Codice Civile art. 1833 - Recesso dal contratto.

Mauro Di Marzio

Recesso dal contratto.

[I]. Se il contratto è a tempo indeterminato [1823 2], ciascuna delle parti può recedere dal contratto a ogni chiusura del conto, dandone preavviso almeno dieci giorni prima.

[II]. In caso d'interdizione [414 ss.], d'inabilitazione [415 ss.], d'insolvenza o di morte di una delle parti, ciascuna di queste o gli eredi hanno diritto di recedere dal contratto (1).

[III]. Lo scioglimento del contratto impedisce l'inclusione nel conto di nuove partite, ma il pagamento del saldo non può richiedersi che alla scadenza del periodo stabilito dall'articolo 1831.

(1) V. art. 78 r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Inquadramento

Il contratto di cash pooling, noto nel nostro paese anche come contratto di tesoreria, è un contratto atipico che unisce in sé elementi causali propri del mandato e del contratto di conto corrente ordinario. Tale negozio è nato, come molti contratti atipici, sulla scorta dell'esperienza internazionale, in particolare in ragione di prassi proprie dei gruppi di imprese volte ad omogeneizzare i comportamenti verso il ceto bancario delle partecipate e, più in particolare, a controllare e istituire un servizio accentrato di tesoreria relativo ai flussi finanziari delle imprese aderenti allo stesso gruppo. Il contratto persegue altresì, in senso lato, una funzione di finanziamento verso quelle imprese del gruppo che si trovano ad avere flussi finanziari temporanei negativi, potendo invece fruire dei saldi temporanei positivi delle altre imprese aderenti.

Conto corrente ordinario

Come è noto, il codice civile, all'articolo 1823 c.c., definisce il conto corrente come «il contratto con il quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerando inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto». Si tratta, quindi, di un contratto volto a consentire alle parti, che siano reciprocamente creditrici per taluni affari e debitrici per altri, di gestire i rispettivi crediti in modo unitario. Mediante il conto corrente, infatti, le parti potranno operare una liquidazione per differenza delle loro posizioni, attraverso una compensazione dei rispettivi crediti e debiti condotta a scadenze periodicamente predeterminate.

La temporanea inesigibilità che caratterizza le somme computate sul conto corrente ordinario costituisce la principale differenza tra tale figura negoziale ed il conto corrente bancario, che non è una fattispecie autonoma ma un modo di regolare le operazioni bancarie di debito e credito. In quello bancario, infatti, il credito è sempre esigibile dal correntista (cfr. art. 1852 c.c.).

Di rilievo anche la prescrizione dell'art. 1824 c.c., alla cui stregua sono esclusi dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione e che qualora — come è certo più frequente — il contratto intervenga tra imprenditori, s'intendono esclusi dal conto i crediti estranei alle rispettive imprese.

Rara è la giurisprudenza che si è occupata del conto corrente ordinario, mentre — all'opposto — estremamente diffusa quella relativa a rapporti bancari. Nel rinviare per quest'ultima ai commenti relativi ai pertinenti articoli del codice, in questa sede va ricordato che secondo Cass. n. 2415/1983 la sussistenza di una convenzione di conto corrente, per regolare i rapporti fra agente e preponente, anche al fine dell'applicazione del disposto dell'art. 1832 c.c. in tema di approvazione del conto, postula una espressa pattuizione, e, pertanto, in difetto di questa, ovvero in presenza di una pattuizione contraria, non può essere desunta dalla mera circostanza dell'invio di estratti-conto circa le rispettive situazioni di dare ed avere.

Cash pooling: contratto di tesoreria infragruppo

Il contratto di cash pooling rientra nella categoria dei contratti atipici (ex art. 1322 c.c.) e può essere definito come un accordo stipulato dalle società consociate (normalmente facenti parte dello stesso gruppo) con altra società (usualmente la capogruppo), che funge da centro di tesoreria e ha per oggetto la gestione di un conto corrente «accentrato» sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata.

