Truffa, insolvenza fraudolenta e illecito civile. Criteri distintivi (con particolare riferimento alle “insidie” delle vendite online)

Gianluca Bergamaschi
14 Maggio 2019

La questione affrontata dall'Autore concerne il criterio da utilizzare per distinguere tra le varie condotte di inadempimento contrattuale e obbligazionario, collocandole nella loro giusta fattispecie, fra truffa, insolvenza fraudolenta o illecito civile, nel rispetto del principio di legalità, tipicità, tassatività e della “frammentarietà” propria del diritto penale...
Abstract

La questione verte sul criterio da utilizzare per distinguere lucidamente tra le varie condotte di inadempimento contrattuale e obbligazionario, collocandole nella loro giusta fattispecie, fra truffa, insolvenza fraudolenta o illecito civile, nel rispetto del principio di legalità, tipicità, tassatività e della “frammentarietà” propria del diritto penale; il tutto con un particolare cenno alle insidie, pratiche e giuridiche, del web, vale a dire alle vendite online, seguite dal pagamento, ma non dalla fornitura della merce.

La giurisprudenza

Da tempo la giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. II, n. 11731/1977 e Cass. pen., Sez. II, 7 novembre 1980) ritiene che: «È ravvisabile insolvenza fraudolenta e non truffa solo allorché il fine illecito venga conseguito esclusivamente mediante un comportamento diretto a nascondere una circostanza vera (lo stato di insolvenza) che impedisce l'adempimento dell'obbligazione assunta.»; così come (Cass. pen., Sez. II, n. 7745/83) che: «L'inadempimento contrattuale integra gli estremi della truffa e non dell'insolvenza fraudolenta o del mero illecito civile quando sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento, estrinsecatosi in artifici atti a sorprendere l'altrui buona fede».

Più o meno in quest'ottica si colloca gran parte della giurisprudenza più risalente (Cass. pen., Sez. II, n. 3475/84; Cass. pen., Sez. II, n. 3395/85; Cass. pen., Sez. II, n. 7433/85; Cass. pen., Sez. II, n. 11904/85; Cass. pen., Sez. II, dello 09.12.1986), che richiama la truffa in caso di dolo iniziale e del precostituito proposito fraudolento, nonché quando gli artifici e raggiri siano atti a simulare circostanze non vere, quali anche la stessa solvibilità; mentre laddove siano idonei solo a nascondere un circostanza vera, ossia l'attuale stato d'insolvenza, allora afferma la sussistenza dell'insolvenza fraudolenta, da cui deriva la rilevanza anche del mero silenzio serbato dell'agente.

Successivamente, la Cass. pen., Sez. S.U., n. 7738/97, nell'ascrive all'insolvenza fraudolenta il mancato pagamento del pedaggio autostradale, aggiunse alcune interessanti considerazioni distintive dalla truffa, infatti, scrisse: «La norma di cui all'art. 641 c.p. […] è stata introdotta nel codice Rocco allo scopo di por fine alle controversie giurisprudenziali insorte in ordine alla riconducibilità o meno, nell'ambito della truffa, delle ipotesi consistenti nel cosiddetto "scrocco".

L'applicazione pratica che ne è seguita è però stata estesa a casi di mancato pagamento, preordinato, del corrispettivo in negozi traslativi di beni e servizi.

Oggetto della tutela penale è l'interesse pubblico all'inviolabilità del patrimonio che lo Stato protegge a favore delle persone fisiche o giuridiche che compiano un atto dispositivo a causa di una frode contrattuale.

L'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perché la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dallo stato di insolvenza del debitore e dalla dissimulazione della sua esistenza finalizzato all'inadempimento dell'obbligazione, in violazione di norme comportamentali.

Si è evidenziato in dottrina che l'essenza della frode nel reato di cui all'art. 641 c.p. postula che, al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore.

Tale convincimento, derivante dalla prassi commerciale o dall'abituale modo di svolgersi di determinati tipi di affari e di convenzioni negoziali tanto più facilmente può formarsi - trovando ingresso al riguardo le massime di esperienza - quanto più modesta sia l'entità economica del negozio.

