Famiglie
ilFamiliarista

Obbligo di mantenimento dei figli: criteri di quantificazione, modalità di assolvimento e revisione

14 Maggio 2019

Nel caso di disgregazione dell'unione sia essa matrimoniale o non, ciascuno dei genitori è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti e l'assegno periodico posto a carico di un genitore deve rispettare i criteri previsti dall'art. 337 ter, commi 4-6, c.c.Con il raggiungimento della maggiore età dei figli non viene automaticamente meno l'obbligo dei genitori di contribuire al loro mantenimento. Tale obbligo cessa con il raggiungimento della cd. autosufficienza economica, da valutare caso per caso. Vengono pertanto analizzati gli orientamenti della giurisprudenza in merito al raggiungimento di tale presupposto e i diversi profili critici.
Mantenimento diretto e indiretto

Ciascun genitore ha il diritto-dovere, costituzionalmente sancito nell'art. 30 Cost., di mantenere i figli, oltre che di istruirli ed educarli.

L'art. 316 bis c.c., norma primaria di riferimento per il mantenimento dei figli (sia essi matrimoniali che non) stabilisce che l'adempimento degli obblighi dei genitori nei confronti dei figli è in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. In costanza di unione tra i genitori, il mantenimento dei figli non è sottoposto a regole stringenti bensì rimesso alle rispettive possibilità economiche dei genitori.

Per il mantenimento dei figli nella fase della crisi familiare, la l. n. 54/2006 ha forgiato una disciplina organica contenuta nell'attuale norma dell'art. 337 ter c.c. (inserita dal d.lgs. n. 154/2013, in cui è confluita, in maniera pressoché intatta, la previsione dell'art. 155 c.c., ex l. n. 54/2006).

La norma invocata prevede, in primis, il mantenimento diretto che si concretizza nel soddisfacimento autonomo da parte del genitore dei bisogni e delle necessità dei figli, a mezzo dell'acquisto e del pagamento diretto e personale di beni, servizi, utilità (abbigliamento, sport) che occorrono ai minori, nel tempo che trascorrono con essi o anche a prescindere. Comporta maggiori occasioni di frequentazione, di coinvolgimento e responsabilizzazione del genitore non collocatario.

Può costituire l'unica modalità di mantenimento (mantenimento diretto integrale) quando il tempo di permanenza del minore è paritario e le posizioni economico-reddituali dei genitori sono speculari. Richiede generalmente prossimità di luogo di vita e continuità di frequentazione da parte di entrambi i genitori rispetto al figlio, situazione spesso non realizzabile sia per ragioni di domicilio che di lavoro ed è quindi direttamente proporzionale al tempo che il minore trascorre con il genitore.

Nell'impianto normativo dell' art. 337 ter c.c., non assurge però a modalità unica, prioritaria ed inderogabile, dell'assolvimento degli obblighi economici, disponendo la norma che«il giudice fissi altresì la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimentodei figli» e che «ove necessario, stabilisce la corresponsione di un assegno periodico».

Il Giudice opera infatti una valutazione caso per caso e ha un'ampia discrezionalità nella determinazione del contributo a carico dei genitori nell'interesse morale e materiale della prolee nel rispetto del principio di proporzionalità (cfr Cass. civ., sent. 20 gennaio 2012, n. 785).

Può anche essere disposto il mantenimento diretto per alcune voci di spesa, prevedendo poi correlativamente un mantenimento indiretto integrativo, sia pure in misura ridotta e comunque direttamente proporzionale al tempo che il minore trascorre con il genitore.

Diverse sono le prassi adottate sul punto nei vari Uffici Giudiziari.

L'affidamento condiviso peraltro non implica necessariamente tempi paritari di permanenza dei minori con ciascun genitore e quindi, come conseguenza automatica, che ciascuno di essi provveda in modo diretto ed autonomo alle predette esigenze (Cass. civ. n. 26060/2014).

Dunque al mantenimento diretto (che il genitore attua nel tempo che principalmente trascorre con il minore) può essere affiancato il mantenimento indiretto che consiste nel versamento periodico di una somma di denaro da parte di un genitore all'altro, tendenzialmente il genitore cd. collocatario, in favore e nell'interesse del minore, parametrata ai criteri previsti nell'art. 337 ter c.c.

Tale strutturazione degli obblighi economici dei genitori verso i figli nella fase di disgregazione dell'unione riceve l'avallo della S. C. di Cassazione, secondo cui «…la corresponsione dell'assegno, peraltro, si rivela quantomeno opportuna se non necessaria quando l'affidamento condiviso prevede il collocamento prevalente presso uno dei genitori. Il collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, potrà quindi gestire da solo il contributo ricevuto dall'altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all'acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie» (cfr. ex plurimis Cass. civ., sent. n. 22502/2010 e Cass. civ., sent. n. 23411/2009).

