Autoriciclaggio e gioco d'azzardo: un binomio possibile

Marzia Minutillo Turtur
10 Maggio 2019

La sentenza della Seconda Sezione della Corte di Cassazione, n. 13795/2019, ha affrontato il tema, recentemente emerso, della possibilità di autoriciclare consistenti somme provenienti da reato mediante impiego in attività speculative e, segnatamente, nel settore dei giochi e delle scommesse.
Abstract

La sentenza della Seconda Sezione della Corte di Cassazione, n. 13795/2019, ha affrontato il tema, recentemente emerso, della possibilità di autoriciclare consistenti somme provenienti da reato mediante impiego in attività speculative e, segnatamente, nel settore dei giochi e delle scommesse. L'Autrice, ricostruito il contesto sistematico quanto all'introduzione dell'autoriciclaggio nel nostro ordinamento, analizza la decisione e la sua approfondita interpretazione della condotta a carattere speculativo rispetto ad un settore, quello dei giochi e delle scommesse, ancora scarsamente vagliato dalla giurisprudenza di legittimità.

Seconda Sezione della Corte di cassazione, n. 13795/2019: ricorso del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano proposto in materia cautelare avverso l'ordinanza del Tribunale della libertà, che ha annullato l'ordinanza del GIP che aveva disposto gli arresti domiciliari a carico dell'indagato per i reati di cui agli

artt.640,

comma 1, 61 n. 7 e 11, 648-ter.1 c.p. In particolare l'annullamento conseguiva alla affermazione, da parte del Tribunale della libertà, quanto alla truffa della carenza di limiti edittali e quanto all'autoriciclaggio dell'insussistenza del presupposto indiziario, poiché l'impiego di oltre centomila euro nel settore dei giochi e delle scommesse non è stato considerato rientrante tra le attività speculative ai sensi dell'art. 648-ter.1 c.p.

Inquadramento sistematico del delitto di autoriciclaggio.

La disciplina dell'autoriciclaggio trova la propria origine nell'art. 3, comma 3, della l. n. 186 del 2014. In precedenza si era a lungo discusso della rilevanza del c.d. privilegio di autoriciclaggio, che determinava la sostanziale impunità dell'autore del delitto presupposto nel caso in cui proprio tale soggetto si applicasse nel reimpiegare, sostituire o trasferire il denaro i beni o le altre utilità provenienti dal delitto dallo stesso commesso. Le Convenzioni di Strasburgo e di Varsavia in realtà non imponevano alcun obbligo al fine della introduzione di questo delitto, tuttavia le sollecitazioni emergenti in tal senso erano molte, in considerazione della necessità di colmare un vuoto di disciplina che poteva sia indebolire la legislazione anticorruzione, che lasciare sostanzialmente impunite una serie di condotte molto incidenti sull'ordine economico nel garantire un'effettiva libertà di concorrenza (in tal senso il Rapporto sull'Italia del 2011 dell'OCSE). L'incidenza di una disciplina volta ad arginare l'afflusso di capitali « sporchi » nell'ambito dell'economia legale era dunque fortemente sentita sia a livello internazionale che interno, tenuto conto della portata endemica del fenomeno corruttivo nel nostro paese, oltre che della diffusività delle associazioni a delinquere di stampo mafioso con le loro più svariate articolazioni, anche economiche. E d'altra parte la rilevanza per il legislatore italiano delle condotte di reimpiego, sostituzione o trasferimento del denaro proveniente dal reato presupposto era già emersa nella previsione dell'art. 12 quinquies del d.l. n. 306 del 1992, definito come autoriciclaggio improprio. Un indice univoco in tal senso emerge dalla decisione delle Sez. Unite n. 25191/2014 secondo la quale è configurabile il reato di cui all di cui all'art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356 in capo all'autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente "dominus", al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, poiché la disposizione di cui all'art. 12 quinquies citato consente di perseguire anche i fatti di "auto" ricettazione, riciclaggio o reimpiego. La giurisprudenza aveva infatti già affermato che la previsione aveva la finalità di sanzionare, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, tutte quelle condotte che realizzino di fatto una situazione di apparenza, nelle modalità più disparate, con la separazione tra colui o coloro che hanno la titolarità effettiva del denaro o di altre utilità e coloro che, in base ad una fittizia attribuzione, ne risultano formalmente titolari o disponenti. (Cass. Sez. 6, n. 15140/2012). Rientrano in questa disciplina tutte quelle situazioni che determinano un rapporto di signoria e padronanza sul bene da parte dell'autore del reato presupposto, nonostante l'apparente trasferimento ad altri soggetti, al fine ovviamente di eludere le disposizioni in materia di prevenzione a carattere patrimoniale o nell'agevolare la commissione dei reati di cui agli art. 648, 648 – bis o ter cod. pen. Il trasferimento fraudolento è stato disciplinato quale reato a forma libera, con l'effetto evidente di limitare l'autonomia privata delle parti nella realizzazione di negozi giuridici altrimenti leciti per arginare scopi illeciti. Tale previsione non contiene alcuna clausola di esclusione della responsabilità per l'autore dei reati presupposto che hanno prodotto proventi illeciti, individuando ben prima della legge del 2014 la ricorrenza di un'ipotesi tipica di autoriciclaggio, considerata la diretta partecipazione dell'autore del reato al trasferimento fraudolento di valori. In senso sostanzialmente analogo, e dunque all'evidente fine di arginare fenomeni di autoriciclaggio, è sempre stata letta anche la previsione di cui all'art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, che punisce l'attività di simulata alienazione di beni o la realizzazione di altri atti fraudolenti allo scopo di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi. È in questo contesto che viene dunque introdotta la previsione dell'art. 648-ter.1 cod. pen. che richiama nella sua formulazione la medesima terminologia della disciplina in tema di riciclaggio e reimpiego, prevedendo la sanzione penale per chi, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, impreditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, in modo da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa.

