Transazione fiscale nelle procedure concorsuali (l. fall.)

Enrico Stasi
09 Maggio 2019

Nella sua versione attuale, l'art. 182-ter, rubricato "Trattamento di crediti tributari e contributivi", è il risultato di una molteplicità di interventi normativi che si sono succeduti nel tempo, l'ultimo dei quali ad opera del comma 81 dell'art. 1 della L. n. 232/2016, a seguito della sentenza pronunciata il 7 aprile 2016 dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C-564/14, che ha sancito il principio in base al quale...

Inquadramento

Nella sua versione attuale, l'art. 182-ter, rubricato rubricato «Trattamento di crediti tributari e contributivi», è il risultato di una molteplicità di interventi normativi che si sono succeduti nel tempo [per una sintesi del precedente storico della transazione fiscale e delle modifiche intervenute nell'originario testo normativo, mi sia consentito rinviare, tra i contributi più recenti, a Stasi, La transazione fiscale, in Cagnasso- Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Torino, 2016, 3822 ss.], l'ultimo dei quali ad opera del comma 81 dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 [pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016] a seguito della sentenza pronunciata il 7 aprile 2016 dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C-564/14, che ha sancito il principio in base al quale «L'art. 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto, non ostano una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito d'imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento».

Venuta meno l'originaria connotazione facoltativa e transattiva dell'accordo con il fisco, il nuovo testo dell'art. 182-ter prefigura un iter procedurale che deve essere obbligatoriamente percorso tutte le volte in cui la proposta di concordato presentata dal debitore preveda il pagamento parziale o anche dilazionato dei debiti fiscali o contributivi e dei relativi accessori.

Poiché la nuova disposizione è entrata in vigore dal 1° gennaio 2017, può essere opportuno dare brevemente conto dei principali problemi dibattuti nella vigenza della precedente formulazione della norma, che continuerà ad applicarsi alle transazioni fiscali concluse prima di quella data.

Le questioni dibattute sotto l'imperio della disciplina previgente: natura obbligatoria o facoltativa della transazione fiscale

All'indomani dell'introduzione nel corpo della legge fallimentare dell'art. 182-ter, un primo punto oggetto di discussione verteva sulla natura obbligatoria o facoltativa della transazione fiscale.

Una parte non trascurabile della dottrina e della giurisprudenza di merito riteneva che la procedura disciplinata dall'art. 182-ter rappresentasse un passaggio obbligato per il debitore che avesse voluto accedere al concordato preventivo prospettando la falcidia e/o la dilazione dei debiti fiscali. Più in particolare, i sostenitori di questa tesi, sia pure con distinguo e sfumature diverse, concepivano la transazione fiscale alla stregua di un istituto di natura meramente procedimentale, avente la duplice funzione di far emergere il reale debito fiscale e contributivo, nonché di regolamentare la partecipazione al concordato degli uffici fiscali mediante espressione di un voto consapevole ed informato sulla proposta del debitore. Alla luce di questa interpretazione, dunque, doveva considerarsi inammissibile una proposta di concordato che prevedesse il soddisfacimento parziale o il differimento di crediti erariali senza essere corredata da un'istanza di transazione fiscale. Sempre secondo questa prospettazione, l'eventuale voto negativo del fisco all'esito del procedimento avviato ai sensi della norma in discorso non avrebbe impedito l'omologazione del concordato ove il voto favorevole degli altri creditori avesse consentito di raggiungere le maggioranze previste dall'art. 177 l.fall.; unica conseguenza della reiezione della proposta di transazione fiscale sarebbe stata quella di impedire la cristallizzazione del debito tributario e la conseguente cessazione dei contenziosi pendenti [Attardi, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale, in Il Fisco 2009; Caiafa, Concordato preventivo e transazione fiscale, in Dir.fall., II, 2009; Randazzo, Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008; In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma, 20 aprile 2010, in Il caso; Trib. Monza, 15.4.2010, in Fall., 2011, con nota di Stasi, Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale?; Trib. Roma, 16 dicembre 2009, in Il caso; Trib. Monza, 23 dicembre 2009, in www.ilcaso.it. In precedenza, nel medesimo ordine di idee, Trib. Roma, 24 marzo 2009, in Dir. fall., II, 2009, 403 ss.; Trib. Piacenza, 1 luglio 2008, in Dir. fall., II, 2009, ss.; Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, in Dir. fall., II, 2009; App. Milano, 14 maggio 2008, in Fall., 2008; Trib. Milano, 13 dicembre 2007, in Fall., 2008; Trib. Venezia, 27 febbraio 2007, in Fall., 2007].

Pur muovendo dal medesimo presupposto dell'obbligatorietà del ricorso alla procedura di cui al citato art. 182-ter quando vi fossero pendenze fiscali pregresse, l'Amministrazione finanziaria [circ. nn. 40/E del 2008 e 14/E del 2009, sostenuta da una parte minoritaria della dottrina [De Mita, La transazione con il fisco per tutte le crisi, Lex 24; De Mita, L'accordo fiscale ha come arbitro solo l'Agenzia, Lex 24; Attardi, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale, cit.. Questa era anche l'originaria opinione di La Croce, La transazione fiscale nell'intreccio di norme generali, norme speciali e norme costituzionali: è possibile uscire dal labirinto?, in Fall. 2008] aveva manifestato l'avviso che l'istituto della transazione fiscale fosse dotato di una propria distinta autonomia rispetto alla procedura di concordato preventivo. Implicando una deroga al divieto di alterare l'ordine dei privilegi, l'offerta del debitore avrebbe dovuto sempre contenere l'impegno a pagare l'intero ammontare non soltanto dei crediti IVA e dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, ma pure dei debiti di restituzione degli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune, nonché delle somme dovute a seguito di una sentenza di condanna per danno erariale. Nell'ipotesi in cui la proposta di transazione non fosse stata accettata dall'Erario, in virtù del principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, nessuna falcidia dei crediti erariali sarebbe stata possibile, neppure di quelli di rango chirografario, con la conseguenza che tutte le somme dovute per imposte, sanzioni e interessi avrebbero dovuto essere integralmente pagate alle prescritte scadenze anche se il concordato fosse stato omologato. In altre parole, secondo questa impostazione, con l'art. 182-ter il legislatore avrebbe inteso attribuire al credito erariale una sorta di trattamento preferenziale, esonerandolo dalla falcidia in tutti i casi di diniego alla proposta transattiva del debitore.

Queste ricostruzioni interpretative, tuttavia, non avevano mancato di sollevare legittime perplessità. Ed infatti, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie propendevano a considerare soltanto facoltativa la domanda di transazione fiscale, sulla scorta del rilievo che la possibilità di pagare in percentuale i crediti privilegiati di qualsiasi natura è già prevista, in via generale, dal 2° comma dell'art. 160 l. fall. [Stasi, La transazione fiscale, in Fall., 2008; Stasi, Profili istituzionali della transazione fiscale, in Jorio (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Bologna 2010; Fauceglia La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, Dir. Fall., II, 2009; Pollio, La transazione fiscale, in Fauceglia-Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, Milano, 2007; Del Federico, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009; D'Orazio, La transazione fiscale, in Didone (a cura di), op. cit.; Verna, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato preventivo, in Fall., 2010; Guiotto, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti insoddisfatti, in Fall., 2010; La Malfa, Rapporti tra la transazione fiscale ed il concordato preventivo, Corr. trib., 2009; La Croce, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Fall. 2010. Per la giurisprudenza, cfr., tra le altre, App. Torino 6 maggio 2010, in Fall., 2010; App. Genova 19 maggio 2009 in Il caso; App. Firenze 13 aprile 2010, in Il caso; Trib. Asti 3 febbraio 2010, in Fall., 2010; Trib. Biella 30 giugno 2010, in Fall. 2010; Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, in Dir. Fall.; Trib. Roma 27 gennaio 2009, in Fall. 2009; Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011, in Il caso; Trib. Bergamo, 10 febbraio 2011, in Il caso].

A favore di questa tesi veniva fatto osservare che porre a carico un imprenditore in crisi, che volesse proporre ai propri creditori un concordato preventivo, l'obbligo di pagare integralmente i debiti tributari che l'art. 182-ter dichiarava infalcidiabili, nonché di definire tutte le pendenze tributarie sulla base delle cifre comunicate dagli uffici finanziari, senza alcuna possibilità di far valere azioni e di proseguire quelle già attivate nei confronti di pretese impositive illegittime qualora il concordato fosse poi approvato anche con l'adesione dell'Amministrazione finanziaria, avrebbe potuto dare luogo a censure di incostituzionalità della disposizione in commento, sia sotto il profilo della violazione dei principi di capacità contributiva e di uguaglianza tributaria sanciti dal primo comma dell'art. 53 Cost., sia in relazione alla violazione del diritto di difesa del proponente. In una larga parte della dottrina e della giurisprudenza si era, quindi, fatto strada il convincimento che la soluzione più coerente con la ratio e la genesi dell'istituto altra non potesse essere se non quella di ritenere indispensabile il ricorso alla transazione fiscale soltanto nell'ipotesi in cui l'imprenditore avesse un interesse ad avvalersi dei vantaggi connessi alla definizione transattiva di una o più tipologie di tributi o di contributi, non soltanto in termini di definitiva chiusura delle partite debitorie e di consumazione dei correlativi poteri di accertamento, ma pure per la prevista possibilità di offrire al fisco una percentuale di pagamento pari a quella proposta ai creditori privilegiati di grado immediatamente successivo a quelli contributivi o erariali, dal momento che – come si è visto - la possibilità di prevedere la falcidia delle passività privilegiate è già prevista, in via generale, dal secondo comma dell'art. 160 l. fall. Di qui l'inevitabile conclusione che il mancato utilizzo, da parte del debitore, dello strumento transattivo non avrebbe comunque impedito l'operatività delle regole generali dettate per il concordato preventivo, ivi compresa quella sancita dall'art. 184 l.fall., con l'effetto che anche i crediti erariali non avrebbero potuto sottrarsi alla falcidia concordataria.