Deve pertanto ritenersi che la dissimulazione attenga ad un convincimento, precostituito, del creditore di solvibilità del debitore riflettente un dato di conoscenza o di costume che lo qualifica come un affidamento ben riposto.

La dissimulazione, dunque, è una forma minore di inganno in quanto con essa non si induce il soggetto passiva in errore ma lo si mantiene in tale stato.».

Inoltre, circa l'elemento della dissimulazione dello stato d'insolvenza, la sentenza sostiene che: «[…] l'essenza della frode, nella previsione dell'art. 641 c.p. postula che il creditore confidi concretamente nell'adempimento da parte del debitore ritenendo, per la natura dell'affare, per la condizione soggettiva della controparte o per la modesta entità economica del negozio o per la simultanea concorrenza di tali elementi, che questa sia solvibile.

La condotta dissimulatoria non deve pertanto necessariamente consistere in un fatto positivo che, senza assumere le caratteristiche degli artifici o dei raggiri, sia tuttavia tale da guadagnare la fiducia del soggetto passivo, così da vincere la sua normale diligenza nei rapporti contrattuali e da metterlo in condizione di non rendersi conto dello stato di insolvenza dell'agente (in tal senso Cass. pen., 23 marzo 1970, Cottino).».

La successiva giurisprudenza di legittimità, però, non sembra aver colto l'essenza della sentenza delle SS.UU., giacché, sostanzialmente, continua ad utilizzare, più o meno appropriatamente, solo i criteri visti all'inizio.

Già Cass. pen., Sez. II, n. 10792/01, infatti, semplicemente scrive che: «[…] nel delitto di truffa la frode viene attuata mediante simulazione di circostanze e condizioni non vere, artificiosamente create o prospettate per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta si pone in essere la dissimulazione di una condizione vera, e cioè della reale insolvibilità dell'agente».

Lo stesso afferma Cass. pen., Sez. II, n. 16629/07, in materia di ottenimento fraudolento di carte di credito e del loro utilizzo oltre i limiti di capienza e dopo la revoca; così come Cass. pen., Sez. fer., n. 33408/09, che, – nel contesto di un tentato acquisto di un'autovettura, mediante un assegno scoperto, con il corollario della mancata declinazione delle generalità in sede di trattativa da parte dell'acquirente e l'invio dei documenti della complice, per l'intestazione della vettura, autrice, poi, anche della dazione materiale dell'assegno – ravvisa un truffa contrattuale e non una insolvenza fraudolenta, giacché: «Il più grave reato di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta essenzialmente per l'esistenza del raggiro o dell'artificio, che costituisce un plus rispetto alla insolvenza fraudolenta.

In particolare, la truffa contrattuale, come sopra evidenziato, è caratterizzata dal dolo iniziale che si manifesta attraverso artifizi e raggiri tali da influire sulla volontà del soggetto passivo, inducendolo alla conclusione del contratto, mentre nella ipotesi di insolvenza fraudolenta la volontà del soggetto passivo di concludere il contratto non è viziata dall'inganno altrui e le modalità dell'azione consistono nella dissimulazione dello stato di insolvenza (v. Sezione 2^, 21 marzo 1985, Santella).» (conformi, in tema di assegno, anche: Cass. pen., Sez. II, n. 46890/11; Cass. pen., Sez. II, n. 33441/15; Cass. pen., Sez. II, n.8558/18); ancora Cass. pen., Sez. II, n. 44140/12, che ascrive alla truffa, il mancato pagamento del pedaggio autostradale, in caso di “passaggio in striscio”, ossia attraverso l'accodarsi ai veicoli dotati di Telepass (conforme sul punto è Cass. pen., Sez. II, n. 15601/19); ovvero all'insolvenza fraudolenza nel caso in cui la condotta sia consistita nell'aver ritirato il tagliando d'ingresso e, all'uscita, dichiarato all'addetto di aver perso il biglietto e di non aver soldi per pagare.