La complessità degli elementi negoziali confluenti in un'unica fattispecie contrattuale non consente di assimilare agevolmente tale tipologia di accordo a una precisa fattispecie contrattuale; sebbene la dottrina, in modo pressoché unanime, riconduca il contratto in esame a una particolare forma di conto corrente non bancario, in realtà elementi propri del mandato e una causa sottesa di finanziamento comporta che vi siano orientamenti non concordi con tale ricostruzione.

Gli autori che hanno evidenziato la natura diversa del cash pooling rispetto al conto corrente bancario inquadrano il contratto in argomento tra i contratti misti, desumendo tale qualificazione attraverso la combinazione di elementi propri del contratto di conto corrente ed elementi propri dei contratti di finanziamento, ove la causa mista e unitaria viene individuata specificatamente nella gestione della tesoreria di gruppo. Tuttavia, il fondamento causale del negozio in commento non è semplicemente, come negli ordinari contratti di conto corrente non bancario, la gestione dei rapporti che potranno sorgere tra le parti in virtù di altri atti giuridici, ma è la gestione della tesoreria secondo modalità tali da compensare, sebbene temporaneamente, le carenze di liquidità di taluni partecipanti con le disponibilità degli altri, al fine di evitare o ridurre il ricorso all'indebitamento bancario.

Appare dunque innegabile che nella fattispecie in esame si verifichi, sia pure con effetto collaterale, un'operazione di finanziamento a favore delle società del gruppo, che vedono coprire le loro passività di conto per effetto della gestione «accentrata» delle liquidità del gruppo medesimo. In definitiva si tratta di un contratto il cui elemento «prestito» è insito in tale tipo di negozio e ciò a prescindere dalla circostanza che in tale negozio il fondamento causale non sia quello di un'operazione di finanziamento.

La circostanza che il contratto persegua (anche) uno scopo di finanziamento, rende estremamente delicato — e conseguentemente pone una certa attenzione dei pratici — il profilo della possibile applicabilità della postergazione alle operazioni di finanziamento infragruppo: risultano infatti assai frequenti i finanziamenti effettuati dalla società che esercita attività di direzione e coordinamento alla società «controllata», ai sensi dell'art. 2359 c.c. (a sua volta richiamato dall'art. 2497-sexies c.c.). In tale ipotesi l'art. 2497-quinquies c.c. estende, «ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti ”la duplice regola della postergazione e della restituzione del rimborso operato nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, enunciata nell'art. 2467 c.c. con riferimento ai crediti derivanti da finanziamenti effettuati in «qualsiasi forma» dai soci di società a responsabilità limitata a favore di quest'ultima «in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».

A sua volta la nozione di finanziamento è intesa in senso particolarmente lato, intendendosi tutte le operazioni che raggiungono, anche indirettamente, il risultato di realizzare un sostanziale finanziamento dell'impresa sociale, come ad esempio la non riscossione di crediti scaduti, le fideiussioni, gli apporti dei soci, ecc... Una nozione così ampia finisce per ricomprendere — potenzialmente — anche le reciproche compensazioni operate sul conto di tesoreria gestito dalla capo gruppo anche per conto delle controllate, quando una di queste si trovi in una situazione di crisi di liquidità.

Più in generale, va notato che l'OIC, con la revisione del principio contabile OIC 14 dedicato alle «Disponibilità liquide», si adegua alle tecniche della gestione accentrata della tesoreria, dettando le regole contabili da seguire per la contabilizzazione del cash pooling.

In concreto il cash pooling può realizzarsi attraverso due forme principali:

• il Notional Cash pooling (NCP), che comporta la mera compensazione dei saldi di conto corrente bancario delle società consociate in modo da consentire il finanziamento delle singole società fino alla concorrenza del saldo compensato dei rispettivi conti correnti;

• lo Zero Bilance System (ZBS), il quale prevede la gestione della tesoreria per il tramite del conto corrente bancario di una società del gruppo che agisce quale centro di tesoreria, nonché l'apertura di tanti conti correnti bancari quante sono le società del gruppo che aderiscono al cash pooling, con conseguente stipula di altrettanti contratti di conto corrente di corrispondenza ("conti correnti aziendali») tra le società del gruppo e il pooler.

Aveva affermato Trib. Pistoia, 17 febbraio 2010 che il contratto di cash pooling permette di accentrare in capo ad un unico soggetto giuridico la gestione delle disponibilità finanziarie del «gruppo societario» e dunque conferma l'esistenza del gruppo stesso.