Anche per l'autoriciclaggio, come per il riciclaggio in generale, è emersa la riflessione in tema di bene giuridico tutelato ed anche in questo caso si tende a ritenere la ricorrenza di plurioffensività della condotta, sia per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, che per quanto concerne la tutela dell'ordine economico e del risparmio. Quello che sembra caratterizzare in modo più incisivo questa previsione è la volontà del legislatore di garantire il rapporto fiducia quanto al sistema economico e di risparmio complessivamente considerato. Proprio la terminologia utilizzata sembra indicativa della volontà del legislatore di configurare tale delitto come di pericolo in concreto, tanto che l'attività deve risultare idonea “concretamente” ad ostacolare l'identificazione della provenienza illecita di beni, il cui confluire nell'ambito del complessivo ordine economico rappresenta una forma oggettiva di alterazione del mercato e della libera concorrenza. Il reato di caratterizza quale reato “proprio”, considerata l'identificazione del soggetto attivo con colui che ha commesso o concorso a commettere un delitto non colposo. Il reato presupposto si deve necessariamente riferire a condotte che possano effettivamente produrre un provento da ripulire, sicché la previsione generalizzata dei reati presupposto può essere, tenuto conto di ciò, letta restrittivamente.

Il tema dell'autoriciclaggio ha sempre sollevato critiche relative alla possibile ricorrenza di un bis in idem nei confronti del soggetto autore del reato presupposto, con conseguente violazione del principio di tassatività e certezza del diritto penale. La condotta si caratterizza per la ricorrenza di un ampliamento rispetto al riciclaggio, essendo stata aggiunta come attività rilevante anche quella imprenditoriale e speculativa. L'interpretazione maggioritaria circa la portata di tali attività tende a circoscriverne la portata nel senso di riferire l'attività speculativa, volta a realizzare il maggior guadagno possibile dall'impiego del provento del reato presupposto, in un'attività ad alto rischio, ma pur sempre afferente ad attività commerciali o finanziarie.

L'ostacolo concreto che deve essere realizzato al fine di poter impedire la ricostruzione della provenienza illecita del bene può caratterizzarsi in modo più o meno ampio, quale mero allontanamento della somma provento di reato dal patrimonio originario, oppure con una caratterizzazione della condotta in senso più attiva ed incisiva, mediante più articolate attività di occultamento, anche contabile, o con schermature societarie. L'ostacolo all'identificazione dovrebbe essere considerato come un requisito caratteristico della condotta e non come evento del reato, per cui sembra possibile poter ipotizzare per l'autoriciclaggio la non necessità di un effetto dissimulatorio della condotta. Il delitto dunque, per come configurato, presenta due limiti che ne definiscono portata e ambito: da una parte l'effettivo ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa, dall'altra la previsione d'irrilevanza penale della condotta, ai sensi del quarto comma dell'art. 648-ter.1 c.p. nel caso in cui i beni provento del reato presupposto siano determinati al godimento personale.

