Il giudice del divorzio può fissare l'assegno perequativo in misura omnicomprensiva e ordinare il pagamento al datore di lavoro
17 Maggio 2019
Massima
In caso di pregresso reiterato inadempimento all'obbligo di pagamento, il giudice può determinare l'importo dell'assegno perequativo in misura comprensiva anche delle spese non preventivabili e ordinarne il pagamento al terzo. L'art. 3, l. n. 219/2012, infatti, è applicabile in tutte le ipotesi in cui si verte di assegno di mantenimento per il figlio, indipendentemente dal rapporto tra i genitori e deve essere interpretato nel senso che è sempre il giudice a dover ordinare al terzo il pagamento dell'assegno, senza applicazione dello schema stragiudiziale indicato dall'art. 8, l. n. 898/1970. Il caso
Tizia e Caio si sono separati nel 2011 prevedendo l'affidamento condiviso della figlia, regolamentando i tempi di permanenza della figlia presso ciascuno dei genitori e ponendo a carico del padre un assegno di euro 383,00 mensili, oltre al 50% delle spese non preventivabili. Nel 2014 Tizia chiede al Tribunale di Pavia lo scioglimento del matrimonio, l'affidamento esclusivo della figlia e l'aumento dell'assegno da fissarsi in misura comprensiva anche delle spese non preventivabili; a fondamento della richiesta Tizia ha assunto, da un lato, il disinteresse mostrato dal padre all'educazione della figlia e, dall'altro, il reiterato inadempimento paterno agli obblighi economici posti a suo carico. Caio resiste alla domanda, non contestando il proprio inadempimento ma giustificandolo. Nel corso del giudizio, poi, il G.I. ha ordinato, ai sensi dell'art. 156, comma 6, c.c., al datore di lavoro di Caio di pagare direttamente a Tizia l'assegno mensile, distraendo detta somma da quella dovuta al debitore principale. La questione
Il Tribunale di Pavia affronta due questioni molto interessanti: a) se e quando il Giudice può fissare un assegno di mantenimento per il figlio in misura comprensiva anche dei c.d. oneri straordinarie (rectius: non preventivabili); b) quale sia, dopo l'intervento della l. n. 219/2012, lo strumento da utilizzare per garantire, nel giudizio di divorzio e successivamente ad esso, il pagamento dell'assegno perequativo. Le soluzioni giuridiche
Quanto alla prima questione, il Tribunale ha accolto la domanda di Tizia e, dunque, ha posto a carico di Caio un assegno omnicomprensivo di € 500,00. Secondo i giudici pavesi, in linea generale, l'assegno «va in primo luogo parametrato a quelle che sono le esigenze di spesa riguardanti il figlio, effettuando una quantificazione che attualizzi tutto ciò che periodicamente, di solito in ragione di mese, occorre pagare per far fronte alle esigenze del figlio minore»; la valorizzazione dell'assegno omnicomprensivo trova la sua ragione nell'esigenza di imporre ai genitori di «affrontare una serie infinita di richieste, rifiuti, incomprensioni, recriminazioni». Nel caso particolare, poi, l'opportunità di fissare un assegno «comprensivo di ogni spesa (medica, scolastica, ecc.)» trova la sua ragione principale nel «reiterato inadempimento del marito alle proprie obbligazioni di versamento dell'assegno mensile» nonché nel fatto che «il meccanismo dei rimborsi pro- quota appare di difficile attuazione» perché «la madre, in caso di mancato rimborso dovrebbe costituirsi titoli giudiziali per le diverse spese, con conseguenti inutili costi e ritardi». Il Tribunale ha altresì confermato l'ordine al terzo di pagamento diretto dell'assegno di mantenimento del figlio, emesso dal Giudice Istruttore in corso di causa, ma riqualificando la domanda ai sensi dell'art. 3, l. n. 219/2012. In motivazione, il Tribunale prende posizione – e qui risiede l'aspetto rilevante della decisione- anche sulla diatriba insorta a seguito dell'entrata in vigore della legge di riforma della filiazione, stante l'infelice formulazione della richiamata norma ad opera del Legislatore. L'art. 3, l. n. 219/2012 infatti prevede il potere del Giudice di emettere l'ordine di pagamento diretto, richiamando dunque lo schema dell'art. 156, comma 6, c.c., ma richiama l'art. 8, l. n. 898/1970 che invece è un meccanismo di formazione stragiudiziale che prescinde dall'Autorità giudiziaria. Secondo i giudici pavesi per eliminare la contraddittorietà insita nella norma, occorre rifarsi ai principi della Cassazione, secondo cui le norme devono essere interpretate in modo da tendere «all'armonioso coordinamento dello specifico istituto in trattazione con l'intero sistema, evitando applicazioni ermeneutiche settoriali che… finiscono con lo stridere rispetto al complesso della materia nelle quali le norme stesse esplicano il loro effetto» (Cass. civ. S.U., sent. n. 21045/2009). Conseguentemente: a) il punto di partenza deve essere quello di rispettare la «chiara volontà legislativa nel senso dell'equiparazione tra le varie forme di filiazione» cosicché, ci si permetta l'aggiunta, deve essere approntato un sistema unico di garanzia di pagamento dell'assegno per i figli; b) «è di tutta evidenza che la formulazione dell'art. 3, comma 2, l. n. 219/2012 semanticamente riproduce l'art. 156, comma 6, c.c., apparendo, pertanto, ragionevole accordare rilievo al puntuale e preciso richiamo all'ordine che il giudice può essere chiamato a impartire, piuttosto che al solo riferimento dall'art. 8, comma 2 e ss., l. n. 898/1970». In altre parole, secondo la sentenza impugnata, esiste un solo strumento di garanzia del pagamento dell'assegno di mantenimento per tutti i figli (di coniugi separati o divorziati, oppure nati fuori dal matrimonio) che è quello dell'ordine, impartito dal Giudice, di pagamento diretto, secondo lo schema dell'art. 156, comma 6, c.c. Osservazioni
La sentenza in commento, impone, sui due aspetti trattati una specifica riflessione.
La determinazione dell'assegno omnicomprensivo. Non può sfuggire – e di certo non è sfuggito ai giudici pavesi- che la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni ribadito il principio per cui l'inclusione «in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori» delle spese che «per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla legge e con quello dell'adeguatezza del mantenimento» (Cass. civ. 9 giugno 2015, n. 11894; cfr. anche Cass. civ. 7 marzo 2018, n. 5490; Cass. civ. 1° ottobre 2012, n. 16664; App. Catania, 6 aprile 2018; contra Cass. civ. 23 maggio 2011, n. 11316; Cass. 22 agosto 2006, n.18242; v. anche Galluzzo S., Le spese straordinarie: questioni controverse, in ilFamiliarista.it). Si potrebbe dunque parlare di contrasto tra la decisione in questione e le sentenze dei Giudici di legittimità. In realtà si tratta di un contrasto apparente. La bipartizione tra spese «ordinarie» inglobate nell'assegno di mantenimento e spese straordinarie, così come indicate nei vari Protocolli in vigore nei vari Tribunali d'Italia, trova infatti la sua ragione nel rispetto del principio di proporzionalità (ovverosia gli oneri economici devono essere sostenuti dai genitori in proporzione alle rispettive capacità economiche); il ché significa però che la bipartizione, ormai vigente in tutto il territorio nazionale, è una modalità di attuazione del diritto del figlio ad essere istruito, mantenuto ed educato tenendo conto delle sue aspirazioni e inclinazioni naturali ex art. 315 bis c.c.; in quanto modalità, essa può assumere carattere soverchiante l'obbligo di mantenimento in sé considerato, divenendo recessiva tutte le volte in cui il suo rispetto frustri la finalità per cui viene attuata, oppure determini un contrasto con il principio «dell'adeguatezza del mantenimento» pure richiamato dalla giurisprudenza della Suprema Corte a motivazione della tesi che nega la possibilità di fissare l'assegno in modo omnicomprensivo. E' infatti evidente che se un genitore omette il versamento dell'assegno, oppure rifiuta, in maniera ingiustificata, di concordare o rimborsare le spese non preventivabili, la bipartizione «assegno/rimborso» finisce per rendere il contributo dovuto dall'inadempiente inadeguato rispetto alle esigenze del figlio. In altre parole, si potrebbe sostenere che il Giudice sia chiamato, caso per caso, a valutare quale le modalità migliori per il mantenimento del figlio; la soluzione di default è sicuramente quella di scorporare le spese non preventivabili dall'assegno stabilito in misura fissa (come accade in materia di esercizio della responsabilità genitoriale, laddove l'affidamento condiviso è la regola, cui si può derogare con l'affidamento esclusivo e con quello super-esclusivo); qualora la bipartizione non realizzi il diritto del figlio a essere mantenuto, allora ben potrà il Giudice stabilire un assegno omnicomprensivo. A fondamento della propria decisione, il Tribunale pone anche l'assunto secondo «il meccanismo dei rimborsi pro- quota appare di difficile attuazione» perché «la madre, in caso di mancato rimborso dovrebbe costituirsi titoli giudiziali per le diverse spese, con conseguenti inutili costi e ritardi». In sostanza, per il Giudice pavese, in caso di inadempimento, la madre dovrebbe agire in via monitoria per il recupero delle spese. Si potrebbe, dunque, obiettare che, in realtà, di recente l'orientamento giurisprudenziale parrebbe essere mutato, giacché si sostiene oggi che «il provvedimento pronunciato in sede di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione o divorzio costituisce già titolo esecutivo, senza necessità di conseguirne un ulteriore» per le spese non preventivabili (Cass. civ. 18 gennaio 2017, n. 1161; Cass. civ. 2 marzo 2016, n. 4182; Cass. civ. 23 maggio 2011, n. 11316; Trib. Parma 7 gennaio 2016), con la conseguenza che il genitore anticipatario della spesa può agire direttamente in via esecutiva, pur allegando la prova dei singoli esborsi unitamente all'atto di precetto (così specificatamente Cass. 20 ottobre 2016, n. 21241) oppure, secondo altro orientamento, in sede di opposizione eventualmente coltivata dall'altro genitore (così invece ex plurimis Trib. Bolzano, 11 maggio 2018, con commento di Cherchi V., Precetto per le spese straordinarie per i figli: requisiti sostanziali e probatori del titolo esecutivo, in ilfamiliarista.it). Anche questo contrasto, apparente, può essere risolto ricordando che a detto orientamento se ne contrappone un altro, in base al quale, invece, le spese straordinarie non possono essere recuperate mediante precetto, dovendo il creditore agire prima in sede monitoria, soprattutto con riferimento alle spese non preventivabili che devono essere concertate (Cass. 7 febbraio 2014, n. 2815; Cass. 28 gennaio 2008, n. 1161; Trib.Piacenza, 2 febbraio 2010; Trib. Milano, 23 gennaio 2008; per un disamina completa: v. Fiengo G., Esecuzione: spese straordinarie, in ilfamiliarista.it). Conseguentemente il Tribunale di Pavia, è implicitamente partito dall'orientamento restrittivo per poi approntare una decisione di maggior tutela a favore del creditore.
L'ordine di pagamento diretto Sino all'intervento della l. n. 219/2012, due erano gli strumenti per garantire il pagamento dell'assegno perequativo: a) l'ordine di pagamento diretto ex art. 156, comma 6, c.p.c. che il Giudice poteva emettere con la sentenza di separazione, in corso di causa (Corte Cost. 6 luglio 1994, n. 278), per la prima volta in appello (App. Bologna 8 gennaio 2007, n. 36), nell'ambito del giudizio di divorzio ma solo fino all'emissione della sentenza non definitiva sullo status (Cass. civ. 24 gennaio 2011, n. 1613; Trib. Milano 15 novembre 2013), nonché con richiesta successiva alla chiusura del giudizio di separazione, con ricorso ex art. 737 c.p.c. L'ordine di pagamento diretto poteva essere emesso anche per il pagamento dell'assegno di mantenimento per i figli c.d. non matrimoniali (Corte Cost. 18 aprile 1997, n. 99). b) la richiesta di pagamento diretto ex art. 8, l. n. 898/1970, consistente in un procedimento di natura puramente stragiudiziale che non prevede e anzi prescinde all'intervento del Giudice. Il creditore poteva dunque rivolgere direttamente la propria richiesta al terzo, obbligato a versare somme di denaro al genitore inadempiente. La richiesta poteva, ovviamente, essere formulata nelle ipotesi in cui il titolo del versamento consistesse in una sentenza di divorzio. Se l'ordine di pagamento diretto ex art. 156, comma 6, c.c., può ancora oggi avere ad oggetto la totalità degli importi che il terzo è tenuto a versare all'obbligato principale (Cass. civ. 2 dicembre 1998, n. 12204; Cass. civ. 6 novembre 2006, n. 23368), la richiesta di pagamento diretto invece incontra un limite invalicabile nella previsione di cui all'art. 8, comma 6, l. n. 898/1970 e non può mai superare «la metà delle somme dovute al coniuge obbligato comprensive anche degli assegni e degli emolumenti periodici». L'art. 3, comma 2,l. n. 219/2012 ha complicato il quadro, prevedendo che a tutela dell'assegno dovuto per il figlio (di coniugi separati o divorziati oppure non legati da vincolo di coniugio) il giudice possa ordinare ai terzi di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'art. 8, l. n. 898/1970. In sostanza il Legislatore ha previsto il ricorso al Giudice, richiamando una norma che, invece, prescinde dall'intervento del Tribunale. Si è posto dunque un problema di interpretazione della norma, che ha trovato, in giurisprudenza due diverse soluzioni: a) per i figli non matrimoniali l'unico strumento attivabile è quello dell'art. 8, l. n. 898/1970, con la conseguenza che eventuali richieste al Giudice per l'emissione di ordini di pagamento devono essere ritenute inammissibili (Trib. Milano 24 aprile 2013; App. Milano 20 marzo 2018; Trib. Mantova 18 febbraio 2016; Trib. Genova 11 ottobre 2018); b) quello di cui all'art. 3, l. n. 219/2012 costituisce un terzo modello in cui l'ordine del Giudice concede alla parte il diritto di attivare la procedura di cui all'art. 8,l. n. 898/1970 (Trib. Roma 7 gennaio 2015). La decisione in commento, invece, va oltre e prevede che, a garanzia di ogni e qualsiasi assegno di mantenimento della prole, esista un solo strumento: quello dell'art. 3, l. n. 219/2012. Si tratta, come anticipato, di decisione ampiamente condivisibile, sia perché risponde allo spirito della riforma sulla filiazione, che ha sancito l'unicità dello status del figlio (cosicché non avrebbero senso diversi strumenti di tutela dell'assegno del figlio in funzione del rapporto tra i genitori) sia perché è l'unica costituzionalmente orientata (v. Rascioni V., Tutela dei figli nati fuori dal matrimonio e art. 3 l. n. 219/2012: ordine del giudice o procedimento stragiudiziale?, in ilFamiliarista.it) che potrebbe dunque impedire il ricorso alla Consulta. La decisione è altresì condivisibile nella parte in cui, privilegia lo strumento giudiziale dell'ordine di pagamento diretto, considerato che: a) nel corso dei lavori parlamentari il tema delle garanzie è stato risolto tramite l'estensione del modello dell'ordine di pagamento diretto ex art. 156, comma 6, c.c.; b) dal punto di vista grammaticale la frase principale è «il giudice può ordinare»; il che determina la prevalenza del modello giudiziale rispetto a quello non giurisdizionale della legge divorzile; c) l'estensione del modello giudiziale anche ai figli risponde maggiormente all'esigenza di tutela sia dell'obbligato al mantenimento (chiamato a dare prova dell'eventuale adempimento), sia dell'avente diritto all'assegno che potrà richiedere, dunque, che l'ordine di pagamento diretto riguardi importi superiori al 50% delle somme dovute dal terzo all'inadempiente, diversamente da quanto accadrebbe con il ricorso allo strumento della legge divorzile. |