A dirimere questo perdurante contrasto erano, infine, intervenute le sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011, con cui i giudici di legittimità avevano prestato adesione a quest'ultimo indirizzo interpretativo, poi confermato, con significativa compattezza, da successive pronunce sia della Corte Suprema che dei giudici fallimentari ed a cui, da ultimo, si era allineata anche l'Agenzia delle entrate nella recente circolare n. 19/E del 6 maggio 2015.

La facidiabilità dell'IVA e delle ritenute operate e non versate

Uno dei problemi, sino a poco tempo fa, più controversi atteneva alla possibilità di proporre un pagamento parziale dell'IVA e delle ritenute fiscali operate e non versate al di fuori dell'ambito applicativo della transazione fiscale.

Pronunciandosi sulla falcidiabilità dell'IVA, le menzionate sentenze gemelle del 2011 della Cassazione avevano ritenuto che i crediti relativi all'imposta sul valore aggiunto, alle ritenute fiscali operate e non versate ed ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea dovessero essere soddisfatti per il loro intero ammontare anche senza transazione fiscale, pena l'inammissibilità della domanda di concordato, stante la natura sostanziale della previsione di cui al primo comma del menzionato art. 182-ter in tema di trattamento dei crediti erariali, mostrando così di condividere la tesi già prefigurata nei lavori scientifici di colui che delle predette sentenze ne era stato il relatore [Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino].

Ed invero, sul punto la Cassazione aveva osservato come «non sia credibile che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all'onere dell'integrale pagamento dell'IVA, imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione […] gli Stati non sono esenti da vincoli [si veda Corte di Giustizia Europea, V sez, sentenza 11 dicembre 2008, n. 174] optando per la transazione fiscale oppure avvalersi della possibilità di proporre un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione e quindi rimanendo vincolato solo all'obbligo di pagare integralmente il debito nei limiti del valore dei beni su cui grava la garanzia, peraltro spesso insussistenti come nel caso di imposta gravante sul valore della prestazione di servizi». Ma, proseguiva la Corte, «ciò che convince dell'inderogabilità della disposizione qualunque sia l'opzione del creditore è la natura della stessa in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi».

In altre parole, nella visione della Corte regolatrice, la statuizione contenuta nel 1° co. dell'art. 182-ter avrebbe attribuito ai crediti di cui trattasi una sorta di “superprivilegio”, destinato ad operare solamente nell'ambito della procedura di concordato preventivo anche sulle risorse estranee al patrimonio oggetto di garanzia in quanto messe a disposizione da terzi.

In un'altra pronuncia, di poco successiva [Cass., 16 maggio 2012, n. 7767], i giudici di legittimità avevano richiamato a fondamento del proprio assunto circa il rilievo comunitario dell'IVA la più recente sentenza 29 maggio 2012, causa C-500/10, della Corte di Giustizia, in tema della legittimità delle norme sui condoni fiscali varate dal governo italiano.

Questo insegnamento della Cassazione [cui aveva successivamente aderito anche l'Amministrazione finanziaria, nella già citata circolare n. 19/E del 2015], oltre a suscitare severe e fondate critiche da parte della dottrina maggioritaria, aveva incontrato la resistenza di una buona parte dei giudici di merito e aveva altresì ingenerato comprensibili perplessità sulla sua “tenuta” costituzionale anche tra coloro che, a tutta prima, lo avevano condiviso. Ed infatti, il Tribunale di Verona, con ordinanza del 10 aprile 2013 [pubblicata su Fall., 2014], dopo aver premesso di concordare con la tesi propugnata dalla Cassazione sulla natura sostanziale (anziché processuale) della disposizione che escludeva il credito IVA da quelli che potevano formare oggetto di falcidia con conseguente inammissibilità di una domanda di concordato preventivo senza transazione fiscale che prevedesse il pagamento parziale del tributo in discorso, aveva tuttavia manifestato il dubbio che una simile lettura del combinato disposto degli artt. 160 e 182-ter potesse risultare in contrasto sia con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall'art. 97 Cost. (in quanto avrebbe impedito all'Amministrazione finanziaria di accettare, in relazione al credito IVA, un'offerta concordataria per essa più vantaggiosa in termini di gettito effettivo rispetto all'ipotesi fallimentare), sia con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (in quanto avrebbe riservato alla pubblica amministrazione un trattamento deteriore rispetto agli altri creditori privilegiati che, in base al novellato art. 160, una simile facoltà possono invece esercitare), investendo della questione la Corte costituzionale.

La Consulta, con sentenza del 25 luglio 2014, n. 225, all'esito di una diffusa disamina delle previsioni dell'ordinamento comunitario, segnatamente in materia di imposta sul valore aggiunto, nonché delle sentenze della Corte di Giustizia Europea che si sono pronunciate sulla legittimità delle norme sui condoni tributari emanate dal legislatore italiano, respingeva la censura di incostituzionalità prefigurata dal giudice remittente, affermando di non ravvisare «profili di intrinseca irragionevolezza nella disciplina dettata dal disposto degli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare, la quale, ai fini dell'ammissibilità del piano di concordato contenente una proposta di transazione fiscale, regolamenta diversamente il credito erariale IVA, riservando ad esso un trattamento necessariamente differenziato, non solo rispetto ai crediti privilegiati in generale, ma anche nei confronti degli altri crediti tributari assistiti da privilegio. Oltre che sull'inammissibile raffronto tra fattispecie normative eterogenee - che riflette, come si è detto un'opzione del legislatore interno necessitata dalla peculiare disciplina dell'IVA derivante dalle regole comunitarie - la non fondatezza della questione riposa, altresì, sul rilievo che la norma interna, in materia di transigibilità del credito IVA è, di per sé, disciplina eccezionale rispetto al principio dell'indisponibilità della pretesa erariale. Come affermato da questa Corte “non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore abbia delimitato l'ambito di applicazione della norma, in quanto […] non è fonte di illegittimità costituzionale il limite all'estensione di norme che, come quelle in esame, costituiscono deroghe a principi generali”».

Ma anche questa decisione del giudice delle leggi non era apparsa convincente ad una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito.

In particolare, chi scrive aveva anzitutto osservato, in chiave critica, come, lungi dal risolvere la questione posta dal remittente, i giudici della Consulta avessero dichiarato la legittimità costituzionale della norma che vietava la falcidia dell'IVA in sede di transazione fiscale, principio, questo, di cui nessuno mai aveva dubitato [per una critica alla decisione della Consulta, v. Stasi, L'infalcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, in Fall., 2015]. Mentre, con specifico riferimento al tema della compatibilità con il diritto comunitario della tesi a favore della falcidiabilità dell'IVA, avevamo posto in luce come l'impossibilità di equiparare il mancato soddisfacimento, in tutto o in parte, di crediti dell'erario nell'ambito di una procedura concorsuale ad un atto di volontaria rinuncia alla riscossione del credito stesso emergesse per tabulas anche dalle previsioni contenute nella Comunicazione n. 2007/C272/05 del 15 novembre 2007 della Commissione europea [pubblicata su Giust. trib., 2008, 189, con nota di Del Federico, Recupero degli aiuti di stato fiscali, procedure applicabili e principi di equivalenza e di effettività] in tema di recupero degli aiuti di Stato illegali presso le imprese che ne hanno beneficiato, i quali – come è risaputo - debbono essere obbligatoriamente recuperati dagli Stati membri, al pari dei crediti IVA. Ed, infatti, il paragrafo 3.2.4. della Comunicazione di cui trattasi, intitolato “Il caso specifico di beneficiari insolventi”, precisa, al punto 61, che “La Commissione ritiene […] che una decisione che ingiunge allo Stato membro di recuperare un aiuto illegale e incompatibile presso un beneficiario insolvente possa considerarsi correttamente eseguita una volta che sia effettuato il recupero integrale oppure, in caso di recupero parziale, quando la società sia liquidata e i suoi attivi siano venduti a condizioni di mercato” (gli altri punti del paragrafo 3.2.4. della Comunicazione in discorso disciplinano i casi di debitori sottoposti a fallimento e quelli di liquidazione di un'impresa, con e senza prosecuzione dell'attività del beneficiario insolvente). Soggiungendo, al punto 64, per il caso di fallimento, che “In base alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, il recupero avviene secondo le norme nazionali vigenti in materia di fallimento. L'importo da recuperare verrà pertanto rimborsato in base allo status ad esso attribuito alla normativa nazionale”.

Pertanto – avevamo aggiunto - se questo principio deve valere per i crediti erariali a titolo di recupero degli aiuti di stato dichiarati illegittimi, ragioni di coerenza e di non contraddizione dell'ordinamento comunitario impongono di ritenere che il medesimo principio debba anche applicarsi per il recupero dei crediti IVA, tenuto conto che il disposto del secondo comma dell'art. 160 l.fall. richiede, come condizione per il declassamento al chirografo di un credito privilegiato incapiente, la presenza di una perizia giurata redatta da un esperto indipendente che attesti il valore di mercato del bene oggetto della causa di prelazione. Avevamo quindi concluso affermando che postulare la contrarietà ai principi del diritto comunitario di una soluzione interpretativa che consentiva di massimizzare la riscossione dell'IVA, rispetto allo scenario fallimentare, non poteva non apparire come un vero e proprio paradosso.

Nel frattempo, il Tribunale di Udine, con ordinanza di rinvio pregiudiziale del 30 ottobre 2014, aveva sottoposto la questione al vaglio della Corte di Lussemburgo, la quale, in sintonia con quanto dallo scrivente predicato nei sopra menzionati scritti, con la ridetta sentenza del 7 aprile 2016, causa C-564/14, aderendo alle conclusioni dell'Avvocato generale, si pronunciava a favore della compatibilità con il diritto dell'Unione europea della falcidia dell'IVA in sede di concordato preventivo, ispirandosi ai principi enucleati nella già citata Comunicazione n. 2007/C272/05 del 15 novembre 2007 della Commissione europea.

A dirimere il contrasto interpretativo sono, infine, intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con l'importantissima decisione del 27 dicembre 2016, n. 26988, poi seguita da un'ulteriore pronuncia del 13 gennaio 2017, n. 760, hanno sancito il principio per cui «la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'art. 182-ter l.fall. trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da transazione fiscale».