Quanto allo specifico tema delle vendite online, seguite dal pagamento, ma non dalla fornitura della merce, la Cassazione è decisamente orientata verso la truffa (Cass. pen., Sez. II, n. 7749/15; Cass. pen., Sez.I, n. 25230/15; Cass. pen., Sez.II, n. 48027/16), giacché (Cass. pen., Sez. II, n. 18821/17): «Nella giurisprudenza di legittimità è pacifica l'affermazione che sussiste l'ipotesi della truffa e non dell'insolvenza fraudolenta, o del mero illecito civile, quando l'inadempimento contrattuale sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento (Cass. pen., Sez. II, n. 43660 /2016, P.M. in proc. Cristaldi, Rv. 268448; Cass. pen., Sez. VI, n. 10136/2015 Sabetta, Rv. 262801; Cass. pen., Sez. II, n. 14674/2010, Salord, Rv. 246921); per cui: «[…] deve ritenersi integrata la truffa contrattuale in caso di mancata consegna di merce offerta in vendita ed acquistata sul web, allorché al versamento di un acconto non faccia seguito la consegna del bene compravenduto e il venditore risulti non più rintracciabile giacché tale circostanza evidenzia sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato, da ravvisarsi nella volontà di non adempiere all'esecuzione del contratto sin dal momento dell'offerta online».

Quanto alla giurisprudenza di merito, essa appare più variegata e, tendenzialmente, più garantista, giacché, ad esempio, se, da un lato, il Trib. Varese del 19.03.2007 ritiene che configuri una vera e propria truffa, la creazione di un'apparente solvibilità e di una volontà contrattuale mediante artifici e raggiri, quali l'emissione di un assegno a vuoto, perché ciò non rientra più nel mero sottacere lo stato d'insolvenza, che configurerebbe la sola insolvenza fraudolenta; dall'altro, il Trib. Milano del 30.04.2003 opta per quest'ultimo reato in caso d'inadempimento, pur a fronte di condotte quali la simulazione di qualifiche societarie, l'emissione di assegni a parziale pagamento del debito ed il trasferimento dell'avviamento commerciale della società debitrice in una nuova società, in quanto esse non sono assimili agli artifici o ai raggiri, essendo meramente dissimulatorie dello stato d'insolvenza a fronte del deliberato proposito di non adempiere; allo stesso modo ritiene il Trib. L'Aquila n. 104/08, in quale afferma che gli artifici ed i raggiri meramente perpetrati per dissimulare lo stato d'insolvenza, non siano idonei a configurare una truffa, essendo la dissimulazione dello stato d'insolvenza elemento caratterizzante del solo delitto di insolvenza fraudolenta; conforme a queste ultime è anche il Trib. Perugia n. 16/16 che non considera artificiosa l'attività di emettere un primo assegno andato a buon fine, insieme ad altri post-datati e non onorati, con successiva irreperibilità dell'emittente, stante la mera finalità ed attitudine di ciò a dissimulare lo stato d'insolvenza e, dunque, a costituire l'elemento richiesto dall'art. 641 c.p e non gli artifici della truffa.

Alcune considerazioni critiche

Come ben manifesto, i criteri generali elaborati dalla giurisprudenza, restano sul filo dell'equivoco e dell'ambiguità, giacché, da un lato, il dolo fraudolento inziale, inteso come precostituito proposito di non adempiere, è chiaramente comune a entrambi i reati; dall'altro, simulare solvibilità o dissimulare insolvibilità sono praticamente la stessa cosa, divergendo solo il punto di vista da cui si voglia partire.

In effetti, poco giova la costatazione della sussistenza del dolo iniziale, sorreggente una condotta idonea a indurre alla conclusione di una contratto che diversamente non sarebbe stato concluso, al fine di inclinare il piano verso la truffa, come se, nell'insolvenza fraudolenta, il dolo delittuoso suo proprio non fosse necessario fin da subito e non fosse costituito dalla volontà di indurre la controparte ad una prestazione, che certo non eseguirebbe se le fosse nota la non intenzione e la non possibilità dell'agente di operare la controprestazione.

Del resto, un'originaria intenzione di non onorare un'obbligazione, non è, in sé e per sé, incompatibile nemmeno con lo stesso inadempimento civile, laddove non si possa chiaramente scorgere nella condotta né gli artifici o i raggiri, né la dissimilazione e/o lo stato di effettiva insolvenza, nel qual caso l'unico rimedio sarà una normale azione di recupero del credito.