Proporzionalità del mantenimento e i criteri di quantificazione dell'art. 337 ter c.c.

La diversità delle posizioni economico patrimoniali dei genitori non può poi essere obliterata nella fase della disgregazione del vincolo matrimoniale o non e quindi il contributo di ciascun dei genitori al mantenimento dei figli deve tener conto anche di tale criterio.

L'art. 337 ter c.c., infatti, individua quali parametri di riferimento per determinare l'assegno di mantenimento, oltre ai tempi di permanenza presso ciascun genitore (n. 3) e alle attuali esigenze del figlio (n. 1), anche il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori (n. 2), le risorse patrimoniali dei genitori (n. 4) e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (n. 5).

Tali criteri possono ritenersi volti a garantire che il minore non venga pregiudicato nella sua crescita e formazione a causa della crisi o rottura dell'unione tra i genitori e che, sotto il profilo economico, non vi siano tendenzialmente soluzioni di continuità rispetto al regime di vita precedente.

Le attuali esigenze del figlio non possono invero prescindere anche dalle precedenti esperienze di vita del minore, dall'ambiente in cui vive, dalla fascia di reddito in cui la famiglia si colloca.

Potrebbe accadere, tuttavia, che in conseguenza della crisi familiare il precedente tenore di vita diminuisca fisiologicamente per tutti. Pertanto, i primi due criteri vanno certamente coordinati con gli altri elencati nella disposizione in esame.

I tempi di permanenza presso ciascun genitore rappresentano criterio di quantificazione dell'assegno di mantenimento, poiché vi sono spese direttamente collegate al tempo e al luogo in cui i figli vivono; per risorse patrimoniali dei genitori si intendono le possibilità complessive degli stessi e non il semplice reddito; infine, quanto alla valenza di compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, possono essere valutati gli apporti “in natura” già dati da un genitore, come il lavoro casalingo, le lezioni scolastiche fornite al minore dal genitore, gli alimenti, i trasporti a scuola.

Devono provvedere al mantenimento dei figli primariamente e integralmente i loro genitori e «non ci si può rivolgere per un aiuto economico agli ascendenti per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro» (cfr. Cass. civ.,ord. n. 10419/2018).

La giurisprudenza di legittimità ha poi chiarito che le spese straordinarie non possono essere ricomprese nell'assegno periodico posto a carico di uno dei genitori, poiché la loro inclusione in via forfettaria può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 316 bis c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento e può recare grave nocumento alla prole (cfr. in argomento Cass. civ., sent. n. 9373/2012).

Mantenimento dei figli maggiorenni: modalità di assolvimento, legittimazione a richiedere ed effetti della rinuncia spiegata dal figlio

Anche il mantenimento del figlio maggiorenne (privo di handicap grave, condizione che ne comporta l'equiparazione ai figli minori) può essere assolto in forma diretta e/o indiretta e, in tale ultimo caso, con versamento diretto al maggiorenne o all'altro genitore.

In caso di separazione o divorzio o di regolamentazione di figli non matrimoniali, l'art. 337 septies c.c. stabilisce infatti che il giudice può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico, da versare – salvo diversa determinazione del giudice – direttamente all'avente diritto.

La deroga alla regola generale della corresponsione diretta della somma a titolo di contributo al mantenimento al figlio maggiorenne si giustifica quando il versamento dell'assegno periodico al genitore con il quale il figlio convive diventa contributo concreto alla copertura delle spese correnti che egli si trova a dover sostenere.

Ed è pertanto che la Suprema Corte ha precisato che la rinuncia all'assegno di mantenimento da parte del figlio maggiorenne, non preclude la richiesta da parte del genitore con cui convive, non spiegando effetto sulla posizione giuridico-soggettiva di costui.

Infatti, «il coniuge separato o divorziato, già affidatario (rectius collocatario) del figlio ora divenuto maggiorenne, è legittimato iure proprio, ove il figlio sia ancora con lui convivente e non sia economicamente autosufficiente, ad ottenere dall'altro coniuge il versamento del contributo per il mantenimento del figlio. Si è in presenza quindi di legittimazione concorrente, di duplice legittimazione, senza, tuttavia, che possa ravvisarsi un'ipotesi di solidarietà attiva, trattandosi di diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a più persone» (cfr. Cass. civ. sez. I, sent. n. 18869/2014).

L'obbligo di mantenere un figlio maggiorenne cessa quando questi raggiunge l'autosufficienza economica (limite fattuale) o quando il figlio ha varcato un'età tale che, in assenza di specifici e plausibili motivi, il mancato raggiungimento dell'autosufficienza deve ritenersi ingiustificato e a lui imputabile (limite anagrafico).