A tale approdo la Corte è pervenuta dopo aver ribadito la natura facoltativa del ricorso alla transazione fiscale e dopo una diffusa e articolata critica alle argomentazioni sviluppate nelle precedenti decisioni delle Sezioni Semplici, sia a proposito della asserita indisponibilità a livello nazionale dell'IVA in quanto imposta eurounitaria, sia con riferimento alla natura sostanziale (anziché processuale) della disposizione in commento. A proposito del primo assunto la Corte ha osservato che esso «risulta ora smentito dalla recente sentenza 7 aprile 2016 pronunciata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-546/14, che ha dichiarato eurounitariamente compatibile la falcidiabilità del credito IVA in sede di concordato preventivo, in ragione della serietà del procedimento destinato a verificare l'impossibilità di una migliore soddisfazione della pretesa tributaria in caso di fallimento». Mentre, per quanto riguarda la predicata natura sostanziale della norma relativa alla infalcidiabilità dell'IVA, il Supremo Collegio ha messo in luce che tale argomento «rivela immediatamente la fragilità delle sue basi, se si consideri da un canto la nota relatività della distinzione tra norme processuali e norme sostanziali, dall'altro la inafferrabilità di un concetto di norma eccezionale ancorato al solo rapporto tra regola ed eccezione, che renderebbe eccezionali pressoché tutte le norme giuridiche, tanto frequentemente in rapporto di eccezione le une con altre. Processuale o sostanziale che sia, infatti, la regola dell'infalcidiabilità del credito IVA è inclusa nella disciplina speciale del concordato preventivo con transazione fiscale. E non si può pretendere di estenderla ai casi regolati dalla disciplina generale del concordato preventivo senza transazione. Certo, nell'ambito della disciplina speciale del concordato con transazione fiscale, la infalcidiabilità del credito IVA rappresenta un'eccezione alla regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche tributari. Ma questa eccezione non può estendersi automaticamente oltre l'ambito di applicazione della disciplina speciale in cui è inclusa, come dimostra il fatto che la sua applicazione al procedimento di composizione della crisi da sovra indebitamento ne ha richiesto l'espressa previsione nell'art. 7 della legge 27 gennaio 2012 n. 3. È un argomento retoricamente efficace, ma logicamente scorretto, quello che presume di applicazione “universale” una norma qualificata eccezionale solo perché prevede un'eccezione nell'ambito di una disciplina di per sé speciale». Un simile ragionamento – prosegue la Cassazione – potrebbe avere un fondamento logico solo se si ipotizzasse l'obbligatorietà della transazione fiscale, ma allorché si escluda che essa debba necessariamente accompagnare ogni ipotesi di concordato preventivo con debiti tributari, deve conseguentemente riconoscersi che la regola dell'infalcibibilità operi solo per la transazione fiscale.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, il concordato con transazione fiscale rappresenta(va) «una speciale figura di concordato preventivo: sia perché viene normalmente in rilievo solo quando vi siano debiti tributari; sia perché, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale».

Tale indirizzo interpretativo è stato poi successivamente confermato da Cass. 18 giugno 2018, n. 16066; Cass. 4 aprile 2018, n. 8340; Cass. 12 marzo 2018, n. 5906, con l'ulteriore precisazione che "Nel concordato preventivo con transazione fiscale ai sensi dell'art. 182-ter l. fall. – nel testo vigente prima della novella introdotta dall'art. 1, comma, 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 – il proponente, fermo restando l'obbligo del pagamento integrale dell'IVA e delle ritenute non versate, ricorrendo i presupposti dell'art. 160, secondo comma, l.fall. può inserire i restanti crediti in classi diverse, applicando una falcidia anche a quelli muniti di privilegio di grado anteriore rispetto ai suddetti tributi". E nello stesso senso si è altresì espressa Cass., 19 gennaio 2017, n. 1337, con specifico riferimento alla falcidiabilità del credito erariale per ritenute al di fuori del concordato preventivo accompagnato da transazione.

Può essere interessante segnalare, da ultimo, che la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 16 marzo 2017, resa nella causa C-493/15, pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione (ordinanza di rimessione 1° luglio 2015, n. 13542) circa la compatibilità con il diritto dell'Unione europea degli artt. 142 e 143 della l.fall., che prevedono, a certe condizioni, la liberazione del fallito dal debito IVA che non ha trovato capienza sul ricavato della liquidazione del patrimonio fallimentare, ha enunciato il principio secondo cui "Il diritto dell'Unione, in particolare l'art. 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta".

Il consolidamento del debito fiscale
Altra e non meno dibattuta questione era quella relativa alla corretta interpretazione del concetto di “consolidamento del debito fiscale” contenuto nel previgente testo dell'art. 182-ter l.fall. Secondo l'Amministrazione finanziaria [circolare n. 40/E del 18 aprile 2008] ed una parte della dottrina [v., fra i molti, Attardi, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale, cit., 6435 ss; Randazzo Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 837 ss.; Stevanato, Transazione fiscale, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, III, Milano 2010, 843; Del Federico La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Didone (a cura di), cit., 2072; La Rosa, Accordi e transazioni nella fase di riscossione dei tributi, Riv. Dir. Trib., 330; Solidoro, Sub art. 182-ter, in Bocchiola e Paluchowski (a cura di), Codice del fallimento, Milano, 2009,1800; Magnani, La transazione fiscale, in G. Schiano di Pepe (a cura di), cit., 686], il perfezionamento della transazione fiscale non sarebbe stato di ostacolo allo svolgimento di future attività accertative da parte del Fisco, limitando i propri effetti ai soli controlli formali disciplinati dagli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973. Questa interpretazione era stata, tuttavia, rifiuta da altri autori [cfr. Stasi, La Transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, in Fall., 2014; Andreani, La transazione fiscale, in Ambrosini-Andreani-Tron, Crisi d'impresa e restructuring, Milano, 1985, 309; Aa.Vv. (a cura della Commissione “Crisi e risanamento d'impresa” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili], Osservazioni in tema di transazione fiscale, 2010, 6; D'Orazio, La transazione fiscale, in Didone (a cura di), cit., 1808; Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., 259 ss.; Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Torino-Bologna, 2008, 593; Mandrioli, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi generali del concorso, Quaderni di Giurisprudenza, 2007, 26; Pollio-Papaleo, La fiscalità nelle nuove procedure concorsuali, Milano, 2007, 109; Guiotto, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati insoddisfatti, cit., 1280 ss.; Tosi, La transazione fiscale, in Rass. Trib., 2006, 1082; Gaffuri, Profili fiscali della riforma concernente le procedure concorsuali, in www.tribunaledimonza.net, 2005, 29], inclini a ritenere, in senso opposto, che l'adesione alla proposta di transazione fiscale (seguita dall'omologazione del concordato) comportasse, come suo imprescindibile effetto, la consumazione dei poteri di accertamento sui rapporti tributari oggetto di transazione. Tale conclusione veniva perlopiù argomentata in base al rilievo che, contrariamente alla regola generale posta dall'art. 168 l.fall., secondo la quale i giudizi di cognizione aventi ad oggetto l'esistenza e l'ammontare dei crediti verso l'imprenditore concordatario proseguono anche dopo l'omologazione del concordato, il comma 5 del previgente testo dell'art. 182-ter prevedeva, come effetto dell'omologazione del concordato con transazione fiscale accettata, la cessazione della materia del contendere nelle liti relative ai tributi e contributi oggetto di accordo con il fisco. Ed in questa direzione si era inoltre posto in luce come opinare diversamente, postulando la possibilità dell'Amministrazione finanziaria di ridiscutere la posizione debitoria, a prescindere dalla transazione intervenuta, avrebbe significato rendere il concordato infattibile ab origine, poiché alcuna compiuta prognosi avrebbe potuto essere resa, di fatto minando la praticabilità stessa dell'istituto e frustrandone le finalità [così, Conca-Stasi, La transazione fiscale, in Panzani (diretto da), Formulario commentato del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2013, 1829]. Non va del resto dimenticato – si era ulteriormente osservato - che sul debitore che voglia accedere alla procedura di concordato preventivo grava l'obbligo di fornire, al tribunale ed ai creditori, un'informazione veritiera e corretta sulla sua situazione reddituale e debitoria (vale la pena ricordare che la violazione dell'obbligo di disclosure è penalmente sanzionata dal novellato art. 11, comma 2, d.lgs. n. 74/2000), denunciando tutte le passività pregresse, ivi comprese quelle di origine fiscale e contributiva derivanti da presupposti impositivi verificatisi prima dell'apertura della procedura. E siccome le passività correlate a fatti di evasione passati hanno natura pacificamente concorsuale [la concorsualità dei crediti fiscali ricollegabili a fatti antecedenti alla domanda di concordato è, infatti, riconosciuta tanto dai sostenitori della teoria dichiarativa, quanto da quelli della teoria costitutiva dell'obbligazione d'imposta: cfr., per tutti, Randazzo, in Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 826 ss.], ne consegue che l'omessa indicazione di tali poste di debito nella domanda di ammissione integrerà gli estremi della dolosa omissione di denuncia di crediti di cui all'art. 173, comma 1 [v., sul punto, Trib. Torino 29 giugno 2010, inedita; Trib. Modena 20 ottobre 2006, Trib. Milano 24 maggio 2007, in Fall., 2008, secondo cui la mancata menzione di evasioni contributive costituisce atto in frode. In dottrina, cfr. Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, Giur. Comm., 2009, I, 730 ss.], mentre la loro emersione successivamente all'omologazione del concordato, oltre a legittimare l'annullamento della transazione ai sensi degli artt. 1969 e 1973 c.c. [sulla applicabilità alla transazione fiscale delle norme del c.c., v. Mazzuoccolo, Transazione fiscale: nuovo disposizioni introdotte dall'art. 182-ter del r.d. n.267/1942, in Fisco], potrà dare causa all'annullamento [Cass. 23 settembre 2016, n. 15816, Il caso] o alla risoluzione del concordato quando di entità tali da modificare significativamente le percentuali di soddisfacimento indicate nel piano. In tale luce – si era quindi concluso - appaiono ben poco fondati i timori dell'Amministrazione finanziaria di restare in balia di possibili comportamenti fraudolenti del debitore; così come pare da escludersi l'ipotesi che la transazione fiscale si sostanzi in una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva all'accertamento ed alla riscossione dei tributi, in violazione della normativa comunitaria [Corte Giustizia Europea, sent. 17 luglio 2008, causa C-132/06; Cass. 18 settembre 2009, n. 20068]. Questa interpretazione, oltre ad essere accolta da alcuni giudici tributari di merito [Comm. trib. reg. Lombardia 21 ottobre 2014, n. 4775, in Fall., 2015, con nota parzialmente critica di Stasi; Comm. prov. Firenze 18 giugno 2014, n. 767, ined.], è stata condivisa da una recente pronuncia della Cassazione [Cass. 22 settembre 2016, n. 18561, in Il caso].
L'impugnabilità del provvedimento di diniego alla transazione fiscale