È, come accennato, poco conferente anche il distinguere tra il simulare solvibilità o dissimulare insolvibilità, giacché anche per dissimulare lo stato d'insolvenza, ben possono essere simulate circostanze e condizioni non vere atte a questo scopo, la differenza, come ben indicato dalle SS.UU. del 1997, si ravvisa nello status psicologico della vittima in diretta correlazione con l'intensità della condotta fraudolenta, che, nel caso della truffa, deve essere idonea a determinare uno stato di errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta, è sufficienti che sia in grado di mantenere il soggetto passivo nell'errore in cui egli già versa.

Inoltre, diversamente da parte della giurisprudenza di merito, quella di legittimità non sembra aver sufficientemente chiaro che, per quanto riguarda la truffa, la simulazione o la dissimulazione non possono mai vertere sulla capacita oggettiva e la volontà soggettiva di effettuare l'adempimento in sé e per sé, giacché ciò costituisce già l'oggettività e la soggettività costitutiva della fattispecie dell'insolvenza fraudolenta, cosicché, per potersi parlare di truffa (contrattuale), gli artifici o raggiri, idonei ad indurre in un errore determinante per in consenso, dovranno sempre investire gli altri elementi decisivi per la conclusione del negozio, giacché il mero fatto dell'inadempimento fraudolento è espressamente tipizzato e descritto nell'art. 641 c.p.

Le vendite online

In verità, sembra chiaro come parte della giurisprudenza preferisca ignorare e prescindere dal succo delle affermazioni contenute nella citata Cass. pen., Sez. Unite, n. 7738/1997.

Ciò appare particolarmente evidente nel caso delle vendite online non onorate dall'offerente venditore, che, ricevuto il pagamento, ben si guarda, poi, dal fornire la merce promessa.

Infatti, come chiaramente fa intendere la pregevolissima sentenza a SS.UU. citata, il punto di caduta della distinzione risiede, non solo e non tanto direttamente nella natura e nell'intensità del mezzo fraudolento utilizzato, che semmai né è una conseguenza, quanto, essenzialmente, nella natura e nella forma dell'obbligazione e del rapporto negoziale che precondizionano la postura e lo stato psicologico del soggetto passivo.

In sostanza, l'arresto considera ciò che spesso e volentieri molta giurisprudenza, invece, trascura, ossia che l'«inganno» è un concetto di relazione, onde per cui occorre verificare e considerare anche lo status mentis del soggetto passivo, per capire se errore vi fu o meno e se venne indotto ovvero fosse già presente; dal che dipenderà se la condotta dell'agente possa essere considerata una truffa o un altro reato o nessun reato.

Da ciò consegue, in pratica, che – a fronte di una prestazione di modesto importo e/o, comunque, collocantesi in un contesto ove è lecito e usuale attendersi una certa condotta altrui, giacché ciò avviene nella stragrande maggioranza dei casi –, si dovrà sempre ritenere che l'eventuale attività fraudolenta dei uno dei contraenti, essenzialmente, diretta a nascondere l'indisponibilità e/o l'impossibilità della controprestazione, non generi lo stato psicologico di errore nell'altro, ma lo confermi per quello che già è, ossia di normale aspettativa della prestazione della controparte.

Questa, in effetti, è la situazione tipica, ad esempio, delle vendite online di beni o servizi, giacché, nella stragrande maggioranza dei casi, esse si concludono felicemente, cosicché chi vi adisce si attende che tale normalità sia confermata anche nella transazione che lo riguarda, ossia si aspetta il regolare adempimento della controparte, a fronte del suo.

Tuttavia, allorquando ciò non avvenga, non si può dire che il contraente in buona fede sia indotto in errore circa la possibilità e volontà di adempimento dell'altro, ma è solo confermato in questo equivoco, cosicché si realizza l'essenza e la ragion d'essere dell'insolvenza fraudolenta, in quanto, ovviamente, ricorrano e siano provati, al di là di ogni ragionevole dubbio, anche gli altri elementi costitutivi del reato.