Quanto al raggiungimento dell'autosufficienza economica, nella giurisprudenza di merito e di legittimità si è registrata qualche oscillazione sulla necessaria coerenza della attività lavorativa e del reddito rispetto alle attitudini e alle aspirazioni del figlio.

Secondo l'orientamento prevalente, può ritenersi integrato il presupposto dell'autosufficienza economica quando il figlio abbia iniziato ad espletare un'attività lavorativa non saltuaria, ma con una certa continuità, sia pure nell'ambito di un contratto a tempo determinato o part-time, che gli consenta di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita.

Non occorre quindi un lavoro stabile, a tempo indeterminato, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un'autosufficienza economica, entrate regolari e congrue per il soddisfacimento delle più essenziali esigenze di vita quotidiane(cfr. Cass.civ. n. 18/2011; Cass. civ. n. 27377/2013).

Non qualsiasi impiego o reddito farebbe però venire meno l'obbligo del mantenimento.

Secondo l'orientamento più restrittivo, lo status di autosufficienza economica consisterebbe nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato, un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. civ. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012; n. 18974/2013). Così è stato valutato non sufficiente l'introito di 800 euro mensili per un figlio maggiorenne, laureato in medicina, correlato a borsa di studio e dottorato di ricerca, sia per la sua temporaneità, sia per la modestia dell'introito in rapporto alle incrementate, presumibili necessità, anche scientifiche, del beneficiario.

In ogni caso, l'introito mensile del maggiorenne, se è non idoneo ad integrare la piena autosufficienza economica e a comportare la revoca tout court del mantenimento, può rilevare ai fini della riduzione del quantum versato dal genitore obbligato.

Quanto al limite anagrafico, non esiste poi (almeno allo stato) un limite legale per la cessazione dell'obbligo del mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente.

E' plausibile però che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, nonostante il mancato raggiungimento dell'autosufficienza.

L'avanzare dell'età del figlio maggiorenne infatti non è ininfluente ai fini della permanenza dell'an e del quantum del mantenimento, concorrendo a conformare e diluire l'onere della prova gravante sull'obbligato.

Con il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, può ritenersi ampiamente concluso e la persona da tempo inserita nella società, infatti la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche, costituisce un indicatore di inerzia colpevole.

All'Autorità giudiziaria compete quindi la valutazione caso per caso del termine finale del mantenimento, variamente individuato, quindi, nella giurisprudenza di merito e che, in qualche pronuncia, in via generale e astratta, è stato individuato nei 34 anni di età del figlio maggiorenne (cfr. Trib. Milano 29 marzo 2016).

La condizione dell'autosufficienza del figlio maggiorenne, per fictio facti, può ritenersi però avverata anche prima del raggiungimento di determinate soglie di età in cui ragionevolmente può ritenersi completato un percorso di studi o una determinata progettualità di vita, quando è evidente l'inerzia ingiustificata del figlio, limite fattuale al mantenimento.

In fattispecie similari, la Suprema Corte ha escluso il diritto al mantenimento del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività lavorativa, ancorché saltuaria, e non frequentava con profitto il corso di laurea a cui risultava formalmente iscritto da più di otto anni (cfr. sent. n. 1585/2014).

Altro limite fattuale al mantenimento, che può prescindere dal raggiungimento di determinate soglie di età, è rappresentato dal rifiuto ingiustificato del figlio maggiorenne alle opportunità di lavoro offerte. In tal caso occorrerà valutare la coerenza della proposta lavorativa con il progetto di vita del figlio, con le sue condizioni personali, soggettive ed oggettive.

In definitiva, la cessazione dell'obbligo di mantenimento per i figli maggiorenni deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa ed alla complessiva condotta personale tenuta dal figlio dal momento del raggiungimento della maggiore età.

Il relativo onere probatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato dall'obbligazione ex lege, il quale deve, appunto, fornire «la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest'ultimo imputabile» (Cass. civ. n. 2289/2001; Cass. civ. n. 11828/2009).

Revisione del mantenimento e ripetibilità delle somme

Anche i provvedimenti economici relativi ai figli sono assunti rebus sic stantibus.

La revisione del loro mantenimento è quindi possibile sia in corso di causa, sia dopo la definitività della decisione che lo contempla, a mezzo del procedimento ex art. 710 c.p.c. o, in caso di divorzio, del procedimento previsto dall'art. 9, l. n. 898/70.

L'art. 709, comma 4, c.p.c., come modificato dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005 n. 80, prevede che «i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'art. 708 c.p.c. possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore».