Parimenti discussa era, infine, la competenza a sindacare la legittimità del provvedimento di diniego alla transazione fiscale. Secondo una parte della dottrina [Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Jorio (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, Torino, 2010; De Bonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedimenti della transazione fiscale in ambito fallimentare, Boll. Trib. Informaz.] e della giurisprudenza più recente [Comm. prov. Milano 14 febbraio 2014, n. 1541, in Fall., 2014, con nota di Stasi. Nel vigore della vecchia transazione sui ruoli di cui all'art. 3, comma 3, d.l. n. 138/2002, la competenza delle Commissioni tributarie a sindacare la legittimità della risposta negativa dell'Agenzia delle Entrate era stata affermata da Cons. St., sez. IV 10 settembre 2008, n. 4341, in Foro amm. – Cds 2008, 2383; TAR Lazio, Latina, sez. I, 11 giugno 2008, n. 717, in Foro amm. – TAR, 2008, 1775; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 7 febbraio 2007, n. 191, Foro amm.- TAR, 2007, 400], il provvedimento in discorso sarebbe stato impugnabile innanzi alle commissioni tributarie, trattandosi di un atto assimilabile a quello di rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario di cui al 1° co., lett. h), dell'art. 19, d.lgs. n. 546/1992, ovvero a quello di diniego di autotutela. Altri commentatori erano invece dell'avviso che tale scrutinio rientrasse nelle prerogative del giudice amministrativo in quanto il debitore sarebbe stato titolare di un interesse legittimo all'accoglimento della richiesta [Magnani, La transazione fiscale, in Schiano Di Pepe (a cura di), cit.; TAR Calabria, Catanzaro, ord. 27 luglio 2012, www.giustamm.it; Comm. trib. Roma, 27 aprile 2010, n. 138, Giur. merito, 2010, 2317. Nel vigore dell'abrogata transazione dei ruoli, la giurisdizione del giudice amministrativo era stata affermata da Comm. trib. prov. Roma, 8 marzo 2007, n. 45, Giust. trib., 2007, II, 773]. Altri ancora, sulla base di una diversificata serie di argomentazioni, erano dell'idea che la giurisdizione appartenesse al giudice ordinario [Apicella, Diniego di transazione fiscale e giurisdizione amministrativa].

Non mancavano, infine, proposte interpretative di segno ancora diverso, come quella di chi riteneva che contro il provvedimento di diniego dell'Amministrazione finanziaria non fosse proponibile alcuna azione giudiziaria, vuoi per la mancanza di un interesse legittimo in capo al debitore, vuoi per l'impossibilità di assimilare il provvedimento di cui trattasi ad una domanda di definizione agevolata del rapporto tributario «posto che questa locuzione pare riferibile agli atti che ineriscono alla determinazione della pretesa fiscale e del conseguente debito tributario che invece nell'ottica della transazione fiscale è già compitamente determinato, discutendosi esclusivamente in ordine all'eventuale abbandono di una porzione del credito tributario, alla luce delle sue concrete prospettive di esazione e degli altri interessi pubblici», quali «l'interesse del sistema economico e sociale alla conservazione dell'impresa, nella sua dimensione ‘istituzionale', e dei posti di lavoro che questa garantisce» [così Stevanato, Transazione fiscale, cit., 848. In senso analogo, v., anche, Randazzo, Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 2008, 836 ss. In giurisprudenza, cfr. Comm. trib. prov. La Spezia 9 novembre 2011, n. 202, in Mass. Comm. Trib. Liguri 2011, 324, sulla base del rilievo che il diniego espresso dall'Agenzia nei confronti di una proposta di transazione fiscale non rientra tra gli atti elencati nell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 né nella nozione di cui all'art. 2 del medesimo decreto. Per analoghi rilievi v., in dottrina, Tosi, La transazione fiscale, cit., 1090]. In recenti lavori sul tema della transazione fiscale [Stasi, La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, cit., 1224 ss.], lo scrivente aveva predicato la necessità di tener conto delle ragioni sottese al rifiuto opposto dagli enti gestori del tributo alla proposta di transazione fiscale presentata dal debitore, ponendo in luce che qualora la richiesta fosse stata respinta per motivi attinenti alle singole pretese fiscali e/o alle modalità del loro soddisfacimento (come era, appunto, avvenuto nel caso esaminato dalla pronuncia milanese), la competenza a pronunciarsi sul provvedimento si diniego sarebbe spettata alle Commissioni tributarie, non potendosi lasciare privi di tutela giurisdizionale gli atti illegittimi dell'Erario, mentre se le ragioni del rifiuto fossero state di ordine diverso (quali, ad esempio l'infattibilità del concordato o la mancanza di convenienza dello stesso), l'atto con cui detta volontà era stata manifestata non avrebbe potuto formare oggetto di impugnazione non potendosi predicare in capo al debitore l'esistenza di un interesse legittimo necessario per l'accesso alla giurisdizione nei confronti degli atti discrezionali essendo egli titolare di un mero interesse di fatto afferente il merito dell'attività amministrativa. Opinare diversamente – si era posto ancora in rilievo - avrebbe significato riconoscere al debitore il potere di impugnare il diniego dell'Amministrazione finanziaria alla proposta di concordato o di accordo con falcidia dei crediti erariali anche quando egli non avesse ritenuto conveniente attivare il procedimento delineato dall'art. 182-ter, giacché anche in questa situazione l'Amministrazione finanziaria (come del resto ogni altra pubblica amministrazione) doveva ritenersi tenuta ad assumere le proprie determinazioni ponderando gli interessi pubblici di cui essa è portatrice; ma – avevamo aggiunto – una tesi di questo tipo non avrebbe trovato alcun seguito, implicando un sindacato sul merito della scelta operata dagli uffici finanziari non previsto da alcuna norma di legge. Concludevo, infine, rilevando che la soccombenza dell'Erario nel giudizio promosso innanzi al giudice tributario, oltre a comportare l'eventuale applicazione dell'art. 96, comma 3, c.c. ad opera della stessa commissione tributaria, avrebbe potuto anche costituire il presupposto per un'azione ex art. 2043 c.c. davanti al giudice ordinario [diversamente da quanto da altri predicato, nutro, infatti, forti dubbi sul fatto che la sentenza 16 marzo 2009, n. 6315, delle Sezioni Unite della Cassazione possa essere letta nel senso di un'estensione della giurisdizione tributaria alla liquidazione degli ulteriori danni subiti dal contribuente. Sulla competenza del giudice civile a giudicare della domanda di risarcimento danni nei confronti dell'Erario, cfr., in luogo di altri e per ulteriori riferimenti, Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova 2012, 563] nei confronti della stessa Amministrazione finanziaria per gli ulteriori danni [ivi compresi quelli eventualmente derivanti dalla mancata omologazione del concordato o dell'accordo di ristrutturazione laddove il diniego espresso dall'Erario si fosse rivelato determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze: cfr., in argomento, Conca-Stasi, La transazione fiscale, in Panzani (diretto da), cit., 1827, ove viene messo in luce che «un'azione risarcitoria contro l'Amministrazione finanziaria e gli Enti previdenziali, pur astrattamente possibile, ben difficilmente sarebbe in concreto praticabile. In primo luogo, anche ammettendo un abusivo o scorretto esercizio della discrezionalità, dovrebbe postularsi e provarsi che un esercizio corretto avrebbe potuto portare all'adesione; dovrebbe poi postularsi la fictio dell'adesione maggioritaria degli altri creditori e l'insussistenza di cause ostative o profili di illegittimità tali da condurre, comunque, ad un arresto anomalo del concordato. A monte, il danno da diniego, implica l'affermazione, invero ardua, non solo di una facoltà di accesso al concordato preventivo, con conseguente diritto al giusto processo, ma di un diritto sostanziale al concordato, id est di un obbligo a contrarre dell'amministrazione. Accettato il postulato che il Fisco non ha uno statuto privilegiato nel concordato ed è parificato agli altri creditori, come pure quello per cui il concordato è un contratto, ammettere che l'amministrazione, concorrendo le condizioni di legge, debba aderire, significa affermare un obbligo a contrarre, al postutto non solo dell'Amministrazione ma di ogni altro creditore»] cagionati al contribuente dalla violazione dei principi di imparzialità, correttezza e di buona fede, sempreché, naturalmente, il comportamento dell'Ente impositore fosse risultato connotato da dolo o colpa grave [sul tema della responsabilità civile dell'Amministrazione, cfr., tra le altre, Cass. Sez. Un. 3 giugno 2013, n. 13899; Cass. 20 aprile 2012, n. 6283; Cass. 24 ottobre 2011, n. 21693; Cass. 3 marzo 2011, n. 5120; Cass. Sez. Un. 22 luglio 1999, n. 500. Per la dottrina, cfr., in luogo di altri, Miceli, Il sistema sanzionatorio tributario, in Fantozzi (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012].

Sul punto è tuttavia intervenuta una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV, 14 luglio 2016, n. 4021, in www.il caso.it), con la quale è stata affermata la giurisdizione del giudice tributario a conoscere dell'impugnazione del diniego alla transazione fiscale e nella stessa direzione si sono altresì pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione, 14 dicembre 2016, n. 25632, con riferimento all'impugnazione della transazione esattoriale di cui all'art. 3, comma 2, d.l. n. 138/2002, cui adde Comm. trib. prov. Roma, 1° dicembre 2017, n. 26135.

