E, in merito, la S.C. (Cass. 5 novembre 2015, n. 22627) ha affermato che “L'art. 6, l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, l. n.183 del 2010, che prevede il termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, cui deve seguire a pena di inefficacia il deposito del ricorso giurisdizionale nei successivi centottanta giorni, si applica, in forza del comma 2, del citato art. 32, l. n.183 del 2010, senza che assuma rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore e, dunque, anche ai dirigenti, dovendosi individuare la “ratio” della disciplina introdotta dalla l. n. 183 del 2010 nell'esigenza di garantire la speditezza dei processi, attraverso l'introduzione di termini di decadenza ed inefficacia in precedenza non previsti, in aderenza con l'art. 111, Cost., operando un non irragionevole bilanciamento tra la necessità di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa del lavoratore”.

Sembrerebbe, pertanto, che, per effetto della sopra illustrata innovazione legislativa, anche il licenziamento del dirigente debba oggi essere impugnato a pena di decadenza.

Tuttavia, il caso esaminato dalla S.C. nella sentenza da ultimo menzionata concerneva un caso di impugnativa di un licenziamento ritenuto affetto da nullità, categoria rientrante certamente nel paradigma dell'invalidità; mentre, nella vicenda decisa con la sentenza in commento, il licenziamento era affetto da ingiustificatezza, la cui riconducibilità a detto paradigma è, per come subito si vedrà, da verificare.

Osservazioni

Il tema, non poco articolato, investe vari profili.

Stando alla lettera del richiamato art. 32, comma 2, l. n. 183 del 2010, l'impugnativa a pena di decadenza è necessaria in presenza di un licenziamento “invalido”, quindi nullo o annullabile.

È dubbio se la “ingiustificatezza” possa rientrare nella categoria dell'invalidità.

Ove al quesito volesse darsi risposta positiva, l'accertamento incidentale dell'ingiustificatezza del licenziamento finirebbe per vanificare non plausibilmente l'operatività della decadenza; una volta compiuta quest'ultima, infatti, il giudice non potrebbe passare - logicamente - all'esame di domande che trovano il loro fondamento nella predetta ingiustificatezza.

In altri termini, sarebbe irragionevole porre, dapprima, uno sbarramento temporale per procedere all'accertamento – concernente l'illegittimità di un atto - funzionale a rendere azionabile il diritto a determinate spettanze economiche e, poi, consentire che detto sbarramento possa essere bypassato mediante la proposizione di un'azione volta direttamente al conseguimento delle spettanze in questione.

Qualora, invece, si ritenga che la categoria dell'“ingiustificatezza” è estranea a quella dell'invalidità, con conseguente non operatività della decadenza, allora la soluzione affermata dalla S.C. risulterebbe priva di controindicazioni. Restandone implicitamente confermata l'idea che, ove dall'illegittimità del licenziamento non derivino conseguenze ripristinatorie, non vi è necessità di impugnativa; infatti, fuori dall'area di operatività della tutela reintegratoria, non sembrano giustificarsi le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e di celerità dei processi che l'istituto della decadenza mira a soddisfare.

In quest'ottica suonerebbe, addirittura, non più ragionevole la previsione della necessaria impugnativa a pena di decadenza del licenziamento del “non dirigente” nel regime della tutela (che attualmente costituisce per lo più la regola) indennitaria; rivelandosi, in tal caso, impropria la stessa riconducibilità del licenziamento ingiustificato all'istituto dell' “annullabilità” (su cui v., ad esempio, nel regime previgente, Cass. 6 agosto 2013, n. 18732: “L'azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo, in quanto diretta a fare valere un vizio di annullabilità, si prescrive in cinque anni, e tale prescrizione determina - al pari della decadenza dall'impugnativa del licenziamento - l'estinzione del diritto di far accertare l'illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso”). Infatti, nel regime meramente indennitario, cessando comunque il rapporto di lavoro al momento dell'avvenuto recesso, non si produrrebbero gli ordinari effetti dell'annullamento, sicché il licenziamento non giustificato dovrebbe integrare un mero inadempimento contrattuale.

Vi è però da evidenziare che, nell'ambito del rapporto non dirigenziale, il regime dell'impugnativa del licenziamento a pena di decadenza mantiene, comunque, inalterata la sua originaria finalità (ossia quella di certezza e speditezza), poiché, come l'esperienza fa registrare, il lavoratore, di norma, agisce in giudizio chiedendo, in prima battuta, la reintegra nel posto di lavoro.

Mentre, nel rapporto dirigenziale, dalla ingiustificatezza del licenziamento non possono che derivare spettanze economiche, costituenti l'oggetto di una tutela di diritto comune.

La problematica, come è agevole notare, è complessa, sicché occorrerà verificare come si orienterà, in futuro, la giurisprudenza, soprattutto in ordine al profilo della necessità, o meno, nel rapporto dirigenziale, dell'impugnativa a pena di decadenza del licenziamento affetto da ingiustificatezza.

Per riferimenti sul tema, v.: G. Mimmo, Il licenziamento del dirigente, in “Vicende ed estinzione del rapporto di lavoro”, III, Lavoro, Pratica Professionale, diretto da P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei, Giuffrè, 2018, 416.