Accordo di cash pooling e bancarotta fallimentare

La formalizzazione di un contratto di tesoreria infragruppo può assumere particolare rilievo nel caso in cui una (o più) delle società coinvolti entri in una situazione di vera e propria insolvenza, cui segua la dichiarazione di fallimento. Tale forrmalizzazione, infatti, potrebbe — se ispirata ad una razionale ed effettiva operatività gestionale e non allo scopo di drenare risorse — evitare di incorrere in responsabilità penali. Viene in considerazione, in particolare, l'ipotesi della bancarotta preferenziale, che l'art. 216, comma 3l. fall. punisce con la reclusione da uno a cinque anni quando il fallito, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Tale ipotesi di reato si caratterizza, rispetto alle altre figure di bancarotta, innanzitutto, per il fatto che l'oggetto giuridico è rappresentato dall'interesse dei creditori alla distribuzione del patrimonio secondo le regole della par condicio. L'elemento psicologico è costituito dal dolo specifico, consistente nel fine di favorire alcuni dei creditori, accettando il rischio di verificazione di un danno per gli altri. Si ritiene che il dolo specifico non sia escluso dal perseguimento di fini ulteriori come, ad esempio, la speranza di evitare il fallimento; non è sufficiente, però, che vi sia stato il soddisfacimento di alcuni creditori a danno di altri, essendo necessario che il debitore abbia agito con lo scopo particolare di favorire alcuni creditori e non altri.

Va poi notato che, in termini più generali, l'eventuale trasferimento di liquidità dalle società in condizioni di malessere economico al pooler affinché questi destini il denaro così ottenuto al conto corrente accentrato, ma a sostanziale beneficio anche delle società del gruppo che non si trovano in situazione di crisi, può assumere da un lato la connotazione di bancarotta fraudolenta per distrazione e, dall'altro, quando la società originariamente beneficiata dal sistema di cash pooling, saldi, per mezzo della gestione della tesoreria unica, il suo debito nei confronti delle consociate restituendo anche se già in condizione di tensione finanziaria quando in precedenza ottenuto, si aprono gli spazi per una possibile contestazione di bancarotta preferenziale.

Con la decisione resa dalla Cassazione penale nel 2018 si è affrontato un caso non così infrequente: gli amministratori di una società fallita, facente parte di un gruppo societario, erano stati condannati per il delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale in relazione ad una serie di pagamenti fatti a favore della società controllante allo scopo di favorirla a danno dei creditori. In particolare, approfittando della confusione tra la gestione finanziaria della fallita e quella delle altre società del medesimo gruppo, nonostante l'esistenza di creditori muniti di privilegio, aveva rimborsato alla predetta società finanziamenti per un significativo importo, mediante cessioni di crediti che la società fallita vantava nei confronti di altre società del gruppo. In sede di legittimità gli amministratori hanno sostenuto la possibilità di giustificare i versamenti a favore del pooler in un'ottica di esecuzione del contratto di cash pooling, fungendo la capogruppo da tesoreria del gruppo, confluendo in essa le partite di dare ed avere al fine di evitare il ricorso ad istituti di credito, con i conseguenti maggiori costi. Mentre in passato tali considerazioni non erano mai state riconosciute come rilevanti, al fine di conferire legittimità in sede penalistica al cash pooling; di contro, con la decisione in commento la S.C., pur confermando la decisione di condanna emessa in sede di merito, ha riconosciuto una tendenziale liceità di questa forma contrattuale di strutturazione della finanza aziendale nell'ambito dei gruppi di impresa, evidenziando i vantaggi e gli obiettivi che con il cash pooling è possibile raggiungere.