La riforma del 2005 ha eliminato ogni riferimento ai «mutamenti nelle circostanze», richiesti nella precedente formulazione della norma. Ciononostante, per la rivalutazione delle condizioni economiche in corso di causa, specie se il provvedimento presidenziale che le contempla è stato confermato in parte qua in sede di reclamo alla Corte di Appello, può ritenersi comunque necessario un quid pluris, anche mere risultanze istruttorie intervenute nel corso del processo o fatti preesistenti all'emanazione del provvedimento presidenziale, entrati nella sfera di conoscenza della parte solo successivamente alla pronuncia del provvedimento provvisorio ed urgente, che inducano ad una diversa valutazione dei medesimi fatti.

Circostanze ricorrenti e significative per richiedere l'adeguamento del mantenimento possono essere: il mutamento delle proprie condizioni economiche, le accresciute esigenze dei figli o la costituzione di un nuovo nucleo familiare, che «può comportare il sorgere di nuovi impegni di carattere economico che gravano sull'obbligato» (Cass. civ., ord. n. 14175/2016).

Le ordinanza del G.I., ex art. 709, ultimo comma, c.p.c., con cui si modifica l'assetto del mantenimento dei figli, non sono reclamabili (Cass. civ., ord. n. 11279/2018), ma semmai suscettibili di ulteriori richieste di modifica.

Nel giudizio di appello può essere poi richiesta una diversa valutazione delle medesime circostanze di fatto, allegate e dimostrate nel primo grado o anche prospettare elementi nuovi, maturati nel corso del procedimento, quali l'incremento delle esigenze dei figli minori, connesse alla loro crescita (Cass. civ. n. 10119/2006).

La proposizione di simili istanze o eccezioni, nelle more del giudizio, non ricade sotto il divieto di “ius novorum”, né con riguardo al giudizio di primo grado (art. 183, comma 4, c.p.c.), né con riguardo al giudizio di appello (art. 345, comma 1, c.p.c.).

Il diritto dei coniugi di richiedere la modificazione delle statuizioni economiche è possibile poi anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che le contempla, allegando fatti e prove delle circostanze che hanno determinato la richiesta, a mezzo dei procedimenti ex art. 710 c.p.c. o art. 9, l. n. 898/1970, in caso di divorzio.

In tali casi occorrono fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione precedente (art. 710 c.p.c.) o comunque la sopravvenienza di «giustificati motivi dopo la sentenza …» (art. 9, l. n. 898/1970). Quindi «il giudice… deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova stipulazione patrimoniale» (cfr. Cass. civ., ord. n. 214/2016).

Ciò perché i giustificati motivi, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (Cass. civ., ord. n. 32529/2018).

La riduzione o revoca del mantenimento non dà diritto al soggetto obbligato di ripetere le somme già erogate. In base al principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, le somme corrisposte all'altro genitore per il mantenimento dei figli, anche in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio o di regolamentazione di figli non matrimoniali, sono irripetibili, poiché deve ritenersi che tali somme siano state comunque tutte consumate per soddisfare primarie esigenze del beneficiario.

Tuttavia, la Suprema Corte con specifico riferimento ai figli maggiorenni si apre alla ripetibilità delle somme versate, quando gli importi versati non abbiano assunto una concreta funzione alimentare e per il figlio divenuto già autosufficiente, in pendenza della controversia, era noto il rischio restitutorio (cfr. Cass. civ., sent. n. 11489/2014).

In tal caso l'onerato ha diritto a ripetere le somme che abbia versato dal momento in cui il titolo è venuto meno.

In conclusione

La valutazione del contributo indiretto al mantenimento dei figli a carico di ciascun genitore presenta spesso profili di complessità, con riferimento all'an, al quantum e alla revisione delle condizioni che lo giustificano.

Certamente, il contenuto del mantenimento anche per i figli maggiorenni può ritenersi ampio, tale da ricomprendere sia le spese consuete della vita quotidiana (vitto, abbigliamento, ecc.) che quelle relative all'istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze.

Quanto alla persistenza dei presupposti del mantenimento, il dovere dei genitori, costituzionalmente sancito, di mantenere i figli maggiorenni (non portatori di handicap grave) non è sine die ma viene meno in presenza di determinate situazioni di fatto: sopraggiunta autosufficienza economica, inerzia e rifiuto ingiustificati rispetto a concrete occasioni lavorative, limiti di età significativi rispetto al progetto di vita e di formazione scelto dal figlio.

Il correlativo diritto del figlio, infatti, si giustifica se esiste l'obiettivo di realizzare un progetto educativo e un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Cass. civ., ord. n.10207/2017).

E' indispensabile però che il genitore obbligato abbia posto il figlio nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente.

La valutazione dell'Autorità giudiziaria non può che essere caso per caso e fondata su un accertamento di fatto.

L'obbligo, un volta cessato (ad esempio per raggiunta autosufficienza economica) non rivive, potendo sussistere al massimo un obbligo alimentare in capo al genitore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario