Il danno differenziale dopo la legge di bilancio 2019: applicazione temporale delle nuove norme e infondati sospetti di illegittimità
10 Maggio 2019
Massima
Deve affermarsi che le modifiche dell'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dall'art. 1, comma 1126, della l. n. 145 del 2018, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge finanziaria. Il caso
La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda risarcitoria formulata iure proprio e iure hereditatis dai congiunti di un lavoratore deceduto nei confronti del datore. Quest'ultimo proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, tra le altre, la violazione degli artt. 2043, 2059 c.c. nonché dell'art. 10 d.P.R. 1124/1965 e dell'art. 13 d. lgs. 38/2000, non avendo il giudice d'appello detratto dal danno biologico (liquidato iure hereditatis) la rendita riconosciuta e corrisposta alla vedova del lavoratore. La Corte di Legittimità rigettava nondimeno il ricorso, rilevando preliminarmente come, per i fatti oggetto di causa, non potessero trovare applicazione le modifiche apportate al d.P.R. 1124/1965 – nelle more della decisione - dall'art. 1 comma 1126 l. 145/2018 (Legge di Stabilità per l'anno 2019), che ha così modificato gli artt. 10 e 11 del Testo Unico (le modifiche sono riportate in grassetto): «non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell'indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto» (art. 10, comma 6) «quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38»(art. 10, comma 7). «L'Istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme a qualsiasi titolo pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie nei limiti del complessivo danno risarcibile contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita a qualsiasi titolo dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché ad ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo»(art. 11, comma 1). In particolare, rileva la Corte, nel sistema previgente alla Legge di Stabilità per l'anno 2019 il danno c.d. differenziale «era calcolato, coerentemente alla struttura bipolare del danno conseguenza, secondo un computo per poste omogenee, vale a dire che dalle singole componenti, patrimoniale e biologico, di danno civilistico spettante al lavoratore venivano detratte distintamente le indennità erogate dall'Inail per ciascuno dei suddetti pregiudizi». Al contrario, la nuova disciplina così come recentemente innovata «ha reso indifferente la natura (biologica o patrimoniale) delle voci del risarcimento civilistico e dell'indennità Inail tra cui operare la detrazione ai fini del calcolo differenziale»(cfr. alinea 39). In altri termini, in applicazione della novella legislativa il giudice dovrà scorporare dal risarcimento dovuto dal datore tutte le prestazioni a qualunque titolo liquidate da INAIL in conseguenza dell'infortunio, senza procedere con alcun distinguo tra le singole poste di danno (patrimoniale o non patrimoniale) effettivamente patito dal lavoratore; per l'effetto, l'unico limite all'esercizio del diritto di regresso da parte di INAIL sarebbe rappresentato dalla complessiva esposizione risarcitoria del datore di lavoro. Le nuove norme, conclude nondimeno la Corte, devono trovare applicazione con esclusivo riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate a decorrere dal 1.1.2019 (cfr. alinea 60); pertanto, dovendosi fare applicazione - nel caso sottoposto al vaglio della Corte - della disciplina previgente, non può procedersi con lo scorporo dell'importo capitale della rendita ai superstiti, atteso che la stessa «costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in dipendenza della morte del congiunto ed attiene quindi ad una voce eterogenea rispetto al danno non patrimoniale riconosciuto nel caso in esame iure hereditatatis». La questione
La sentenza costituisce la prima pronuncia di legittimità avente ad oggetto l'applicazione temporale delle modifiche apportate al d.P.R. 1124 del 1965 dalla Legge di Stabilità per l'anno 2019. Resta tuttavia da comprendere: 1) sulla base di quali argomenti la Corte sia giunta ad escludere l'applicazione retroattiva delle nuove norme; 2) se tali modifiche pregiudichino effettivamente le ragioni del lavoratore, così come denunciato da alcuni autori all'indomani dell'approvazione della Legge di Stabilità e, in caso affermativo, se le stesse si pongano in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale avente ad oggetto i limiti all'esercizio del diritto regresso da parte di INAIL (vedi ROSSETTI M., La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale, in questionegiustizia.it). Ma procediamo con ordine. Le soluzioni giuridiche