Anche quanto all'elemento soggettivo l'autoriciclaggio si presenta coerente con la previsione in tema di riciclaggio, essendo richiesto il dolo generico, che appunto si caratterizza quale consapevolezza circa la realizzazione del delitto non colposo presupposto e la volontà di impiegarne i proventi nella attività economiche, speculative e imprenditoriali al fine di ostacolarne l'identificazione.

Il tema dell'individuazione dell'ambito penalmente rilevante della condotta speculativa e la sua riferibilità alle attività di gioco e scommessa

In questo complessivo e articolato panorama è intervenuta la pronuncia della Seconda Sezione n. 13795/2019, che ha analizzato e approfondito, sui motivi della Procura di Milano, il concetto e la nozione giuridica di attività speculativa, con particolare riferimento alla attività di investimento di proventi di reato in attività di gioco o scommessa. La Corte richiama la motivazione del Tribunale della libertà di Milano, che ha di fatto ritenuto insussistente il presupposto indiziario del delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p. poiché si potrebbe considerare speculativa esclusivamente quella attività consistente nello svolgimento di operazioni intese ad ottenere il massimo guadagno in attività commerciali e finanziarie, cercando per lo più di trarre un utile dalla variazione attesa dei prezzi rispetto a quello di acquisto, nello svolgimento di operazioni di investimento da cui ci si propone di realizzare un forte utile. In tal senso il Tribunale milanese ha ritenuto non compresa l'attività d'impiego di denaro in giochi e scommesse, considerando speculativi esclusivamente gli interventi comportanti sì grandi rischi, ma comunque calcolati e finalizzati a ricevere utili, mentre i giochi si caratterizzerebbero per la ricorrenza di una mera alea, senza portare a nessun rientro economico. Si è quindi affermata nel caso in questione la ricorrenza della previsione di cui all'art. 648 ter. 1, comma 4, ovvero un mero uso e godimento personale del provento di reato in giochi e scommesse.

La Corte richiama anche l'ampia portata dei motivi presentati dalla Procura della Repubblica che ha in via principale contestato l'interpretazione fornita nella ricerca del significato del sintagma “attività speculativa”, evidenziando che una lettura guidata dall'art. 12, comma 1, delle preleggi impedisce una lettura sostanzialmente abrogatrice come quella fornita dal Tribunale della libertà, che sostanzialmente finisce per identificare le attività speculative con lo spazio già occupato dai concetti di attività economica, imprenditoriale o finanziaria, che invece rappresentano autonome ipotesi integranti il delitto di riciclaggio. Proprio in relazione all'attività di gioco o scommessa nelle sue diverse articolazioni la Procura milanese ha contestato l'affermazione secondo la quale tali attività non sarebbero finalizzate a realizzare un utile, considerata la ricorrenza di sofisticati meccanismi capaci di governare l'alea di molti giochi e molti tipi di scommesse, sicché non appare effettivamente ricorrente la possibilità di distinguere attività caratterizzate da un rischio calcolabile e attività, come il gioco, caratterizzate dalla pura alea. Ancora si contesta da parte della Procura Milanese la decisione raggiunta dal Tribunale della libertà quanto alla ricorrenza della clausola di esclusione della punibilità ex art. 648 ter.1, comma quarto, c.p., richiamando la stessa giurisprudenza di legittimità secondo la quale è possibile l'esenzione di responsabilità solo e soltanto se si goda o si utilizzino i provento del delitto presupposto in modo” diretto” e senza compiere su di essi alcuna operazione idonea ad ostacolarne concretamente la loro provenienza delittuosa. Si è in tal senso ritenuto che l'impiego nel gioco che in caso di vincita consente una giustificazione contabile delle somme del tutto ripulite e difficilmente riconducibili al reato presupposto. A sostegno della propria tesi la Procura ha richiamato diversi studi e in particolare l'analisi dei rischi realizzata presso il Ministero dell'Economia circa la rilevante esposizione del settore del gioco al rischio del riciclaggio.

La Seconda Sezione della Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, richiamando in parte le osservazioni della Procura.

In tal senso si è affermato «in ossequio a quanto disposto dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in primo luogo attraverso l'accurata ricerca dell'effettivo significato dell'espressione attività speculativa» e tramite la concreta e specifica analisi della ratio legis è possibile giungere ad una ricostruzione completa e costituzionalmente orientata del significato dell'espressione legislativa attività speculativa. Si è quindi sottolineato, in continuità con costante giurisprudenza di legittimità, come anche per le norme penali sia possibile un'interpretazione estensiva, volta a determinare l'effettiva portata del precetto penale, quando sia palese che il legislatore abbia detto, di fatto, meno di quanto volesse.