La S.C. ha posto tuttavia due limiti precisi: a) in primo luogo, i passaggi di denaro fra soggetti aggregati nella tesoreria unitaria devono essere eseguiti in presenza di una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto scritto (deve aggiungersi: avente data certa) con indicazioni specifiche delle modalità e dei termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché delle modalità e dei termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare, nonché dell'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi sui crediti annotati nel conto comune, modalità e tempi di erogazione degli interessi medesimi, previsione di eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoreria; b) in secondo luogo, intanto è possibile riconoscere la liceità di un contratto di cash pooling in quanto tale accordo si iscriva all'interno della logica dei cd. vantaggi compensativi propria dell'operatività di un gruppo di imprese ed in base alla quale operazioni che isolatamente considerate appiano pregiudizievoli per una persona giuridica possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo vantaggio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese.

Si tratta quindi di un doppio presupposto, sia formale che sostanziale, la cui dimostrazione appare a carico dell'amministratore coinvolto, stante l'altrimenti obiettivo disvalore che l'atto di dissipazione (nella bancarotta distrattiva) od il pagamento (in quella preferenziale) rivela, se posto in essere in una situazione societaria già in crisi finanziaria.

Cass. pen. n. 34457/2018 , ha ritenuto che, in materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurano il reato di bancarotta preferenziale e possono eventualmente essere ricondotti all'operatività del contratto cosiddetto di cash pooling — che consiste nell'accentrare in capo ad un unico soggetto giuridico l'amministrazione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario, operando tramite la gestione di un conto corrente unico sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata — solo qualora ricorra la formalizzazione di tale contratto di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo. (Nella fattispecie esaminata, la Corte ha respinto i ricorsi degli imputati volti a ricondurre i pagamenti preferenziali nell'ambito del contratto di cash pooling, rilevando che dai documenti della società fallita non risultava alcun formale contratto di tal genere, ma solo una prassi del gruppo societario tesa alla gestione delle risorse finanziare del gruppo nella maniera più utile per affrontare situazioni di criticità economica comuni).

Tale pronuncia sembra superare parzialmente quanto affermato da Cass. n. 33774/2015, la quale ha invece ritenuto la sussistenza del reato di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione al versamento da parte della società fallita al pooler di una somma a titolo di fondo per la ristrutturazione, venendo poi tale contante trasferito nel patrimonio della controllante e utilizzato per costi della controllata solo per un importo minimo.

In giurisprudenza si è infine affermato che, in tema di reati fallimentari, integra distrazione rilevante il trasferimento di fondi alla capogruppo invocando l'attuazione di un sistema di tesoreria accentrata («cash pooling»), atteso che nessun sistema, comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una società ad un'altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell'ente in sofferenza (Cass. pen. V, n. 22860/2019, che ha precisato che non vale ad escludere la natura distrattiva dell'operazione la responsabilità della controllante per i debiti della controllata, delineata dall' art. 2497 c.c. , determinandosi comunque una maggiore difficoltà per i creditori della fallita, tenuti a rivalersi nei confronti di un ente diverso da quello con il quale hanno instaurato rapporti commerciali).

Va ricordato per completezza che la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha recentemente ribadito la legittimazione del curatore — precedentemente discussa nella giurisprudenza di merito — ad agire nei confronti degli amministratori per i danni provocati da eventuali pagamenti preferenziali: secondo Cass. S.U., n. 1641/2017, infatti, il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori.

Una volta che sia riconoscibile la opponibilità del contratto di cash pooling alla procedura fallimentare, dovrebbe potersi invocare l'applicazione di quanto affermato da Cass. I, n. 22044/2016, secondo cui quando il creditore richiede l'ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l'esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza; ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili dell'esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione.

Più in generale, sulla ratio della postergazione, cfr. la Cass. n. 14056/2015, secondo cui «si deve, preliminarmente, evidenziare che la disciplina dei finanziamenti dei soci contenuta nell'art. 2467 c.c., tende a contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale delle società, determinato dalla convenienza dei soci a ridurre la loro esposizione al rischio d'impresa». Con tale (illegittima) condotta, infatti, i soci riverserebbero sui terzi creditori sociali il rischio d'impresa, concorrendo altresì paritariamente con questi per ottenere il rimborso del finanziamento.

Profili fiscali

Ai fini dell'Imposta sul reddito delle società (c.d. IRES) gli interessi attivi e passivi concorrono alla determinazione del reddito secondo il principio di competenza (articolo 109 del TUIR).

