L'integrazione sociale in Italia dà diritto alla protezione umanitaria: lo diranno le Sezioni Unite

Redazione scientifica
15 Maggio 2019

La Suprema Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione inerente il riconoscimento della protezione umanitaria con riguardo ai profili dell'integrazione o inserimento sociale nel territorio nazionale e della caratterizzazione del rischio in caso di rimpatrio nel Paese di origine.

Il caso. La Corte d'appello di Trieste accoglieva parzialmente il gravame di un cittadino del Gambia avverso l'ordinanza di rigetto delle sue domande di riconoscimento della protezione internazionale, riconoscendogli soltanto la protezione umanitaria, sulla base del presupposto del suo radicamento nel tessuto sociale italiano, «nel quale studia e coltiva i suoi principali legami mentre in Gambia non ha rapporti familiari di rilievo» e tenuto conto della «sicura prognosi di insormontabili difficoltà di immediata reintegrazione nel Paese di origine», visto che «la permanenza in Italia per due anni gli consentirebbe di consolidare la sua preparazione professionale e di attrezzarsi meglio per il rientro in Gambia».

Il Ministero dell'interno ha proposto ricorso per cassazione, con il quale si è doluto del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, all'esito di un'apodittica assimilazione del disagio da rimpatrio alla privazione dei diritti fondamentali; la Corte avrebbe basato la decisione su un generico «stato di fermento» esistente nel suo Paese, il quale verserebbe in una «incerta e difficile fase di transizione sociale da un modello governativo di stampo totalitario con uno dichiaratamente democratico», e sulla difficoltà di reinserirsi nel suo ambiente originario, senza tuttavia valutare in concreto la situazione particolare del soggetto né la compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio, e limitandosi ad avere riguardo alla situazione del suo Paese di origine in termini generali e astratti.

Protezione umanitaria e integrazione sociale. Il Collegio, dopo aver espresso dubbi circa i limiti di applicabilità delle norme in materia di permessi di soggiorno per motivi umanitari alle domande già presentate, per cui si rimanda a Cass. civ. n. 11749/2019, ha ritenuto di rimettere all'esame del Primo Presidente anche l'ulteriore questione, nel caso in cui si reputassero ancora in vigore i previgenti parametri normativi della protezione per motivi umanitari, essendo in dissenso anche rispetto alle conclusioni della sentenza n. 4455/2018.

Con questa sentenza la Corte ha interpretato l'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 nel senso che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere riconosciuto al cittadino straniero «che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia [la quale] deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d'origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d'integrazione raggiunta nel Paese d'accoglienza».

Dubbi e incertezze interpretative. Il suddetto principio, ad avviso del Collegio, si espone a dubbi e incertezze interpretative che non favoriscono un'applicazione coerente e uniforme dell'istituto nella pratica giurisprudenziale, con l'effetto di alimentare di fatto il contenzioso, in particolare con riguardo ai profili dell'integrazione o inserimento sociale nel territorio nazionale e della caratterizzazione del rischio in caso di rimpatrio nel Paese di origine.