1) L'iter logico seguito dalla Corte In primo luogo, rileva la Corte, è da escludersi che a tali modifiche possa attribuirsi natura interpretativa, atteso che «il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica … quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore». Nondimeno, continua la Corte, l'attuale sistema indennitario INAIL sarebbe frutto «di una complessa stratificazione, realizzata attraverso l'intervento sul testo originario di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 di decisioni della Corte Costituzionale (sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991) e di innovazioni normative attuate col d. lgs. n. 38 del 2000, che ha ammesso nella tutela indennitaria Inail una componente di danno biologico»; di conseguenza, il più recente intervento legislativo “non può aver enucleato una variante di senso” della norma originaria. E ancora, non sussisterebbero contrasti interpretativi che potessero giustificare un intervento chiarificatore da parte del legislatore, atteso che negli anni si sarebbe consolidato un orientamento giurisprudenziale costante «che, ribadito il fondamento costituzionale del risarcimento del danno biologico e della tutela indennitaria Inail rispettivamente negli artt. 32 e 38 Cost., con la connessa esigenza di protezione effettiva ed integrale della persona del lavoratore, ha delineato in modo univoco la nozione di danno differenziale e dettato puntuali criteri di calcolo dello stesso, accuratamente distinto dal danno c.d. complementare». In secondo luogo, la natura interpretativa delle nuove norme dovrebbe essere esclusa «sia per l'assenza di un'espressa autoqualificazione in tal senso di tale disposizione e sia per la tecnica legislativa adoperata, che non ha reso evidente un significato compatibile col del 1965 ma, al contrario, ha inserito nell'originaria formulazione previsioni atte a modificarne il contenuto, anche attraverso il richiamo all'autonomo testo normativo di cui al d. lgs. n. 38 del 2000». Trattandosi, dunque, di una modifica di natura sostanziale e in difetto di espresse indicazioni in senso contrario, non potrà che farsi applicazione del disposto di cui all'art. 11 preleggi, secondo cui «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo». In favore dell'irretroattività delle nuove norme, del resto, muove, anche il principio di ragionevolezza, atteso che le modifiche apportate dalla Legge di Stabilità vengono poste espressamente «in relazione alla revisione delle tariffe operata ai sensi dell'art. 1 comma 128, della legge 23 dicembre 2013, n. 147, con decorrenza dal 1 gennaio 2019 e dei criteri di calcolo per l'elaborazione dei relativi tassi medi». In altri termini, l'espresso riconoscimento del diritto di INAIL di “recuperare” per l'intero il valore delle prestazioni erogate a seguito dell'infortunio (senza vedersi opporre alcun limite, se non quello della complessiva esposizione risarcitoria del datore nei confronti del lavoratore) sarebbe giustificato dalla finalità di compensare i minori introiti che verranno conseguiti dall'Istituto a titolo di premio assicurativo a far data dal 1 gennaio 2019 (vedi art. 1, comma 128, l. 147/2013); per l'effetto, è ragionevole ritenere che anche la nuova disciplina del danno differenziale e del regresso trovi applicazione a decorrere dalla medesima data. Oltretutto, ricorda da ultimo la Corte, il legislatore non avrebbe neppure potuto disporre l'applicazione in via retroattiva delle nuove norme, atteso che la giurisprudenza CEDU ha più volte affermato categoricamente che «il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l'intervento retroattivo» (così pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno 2007, Scanner de l'Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9 gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia).
2) Breve nota critica a Cass. civ., n. 8580/2019 La Corte ha escluso, dunque, che la nuova disciplina abbia natura interpretativa in ragione del fatto che la normativa di settore sarebbe stata modificata a più riprese dal medesimo legislatore e dalla giurisprudenza costituzionale e che, dunque, il recente intervento legislativo non potrebbe in alcun modo essere letto come una mera interpretazione, tra le varie possibili, del dettato normativo originario. Ebbene, tale premessa risulta - a parere di scrive - fallace: ben potrebbe obiettarsi, infatti, che proprio la progressiva “stratificazione” del dettato normativo richiedesse un chiarimento da parte dell'organo legislativo. E ciò a maggior ragione ove si consideri come l'emersione della tesi del c.d. scorporo per poste omogenee (che oggi verrebbe superata dalla novella legislativa qui in esame) sia stata giustificata dall'introduzione, nell'ambito della copertura obbligatoria INAIL, dell'indennizzo del danno biologico (art. 13 d. lgs. 38/2000). Di conseguenza, vi sarebbe certamente spazio per affermare che un intervento del legislatore (volto a “mettere ordine” nella materia) fosse necessario o quantomeno opportuno. Coglie invece nel segno l'ulteriore elemento speso dalla Corte in favore della natura “sostanziale” delle modifiche apportate dalla Legge di Stabilità e dell'irretroattività delle stesse, e cioè il fatto che l'intervento del legislatore sia stato giustificato dalla necessità di “compensare” la riduzione dei premi assicurativi deliberata con decorrenza dal 1° gennaio 2019. Un autore, invero, ha messo in discussione tale assunto, atteso che già l'art. 1 comma 1121 l. 145/2018 avrebbe posto a carico del bilancio dello Stato complessivi 1.535 milioni di euro per rimediare alle minori entrate dell'Istituto (così BONA M., Legge di bilancio 2019 e “danno differenziale INAIL”: nessun segno meno per i danneggiati, Ridare.it, 13 marzo 2019). Nondimeno, tale osservazione non può essere condivisa, atteso che tale ultimo impegno assunto direttamente dallo Stato ben può essere inteso come una misura che concorre, unitamente alle modifiche apportate agli artt. 10 e 11 d.P.R. 1124, a garantire la tenuta finanziaria dell'ente. Oltretutto, il collegamento “finalistico” che può essere rinvenuto tra l'introduzione delle nuove regole in materia di danno differenziale/regresso e la riduzione dei premi assicurativi risponde a quel principio di “sana e prudente gestione” che deve essere osservato non solo dagli assicuratori privati (ai sensi dell'art. 183 cod. ass. ma altresì dagli enti assicurativi pubblici (quali appunto INAIL), che sono chiamati a garantire le proprie prestazioni ad una platea amplissima di soggetti (i lavoratori) e, allo stesso tempo, a salvaguardare l'equilibrio dei bilanci ed il buon andamento (art. 97 Cost.). Al netto di tali imprescindibili specificazioni, può dunque condividersi la tesi fatta propria dalla sentenza in commento, e cioè quella secondo cui le nuove modifiche devono trovare applicazione con riguardo agli infortuni verificatisi e le malattie denunciate far data dal 1° gennaio 2019. Occorre nondimeno chiedersi se e in che termini le nuove norme possano effettivamente arrecare pregiudizio alle ragioni del lavoratore danneggiato e, ancora, se tali limitazioni possano essere ritenute effettivamente illegittime.
3) Le nuove norme in materia di regresso al vaglio dei principi costituzionali All'indomani dell'approvazione della Legge di Stabilità numerosi autori ne hanno denunciato l'illegittimità in ragione del fatto che la nuova normativa, consentendo ad INAIL di pretendere dal datore la rifusione di tutte le prestazioni “a qualsiasi titolo” erogate, violerebbe il principio statuito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 485/1991, secondo cui l'esercizio del diritto di regresso da parte di INAIL nei confronti del datore non può giammai pregiudicare il diritto del lavoratore/infortunato a ottenere presso quest'ultimo il risarcimento del danno biologico. In particolare, l'intervento della Corte Costituzionale avrebbe dovuto prevenire il rischio che INAIL, nell'esercizio del regresso, potesse riscuotere presso il datore somme destinate al risarcimento del danno biologico patito dal lavoratore/danneggiato e ciò sull'evidente e imprescindibile presupposto che, ai tempi della pronuncia, tale ultimo pregiudizio non veniva indennizzato da INAIL. Invero, già ai tempi si era obiettato che tale rischio poteva sussistere nei limiti in cui INAIL avesse indennizzato il pregiudizio patrimoniale in misura superiore al danno effettivamente sofferto (si pensi al lavoratore che, pur a fronte della menomazione patita, non avesse perduto l'impiego o, comunque, fosse stato ricollocato professionalmente senza alcuna diminuzione di reddito); d'altro canto, in una simile evenienza, il riconoscimento da parte di INAIL di un importo eccedente rispetto al danno patrimoniale effettivamente patito sarebbe andato, di fatto, a “compensare” il mancato/minore risarcimento pagato dal datore a titolo di danno biologico. Per l'effetto, anche nell'ipotesi paventata dalla Corte Costituzionale, nessun pregiudizio – in termini meramente monetari - poteva in effetti prospettarsi in danno del lavoratore. Nondimeno, a fronte di una simile obiezione, la Corte Costituzionale aveva avuto modo di replicare che “consentire l'imputazione delle somme erogate, agli effetti della surroga, a ragioni risarcitorie diverse implica necessariamente un sacrificio di queste ultime (non consentito allorquando le stesse siano assistite da un riconoscimento costituzionale)” (così Corte Cost. n. 356/1991, avente ad oggetto l'esercizio da parte di INAIL - non del regresso nei confronti del datore ma - della surrogazione nei confronti di altri terzi responsabili). Ciò detto, occorre però sottolineare come al momento in cui si scrive siano venute meno le premesse da cui muove il ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nel 1991, atteso che a far data dal 25 luglio 2000 la copertura INAIL è stata estesa anche al danno biologico ai sensi art. 13 d. lgs. 38/2000. In altri termini, pare a chi scrive che il principio espresso ai tempi dalla Corte Costituzionale non possa più essere applicato pedissequamente o vada quantomeno rimodulato. Invero, anche oggi il diritto al risarcimento del danno biologico potrebbe patire pur sempre una compressione, atteso che: - l'art. 11 d.P.R. 1124/1965 (così come modificato dalla Legge di Stabilità) consentirebbe ad INAIL di “recuperare” presso il datore la quota di rendita che indennizza il danno patrimoniale presunto anche nell'ipotesi in cui tale pregiudizio non sia stato effettivamente patito dal lavoratore (vedi Cass. civ., n. 17407/2017); - per l'effetto, andrebbe specularmente a ridursi la “quota” destinata al risarcimento del danno biologico differenziale (che, come noto, consiste nella differenza tra l'importo liquidato dall'Istituto e quello liquidato in sede civilistica). D'altro canto, occorre ricordare come il principio di integrale riparazione non abbia copertura costituzionale. Il Giudice delle Leggi ha infatti chiarito come non si configuri ipotesi di illegittimità per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona «ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale» (cfr. Corte Cost., n. 235/2014). Ebbene, non vi è dubbio che tale debba essere considerato il compito affidato dalla legge ad INAIL (ovvero quello di garantire a tutti i lavoratori un ristoro certo e adeguato del danno patito in costanza di lavoro) in ossequio al dettato di cui all'art. 38 commi 2 e 4 Cost. In tal senso vengono in rilievo mutatis mutandis gli argomenti enucleati dalla Corte Costituzionale con riguardo al diritto all'assistenza sanitaria e, in particolare, l'affermazione secondo cui tale diritto, »essendo basato su norme costituzionali di carattere programmatico impositive di un determinato fine da raggiungere, è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento» (cfr. Corte Cost. 455/1990) Pertanto, è certamente ammissibile che il principio di integrale riparazione del danno possa retrocedere di fronte all'esigenza di riconoscere a tutti i lavoratori, pur a fronte della riduzione delle tariffe di premio, una tutela certa e, comunque, adeguata del diritto alla salute. Oltretutto, l'eventuale pregiudizio del diritto all'integrale risarcimento del danno biologico si ridurrebbe ad una questione meramente nominalistica, atteso che le prestazioni riconosciute da INAIL “in eccedenza” rispetto al danno patrimoniale effettivamente sofferto (si pensi, appunto, alla quota “patrimoniale” di cui si è detto sopra) andrebbero comunque a compensare il mancato riconoscimento del danno biologico differenziale; di conseguenza, in termini strettamente monetari, il lavoratore non percepirebbe mai meno di quanto gli spetterebbe complessivamente. Invero, un vuoto effettivo di tutela potrebbe registrarsi tuttora nell'ipotesi in cui il danno biologico patito dal lavoratore sia assorbito dalla franchigia di cui all'art. 13 lett. a) d. lgs. 38/2000 (fino al 6% di invalidità permanente). Nondimeno, per tutte le ragioni anzidette, la scelta discrezionale del legislatore potrebbe pur sempre superare il vaglio di ragionevolezza. In conclusione, alla luce del mutato contesto normativo a far data dal 2000, non pare che la nuova disciplina del danno differenziale/regresso comporti illegittime compromissioni del diritto del lavoratore a ottenere un equo ristoro del danno biologico. La vera nota “stonata”, ma la questione eccede l'oggetto della nostra trattazione, è costituita dall'introduzione all'art. 11 d.P.R. 1124/1965 di un nuovo comma 3, in cui si dispone che «nella liquidazione dell'importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro». Ebbene, non può non condividersi l'opinione di chi ha giustamente sottolineato come tale disposizione non sia coerente con la ratio legis (quella appunto di compensare la riduzione delle tariffe) e, soprattutto, risponda ad una logica di «diritto premiale decisamente discutibile, atteso che in realtà andrebbero premiati i datori di lavoro virtuosi i quali non attendono il verificarsi di un sinistro per attuare le misure di sicurezza prescritte, non già i datori, per così dire, pentiti dopo un disastro ormai irrimediabile» (così BONA cit.).