E da ciò deriva la conclusione secondo la quale l'interpretazione estensiva non amplia il contenuto effettivo della norma ma impedisce che fattispecie ad essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto della lettera.

L'interpretazione estensiva rappresenta dunque il mezzo utilizzato dalla Corte per arrivare nel caso in esame all'esatto accertamento del contenuto della norma attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica.

Partendo quindi dall'interpretazione letterale, da integrare in seguito con la ratio legis, la Corte ha sottolineato come il termine attività speculativa abbia una portata molto ampia, e richiamando la voce dell'Enciclopedia delle scienze sociali, edita da Treccani, ha evidenziato come in esso rientri un concetto di attività economica ampia, sicché può essere considerata speculativa qualsiasi decisione o azione di investimento che si basa sulla previsione di effetti futuri che in questo senso implichi rischio. Si richiama poi la circostanza che in molti contesti il termine speculazione è considerato sinonimo di gioco d'azzardo, e dunque come attività caratterizzata dallo scommettere su un esito incerto, tanto che «entrambi i termini rientrano nella categoria generale dell'investimento (definito come impegnare danaro per ottenere un guadagno)».

Se dunque frequentemente con speculazione si intende un investimento che è ad alto rischio, con l'espressione gioco d'azzardo si tende a connotare un'attività a carattere fortemente speculativo, dove la differenza rilevante rispetto all'ordinaria attività speculativa deve essere individuata nel criterio in base al quale si decide se accettare la scommessa. Afferma la Corte che: «lo speculatore decide l'azione col criterio del confronto tra rischio e rendimento atteso, il giocatore d'azzardo accetta la scommessa anche se l'aspettativa di guadagno non è tale da compensare il rischio dell'operazione».

Partendo da questa analisi linguistica la Corte rileva come attività speculativa e gioco d'azzardo ben possano svolgere linguisticamente il ruolo di sinonimi. La speculazione proprio per l'alea che la caratterizza non può dunque essere limitata al ristretto ambito della speculazione finanziaria e borsistica, con la conseguenza che non si riscontrano ostacoli al comprendere nell'attività speculativa anche quelle classificabili come gioco d'azzardo o come scommessa (sportiva o su eventi diversi comunque gestiti da allibratori).

Ciò posto la Corte rileva l'impiego di modalità di gioco capaci di controllare l'esito della vincita, con eventuale parziale ritorno del capitale impiegato, può costituire una utile modalità di sostituzione e ripulitura del profitto delittuoso, in assenza tra l'altro di costi e intermediari per realizzare tale ripulitura.

All'interpretazione letterale che avvicina l'attività speculativa al gioco d'azzardo la Corte affianca poi l'esegesi volta alla ricerca del'effettiva intenzione del legislatore nel prevedere quale condotta tipica dell'art. 648-ter.1 c.p. l'attività speculativa. Fondamentale rilevanza nella ricerca della finalità della previsione normativa ha certamente la caratterizzazione della condotta nel senso del determinare un ostacolo concreto all'identificazione della provenienza delittuosa del bene. Occorre dunque che la condotta, nelle sue diverse articolazioni, abbia effettiva e particolare capacità dissimulatoria, che costituisce un qualcosa di più rispetto al mero godimento personale dello stesso.

L'intenzione del legislatore, volta a congelare il profitto in mano al soggetto che ha realizzato il reato presupposto, per evitarne una utilizzazione ancor più offensiva mediante il suo reinserimento non tracciabile nel circuito economico e finanziario, è dunque quella di tutelare al massimo l'ordine economico, rispetto alle condotte ulteriori che l'autore del reato presupposto può porre in essere. L'autore del reato presupposto dunque accetta il rischio di agire e impiegare il denaro nel gioco d'azzardo o nelle scommesse, con la prospettiva di ricavarne un profitto, che può essere anche molto ingente, accettando il rischio di una perdita. Nel caso in cui non ci sia perdita, ma bensì vincita, la ripulitura del denaro che consegue alla attività di gioco e scommessa è evidente. Il denaro ha una nuova veste (parzialmente tutelata dal nostro ordinamento ex art. 1933 c.c.), che ne legittima la provenienza e ne consente il nuovo investimento per l'autore del reato. E comunque anche in caso di perdita tale denaro viene reimmesso nel mercato economico, alterandone comunque l'andamento.