Va ricordato, infine, che, a seguito della modifica arrecata dall'art. 29, comma 7, d.l. n. 78/2010, all'art. 1, comma 1, l. n. 20/1994, la responsabilità personale dei funzionari nei confronti della Pubblica amministrazione per le valutazioni di diritto e di fatto effettuate ai sensi dell'art. 182-ter può essere configurabile soltanto nelle ipotesi di dolo.

Il regime attuale. Generalità

Si è già messo in luce come l'art. 182-ter l.fall. sia stato interamente riscritto dal comma 81 dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di Stabilità 2017), a cominciare dalla rubrica della norma, che ora si intitola “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, in luogo della precedente “Transazione fiscale”, a dimostrazione del perduto carattere transattivo dell'istituto [a mio avviso, la locuzione “transazione fiscale”, che ancora compare nei commi 5 e 6 della norma novellata, è frutto di un refuso nella riscrittura della disposizione], rendendo obbligatoria, anziché facoltativa, l'attivazione del procedimento ivi disciplinato quando la proposta di concordato del debitore abbia ad oggetto debiti tributari e/contributivi, come plasticamente risulta dal 1° co. della disposizione novellata.

«Con il piano di cui all'art. 160 – esordisce, infatti, il nuovo art. 182-ter – il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori».

La norma prosegue precisando che, per essere ammissibile, la proposta deve offrire ai crediti tributari o contributivi una «soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, terzo comma, lettera d)».

Si tratta, a mio modo di vedere, di una precisazione superflua, in quanto la necessità di allegare alla domanda di concordato una relazione giurata, redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui al citato art. 67, recante l'indicazione del valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione è già prevista, in via generale, dal secondo comma dell'art. 160 l.fall. In proposito, pare ragionevole ritenere che il requisito richiesto dal novellato art. 182-ter possa essere soddisfatto inserendo nella relazione giurata menzionata nel 2° co. dell'art. 160 un apposito paragrafo dedicato ai crediti tributari e contributivi [in questo senso v., infatti, la circ. n. 16/E del 2018].

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Come si dirà più diffusamente nelle pagine successive, per quanto attiene ai crediti fiscali, un'attestazione sulla convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili è, ora, richiesta apertis verbis anche nel caso di proposta formulata nell'ambito degli accordi di ristrutturazione.

Per i crediti tributari o contributivi muniti di prelazione, la previsione in commento statuisce che «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. Nel caso in cui sia proposto il pagamento parziale di un credito tributario o contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in apposita classe».

La ratio di quest'ultima disposizione va individuata, con ogni evidenza, nella necessità di accordare al Fisco e gli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie la possibilità di opporsi all'omologazione del concordato, sottoponendo allo scrutinio del tribunale la convenienza della proposta ad essi singolarmente formulata dal debitore.

Le disposizioni dettate dal novellato art. 182-ter si applicano esclusivamente all'interno dei confini del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione [a cui possono accedere, in base all'art. 23, comma 43 del d.l. 6 luglio 2011, n. 9, anche gli imprenditori agricoli]. Rimangono oscure le ragioni per le quali non si sia provveduto ad una corrispondente modifica dell'art. 7 della disciplina sul sovraindebitamento (legge n. 3/2012), il quale continuando a disporre che «In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento», genera una incomprensibile disparità di trattamento [secondo alcune recenti pronunce di merito (Trib. Pistoia, 26 aprile 2017, www.ilcaso.it; Trib. Torino, 7 agosto 2017, www.ilcaso.it), in base al principio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno, la falcidiabilità dell'IVA sarebbe ora possibile anche nell'ambito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento; di opposto avviso è, invece, l'Amministrazione finanziaria, la quale, nella recente circ. n. 16/E/ del 2018, ha categoricamente escluso che le modifiche introdotte dalla legge n. 232/2016 al testo dell'art. 182-ter l.fall. abbiano inciso sulle disposizioni che regolano le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento].

Va segnalato, da ultimo, che, in coerenza con la nuova natura dell'istituto e con il suo perduto carattere transattivo, non è stata riprodotta la previsione, di cui al comma 5 del previgente art. 182-ter, secondo cui «la chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'art. 181, determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma» [cfr. circ. n. 16/E/2018).

Ambito di applicazione del novellato art. 182-ter

Ai sensi del nuovo 1° co. dell'art. 182-ter,la procedura ivi disciplinata deve obbligatoriamente essere esperita ogniqualvolta l'imprenditore in stato di crisi o di insolvenza intenda proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle Agenzie fiscali, nonché dei contributi e dei relativi accessori amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

A) Per quanto specificamente riguarda la categoria dei crediti erariali, possono formare oggetto di pagamento percentuale o con dilazione le seguenti tipologie di tributi: Ire, Ires, con le relative addizionali ed imposte sostitutive, Irap, imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale, imposta di bollo, imposte sulle successioni e donazioni, imposta sugli intrattenimenti, tasse automobilistiche, tasse sui contratti di borsa, canone di abbonamento alla televisione, imposte demaniali, dazi di importazione e di esportazione, imposte di fabbricazione e di consumo [cfr., tra i contributi più recenti, Tosi, La transazione fiscale: profili sostanziali, in Papparella, (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 652; Andreani, La transazione fiscale, cit., 312 ss.; Stasi, Transazione fiscale nelle procedure concorsuali, cit., 2]. Ma si tratta di un'elencazione non esaustiva. Sono altresì falcidiabili interessi e sanzioni, come confermato dalla stessa Amministrazione finanziaria nella circolare n. 40/E del 18.4.2008.

Restano, invece, esclusi dall'area di applicabilità della disposizione in parola i tributi propri degli enti locali [imposta comunale sugli immobili (Ici), imposta municipale propria (Imu), tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), tassa rifiuti (Tari), tassa sui servizi indivisibili (Tasi), tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, imposta comunale di pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni], nonché le entrate prive di natura tributaria gestite dalle agenzie fiscali. Per essi, dunque, non dovrà essere attivato il procedimento dileneato dall'art. 182-ter e continueranno ad applicarsi le regole generali in materia di concordato preventivo.

Come si è già posto in evidenza, rispetto al passato, oggi possono formare oggetto di pagamento parziale anche l'IVA, le ritenute operate e non versate ed i tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, i quali, nel vigore della vecchia normativa, non potevano essere neppure oggetto di pagamento dilazionato. Si deve ritenere che, in base alle previsioni contenute nella già menzionata Comunicazione n. 2007/C272/05 del 15 novembre 2007, della Commissione europea, rientrino nella sfera di applicazione della norma novellata anche i debiti di restituzione degli aiuti di Stato illegali .

B) Per quanto concerne, infine, i debiti contributivi, il regolamento delegato del 4 agosto 2009 ha precisato, al 2° co. dell'art. 2, che possono costituire oggetto di transazione ex art. 182-ter l.fall. i crediti per contributi, premi ed accessori (interessi e somme aggiuntive) iscritti e non iscritti a ruolo, aventi natura privilegiata o chirografaria.

Trattasi, più precisamente, dei crediti per la previdenza sociale previsti dagli artt. 2773 e 2754 c.c., collocati rispettivamente al n. 1 e al n. 8 dell'art. 2778 c.c., nonché del 50% degli accessori collocati in sede chirografaria.

A titolo esemplificativo possono qui ricordarsi i crediti Inps, Inail, Enasarco (Ente nazionale assistenza agenti e rappresentati commercio), Inpdai (Istituto nazionale previdenza dirigenti aziende industriali), Inpgi (Istituto nazionale previdenza giornalisti), Enpals (Ente nazionale previdenza assistenza lavoratori spettacolo), Cassa edile.

In base al disposto dell'art. 1, 3° co., non possono costituire oggetto della proposta di accordo i crediti cartolarizzati ai sensi dell'art. 13, L. n. 448/1998, nonché quelli dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato. Previsione, quest'ultima, che -come si è già visto- contrasta con le previsioni contenute nella già più volte citata Comunicazione n. 2007/C272/05 del 15 novembre 2007, della Commissione europea.

A mio modo di vedere, venuto meno il carattere facoltativo e transattivo dell'istituto, le previsioni regolamentari di cui trattasi, operanti soltanto all'interno della speciale figura di concordato preventivo con transazione previdenziale/assistenziale [così, Cass. 16 giugno 2018, n. 16066; Cass. 21 giugno 2018, n. 16364], debbono ritenersi del tutto superate e non più applicabili.

Contenuto della proposta di pagamento parziale dei crediti tributari e dei crediti contributivi
Si è già messo in luce che il 1° c. dell'art. 182-ter, nel consentire il pagamento parziale o differito dei debiti tributari o contributivi, stabilisce, con una norma di carattere speciale rispetto alla regola generale sancita dall'ultimo periodo del 2° co. dell'art. 160, che, se il credito è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; mentre se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. Si è visto, parimenti, che, a livello quantitativo, l'unico limite previsto per la falcidia crediti erariali o contributivi assistiti da cause di prelazione è quello della capienza del bene o della massa di beni su cui insiste la garanzia, fermo restando l'obbligo di rispettare l'ordine dei privilegi sancito dal 2° co. dell'art. 160, il quale, nel caso che ci occupa, si considera rispettato allorché il trattamento proposto non sia deteriore rispetto a quello riservato ai creditori di grado inferiore o ai creditori che abbiano una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

Mentre, per quanto riguarda i crediti chirografari ab origine e quelli degradati al chirografo, la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare complessivo, salvo il caso del concordato con continuità aziendale per cui non è prevista alcuna percentuale minima di pagamento (cfr. art. 160, u.c., l.fall.).

