La preclusione del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. Considerazioni sulla l. 33/2019

Alessandro Trinci
20 Maggio 2019

Come noto, nella sua impostazione originaria il giudizio abbreviato, a differenza di altri riti speciali come il patteggiamento, il procedimento per decreto e la sospensione del procedimento con messa alla prova, non conosceva preclusioni...
Premessa

Come noto, nella sua impostazione originaria il giudizio abbreviato, a differenza di altri riti speciali come il patteggiamento, il procedimento per decreto e la sospensione del procedimento con messa alla prova, non conosceva preclusioni, né di tipo oggettivo (poteva essere azionato per qualsiasi tipologia di reato), né di tipo soggettivo (vi potevano accedere anche coloro che fossero stati dichiarati recidivi o delinquenti abituali, professionali o per tendenza). Dunque, il rito contratto poteva essere scelto anche da chi era accusato di aver commesso un delitto punito con l'ergastolo (si pensi, ad esempio, ai reati di omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato). In tal caso, qualora vi fosse stata condanna, la pena perpetua sarebbe stata sostituita con la reclusione per trent'anni. In caso di concorso formale o continuazione fra più delitti, alcuni dei quali punibili con l'ergastolo, la scelta del giudizio abbreviato comportava l'eliminazione dell'isolamento diurno, che altrimenti avrebbe dovuto inasprire la pena perpetua. L'inammissibilità della richiesta di rito abbreviato poteva quindi conseguire solo al mancato rispetto delle forme e dei termini previsti per l'accesso al rito.

Tale assetto normativo ha suscitato qualche perplessità fin dalla gestazione del “nuovo” codice di rito. Già allora non mancarono proposte volte a circoscrivere l'area applicativa del giudizio abbreviato, ritenendo “ingiusto” che un soggetto imputato di gravi delitti potesse lucrare uno sconto di pena per il solo fatto di aver richiesto un rito speciale.

Di recente, sull'onda emotiva di alcuni episodi di cronaca giudiziaria, il dibattito si è riacceso con particolare riferimento a casi di omicidio aggravato. Rispetto a tale fattispecie, infatti, la possibile ricorrenza di circostanze attenuanti (prime fra tutte quelle c.d. generiche), ritenute prevalenti rispetto a eventuali circostanze aggravanti, in combinato con l'effetto premiale del rito contratto, consente l'irrogazione di pene percepite dai consociati come inadeguate alla gravità dei fatti. Al culmine del dibattito politico, scientifico e mediatico che ne è scaturito è stata approvata una legge che esclude dall'area applicativa del giudizio abbreviato tutti i reati per i quali l'ordinamento prevede la pena massima.

Va ricordato che l'art. 442, comma 2, ultimo periodo, c.p., che prevedeva la sostituzione dell'ergastolo con la reclusione di anni trenta in caso di condanna all'esito del giudizio abbreviato, fu dichiarato incostituzionale per eccesso di delega nl 1991 (sentenza n. 176). L'effetto premiale fu reintrodotto nel 1999 dalla legge Carotti. Dunque, il nostro ordinamento ha convissuto per oltre 8 anni con un giudizio abbreviato che non dava alcun sconto di pena in caso di reati puniti con l'ergastolo.

La preclusione del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo

Nella Gazzetta Ufficiale n. 93 del 19 aprile 2019 è stata pubblicata la l. 12 aprile 2019, n. 33, recante Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Il provvedimento, che si compone di 5 articoli, modifica gli artt. 438, 441-bis, 442 e 429 c.p.p. con lo scopo di introdurre una limitazione oggettiva al rito abbreviato, escludendo che l'imputato possa chiedere di essere giudicato allo stato degli atti in relazione ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo (art. 438, comma 1-bis, c.p.p.), espressione da intendere come riferita sia all'ipotesi in cui l'ordinamento preveda direttamente la pena dell'ergastolo, sia ai casi in cui la pena perpetua derivi dall'applicazione di circostanze aggravanti (è il caso, ad esempio, dell'omicidio e del sequestro di persona). Conseguentemente, sono stati abrogati il secondo e il terzo periodo del capoverso dell'art. 442 c.p.p. che regolavano l'incidenza dell'effetto premiale del rito sulla pena perpetua stabilendo che all'ergastolo fosse sostituita la reclusione di anni trenta e alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nel caso di concorso di reati e di reato continuato, la pena dell'ergastolo senza isolamento.

PRINCIPALI REATI PUNITI CON LA PENA DELL'ERGASTOLO

Art. 242 c.p.

Cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano

Art. 243, comma 2, c.p.

Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato

Art. 244 c.p.

Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra

Art. 247 c.p.

Favoreggiamento bellico

Art. 253, comma 2, c.p.

Distruzione o sabotaggio di opere militari

Art. 255, comma 2, c.p.

Soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato

Art. 256, comma 4, c.p.

Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato

Art. 257, comma 2, c.p.

Spionaggio politico o militare

Art. 258, commi 2 e 3, c.p.

Spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione

Art. 261, comma 3, c.p.

Rivelazione di segreti di Stato

Art. 262, comma 3, c.p.

Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione

Art. 263, comma 2, c.p.

Utilizzazione dei segreti di Stato

Art. 265, comma 3, c.p.

Disfattismo politico

Art. 268 c.p.

Parificazione degli Stati alleati

Art. 276 c.p.

Attentato contro il Presidente della Repubblica

Art. 280, comma 4, c.p.

Attentato per finalità terroristiche o di eversione

Art. 284, comma 1, c.p.

Insurrezione armata contro i poteri dello Stato

Art. 285 c.p.

Devastazione, saccheggio e strage

Art. 286 c.p.

Guerra civile

Art. 287, comma 3, c.p.

Usurpazione di potere politico o di comando militare

Art. 289-bis, comma 3, c.p.

Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione

Art. 289-ter, comma 2, c.p.

Sequestro di persona a scopo di coazione

Art. 295 c.p.

Attentato contro i Capi di Stati esteri

Art. 422 c.p.

Strage

Art. 438 c.p.

Epidemia

Art. 439, comma 2, c.p.

Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari

Art. 579, comma 3, c.p.

Omicidio del consenziente

Art. 575 c.p. aggravato ai sensi degli artt. 576 e 577 c.p.

Omicidio doloso aggravato

Art. 605, comma 4, c.p.

Sequestro di persona

Art. 630, comma 3, c.p.

Sequestro di persona a scopo di estorsione

(Segue). La richiesta di giudizio abbreviato in udienza preliminare

Dunque, se si procede in relazione ad un fatto per il quale è prevista la pena perpetua, l'eventuale richiesta di rito abbreviato (sia esso condizionato o non condizionato) sarà dichiarata inammissibile.Si ritiene che il giudice debba emettere l'ordinanza di inammissibilità sulla base della sola qualificazione giuridica conferita al fatto dal Pubblico Ministero nell'imputazione senza poter operare al riguardo alcuna valutazione (così il parere sulla proposta di legge di riforma del giudizio abbreviato deliberato dal Consiglio Superiore della Magistratura il 6 febbraio 2019, consultabile in Dir. pen. cont., 11 febbraio 2019; cfr. anche SPANGHER, Come cambia il giudizio abbreviato: conseguenze dell'inapplicabilità del rito speciale ai delitti puniti con l'ergastolo, in Il Penalista, 8 aprile 2019, secondo il quale «dovrebbe comunque escludersi una richiesta di rito abbreviato (secco o condizionato) teso al riconoscimento da parte del giudice di un delitto non punito con l'ergastolo»). In questo modo il meccanismo congeniato sembra imporre alla difesa l'onere di formulare una richiesta di accesso al rito inammissibile, il cui unico scopo è quello di consentire un eventuale “recupero” del rito in caso di riqualificazione in melius dell'imputazione all'esito dell'udienza (così anche SPANGHER, Come cambia il giudizio abbreviato, cit., il quale osserva che «l'imputato pur consapevole dell'inammissibilità del rito, dovrebbe formulare ugualmente la richiesta, per poter eventualmente avvalersi dello sconto di pena, che diversamente non gli sarebbe concessa»).

Soluzione alternativa potrebbe essere quella di ritenere che il giudice dell'udienza preliminare possa operare una riqualificazione giuridica del fatto oggetto di imputazione già nella fase iniziale dell'udienza. Del resto, egli, avendo già cognizione degli atti investigativi in quanto trasmessi dal Pubblico Ministero con la richiesta di rinvio a giudizio, è in grado di operare una valutazione in tal senso e, conseguentemente, stimare l'ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato.

Non essendo finalizzata ad ottenere dal giudice la verifica delle condizioni di ammissibilità del rito, si ritiene che la richiesta in esame non determini l'operatività del meccanismo di riequilibrio di cui all'art. 438, comma 4, secondo periodo, c.p.p., in tema di produzione di indagini difensive, né le sanatorie e preclusioni di cui all'art. 438, comma 6-bis, c.p.p. (SPANGHER, Il ruolo della pena, in giustiziainsieme.it, 16 aprile 2018).

La riproposizione della richiesta dichiarata inammissibile. Il nuovo comma 6 dell'art. 438 c.p. prevede che l'imputato possa riproporre la richiesta dichiarata inammissibile fino a che non siano formulate le conclusioni nel corso dell'udienza preliminare. La possibilità di riproposizione della richiesta presuppone che il giudice, all'esito dell'udienza preliminare, possa dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella oggetto di imputazione e tale da superare lo sbarramento della pena perpetua. Ciò avviene quando il materiale probatorio contenuto nel fascicolo per le indagini preliminare si arricchisce di elementi nuovi – atti e documenti prodotti dalle parti (comprese le investigazioni difensive), esiti delle indagini integrative disposte dal giudice ai sensi dell'art. 421-bis c.p. o integrazioni probatorie disposte d'ufficio ex art. 422 c.p.p. – che comportano un mutamento del quadro iniziale.

Si è osservato che in tal caso, laddove non vi provveda direttamente ai sensi dell'art. 423 c.p.p., il Giudice potrebbe anche sollecitare il Pubblico Ministero a modificare l'imputazione sulla base delle nuove risultanze processuali, attivando, prima del provvedimento conclusivo della fase, i meccanismi correttivi dell'atto imputativo elaborati dalla giurisprudenza (cfr. Cass. pen., Sez. Unite, 20 dicembre 2007-1° febbraio 2008, n. 5307, Rv. 238239; Corte cost., sent., n. 224/2001 e n. 335/2002), «potendo un controllo del GUP in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto in un momento ancora utile per la richiesta dell'imputato di ammissione all'abbreviato consentire a quest'ultimo di fruire, nella fase fisiologica dell'udienza preliminare, del rito speciale e, al contempo, giovare a salvaguardare le finalità deflattive sottese a quest'ultimo» (così il parere del Consiglio Superiore della Magistratura già citato).

(Segue). La modifica dell'imputazione ostativa al rito

L'inammissibilità del giudizio abbreviato opera anche quando nel corso del giudizio abbreviato, a seguito dell'integrazione del materiale probatorio disposta d'ufficio (art. 441, comma 5, c.p.p.) o su richiesta delle parti (art. 438, comma 5, c.p.p.), il Pubblico Ministero modifichi l'imputazione riqualificando il fatto contestato in un delitto punito con l'ergastolo o contestando un reato connesso punito con la pena perpetua. In tal caso, invero assai infrequente nella prassi, il giudice deve revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissare l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione (art. 441-bis, comma 1-bis, c.p.p.). Si determina, in tal modo, una regressione del procedimento alla fase ed allo stato in cui è stata presentata la richiesta di rito abbreviato divenuta successivamente inammissibile. Le prove eventualmente assunte nel corso del rito speciale assumono la stessa efficacia degli atti acquisiti a norma dell'art. 422 c.p.p. Qualora l'imputato sia sottoposto a custodia cautelare, decorrono di nuovo i termini di durata relativi alla fase delle indagini preliminari (art. 303, comma 2, c.p.p.). Una volta ristabilito il giudizio ordinario, l'imputato non può più chiedere il giudizio abbreviato (art. 441-bis, comma 4, c.p.p.).

(Segue). La possibilità di accesso al rito abbreviato a seguito di derubricazione del reato

Per evitare che l'imputato rimanga definitivamente privato della possibilità di definire la propria posizione processuale allo stato degli atti a seguito di una scelta unilaterale del Pubblico Ministero, che per avventura potrebbe formulare una imputazione (giuridicamente) azzardata proprio a tale scopo, la novella prevede un meccanismo di recupero del rito contratto a seguito di riqualificazione dei fatti in altro reato punito con una pena diversa da quella perpetua.

Qualora il giudice dell'udienza preliminare, nel disporre il rinvio a giudizio, dia al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella richiesta di rinvio a giudizio e tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, deve inserire nel decreto di cui all'art. 429 c.p.p. l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giornidalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Viene così recuperato il rito premiale attraverso un meccanismo analogo a quello previsto per la conversione del giudizio immediato, di cui si richiama la relativa disciplina (art. 429, comma 2-bis, c.p.p.). Dunque, l'eventuale rito abbreviato richiesto si svolgerà in camera di consiglio dinanzi allo stesso giudice dell'udienza preliminare. Naturalmente, il meccanismo delineato presuppone che l'imputato non abbia richiesto (ed eventualmente riproposto) il giudizio abbreviato nel corso dell'udienza preliminare perché in tal caso il giudice, se accoglie l'istanza, può procedere direttamente alla celebrazione del rito.

L'omissione dell'avviso della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato in relazione alla nuova qualificazione del fatto, risolvendosi nella violazione del diritto di difesa, dovrebbe integrare la nullità di ordine generale sanzionata dall'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. Va, infatti, osservato che la Corte costituzionale ha ribadito più volte che la richiesta di riti alternativi costituisce una modalità di esercizio del diritto di difesa (si vedano le sentenze n. 497 del 1995, n. 76, n. 101 e n. 214 del 1993, n. 265 del 1994, n. 70 del 1996, tutte nel senso che sarebbe lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali per un errore a lui non imputabile; si veda anche la sentenza n. 120 del 2002, ove la Corte, in relazione al termine per presentare richiesta di giudizio abbreviato dopo la notificazione del decreto di giudizio immediato, ha puntualizzato che il diritto di difesa va qui inteso come possibilità di ricorrere anche all'assistenza tecnica del difensore, stabilendo che il termine deve decorrere dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato). Dunque, l'effettivo esercizio della facoltà di chiedere i riti alternativi costituisce una delle più incisive forme di partecipazione attiva dell'imputato alle vicende processuali, con la conseguenza che ogni illegittima menomazione di tale facoltà, risolvendosi nella violazione del diritto di difesa, integra la nullità di ordine generale sanzionata dall'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. Trattandosi di una nullità di ordine generale non assoluta, la patologia è sanata, in base al combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p., ove non eccepita, dalla parte che vi assiste, immediatamente dopo il suo compimento.

(Segue). Il recupero dell'effetto premiale all'esito del dibattimento

Qualora il giudice dell'udienza preliminare dichiari inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato avente a oggetto un reato punito con l'ergastolo e disponga il rinvio a giudizio mantenendo ferma l'imputazione originaria, al giudice del dibattimento è attribuito il potere-dovere di rivalutare tale decisione. È infatti previsto che se il giudice, all'esito del dibattimento e considerati complessivamente i risultati dell'istruzione probatoria, ritiene di riqualificare il fatto in una fattispecie per la quale non è prevista la pena dell'ergastolo, deve operare sulla pena irrogata la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442, comma 2, c.p.p. (art. 438, comma 6-ter, c.p.). In tal modo viene recuperato all'esito del giudizio quell'effetto premiale connesso al giudizio abbreviato ingiustamente precluso all'imputato da una erronea qualificazione giuridica del fatto operata dal Pubblico Ministero.

Naturalmente, il meccanismo appena descritto presuppone che l'imputato si sia tempestivamente attivato richiedendo il rito speciale al giudice dell'udienza preliminare. Qualora non lo faccia, non avrà diritto a sconti di pena qualora il giudice del dibattimento lo dovesse condannare per una fattispecie di reato diversa da quella oggetto del rinvio a giudizio e punita con una pena diversa dall'ergastolo.

Deve ritenersi che il giudice del dibattimento possa applicare lo sconto di pena per il rito non concesso dal giudice dell'udienza preliminare anche se l'iniziale richiesta dichiarata inammissibile non è stata poi reiterata – senza successo – prima delle conclusioni dell'udienza preliminare.

Nonostante la formulazione della disposizione («Qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile…») non sembri lasciare dubbi sul fatto che sia sufficiente la richiesta inammissibile formulata all'udienza preliminare (così anche il citato parere del Consiglio Superiore della Magistratura, ove si osserva, però, che «al fine di evitare incertezze interpretative sarebbe opportuno precisare meglio questo passaggio, anche in considerazione della diversa regola valevole secondo l'attuale diritto vivente, che onera l'imputato di reiterare, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, la richiesta di rito abbreviato condizionato rigettata all'udienza preliminare o a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato»), alcuni commentatori si sono chiesti se sia necessario ripetere la richiesta all'inizio del dibattimento ovvero se la richiesta del rito possa essere formulata per la prima volta nel momento dell'apertura del giudizio (così SPANGHER, Il ruolo della pena, cit.; tuttavia, lo stesso autore, in altro scritto – Come cambia il giudizio abbreviato, cit. –, ritiene che «dovrebbe escludersi, mancando un riferimento al riguardo (a differenza di quanto previsto dall'art. 438, comma 6, c.p.p., nei termini definiti da Corte cost. n. 169 del 2003), che la difesa, al fine di ottenere la riferita premialità all'esito del dibattimento, debba formulare o riformulare la richiesta (inammissibile) del rito contratto in limine al giudizio, qualora lo stesso si dovesse concludere per l'esclusione del reato punito con l'ergastolo»).

La disciplina intertemporale

L'art. 5 della legge n. 33 del 2019 stabilisce che le nuove disposizione trovano applicazione con riferimento ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge, ossia il 20 aprile 2019.

Si tratta di una soluzione in linea con la giurisprudenza interna (cfr. Cass. pen., Sez. un., 24 ottobre 2013, n. 18821, Rv. 258649) e convenzionale (cfr. Corte EDU, Grande Camera, n. 10249/03 del 17 settembre 2009 Scoppola contro Italia) che assegna natura sostanziale alle norme sul giudizio abbreviato nella misura in cui incidono direttamente sul trattamento punitivo dell'imputato. Infatti, la disposizione di cui all'art. 442, comma 2, c.p.p., pur disciplinando aspetti processuali connessi, in caso di condanna, all'esito sanzionatorio del giudizio abbreviato, coniuga tali aspetti con una indubbia portata sostanziale, quale deve ritenersi quella relativa alla diminuzione o alla sostituzione della pena, che integra un trattamento penale di favore, sia pure con caratteristiche peculiari, perché ricollegabili alla scelta processuale di accesso al rito alternativo. Sulla base di queste considerazioni, si è ritenuto che l'art. 442, comma 2, c.p.p., incidendo sulla severità della pena da infliggere in caso di condanna, è norma di diritto penale sostanziale e deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7, § 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire di irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell'art. 25, comma 2, Cost.), ma anche, e implicitamente, di retroattività o ultrattività della previsione meno severa.

L'assenza di una disciplina ad hoc per i giudizi abbreviati atipici

La novella in esame non contiene alcuna previsione di adeguamento per i riti abbreviati richiesti nell'ambito del giudizio direttissimo e del giudizio immediato. Anzi, l'inserimento nel corpo dell'art. 438 c.p.p. della preclusione al rito contratto per i delitti puniti con pena perpetua potrebbe, per assurdo, autorizzare una lettura che consideri ancora ammissibile il rito speciale per tali reati quando la richiesta venga avanzata al giudice del dibattimento per direttissima o a seguito di notificazione del decreto che dispone il giudizio immediato. Si tratta, com'è evidente, di un esito irrazionale, soprattutto ove si consideri che il giudizio immediato, specialmente nella sua declinazione “custodiale” (art. 458, comma 1-bis, c.p.p.), è un modulo procedimentale assai frequente per i delitti più gravi, spesso accompagnati da un presidio cautelare a carico del relativo indagato.

Qualora si ritenga applicabile la nuova disciplina anche nei casi in cui si procede con il giudizio immediato, non è chiaro se l'imputato debba chiedere ex art. 458 c.p.p. il rito abbreviato (precluso) per poter usufruire dello sconto di pena nell'eventualità in cui all'esito del dibattimento il giudice ritenga ammissibile il rito contratto avendo riqualificato il fatto. I primi commentatori hanno suggerito la necessità di una richiesta del rito speciale per consentire il recupero dello sconto di pena (così SPANGHER, Come cambia il giudizio abbreviato, cit.). Stando alla lettera della legge, però, una eventuale richiesta di conversione del giudizio immediato in giudizio abbreviato dovrebbe essere dichiarata inammissibile, senza possibilità di recuperare lo sconto di pena davanti al giudice dibattimentale dato che il meccanismo di cui all'art. 438, comma 6-ter, c.p. presuppone espressamente che la declaratoria di inammissibilità sia stata adottata dal giudice dell'udienza preliminare.

L'assenza di una disciplina ad hoc per i giudizi di impugnazione

La riforma in commento tace anche sulle conseguenze di una riqualificazione del fatto da parte della Corte di Appello o della Corte di Cassazione. Ad avviso di alcuni autori il riconoscimento dell'effetto premiale del rito contratto dovrebbe valere anche per il giudizio d'appello e in cassazione ai sensi dell'art. 620, lett. 1), c.p.p., senza necessità che sia riproposta la domanda del rito abbreviato (così SPANGHER, Il ruolo della pena, cit.; ID., Come cambia il giudizio abbreviato, cit.). Dunque, un eventuale accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero in punto di qualificazione del fatto, ostativa al rito, dovrebbe determinare l'esclusione della premialità precedentemente riconosciuta con conseguente rideterminazione della pena. Viceversa, l'accoglimento dell'appello dell'imputato con riqualificazione del fatto in una fattispecie non ostativa dovrebbe consentire una rideterminazione della pena con riduzione di un terzo. È dubbio se ad analoghe conclusioni possa giungersi per il giudizio di cassazione o se sia necessario procedere ad annullamento con rinvio.

La novella non affronta neppure il caso in cui, a seguito di revisione della sentenza di condanna per effetto di nuove prove, il fatto contestato subisca una qualificazione compatibile con il giudizio abbreviato facendo così venire meno ex post la preclusione al rito. In assenza di una specifica regolamentazione, appare difficile, in via interpretativa, immaginare una sorta remissione in termini dell'imputato per richiedere il rito inizialmente precluso.

L'assenza di una disciplina ad hoc per i processi cumulativi

La riforma in esame tace anche in merito all'ipotesi che nell'ambito di uno stesso procedimento siano imputati allo stesso soggetto più reati, alcuni puniti con pena temporanea e altri con pena perpetua. In tali casi per superare lo sbarramento dovuto alla nuova disciplina si dovrebbe ammettere la possibilità di celebrare il rito contratto solo per le imputazioni che lo consentono. Tuttavia, la Suprema Corte ha più volte affermato che la richiesta di giudizio abbreviato deve essere effettuata con riferimento alla totalità degli addebiti, perché con una richiesta parziale il processo non sarebbe definito nella sua interezza, restando così ingiustificato l'effetto premiale che il legislatore ha introdotto al solo fine di deflazionare il ricorso alla fase dibattimentale per ciascun processo e non per ciascun reato, come è esplicitamente previsto dall'art. 438 c.p.p., laddove parla di richiesta di definizione nell'udienza preliminare del processo riguardante il singolo imputato. Si è osservato, inoltre, che, mentre nell'ipotesi di processo soggettivamente cumulativo, la personalizzazione della responsabilità penale e la individualità di ogni singola posizione processuale consentono, specie in presenza di differenziate situazioni probatorie, la separazione dal procedimento principale di quelli a carico di imputati rispetto ai quali, in concorso delle condizioni previste dalla legge, può essere applicato il rito abbreviato, altrettanto non può avvenire nel caso di processo oggettivamente cumulativo, nel quale a un solo imputato siano contestati più reati, giacché allora permane, per via della connessione, l'unicità del procedimento, il quale non è suscettibile di scomposizione in tante parti quanti sono i capi d'accusa, ma deve essere definito totalmente (Cass. pen., Sez. II, 27 marzo 2008, n. 20575, Rv. 240510; Cass. pen., Sez. IV, 5 luglio 2006, n. 30096, Rv. 235182; Cass. pen., Sez. I, 19 novembre 1999, n. 380, Rv. 215138).

La Corte costituzionale, nelle pronunce relative agli artt. 516 e 517 c.p.p., ha mostrato di condividere l'impostazione dei giudici di legittimità, osservando che un giudizio abbreviato “parziale” è legittimo soltanto con riferimento ai nuovi addebiti effettuati in dibattimento ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p. in quanto è necessario «restituire all'imputato la facoltà di accesso al rito alternativo relativamente al nuovo addebito in ordine al quale non avrebbe potuto formulare una richiesta tempestiva a causa dell'avvenuto esercizio dell'azione penale con modalità derogatorie rispetto alle ordinarie cadenze procedimentali» (cfr. anche Corte cost., sent. n. 237/2012 e n. 139/2015).

Più in generale, dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale sembra potersi trarre un principio più ampio in base al quale il giudizio abbreviato “parziale”, in caso di imputazioni cumulativamente formulate nei confronti della stessa persona, è ammissibile in tutti i casi in cui l'imputato, per fatti a esso non imputabili, non abbia potuto accedere al rito speciale per tutti i reati che gli sono contestati.

Se ciò è corretto, deve concludersi che nei casi di imputazioni cumulative comprensive di reati puniti con la pena dell'ergastolo e reati puniti con la pena temporanea, la natura ostativa dei primi giustifica una richiesta di rito abbreviato “parziale”, limitata, cioè, ai soli reati per i quali l'accesso al rito è consentito, e ciò soprattutto quando sia richiesto l'accesso al giudizio abbreviato non condizionato, che configura un vero e proprio diritto potestativo dell'imputato (in tal senso il già citato parere del Consiglio Superiore della Magistratura e SPANGHER, Come cambia il giudizio abbreviato, cit.).

Milita a favore della soluzione proposta anche la modifica, operata nel passaggio in Commissione, dell'art. 1 del disegno di legge, nella parte in cui ha introdotto il comma 1-bis nell'art. 438 c.p.p., mediante la sostituzione dell'originaria formulazione («sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo») con l'attuale testo («non è ammesso il rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo»). Il riferimento ai delitti in luogo dei procedimenti per i delitti sembra oggettivamente ispirata dall'intento di circoscrivere l'effetto preclusivo unicamente al reato e non all'intero procedimento in cui questo è contestato.

Del resto, una diversa opzione interpretativa finirebbe per far dipendere la facoltà dell'imputato di accedere al giudizio abbreviato dalle scelte del Pubblico Ministero in ordine all'esercizio – separato o cumulativo – dell'azione penale in relazione a plurime imputazioni.

Seguendo l'interpretazione proposta, a seguito della richiesta di rito abbreviato dovranno essere separate le imputazioni con conseguente duplicazione dei procedimenti, uno – quello avente ad oggetto i reati ostativi – celebrato dinanzi alla Corte di Assise e l'altro – quello avente ad oggetto i reati non ostativi – celebrato dinanzi al Giudice dell'udienza preliminare. Si tratta indubbiamente di un ulteriore aggravamento del carico di lavoro degli uffici giudiziari innestato da una riforma che non è certo ispirata dall'esigenza di accelerare la definizione dei processi.

I dubbi di incostituzionalità

Più volte nel corso del dibattito parlamentare sono stati evocati profili di incostituzionalità della riforma in quanto introdurrebbe una disparità di trattamento fra imputati accusati di reati punti con pene perpetue e coloro che sono chiamati a rispondere di reati sanzionati con l'ergastolo. Analoghe considerazioni sono state formulate anche da parte alcuni autori (BARBERO, L'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Brevi note a caldo, in Giurisprudenza Penale, 2019, 5). Deve tuttavia dissentirsi da tale lettura sia perché la scelta legislativa riguarda indistintamente tutti i reati puniti con la pena perpetua (cfr. SPANGHER, Il ruolo della pena, cit.; ID., Come cambia il giudizio abbreviato, cit.), sia perché l'esclusione di alcune tipologie di reato dai riti premiali rientra nell'ambito della discrezionalità legislativa, che, come chiarito dalla Corte costituzionale con riferimento al c.d. patteggiamento “allargato” di cui all'art. 444, comma 1-bis, c.p.p., non è sindacabile sotto il profilo costituzionale laddove non presenti aspetti di manifesta irragionevolezza, che sono da escludere quando, avuto riguardo alla gravità dei fatti, valutata non solo con riferimento all'entità della pena edittale per essi comminata, appaia giustificata “l'applicabilità di un trattamento sostanziale o processuale più rigoroso” (cfr. Corte cost., ord., 13 dicembre 2006, n. 2006). Più in dettaglio, la Consulta osserva che «l'ordinamento annovera un'ampia gamma di ipotesi nelle quali, per ragioni di politica criminale, il legislatore connette al titolo del reato - e non (o non soltanto) al livello della pena edittale - l'applicabilità di un trattamento sostanziale o processuale più rigoroso; che, sul versante sostanziale, è sufficiente far riferimento alle esclusioni oggettive dall'amnistia e dall'indulto, previste dai vari provvedimenti di clemenza succedutisi nel tempo; alle esclusioni oggettive dalle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (ora peraltro rimosse dalla stessa legge n. 134 del 2003); ai divieti di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per taluni delitti; all'inapplicabilità dell'espulsione, come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, allo straniero condannato per determinati delitti (art. 16, commi 3 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante il «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»); che ancor più numerosi risultano, poi, i casi di diversità di trattamento processuale "in peius" legati al titolo del reato: e così, con particolare riferimento proprio ai reati di cui all'art. 51-bis cod. proc. pen., richiamato dalla norma impugnata, basti pensare all'art. 190-bis cod. proc. pen., in tema di diritto alla prova; agli artt. 25-bis e 25-ter del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, in tema di perquisizione di edifici e di intercettazioni preventive; all'art. 406, comma 5-bis, cod. proc. pen., in tema di proroga delle indagini preliminari; che, in tali ipotesi, l'individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al trattamento più rigoroso - proprio in quanto basata su apprezzamenti di politica criminale, connessi specialmente all'allarme sociale generato dai singoli reati, il quale non è necessariamente correlato al mero livello della pena edittale – resta affidata alla discrezionalità del legislatore; e le relative scelte possono venir sindacate dalla Corte solo in rapporto alle eventuali disarmonie del catalogo legislativo, allorché la sperequazione normativa tra figure omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione».

Non vi è dubbio che la previsione dell'ergastolo è indice del disvalore massimo che l'ordinamento assegna alle fattispecie ritenute più gravi. Se consideriamo che la scelta del giudizio abbreviato consente all'imputato di ottenere un rilevante effetto premiale, non sembra ravvisabile alcun profilo di irragionevolezza nella scelta di impedire la celebrazione del rito contratto per tali reati (così anche il più volte citato parere del Consiglio Superiore della Magistratura).

Si è detto che la riforma, pur non presentando profili di incostituzionalità, sacrifica la logica dell'economia processuale che aveva connotato il rito abbreviato e in parte lo caratterizza ancora per gli altri reati, a fronte dell'esigenza di una pena maggiormente afflittiva che a giudizio del legislatore appare motivazione prevalente (cfr. SPANGHER, Il ruolo della pena, cit.). Deve, tuttavia, osservarsi che la Corte costituzionale, nella pronuncia riportata sopra, si è occupata anche di questo aspetto, sia pure con riferimento al patteggiamento, osservando che la scelta di tagliare fuori dal da un rito premiale una categoria di reati «non può […] ritenersi manifestamente irrazionale, né incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo, dovendo quest'ultimo principio essere contemperato con la tutela di altri diritti costituzionalmente garantiti, ad iniziare dal diritto di difesa, il quale trova nella richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato una delle sue modalità di esercizio […]; per quanto concerne, poi, il dedotto vulnus dell'art. 97 Cost., è costante, nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione in forza della quale il principio del buon andamento si riferisce agli organi dell'amministrazione della giustizia unicamente per i profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo; mentre esso non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso ed i provvedimenti che ne costituiscono espressione».

In conclusione

Lo sbarramento dell'accesso al giudizio abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo è destinato ad incrementare il carico di lavoro delle Corti di Assise (e anche degli uffici dei Giudici dell'udienza preliminare in caso di stralci per le imputazioni non ostative). Dai dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia (riportati nel parere del Consiglio Superiore della Magistratura) risulta che nel 2017 il 79% dei procedimenti concernenti reati puniti con l'ergastolo è stato definito con rito abbreviato, mentre allargando l'analisi alla totalità dei reati il dato scende al 21%. Ciò significa che rispetto ad un rito la cui incidenza complessiva sul sistema è tutto sommato modesta e comunque assai inferiore alle aspettative dei codificatori, la definizione allo stato degli atti risulta più frequente proprio in relazione ai delitti puniti con l'ergastolo. Tale dato si spiega facilmente considerando che per questi reati, da un lato, il quadro probatorio è spesso robusto e, dall'altro, l'effetto premiale è assai vantaggioso.

Entrando nel dettaglio delle statistiche citate si scopre che la quasi totalità dei giudizi abbreviati celebrati per reati puniti con l'ergastolo riguarda procedimenti concernenti imputazioni per omicidio aggravato.

PROCEDIMENTI DEFINITI NEL 2017 CON GIUDIZIO ORDINARIO E CON GIUDIZIO ABBREVIATO PER REATI PUNITI CON L'ERGASTOLO

REATO

GIUDIZIO ABBREVIATO (GIP/GUP)

GIUDIZIO ORDINARIO (CORTE DI ASSISE)

Art. 422 c.p.

2

0

Artt. 575, 576, 577, comma 2, c.p.

78

23

Artt. 56, 575, 576, 577, comma 2, c.p.

50

artt. 575, 577, comma 1, c.p.

229

62

Artt. 56, 575, 577, comma 1, c.p.

116

Artt. 575, 576, 577, comma 1, c.p.

35

6

Artt. 56, 575, 576, 577, comma 1, c.p.

16

Altri reati (artt. 289-bis, comma 3, 439, comma 2, 579 aggravato ex art. 577, comma 1, 605, comma 4, 630, comma 3, c.p.

0

n.r.

La nuova disciplina, pur comprensibile nelle sue finalità di politica criminale, si pone in controtendenza rispetto al favore per i riti alternativi che ispira l'attuale codice processuale e rischia di creare un notevole allungamento dei tempi di definizione di tali processi, con conseguenze negative anche sulla effettività del trattamento sanzionatorio. Si tratta di un risultato senza dubbio “controcorrente” rispetto all'esigenza costituzionalizzata di contenere la durata dei processi penali entro termini ragionevoli e che dovrebbe trovare giustificazione nell'esigenza di evitare trattamenti sanzionatori troppo blandi, rispetto a reati puniti con la pena edittale massima, a causa dell'effetto combinato della diminuente di rito e delle circostanze attenuanti.

In verità, come già detto, in base alla normativa previgente la pena perpetua, in caso di condanna a seguito di giudizio abbreviato, veniva sostituita con la reclusione per trent'anni. In caso di concorso formale o continuazione fra più delitti, alcuni dei quali punibili con l'ergastolo, la scelta del giudizio abbreviato comportava l'eliminazione dell'isolamento diurno, che altrimenti avrebbe dovuto inasprire la pena perpetua ai sensi dell'art. 72 c.p. Dunque, prima della riforma per i reati puniti con l'ergastolo l'effetto premiale connesso al rito contratto era piuttosto modesto e la pena finale irrogabile era pienamente adeguata alla gravità delle imputazioni.

Il problema nasce dal fatto che per molti reati (quelli statisticamente più diffusi nella aule di giustizia come l'omicidio e il sequestro di persona) la pena dell'ergastolo consegue alla ricorrenza di specifiche circostanze aggravanti. In questi casi il riconoscimento di circostanze attenuanti ritenute prevalenti o anche solo equivalenti rispetto alle aggravanti determina una sensibile riduzione della pena irrogabile. A ciò va poi aggiunta l'ulteriore riduzione di un terzo per il giudizio abbreviato. In relazione a tali reati sussiste effettivamente un'ampia divaricazione tra il trattamento punitivo previsto dal legislatore e quello concretamente applicato per effetto della combinazione fra premialità del rito e bilanciamento delle circostanze. Inoltre, in queste ipotesi il sistema si mostra eccessivamente rigido perché impedisce al giudice di graduare la pena in relazione alla concreta gravità dei fatti. Si pensi, ad esempio, all'omicidio aggravato: in presenza di una circostanza attenuante, l'alternativa è fra la pena (massima) di 16 anni e quella di 30 anni, a seconda che il giudizio di comparazione con l'aggravante si concluda in termini di equivalente o soccombenza; si tratta di un meccanismo che potrebbe portare all'applicazione di una pena non adeguata, per difetto o per eccesso, al caso concreto.

Per ovviare a tale inconveniente, senza rinunciare ai benefici in termini di deflazione derivanti dalla possibilità di accedere al rito alternativo anche per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, si sarebbe potuto intervenire sui meccanismi sanzionatori, prevedendo, ad esempio, un limite massimo di riduzione di pena per la diminuente processuale o, meglio, stabilendo una riduzione non fissa per il rito (come avviene in caso di patteggiamento).

Non può, infine, trascurarsi l'incidenza della riforma sul sistema della collaborazione nei processi di criminalità organizzata. È un dato notorio, infatti, che il giudizio abbreviato è la strada processuale che spesso viene intrapresa dai collaboratori di giustizia per la definizione dei procedimenti a loro carico. Tale scelta è incentivata soprattutto dalla premialità del rito, cosicché l'esclusione della possibilità di accedere al rito abbreviato per coloro che collaborano con la giustizia potrebbe determinare una maggiore incertezza rispetto alla scelta collaborativa (in tal senso si vedano il parere del Consiglio Superiore della Magistratura e SPANGHER, Il ruolo della pena, cit.).

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