4) Le modifiche apportate all'art. 142 cod. ass. L'art. 1 comma 1126 l. 145/2018 ha altresì modificato il comma 2 dell'art. 142 cod. ass., il quale risulta oggi così formulato (le modifiche sono riportate in grassetto): «prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma a valere sul complessivo risarcimento dovuto idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo». La novella legislativa ha, però, lasciato intatto il quarto comma della medesima norma, ove è disposto che «in ogni caso l'ente gestore dell'assicurazione sociale non può esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti». Sul punto, alcuni autori hanno rilevato che «se si leggono i due commi contenuti nello stesso articolo in una veste meramente letterale, gli stessi appaiono francamente inconciliabili» (così MARTINI F. e RODOLFI M., Le novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019 al cod. ass. e al TU Inail, Ridare.it, 24 gennaio 2019; nel medesimo senso anche ROSSETTI M., Brevi note sull'art. 1, comma 1126, della legge di bilancio 2019, Ridare.it, 20 marzo 2019) e, in effetti, l'accantonamento di una somma pari al valore complessivo delle prestazioni erogate dall'assicuratore sociale, sia concesso il gioco di parole, potrebbe rendere la “quota di risarcimento residua” insufficiente a ristorare gli altri danni alla persona “non altrimenti risarciti”. D'altro canto, ad un attento esame della disciplina ben potrà comprendersi come tra i due commi non vi sia alcuna contraddizione. Ed infatti, almeno nei limiti in cui a surrogarsi sia INAIL (si pensi alla tipica ipotesi dell'infortunio in itinere occasionato dalla circolazione stradale), potranno esser spese le medesime argomentazioni già sviluppate in materia di regresso ex art. 11 d.P.R. 1124/1965: si vuol cioè sostenere che il previo accantonamento in favore di INAIL non potrà mai pregiudicare il diritto al risarcimento del danno alla persona, atteso che il danno biologico è già coperto dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Invero, non potremmo omettere di considerare come il quarto comma dell'art. 142 cod. ass. faccia salvo il diritto dell'assistito al risarcimento non solo del danno biologico ma, con formula più ampia, «dei danni alla persona non altrimenti risarciti». Ebbene, l'utilizzo del plurale potrebbe legittimare alcuni equivoci particolarmente pericolosi, dal momento che parrebbe rievocare quella prassi, certamente diffusa al tempo dell'approvazione del codice delle assicurazioni, di articolare e liquidare il danno non patrimoniale in componenti autonome (tra cui quella c.d. morale). Nondimeno, è noto come nel 2008 le Sezioni Unite abbiano censurato quell'orientamento giurisprudenziale, promuovendo una concezione unitaria del danno non patrimoniale (Cass. civ., Sez. Un. n. 26972 e ss./2008). Di conseguenza, anche a fronte di alcuni più recenti interventi della Cassazione in materia di separata valutazione e liquidazione del danno dinamico relazionale e del danno da sofferenza interiore che parrebbero minare l'impianto delle sentenze di San Martino (cfr. Cass. civ., n. 7513/2018 c.d. Decalogo), occorre precisare come, ad oggi, il quarto comma dell'art. 142 cod. ass. non consenta di riservare al danneggiato il risarcimento di poste di danno non patrimoniale autonome e ulteriori rispetto al pregiudizio biologico già indennizzato da INAIL, ben potendosi affermare che la formula “danni alla persona” utilizzata dalla disposizione citata dev'essere più correttamente interpretata come “danno alla persona unitariamente inteso” e che quest'ultimo viene già ristorato, sia pur solo in parte, dall'assicuratore sociale. Ciò almeno fin quando la concezione onnicomprensiva del danno non patrimoniale non venga superata da un nuovo pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite (per una ricognizione dei più recenti arresti di legittimità si veda SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina Legale minano le sentenze di San Martino, Ridare.it, 4 settembre 2018). Ciò detto, il quarto comma sarà invece chiamato ad operare ogni qualvolta a surrogarsi sia INPS, al fine di recuperare, ai sensi dell'art. 14 l. 222/1984, il valore capitalizzato dell'assegno ordinario di invalidità (art. 1), della pensione ordinaria di inabilità (art. 2) e dell'assegno mensile per l'assistenza personale e continuativa ai pensionati per inabilità (art. 5). Occorre, infatti, considerare come tali prestazioni ristorino il solo pregiudizio patrimoniale patito dall'invalido (ex multis, Cass. civ., n. 4396/1998); di conseguenza, il previo accontamento in favore di INPS di un importo pari alle prestazioni erogate ai sensi della legge richiamata potrebbe in effetti pregiudicare il diritto del danneggiato al ristoro dei danni alla persona “non altrimenti risarciti”. In conclusione, pare a chi scrive che nessuna incompatibilità sia rinvenibile all'interno del nuovo art. 142 cod. ass., atteso che il comma 2 pone una regola generale (quella dell'accantonamento) mentre il comma 4 contempla una deroga che dovrà trovare applicazione ogni qualvolta la prestazione erogata dall'assicuratore sociale non indennizzi, sia pur solo in parte, il pregiudizio biologico.
5) Uno spunto di riflessione: l'art. 142 cod. ass. si applica anche al recupero delle c.d. invalidità civili? Da ultimo, e più in generale, ci si potrebbe chiedere se la nuova disposizione debba trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui INPS agisca per il “recupero” del valore degli emolumenti di cui all'art. 41 l. 183/2010 (c.d. invalidità civili) che siano stati erogati a seguito di incidente stradale. Sul punto, invero, le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., n. 12567/2018) hanno confermato quanto già a suo tempo sostenuto da INPS nella circolare n. 152 del 27 novembre 2014, e cioè che l'azione di “recupero” costituisca un diritto autonomo e distinto da quello dell'assistito, «a differenza dell'azione di cui agli artt. 1916 c.c. e 14 della l. n. 222/1984, che prevedono la surroga dell'Istituto nei medesimi diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili e quindi la successione nel lato attivo di un rapporto obbligatorio»; di conseguenza, con specifico riguardo al recupero delle prestazioni di cui all'art. 41 cit., dovremmo escludere che sussista alcun obbligo di accantonamento in favore di INPS ai sensi dell'art. 142 cod. ass. Invero, proprio al fine di scongiurare il pericolo che il tardivo esercizio dell'azione di recupero potesse pregiudicare le ragioni di INPS, l'Istituto aveva stipulato in data 11 gennaio 2011 una convenzione con ANIA che avrebbe dovuto impegnare le imprese associate a pre-dedurre dal risarcimento dovuto al danneggiato un importo pari al valore delle prestazioni erogate, in favore quest'ultimo, a titolo di invalidità civile. Ebbene, potrebbe certamente dubitarsi dell'efficacia di tale convenzione nei confronti dei terzi danneggiati, atteso che il contratto, per definizione, ha forza di legge esclusivamente tra le parti (art. 1372 c.c.). Ad ogni modo, anche a prescindere dall'applicazione del “privilegio” della prededuzione, non può comunque dubitarsi del fatto che INPS possa pretendere la refusione di quanto pagato al danneggiato fintanto che quest'ultimo non sia stato risarcito dall'assicuratore del responsabile e ciò in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno così come definito dalla sentenza da Cass. civ., Sez. Un., n. 12567/2018 (sul punto sia consentito rinviare a CHIRIATTI G., La pensione di reversibilità non dev'essere detratta dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal superstite, Ridare.it, 18 giugno 2018). A quel punto, resterebbe però da comprendere se la prestazione erogata da INPS