Se dunque per attività speculativa si deve intendere l'impegno di denaro per ottenere un guadagno in questo ambito, secondo la Corte, anche avviando un'interpretazione estensiva, deve certamente rientrare nella nozione di attività speculativa il gioco d'azzardo e la scommessa.

Una diversa soluzione a carattere restrittivo, come quella proposta dal Tribunale milanese, appare, a parere della Seconda Sezione penale, gravemente illogica, non perseguendo un canale di riciclaggio diffusamente riconosciuto e realizzando di fatto un'interpretazione abrogativa della dizione attività speculative, che di fatto dovrebbero essere identificate con gli altri concetti già compresi nella previsione di attività economica o finanziaria, dunque per investimenti o negozi caratterizzati da rischio elevato, ma comunque gestibile.

Richiamando anche la decisione della Seconda sezione n. 30399/2019 la Corte ribadisce il principio di diritto per cui l'agente può andare esente da responsabilità ai sensi dell'art. 648 ter .1 c.p. soltanto se utilizzi e goda dei nei del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

Il chiaro riferimento del legislatore alla mera utilizzazione o al godimento personale rende dunque fondata l'interpretazione estensiva proposta perché, chiaramente, un investimento in gioco e scommesse non rappresenta mera utilizzazione e certamente rientra in un ambito atto ad ostacolare la tracciabilità della provenienza delittuosa del bene, correlata al raggiungimento del guadagno sebbene sottoposto ad alea.

In tal senso la Corte sottolinea anche che comunque «non pare rilevante, ai fini dell'integrazione del reato, il fatto che al gioco consegua o meno una qualche vincita. Infatti il primo comma dell'art. 648-ter.1 cod. pen. incrimina, oltre alla condotta di chi sostituisce i proventi illeciti, anche quella di chi semplicemente li impiega in attività funzionali ad ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa, così configurando una ipotesi di reato a consumazione anticipata». La conclusione è supportata a parere del collegio dall'osservazione che l'impiego speculativo del denaro può ben portare a perdite totali del capitale anche nel caso di impiego su valori, valute, merci, beni o servizi caratterizzato da elevata rischiosità. E anche nel caso in cui si ritenesse necessario il raggiungimento di un qualche risultato economico rispetto alla provvista impiegata, nulla ostacolerebbe la configurazione del delitto ex art. 648-ter.1 c.p. in forma tentata, ove il denaro investito risultasse integralmente perduto.

Non può quindi essere ritenuta l'operatività della previsione del comma quarto dell'art. 648-ter.1 c.p. nel caso in cui l'attività realizzata rivesta astratta natura speculativa per l'impiego delle somme nelle scommesse e nel gioco d'azzardo, quando proprio tale attività si presenti idonea a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Il diverso orientamento della sentenza n. 9751/2019.

Il Collegio da atto nella motivazione della presenza di un precedente della stessa sezione, la sentenza n. 9751/2018, che ha diversamente considerato, in tema di autoriciclaggio, l'attività di gioco (nel caso di specie rappresentato dal gioco del lotto). Non condivide tuttavia le conclusioni raggiunte da tale decisione che ha escluso la possibilità di comprendere tale forma di gioco tra le attività speculative. La decisione n. 9751/2019 ha di fatto raggiunto tale conclusione ritenendo che il rigoroso rispetto del principio di tassatività e determinatezza della norma penale incriminatrice, oltre al divieto di analogia in malam partem, fossero ostative quanto alla comprensione del gioco tra le attività speculative in assenza di una definizione normativa di attività speculativa. Nell'ambito della motivazione si evidenzia come si possa effettivamente ritenere ricorrente un'attività speculativa solo nel caso in cui ricorra una gestione in modo razionale ed economico del rischio, così da minimizzare le occasioni di perdita e massimizzare quelle di profitto, in presenza di un fenomeno connotato da una consapevole analisi costi benefici, mentre la causa della prestazione patrimoniale nel gioco non è riconducibile ad un interesse prettamente economico, ma è invece rappresentativa di un intento non patrimoniale, riconosciuto come valida fonte di arricchimento ex art. 1933 c.c., ma sprovvisto di tutela giuridica. Nell'affermare il principio predetto la decisione in questione richiama l'art. 23 del T.U.F. (disciplina dei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori, con esclusione della applicazione dell'art. 1933 c.c. agli strumenti finanziari derivati, ovvero per prodotti dalla portata tipicamente speculativa), nonché l'art. 67 TUIR, che rispetto ai redditi da plusvalenza originati da investimenti speculativi prevede una disciplina del tutto diversa da quella in tema di tassazione per le vincite del gioco del lotto ( in tal senso art. 6 del d.l. n. 50/2017). Il collegio, nella decisione in commento, ritiene queste argomentazioni non risolutive, ed afferma che la locuzione attività speculativa deve essere intesa ad individuare delle macro aree, tutte caratterizzate dall'impiego di denaro finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico. È dunque fondamentale in tal senso, per definire l'attività speculativa, l'intento del soggetto agente di raggiungere un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite. Viene quindi sottolineato come l'alea che caratterizza il gioco non si distingue sostanzialmente da una serie di attività di investimento a carattere finanziario decisamente molto aleatorie (derivati, futures etc. ), restando comunque elemento di fondamentale rilevanza l'ostacolo che oggettivamente viene creato alla identificazione con l'impiego di denaro proveniente da delitto in attività di gioco e scommessa.