Ora, in pratica e nella quasi totalità dei casi, le vendite online non onorate si concretizzano in una condotta dell'offerente-venditore non improntata a particolari messe in scena (ossia artifici) o abbindolamenti (ossia raggiri) e corrisponde, pressoché integralmente, al normale comportamento di qualsiasi inserzionista che offra beni o sevizi a pagamento su internet.

Infatti, di regola, trattasi di offerte di un prodotto su un sito dedicato, accompagnate dal recapito per un contatto diretto, nel quale vengono fornite le modalità di pagamento; ossia una condotta normalissima e tipica di qualsiasi inserzionista, indipendentemente dal fatto che sia, poi, nella possibilità e nell'intenzione di onorare l'impegno oppure no.

Non siamo, quindi, a cospetto di particolari artifici e raggiri, ma di una attività del tutto normale, meramente idonea a dissimulare la non volontà e/o la non possibilità dell'adempimento, che, invece, la controparte si attende, in base all'id quod plerumque accidit; ossia siamo al cospetto di atti idonei unicamente a confermare l'usuale attesa di adempimento della controparte, che, quindi, non è indotta in errore sul punto, ma unicamente confermata in esso.

Inoltre, nella più parte dei casi, l'inadempimento non verte su specifiche caratteristiche del prodotto o altri particolari aspetti negoziali, determinanti per il consenso, ma è in gioco l'adempimento in sé e per sé, che, per le ragioni supra indicate, di regola non può integrare una truffa, essendo l'oggetto tipico dell'insolvenza fraudolenta.

Semmai, si deve ribadire che, esclusa la truffa, per affermare l'insolvenza fraudolenta, dovranno essere dimostrati anche gli altri elementi costitutivi di detto reato, ossia la “volontà di non adempiere” e lo “stato d'insolvenza”, in difetto dei quali saremmo al cospetto unicamente di un illecito civile.

Invero, in mancanza della prova dello stato d'insolvenza, risulterà revocato in dubbio pure che la condotta sia stata posta in essere per dissimularlo e che possa ravvisarsi nella stessa un'inequivoca sintomatologia della ricorrenza dell'elemento psicologico, ossia della volontà di contrarre un'obbligazione, pur essendo impossibilitati alla controprestazione.

In pratica, ove non fosse effettuata positivamente la verifica della reale disponibilità o meno dei beni offerti su internet, mancherebbe la prova dell'indisponibilità della merce offerta e non fornita, ossia dell'elemento oggettivo dell'insolvenza, nonché di quello soggettivo del dolo, senza i quali appare impossibile affermare la ricorrenza del reato ex art. 641 c.p.; giacché se tali beni fossero nella disponibilità dell'offerente, saremmo al cospetto di un mero inadempimento civilistico, rimediabile con gli appropriati strumenti di escussione civile.

In conclusione

In conclusione, quindi, non si può non stigmatizzare la tendenza di certa giurisprudenza a subordinare il diritto alle esigenze repressive, ossia l'ordine giuridico all'ordine pubblico, forzando i termini della legge per trasformare spesso dei meri illeciti civili, in illeciti penali o, tra di essi, per applicare indebitamente quelli più severamente sanzionati.

In pratica, ad esempio, il fatto che i nuovi strumenti di transazione giuridico-economica, quali il web, comportino nuovi o maggiori rischi negoziali, non autorizza nessuno a dimenticare che non omne quod licet honestum est e, di conseguenza, a pervertire la corretta e garantistica ermeneusi giuridica, per offrire copertura penale, anche qualora la legge non la preveda; giacché il diritto penale serve a regolare la convivenza civile, nei limiti della sua naturale “frammentarietà”, ed il processo penale è uno strumento tecnico-giuridico di verifica e non un puro mezzo repressivo da dilatarsi alla bisogna.

La tematica qui trattata ne è un esempio plastico, perché, quando si trasforma indebitamente un illecito civile in un'insolvenza fraudolenta o, quest'ultima, in una truffa, non si fa altro che reintrodurre, surrettiziamente, una sorta di “prigione per debiti”, il che non si può fare a legislazione, Costituzione e Civiltà giuridica invariate.

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