Dubbi sussistono circa la possibilità di ottenere, da parte del soggetto incaricato del recupero, il voto favorevole ad una proposta di concordato c.d. di risanamento che preveda il pagamento soltanto parziale dei crediti di restituzione degli aiuti di Stato illegali (l'obbligo di restituzione è disciplinato dal Reg. CE 22 marzo 1999 n. 659, recante le modalità di applicazione dell'art. 108 TFUE), atteso che la già citata Comunicazione 2007/C 272/05 (relativa al recupero degli aiuti di Stato illegittimi) dopo aver ricordato, ai punti 18-19-20, che, secondo la consolidata giurisprudenza delle Corti comunitarie, il fatto che l'impresa beneficiaria sia insolvente e si trovi assoggettata a procedura concorsuale non ha alcuna incidenza sull'obbligo di recupero, non integrando di per sé un'ipotesi di impossibilità assoluta di recupero (v., tra le molte, CGUE, 11 dicembre 2012, C-610/2010; CGUE, 10 ottobre 2013, C-353/2012) prevede, al punto 67, per il caso specifico di beneficiari insolventi, che gli Stati membri possano appoggiare un piano di prosecuzione dell'attività del beneficiario alla sola condizione che il piano stesso garantisca l'integrale rimborso dell'aiuto entro i termini stabiliti dalla decisione di recupero della Commissione . In nessun caso – prosegue il documento in commento - lo Stato membro può rinunciare parzialmente alla sua richiesta di recupero né può accettare qualsiasi altra soluzione che non porti alla cessazione immediata dell'attività del beneficiario. In assenza di un rimborso integrale e immediato dell'aiuto illegittimo e incompatibile, le autorità responsabili dell'esecuzione della decisione dovrebbero prendere tutti i provvedimenti disponibili per opporsi all'adozione di un piano di continuazione e dovrebbero insistere sulla cessazione dell'attività del beneficiario entro il termine fissato nella decisione di recupero (merita segnalare che, al punto 66, la Commissione evidenzia che i tribunali nazionali non dovrebbero autorizzare la prosecuzione dell'attività del beneficiario insolvente, ove non sia integralmente effettuato il recupero). In caso di liquidazione di un'impresa, fintantoché l'aiuto non sia stato integralmente recuperato, lo Stato membro dovrebbe opporsi a qualsiasi trasferimento dei beni patrimoniali che non sia effettuato a condizioni di mercato e/o che sia organizzato per eludere la decisioni di recupero. Ai fini del <<corretto trasferimento di beni patrimoniali>> lo Stato membro deve accertarsi che il vantaggio indebito creato dall'aiuto di Stato non sia trasferito all'acquirente dei beni. Ciò può verificarsi qualora i beni patrimoniali del beneficiario originale dell'aiuto siano trasferiti a un terzo a un prezzo inferiore al loro valore di mercato oppure a una società di salvataggio costituita per eludere l'ordine di recupero. In tal caso è necessario estendere l'ordine di recupero al terzo interessato in questione. E al successivo punto 69 chiarisce che <<Si ritiene che lo Stato membro si sia conformato alla decisione di recupero quando l'aiuto è stato integralmente rimborsato entro il termine prescritto, oppure nel caso di beneficiario insolvente, quando la società sia stata liquidata a condizioni di mercato>> [dubbi sulla falcidiabilità degli aiuti di Stato sono espressi anche da Vella, Transazione fiscale ed esdebitazione tributaria nelle procedure concorsuali alla luce del diritto dell'Unione Europea, in www.ilcaso.it ].

Le stesse perplessità sussistono, a mio modo di vedere, anche a proposito della falcidiabilità dell'IVA nell'ambito di un concordato con continuità aziendale diretta [diversamente orientata appare, invece, la circolare n. 16/E del 2018, laddove afferma che i principi espressi dalla pronuncia della Corte europea nella causa C-46/2014 <<con riferimento ad un concordato liquidatorio devono ritenersi, altresì, validi per il concordato con continuità aziendale, in quanto, nonostante le rilevanti differenze intercorrenti tra i due tipi di concordato, ciò che la Corte di giustizia ha inteso significativamente valorizzare sono le circostanze eccezionali dell'impossibilità di recupero del credito IVA>>]. Ed infatti, stante la comune situazione di obbligo esistente in capo agli Stati membri di attivare nel loro territorio tutte le misure necessarie per il recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi e per la riscossione integrale dell'IVA nonché, più in generale, delle risorse proprie dell'Unione Europea, è ragionevole pensare, anche alla luce delle statuizioni contenute nelle già citate pronunce rese dalla Corte di giustizia nelle cause C-46/2014 e C-493/2015 (anche quest'ultima emessa sul presupposto che il patrimonio del fallito sia stato interamente liquidato), che la riscossione di queste ultime entrate sia governata dai medesimi principi applicabili alla riscossione degli aiuti di Stato presso le imprese insolvente [come lo scrivente aveva peraltro postulato in epoca non sospetta: cfr. Stasi, L'infalcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, in Fallimento, 2015, 44 ss.].

Cenni sui privilegi che assistono i crediti tributari

Come è noto, con l'art. 23, commi 37-39, d.l. 6.7.2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111), sono state apportate significative modifiche alla disciplina codicistica dei privilegi relativi ai crediti erariali. In particolare, il c. 37 dell'articolo di legge in discorso ha riscritto il comma 1 dell'art. 2752 c.c. attribuendo il privilegio generale mobiliare «alle imposte ed alle sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società ed imposta regionale sulle attività produttive». È scomparsa, con ciò, la limitazione temporale contenuta nel vecchio testo dell'art. 2752 (il quale accordava il privilegio ai soli tributi iscritti nei ruoli resi esecutivi nell'anno in cui il concessionario del servizio per la riscossione procedeva o interveniva nell'esecuzione e nell'anno precedente) che, in passato, era stata oggetto di discordanti interpretazioni, sia in dottrina che in giurisprudenza. Rispetto alla disciplina originaria, la nuova norma ha esteso, inoltre, il privilegio generale mobiliare anche alle sanzioni in materia di imposte dirette, al pari di quanto sancito dal 3° co. dell'art. 2752 c.c. per le sanzioni previste dalle norme relative all'imposta sul valore aggiunto. A sua volta, il comma 39 del decreto ha ritoccato il 3° co. dell'art. 2776 c.c., estendendo il regime della collocazione sussidiaria sugli immobili anche ai crediti tributari indicati dal nuovo 1° co. dell'art. 2752. Per espressa volontà della legge, le disposizioni novellate trovano applicazione anche per crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, ossia il 6.7.2011. Il comma 38 dell'art. 23 del decreto ha poi sancito l'abrogazione dell'art. 2771 c.c., facendo così venir meno il privilegio sugli immobili ivi indicati, ma soltanto per i crediti dello Stato relativi a queste quattro imposte (Irpef, Ipeg, Ires e Irap), sorti a partire dalla predetta data del 6 luglio 2011, i quali, pertanto, sono attualmente garantiti dal privilegio generale mobiliare previsto dal novellato c. 1 dell'art. 2752 c.c. Il comma 40, infine, ha dettato una disciplina transitoria a norma della quale «I titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell'esecuzione o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore all'entrata in vigore della presente legge, possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove norme di cui ai precedenti articoli, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado del privilegio, proponendo opposizione a norma dell'art. 512 c.p.c., fino alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita, oppure l'impugnazione prevista dall'art. 98, c. 3, del r.d. 16.3.1942, n. 267, nel termine di cui all'art. 99 dello stesso decreto» [con sentenza 4.7.2013, n. 170, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 23, c. 37, ultimo periodo, e c. 40 del d.l. n. 98/2011, nella misura in cui essi consentono di applicare il nuovo regime dei privilegi erariali anche alle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo sia già divenuto definitivo, superando il c.d. giudicato “endofallimentare”]. A seguito di questa operazione di restyling, le norme che disciplinano i privilegi sui crediti tributari sono, dunque, quelle dettate dagli artt. 2752, 2758, 2758, 2772 e 2776, u.c., c.c. per quanto riguarda la collocazione sussidiaria sugli immobili. Merita segnalare, per completezza, che, con una norma di interpretazione autentica, il c. 13 dell'art. 13, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214) ha precisato che “Ai fini del quarto comma dell'art. 2752 c.c., il riferimento alla ‘legge sulla finanza locale' si intende effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i singoli tributi comunali e provinciali”.

Il procedimento

Il 2° comma del novellato 182-ter, dispone che, ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, venga presentata al competente agente della riscossione e all'ufficio competente sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per cui non sia pervenuto l'esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data della presentazione della domanda.

Rinviando per maggiori dettagli in ordine alle modalità di presentazione della domanda di transazione fiscale e della documentazione che deve corredarla alle prescrizioni dettate dalle circolari n. 40/E del 2008 e n. 14/E del 2009 e n. 16/E del 2018, nonché alle circ. n. 38 del 15.3.2010 e n. 8 del 26.2.2010 per quanto concerne, rispettivamente, i crediti Inps ed i crediti Inail,ai fini presenti può essere sufficiente segnalare quanto segue.

a) La domanda deve essere proposta dal debitore come parte del piano di ristrutturazione dei debiti e/o di attribuzione delle attività all'assuntore e può avere ad oggetto tanto i crediti tributari o contributivi muniti di privilegio, quanto i crediti chirografari della stessa natura; se il credito è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a coloro che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, mentre se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisioni in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. La domanda deve essere accompagnata da una relazione giurata redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, 3° c., lett. d), attestante che la percentuale di pagamento proposta non è inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Nel caso di concordato in continuità, la circolare n. 16/E del 2018 richiede che, ai fini del confronto, il professionista attestatore tenga conto anche <<del maggior apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale […] che non costituisce risorsa economica nuova, ma deve essere considerato finanza endogena, in quanto, ai sensi dell'art. 2740 c.c., l'imprenditore è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri>>. Il che sembrerebbe limitare, in questa figura di concordato, la falcidia dei crediti tributari assistiti da privilegio generale ai soli casi in cui sia previsto un apporto di finanza esterna al patrimonio del debitore, in linea con la posizione assunta dalla più rigorosa giurisprudenza di merito [cfr., da ultimo, Trib. Milano, 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; App. Venezia, 12 maggio 2016]. Si tratta, tuttavia, di un'opinione non condivisa da altra giurisprudenza di merito e dalla dottrina maggioritaria, le quali esattamente ritengono che il confronto, ai fini della eventuale falcidia dei crediti privilegiati, debba essere effettuato con riferimento al patrimonio liquidabile esistente al momento della proposizione della domanda e che, di conseguenza, l'utile generato dalla prosecuzione dell'attività aziendale possa essere liberamente destinato dal debitore [Trib. Milano, 8 novembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Firenze, 2 novembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Massa 4 febbraio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Prato, 7 ottobre 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Monza, 22 dicembre 2011, in www.ilcaso.it. Per la dottrina, v., inter alia, Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, 9 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; Pezzano-Ratti, La finanza terza e nuova nella prospettiva riformatrice, in Osservatoriooci.org, dicembre 2017; D'Attorre, Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, in Fallimento, 2017, 1015 ss.; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Vassalli-Luiso-Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 178]. Per quanto riguarda la falciabilità deell'IVA e dei crediti di restituzione degli aiuti di Stato nel concordato in continuità si rinvia a quanto esposto retro.