Viene criticato anche il riferimento al trattamento tributario: si osserva come una tale interpretazione sembra quasi voler configurare una norma penale in bianco, i cui contenuti dovrebbero essere recuperati da discipline extrapenali, dettate per finalità completamente diverse. Inoltre da tale disciplina in materia tributaria non sembra emergere, a parere del collegio, alcuna definizione di attività speculativa, ma semplicemente la disciplina della diversa tassazione di attività che tuttavia si caratterizzano per la loro evidente finalità speculativa, seppure in ambiti diversi. In conclusione la decisione in commento esclude che l'interpretazione fornita di attività speculativa, per come estesa anche al gioco e alla scommessa, possa essere considerata lesiva del principio di tassatività e offensività, apparendo sufficiente a tal fine che la condotta del reato, pur descritta genericamente, «consenta al giudice, avuto riguardo anche alla finalità di incriminazione e al contesto ordina mentale in cui si colloca, di stabilire con precisione il significato delle parole, che isolatamente potrebbero anche apparire non specifiche, ed al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo di essa».

Da tali argomentazioni consegue che la riconducibilità, in concreto, dell'attività di impiego, sostituzione o trasferimento di risorse illecite in una delle macro aree indicate nel primo comma dell'art. 648-ter.1 c.p. non può che essere rimessa all'interprete, che dovrà valutare caso per caso se un'attività possa essere considerata economica, finanziaria o speculativa, in correlazione ovviamente alla idoneità della stessa ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

In conclusione

Il panorama interpretativo richiamato è articolato e complesso, così come il fenomeno analizzato e valutato dalla decisione commentata, che presenta elementi di novità.

Il punto centrale della riflessione è la ricerca di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle aree semantiche amplissime introdotte dal legislatore con la disciplina dell'autoriciclaggio, tanto che si è dibattuto anche in dottrina in ordine alla portata di tale previsione, da molti ritenuta come un'apertura incondizionata alla punibilità di condotte da considerare come veri e propri elementi post delictum in precedenza non rilevanti penalmente.

Se, tuttavia, questi sono gli elementi di critica da sempre proposti nei confronti della disciplina sull'autoriciclaggio, si deve rilevare la chiara presa di posizione della Seconda Sezione della Corte di cassazione nel giungere ad un'interpretazione estensiva, ma costituzionalmente orientata sulla base della ratio legis della normativa introdotta, che verrebbe altrimenti fortemente depotenziata proprio a causa dell'ampiezza semantica della formulazione utilizzata dal legislatore. Nell'effettuare tale operazione, rilevante appare il passaggio nel quale la Corte esclude che la condotta di gioco e scommessa possa rientrare nella disciplina di cui all'art. 648-ter.1, comma 4, c.p. così evidenziando la portata di tale previsione, che deve essere riferita esclusivamente ad un godimento diretto, senza alcuna attività di spostamento o utilizzazione, del provento del reato. Indubbia la valenza sistematica dell'interpretazione proposta, che nell'individuare, puntualmente, la portata dell'art. 648-ter.1, comma 4, c.p. rende possibile una più chiara delimitazione dell'area semantica relativa alla attività speculativa, nella quale ricomprende senza incertezze, il gioco e la scommessa nelle sue più diverse articolazioni.

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