L'articolo 89, comma 7, del d.P.R. n. 917/1986 stabilisce che «per i contratti di conto corrente e per le operazioni bancarie regolate in conto corrente, compresi i conti correnti reciproci per servizi resi intrattenuti tra aziende e istituti di credito, si considerano maturati anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto». Pertanto, il legislatore tributario ha previsto, in capo alle diverse società aderenti al sistema di cash pooling, che i relativi interessi attivi e passivi concorreranno alla determinazione del reddito per l'intero ammontare, e non limitatamente al saldo conseguente alla compensazione effettuata, rilevando ai fini della determinazione del reddito d'impresa, non il saldo, ma i relativi ammontari complessivi.

Per quanto riguarda il regime di deducibilità degli interessi passivi, l'articolo 96 del TUIR prevede, al primo comma, che «la quota di interessi passivi che residua dopo l'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 97 e 98 è deducibile per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi». In particolare, per quanto concerne l'applicazione al cash pooling delle disposizioni di cui all'articolo 98 del TUIR (c.d. thin capitalization), la circolare Agenzie Entrate n. 11/2005 precisa che «ai fini dell'applicazione della thin capitalization rule, il contratto di zero balance cash pooling non rileva». Diversamente, per quanto riguarda il notional cash pooling, la stessa circolare n. 11/2005 precisa che esso «costituisce un sistema di compensazione degli interessi tra società appartenenti ad uno stesso gruppo»; pertanto, tale compensazione consente alla società intestataria del conto corrente di ottenere che il proprio conto risulti a debito, usufruendo nella sostanza di una forma di finanziamento, ancorché indiretta.

Sempre in materia di imposta IRES si è ritenuto che il deposito di liquidità effettuato dalla società italiana presso la consociata belga è configurato come servizio documentato di «cash pooling» di tesoreria accentrata di gruppo. Posto che la società italiana accertata non è un istituto di credito che eroga finanziamenti sul mercato, con tutti i costi di struttura ed i rischi connessi, non è corretto applicare agli interessi attivi derivanti dal suddetto deposito il tasso Eonia maggiorato, in quanto proprio dei finanziamenti bancari. È conseguentemente congruo il tasso Libor più spread di 25 punti base applicato dalle società, in quanto si è in presenza della gestione accentrata di tesoreria di gruppo mediante un deposito a vista» (Comm. prov.le Milano II, 21 marzo 2012, n. 100).

Occorre aggiungere che ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, le operazioni connesse ad accordi di cash pooling rientrano tra le operazioni finanziarie e, pertanto, le relative prestazioni di servizio sono da ricondurre al novero delle operazioni esenti ai sensi dell'art. 10, n. 1, del d.P.R. n. 633/1972.

Dal punto di vista fiscale, Cass. V, n. 15477/2018 ha rilevato che in tema di doppia imposizione il contratto di cash pooling è da intendersi come un contratto di tesoreria accentrata che costituisce uno strumento per la gestione dei flussi finanziari in quanto consente una gestione centralizzata del fabbisogno finanziario del gruppo mediante il trasferimento a una società cosiddetta «tesoreria» dei saldi attivi e passivi dei singoli c/c intestati alle varie società. Ne deriva che, ancorché in esecuzione del contratto di cash pooling si sia verificata la compensazione tra le rispettive posizioni debitorie delle società, ciò può assumere rilievo sotto il profilo contabile, ma l'incasso dei dividendi, che contabilmente è valso ad estinguere per compensazione un debito nei confronti della società che li ha corrisposti, è un fatto fiscalmente rilevante laddove risulti essere stato regolarmente annotato nei libri sociali, dando diritto, per ciò stesso, al rimborso.

Inoltre, in tema di IRAP, l'esenzione di cui all' art. 17 del d.lgs. n. 446/1997 non si applica all'operazione di tenuta di cassa comune tra due imprese (cd. cash pooling) ove la stessa non sia volta alla realizzazione di un finanziamento da parte della società controllata in favore della controllante che non sia direttamente ricollegabile all'esercizio dell'attività propria della società beneficiaria dell'esenzione, in quanto gli interessi attivi derivanti da tale operazione non costituiscono reddito industriale (Cass. V, n. 20332/2019).

Bibliografia

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