debba essere imputata al danno patrimoniale oppure a quello non patrimoniale. Ebbene, pare a chi scrive che, anche alla luce dei presupposti richiesti per la loro concessione, le prestazioni di c.d. invalidità civile vadano a ristorare il pregiudizio patrimoniale patito dal danneggiato, che si sostanzia o nella diminuita capacità di produrre reddito (si pensi alla pensione di inabilità ex art. 12 l. 118/1971) o nella necessità di ricevere assistenza (si pensi all'indennità di accompagnamento ex art. 1 l. 18/1980). Di conseguenza, proprio in ossequio ai principi espressi dalla Corte Costituzionale con riguardo all'esercizio del regresso da parte di INAIL nel sistema previgente all'anno 2000, è ragionevole ritenere che tali emolumenti debbano essere scorporati esclusivamente dall'eventuale risarcimento del danno patrimoniale prodotto dall'illecito e giammai dalla “quota” destinata al ristoro del danno biologico.
Osservazioni
Alla luce di quanto sopra, può dunque condividersi l'affermazione della Corte, secondo cui le modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2019 in materia di calcolo del danno differenziale e di regresso da parte di INAIL non possano trovare applicazione retroattiva. Non paiono invece fondate le censure mosse da alcuni autori circa l'illegittimità costituzionale delle nuove disposizioni, atteso che nell'attuale contesto normativo il danno biologico è già indennizzato (peraltro in misura prevalente) da INAIL e che, dunque, il lavoratore non potrebbe giammai essere privato del diritto ad un adeguato ristoro di quel pregiudizio così come richiesto dalla Corte Costituzionale nel 1991. E quand'anche si obiettasse che l'applicazione delle nuove regole di scorporo “integrale” possa pregiudicare il diritto del danneggiato ad ottenere il risarcimento del danno biologico “differenziale”, occorrerà tener conto che tale arretramento di tutela ben può essere giustificato dalla necessità di garantire a tutta la platea dei lavoratori/assicurati un indennizzo certo ed adeguato di quel pregiudizio. E ancora, si consideri come, da un punto di vista strettamente monetario, l'applicazione delle nuove regole non potrebbe in nessun caso pregiudicare la posizione del danneggiato, atteso che la mancata riparazione integrale del pregiudizio biologico verrebbe comunque compensata dalla riscossione di emolumenti “in eccesso” rispetto ai danni (patrimoniali) effettivamente patiti. Le medesime considerazioni valgono altresì per il comma 2 dell'art. 142 cod. ass., anch'esso modificato dalla Legge di Stabilità 2019, almeno nei limiti in cui l'assicuratore sociale che esercita la surroga verso la Compagnia del veicolo responsabile sia INAIL. L'operazione di scorporo integrale troverà invece un limite nel quarto comma della norma (lasciato intatto dalla novella legislativa) nella diversa ipotesi in cui sia INPS a surrogarsi ai sensi dell'art. 14 l. 222/1984, atteso che le prestazioni assicurative riconosciute da tale ultima legge hanno un contenuto squisitamente patrimoniale e che l'eventuale surroga da parte dell'Istituto potrebbe in effetti pregiudicare il diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico “non altrimenti risarcito”. BONA M., Legge di bilancio 2019 e “danno differenziale INAIL”: nessun segno meno per i danneggiati, Ridare.it, 13 marzo 2019; CHIRIATTI G., La pensione di reversibilità non dev'essere detratta dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal superstite, Ridare.it, 18 giugno 2018; MARTINI F. - RODOLFI M., Le novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019 al cod. ass. e al TU Inail, Ridare.it, 24 gennaio 2019; ROSSETTI M., Brevi note sull'art. 1, comma 1126, della legge di bilancio 2019, Ridare.it, 20 marzo 2019; SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina Legale minano le sentenze di San Martino, Ridare.it, 4 settembre 2018. |