Si è già detto che trattasi della stessa relazione già prevista dal 2° c. dell'art. 160, nella quale può essere inserito un apposito paragrafo dedicato al trattamento dei crediti tributari e contributivi [cfr. circ. n. 16/E del 2018, par. 5.1.2]. Nel caso in cui sia proposto un pagamento parziale dei crediti in discorso, la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in apposita classe [cfr. circ. n. 16/E del 2018, par. 5]. E' bene rammentare che sul debitore che voglia accedere alla procedura di concordato preventivo grava l'obbligo di fornire, al tribunale ed ai creditori, un'informazione veritiera e corretta sulla sua situazione reddituale e debitoria (la violazione dell'obbligo di disclosure è sanzionata penalmente dal novellato art. 11, comma 2, d.lgs. n. 74/2000), denunciando tutte le passività pregresse, ivi comprese quelle di origine fiscale e contributiva derivanti da presupposti impositivi verificatisi prima dell'apertura della procedura. E siccome le passività correlate a fatti di evasione passati hanno natura pacificamente concorsuale, ne consegue che l'omessa indicazione di tali poste di debito nella domanda di ammissione (la quale potrà essere eventualmente preceduta dalla presentazione di una o più dichiarazioni integrative a norma dell'art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322/1998) integrerà gli estremi della dolosa omissione di denuncia di crediti di cui all'art. 173, comma 1 [v., sul punto, Trib. Torino 29 giugno 2010, inedita; Trib. Modena 20 ottobre 2006, Trib. Milano 24 maggio 2007, in Fallimento, 2008, 102, secondo cui la mancata menzione di evasioni contributive costituisce atto in frode. In dottrina, cfr. Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, cit., 730 ss.], mentre la loro emersione successivamente all'omologazione del concordato potrà legittimare l'annullamento [Cass. 23 settembre 2016, n. 15816, cit.] o la risoluzione del concordato, quando di entità tali da modificare significativamente le percentuali di soddisfacimento indicate nel piano di concordato.

b) Come poco sopra accennato, il d.m. 4.8.2009 (art. 3), emanato nel vigore della previgente disciplina del concordato con transazione fiscale, prevede le seguenti percentuali di pagamento che possono essere accettate dagli enti previdenziali per transigere i crediti contributivi: i) per crediti privilegiati di cui al n. 1 dell'art. 2778 c.c. e per i crediti per premi il 100%; ii) per i crediti privilegiati di cui al n. 8 dell'art. 2778 il 40%; iii) per i crediti di natura chirografaria il 30%. La proposta di pagamento dilazionato non può essere superiore a 60 rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale, nel tempo, vigenti. Come si è già avuto occasione di avvertire retro alla luce della novellata formulazione dell'art. 182-ter e della nuova funzione da essa assunta, le disposizioni in discorso debbono ritenersi del tutto superate e non più applicabili.

c) Oltre alle dichiarazioni fiscali ed a quelle integrative menzionate nel comma 2 dell'art. 182-ter, vanno comunicati sia i dati relativi ai redditi realizzati nel precedente periodo d'imposta per i quali non sia ancora scaduto il termine di presentazione della dichiarazione, sia i dati relativi ai compensi soggetti a ritenute alla fonte corrisposti nel periodo antecedente all'apertura della procedura, sia i dati relativi ai debiti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche non ancora trasfusi nelle dichiarazioni annuali (artt. 8 e 8-bis, d.P.R. n. 322/1998). A quest'ultimo proposito, vale la pena domandarsi se occorra o meno provvedere alla liquidazione della posizione IVA con riferimento alla data della pubblicazione del ricorso nel registro ex art. 168 l.fall. Nel vigore del previgente ordinamento concorsuale, questo problema non era sentito, dal momento che i creditori privilegiati dovevano essere comunque pagati al 100%. In mancanza di una norma che espressamente lo preveda, e non potendo applicarsi in via analogica le regole speciali dettate dall'art. 74-bis del decreto IVA, al quesito dovrebbe darsi risposta affermativa in base ai principi generali della concorsualità, atteso che per le operazioni compiute anteriormente a tale data il fatto generatore dell'imposta, e cioè dell'evento che costituisce la scaturigine dell'obbligazione tributaria e dell'imponibilità ai fini IVA [così, Cass, sez. un., 21 aprile 2016, n. 8059] si è già verificato [per quanto riguarda i dati e le notizie da comunicare all'Inps e all'Inail si vedano le circ. nn. 38/2010 e 8/2010].

d) La domanda di transazione deve essere sottoscritta dal debitore e copia della stessa e della relativa documentazione va presentata al competente agente della riscossione e ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore. Secondo l'amministrazione finanziaria [ris. n. 3/E del 5.1.2009] la locuzione “contestualmente al deposito presso il tribunale”, contenuta nel comma 2 dell'art. 182-ter, non deve essere intesa nel senso che la domanda di transazione debba essere presentata all'ufficio e all'agente della riscossione nello stesso giorno in cui viene depositata presso il tribunale la domanda di ammissione al concordato preventivo. Qualora la proposta di transazione abbia ad oggetto tributi di pertinenza dell'Agenzia delle dogane la competenza a ricevere copia della domanda e della relativa documentazione, nonché a rilasciare la certificazione attestante l'entità del debito, si identifica con l'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento.

e) Nel termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda l'agente della riscossione deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso, mentre l'ufficio deve liquidare i tributi risultanti dalle dichiarazioni e notificare eventuali avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l'entità del debito riveniente dagli atti di accertamento ancorché non definiti, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati all'agente della riscossione, tenendo conto, ai fini istruttori, anche dei processi verbali di contestazione e degli inviti al contradditorio di cui agli artt. 5 e 11, d.lgs. n. 218/1997. Dopo l'emissione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, copia degli avvisi di irregolarità e delle certificazioni devono essere trasmessi al commissario giudiziale per gli adempimenti previsti dagli artt. 171, comma 1, e 172 l.fall. Sembra prevalere l'opinione secondo la quale il termine di trenta giorni suindicato non abbia natura perentoria [Stasi, La transazione fiscale, cit., 105 ss.; Pollio, La transazione fiscale, in Fauceglia-Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino 2009, 1856; Trib. Roma 24.3.2009, cit.; contra Vitiello, L'istituto della transazione fiscale, in Ambrosini-De Marchi-Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Torino, 2009, 285; Del Federico, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2073].

f) A differenza del vecchio regime della transazione fiscale, il debitore non è vincolato ad accettare gli importi comunicati dall'agente della riscossione e dagli uffici. Infatti, venuto meno il consustanziale carattere transattivo del vecchio istituto, debbono ritenersi applicabili, anche per i crediti tributari e contributivi, le norme dettate per i crediti contestati dagli artt. 176 e 184 l. fall, nonché dall'art. 90 d.P.R. n. 602/ 1973 [cfr. circ. n. 16/E del 2018, par. 5.1.3. Sull'obbligo di operare, in via provvisoria, l'accantonamento previsto dal comma 6 dell'art. 180 l.fall per i crediti tributari contestati, cfr. Cass. 13 giugno 2018, n. 15414]. I debiti fiscali, anche nella fase di esecuzione del concordato, potranno essere definiti mediante il ricorso agli istituti di deflazione del contenzioso tributario e potranno essere parimenti contestati innanzi ai giudici tributari.

La votazione dell'Amministrazione finanziaria e degli Enti

Ai sensi del 3° c. del nuove testo dell'art. 182-ter, relativamente al credito tributario complessivo, il voto sulla proposta concordataria è espresso dall'ufficio sulla parte incapiente, previo parere conforme della competente direzione regionale, in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'art. 178, 4° co., l.fall.

Il voto è espresso dall'agente della riscossione limitatamente agli oneri di riscossione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 112/1999.

Poiché, nel caso di falcidia del credito tributario o contributivo privilegiato, la legge richiede che per la quota di credito degradata al chirografo sia creata una specifica classe [v., in proposito, circ. n. 16/E del 2018, par. 5.1.4.], vertendosi in un'ipotesi di classamento obbligatorio, deve ritenersi che, in caso di voto negativo, l'ufficio sia sempre legittimato ad opporsi all'omologazione del concordato contestando la convenienza della proposta ai sensi del secondo periodo del 4° co. dell'art. 180, assoggettandosi alla regola del cram down. Dal che consegue che, qualora lo scrutinio di convenienza del tribunale abbia esito positivo, il concordato potrà essere omologato anche contro la volontà del Fisco e/o degli Enti previdenziali, i quali ne subiranno gli effetti.

Come si è sopra evidenziato, l'accettazione della proposta di concordato non comporta per l'Amministrazione finanziaria la perdita dei propri poteri di accertamento sui rapporti tributari pregressi; anche le liti fiscali proseguono ove non vi sia acquiescenza da parte del debitore, fermi sempre gli affetti del concordato [cfr. circ. n. 16/E del 2018, par. 5.1.5].

I debiti erariali possono essere estinti sia mediante compensazione [Trib. Monza 15 aprile 2010, cit., con nota di Stasi; Comm. trib. prov. Milano 14 febbraio 2014, n. 1541, cit.; circ. n. 16/E del 2018 par. 5.1.3. Sul punto si veda Stasi, La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributario, cit., 1228 ss., anche per gli ulteriori riferimenti alla dottrina e alla giurisprudenza], sia - a mio avviso - attraverso la cessione di beni culturali ai sensi dell'art. 28-bis, d.P.R. n. 602/1973. Si ritiene che, in linea di principio, la dilazione per il pagamento dei tributi e degli accessori non possa eccedere i sei anni previsti dall'art. 19, comma 1, d.P.R. n. 602/1973.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti fiscali e contributivi

Il 5° co. del novellato art. 182-ter si occupa della proposta di pagamento, parziale o anche dilazionato, dei crediti tributari o contributivi di cui al c. 1 della medesima disposizione, formulata dal debitore nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione, richiedendo, in coerenza con le linee guida tracciate dalle pronunce della Corte di giustizia UE nelle cause C-564/14 e C-493/15 e con il diritto europeo in tema di aiuti di Stato [cfr., inter alia, il paragrafo 5.4.4.2., rubricato <<Transazioni fiscali>>, della Comunicazione n. 216/C 262/01 della Commissione europea, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Commissione europea del 19 luglio 2016, sulla nozione di aiuto di Stato] che, in tali casi, l'attestazione prevista dall'art. 182-bis, 1° co., certifichi, per i soli crediti fiscali (rimane oscura la ragione per la quale lo scrutinio sulla convenienza dell'accordo non sia stato esteso ai crediti contributivi ed ai crediti di restituzione degli aiuti di Stato illegittimi), anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili e che tale punto costituisca oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale.

L'Amministrazione finanziaria ritiene che, negli accordi di ristrutturazione, la valutazione comparativa del professionista non debba essere limitata all'ipotesi fallimentare, ma vada invece estesa a tutte le alternative possibili rispetto alla soluzione proposta dal debitore. Ed invero, al paragrafo 5.2. della più volte menzionata circolare n. 16/E del 2018 si legge che <<In altri termini, la comparazione richiesta all'attestatore in questa sede consta dell'accertamento previsto dal primo comma dell'art. 182-bis della L.F., nonché della valutazione circa l'attuabilità di qualunque soluzione diversa rispetto a quella proposta. Quale “alternativa” deve, dunque, intendersi sia la nuova iniziativa assunta nell'ambito del medesimo accordo di ristrutturazione, sia l'eventuale ricorso ad altri strumenti, come la liquidazione fallimentare, le procedure concordataria e liquidatoria ordinaria, nonché le eventuali azioni esecutive individuali. La predetta alternativa sarà, poi, considerata “concretamente praticabile” qualora risulti non solo astrattamente perseguibile, ma effettivamente realizzabile in considerazione della specifica situazione in cui versa l'impresa debitrice>>.

Poiché l'attestazione del professionista interviene, per norma di legge, quando l'accordo con il Fisco è già concluso, sostanziandosi, pertanto, in una verifica ex post dell'operato dell'amministrazione finanziaria [Spadaro, Il nuovo art. 182 ter l. fall. dalla transazione fiscale al trattamento dei crediti tributari e contributivi, in Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, Torino-Bologna, 2017, 983], non è improbabile che durante la fase delle trattative gli uffici richiederanno al professionista incaricato un parere preventivo sulla bontà e convenienza, rispetto ad altri percorsi alternativi, del contenuto della proposta del debitore, onde scongiurare il rischio di una valutazione negativa delle pattuizioni contrattuali intercorse da parte dell'esperto prima e del tribunale poi.

Incomprensibile risulta l'affermazione, contenuta alla nota 55 della ridetta circolare n. 16/E del 2018, secondo cui <<Il raffronto con l'alternativa liquidatoria conferma l'applicabilità agli accordi di ristrutturazione dei principi, tipicamente concorsuali, dettati in materia di concordato preventivo, quali il rispetto delle prelazioni e della loro graduazione>>, giacché -come è risaputo – negli accordi di ristrutturazione non v'è necessità del rispetto della par condicio creditorum [cfr., ex multis, Fabiani, Il diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino-Bologna, 2017, 445; Spiotta, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Jorio-Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017, 263; Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Torino, 2016, 3223; Trentini, Commento sub art. 282-bis, in Lo Cacio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2017, 2385; Ambrosini, Il Concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2008, 166. In giurisprudenza, cfr. Trib. Bologna, 17 novembre 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo, 27 gennaio 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 20 maggio 2010].

La proposta del debitore, unitamente alla documentazione di cui all'art. 161 deve essere depositata presso gli uffici indicati al secondo comma dello stesso art. 182-ter; è parimenti necessaria l'allegazione di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'art. 47, d.P.R. n. 445/2000, attestante che la documentazione di cui all'art. 161 rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Come già si è posto in evidenza, la tutela dell'interesse del Fisco è ulteriormente rafforzata dalla previsione di una sanzione penale. Il comma 2 del novellato art. 11, d.lgs. n. 74/2000 statuisce, infatti, che «È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a euro cinquantamila. Se l'ammontare di cui al precedente è superiore a euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni».

L'adesione alla proposta è espressa, su parere conforme della competente direzione regionale, con la sottoscrizione dell'atto negoziale da parte del direttore dell'ufficio. L'atto è sottoscritto anche dall'agente della riscossione in ordine al trattamento degli oneri di riscossione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 112/1999.

L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione.

L'accordo di concluso con il Fisco è risolto di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie. Secondo l'Amministrazione finanziaria, la risoluzione dell'accordo farebbe rivivere <<la pretesa tributaria nella misura originaria, in quanto la rideterminazione del credito tributario nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione non realizza un effetto novativo dell'obbligazione tributaria. Pertanto in considerazione della natura non novativa dell'accordo di ristrutturazione, nonché alla luce dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla declaratoria di cessata materia del contendere, la eventuale risoluzione, ai sensi dell'art. 182-ter, comma 6, della L.F., dell'accordo concernente i debiti tributari determina la reviviscenza della originaria pretesa fiscale anche con riferimento ai crediti in contestazione, per i quali la cessazione della materia del contendere sia stata dichiarata dopo l'omologazione>> [circ. n. 16/E del 2018, par. 5.2]. Al riguardo, può essere sufficiente osservare, in questa sede, che, per escludere la novazione può essere opportuno inserire un'apposita clausola negoziale nel testo dell'accordo [v., sul punto, Fabiani, Il diritto della crisi e dell'insolvenza, cit., 461].

Nonostante il silenzio della legge, si deve reputare che l'omologazione dell'accordo di cui all'art. 182-bis determini la cessazione delle liti relative alle pretese tributarie e contributive che ne risultano [cfr. circ. n. 16/E del 2018, par. 5.2] per sopravvenuta carenza di interesse.

Come è noto, ai sensi dell'art. 182-bis, comma 2, l'accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel Registro delle Imprese, l'omologazione essendo richiesta soltanto ai fini dell'esenzione dalla revocatoria, alla stregua di quanto stabilito dall'art. 67, c. 3, lett. e). In assenza di una contraria disposizione di legge, non vedo ragioni per non ritenere che la medesima soluzione debba valere anche per gli accordi conclusi con il Fisco e gli Enti previdenziali.

Il riferimento, contenuto nel comma 5 dell'art. 182-ter, induce a ritenere che anche per l'accordo concluso ai sensi della norma in commento operi il principio secondo il quale se il credito tributario è privilegiato la proposta non potrà prevedere un trattamento deteriore rispetto ai crediti privilegiati aventi un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno posizione giuridica ed interessi economici omogenei, mentre se il credito è chirografario, non potrà essere previsto un trattamento deteriore rispetto agli altri crediti chirografari [Panzani, Il decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali, www.fallimentonline.it, 5; Jorio, Il decreto correttivo della riforma fallimentare. Aggiornamento al d.lgs. n. 169/2007, commentario diretto a Jorio, Torino-Bologna, 2007, 59; D'Orazio, La transazione fiscale, in Didone (a cura di), cit., 1813; diff. Vitiello, L'istituto della transazione fiscale, in Ambrosini-De Marchi-Vitiello, cit., 288; Mattei, L'applicabilità della transazione fiscale agli accordi di ristrutturazione dei debiti, www.fallimentoonline.it; Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo la riforma del 2012, in Fallimento 2012, 1137 ss.; Trib. Milano 15 novembre 2011, in Fallimento,2012, 457 ss., con nota di Trentini. In questo senso, v., ora, anche la circ. n. 16/E del 2018, par.5.2]. Sembra conseguentemente da approvare l'opinione secondo la quale, nel contesto degli accordi di ristrutturazione, tale precetto sarebbe da interpretare nel senso che il paragone deve essere effettuato con il trattamento offerto ai creditori aderenti all'accordo [Andreani, La transazione fiscale, cit., 360]. Di qui l'imprescindibile necessità di rendere noto al Fisco, durante le trattative, il contenuto del piano di ristrutturazione ed i singoli trattamenti riservati agli altri creditori. La disposizione introdotta dalla norma in commento sembrerebbe, pertanto, qualificarsi alla stregua di una norma speciale in rapporto alle disposizioni dettate, in via generale, per altre categorie di creditori, non valendo per essi né il rispetto della gerarchia delle cause legittime di prelazione né l'osservanza del principio della par condicio per i creditori chirografari. Poiché l'adesione si fonda sul consenso di ogni creditore, questi è libero di accettare o meno le condizioni che gli sono offerte e dunque è possibile un trattamento differenziato dei crediti secondo il contenuto della proposta. Come si è appena detto, tale possibilità non è offerta, invece, nel caso di accordo con l'Amministrazione finanziaria o con gli Enti previdenziali, salvo che tutti i creditori privilegiati abbiano aderito alla proposta e accettato condizioni meno favorevoli di quelle che sarebbero loro spettate per legge [così, esattamente, Panzani, Il decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali, www.fallimentonline.it, 5].

Riferimenti

Normativi

  • Artt. 160, 182-bis e 182-ter L. Fall.
  • D.M. 4 agosto 2009
  • Art. 33 D.L. 22 giugno 2012, n. 83

Prassi

  • Circolare Agenzia delle entrate n. 16/E del 23 luglio 2018
  • Circolare Agenzia delle entrate n. 40/E del 18 aprile 2008
  • Circolare Agenzia delle entrate n. 14/E del 10 aprile 2009
  • Circolare Agenzia delle entrate n. 19/E del 6 maggio 2015

Giurisprudenza

  • Cass., sentenze, 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932
  • Cass., sentenza 30 aprile 2014, n. 9541
  • Cass., sentenza 4 maggio 2016, n. 8804
  • Corte Costituzionale, sentenza 25 luglio 2014 n. 225
  • Corte Giustizia Europea, Sentenza 7 aprile 2016-causa C. 546/14
Sommario