Le norme del Codice della crisi relative ai gruppi di imprese

Carlo Pagliughi
21 Maggio 2019

In attuazione dei principi e criteri delineati dall'art. 3 della legge n. 155 del 19 ottobre 2017, il Codice della crisi di impresa (di seguito per brevità “il Codice” o “CCI”) contiene nel Titolo VI (Capi I, II, III e IV) la disciplina dedicata ai Gruppi di imprese.Obiettivo del legislatore è stato quello di colmare la lacuna presente nell'ordinamento che non prevedeva riferimenti normativi atti a regolamentare, seppure in termini generali, le modalità ed i limiti di impiego di procedure o strumenti di gestione della crisi od insolvenza riferita al Gruppo di imprese.
Premessa

In attuazione dei principi e criteri delineati dall'art. 3 della legge n. 155 del 19 ottobre 2017, il Codice della crisi di impresa (di seguito per brevità “il Codice” o “CCI”) contiene nel Titolo VI (Capi I, II, III e IV) la disciplina dedicata ai gruppi di imprese.

Obiettivo del legislatore è stato quello di colmare la lacuna presente nell'ordinamento che non prevedeva riferimenti normativi atti a regolamentare, seppure in termini generali, le modalità ed i limiti di impiego di procedure o strumenti di gestione della crisi od insolvenza riferita al gruppo di imprese.

Preliminarmente si osserva che il CCI (art. 2, comma 1, lett. h) prevede una definizione di Gruppo di imprese fondato sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e ss. e 2545-septies c.c. (anche da parte di persona fisica), con presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di rapporto di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c.

In questo quadro, ed in estrema sintesi, con l'avvento del CCI sarà consentito ad imprese che appartengono allo stesso gruppo, in stato di crisi e con un proprio centro degli interessi principali in Italia, di proporre unitariamente la domanda di accesso al concordato preventivo e alla procedura di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con un unico piano o con più piani “reciprocamente collegati e interferenti” (art. 284 CCI).

Resta ferma in tali casi l'autonomia delle rispettive masse attive e passive (art. 284 CCI).

Analoga possibilità di redazione del piano unitario o piani “reciprocamente collegati e interferenti” è consentita anche nell'ipotesi di utilizzo degli strumenti negoziali stragiudiziali previsti dall'art. 56 CCI (“accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”).

Il Codice fissa alcuni principi contenutistici del piano di gruppo (art. 285 CCI) e disciplina il procedimento di concordato di gruppo (art. 286 CCI).

Anche la procedura di liquidazione di gruppo potrà essere gestita unitariamente, a certe condizioni, su ricorso presentato unitariamente (art. 287 CCI).

In ogni caso il CCI introduce (art. 288 CCI) obblighi di stretto coordinamento tra gli organi di gestione delle procedure (qualora imprese dello stesso Gruppo siano assoggettate a separate procedure di liquidazione giudiziale o di regolazione della crisi); come pure stringenti obblighi dichiarativi (sulla struttura del Gruppo e vincoli partecipativi) nei confronti di chi presenta domande di accesso a procedure di regolazione concordata della crisi o dell'insolvenza (art. 289 CCI).

Completano le novità previste dal CCI talune “norme comuni” inserite in conformità agli indirizzi stabiliti nella legge delega (artt. 290, 291, 292 CCI).

Le condizioni di presentazione dell'unico ricorso e del piano unitario (art. 284 CCI)

L'art. 284 CCI prevede per le società appartenenti al gruppo di imprese la possibilità di presentare con unico ricorso la domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi (concordato preventivo o accordi di ristrutturazione dei debiti) e, in presenza di una domanda unitaria, consente di scegliere se presentare un piano unitario oppure piani diversi ma “reciprocamente collegati e interferenti”.

Nella formulazione della norma il legislatore esclude forme di consolidamento sostanziale tra le masse ma opta per il criterio del consolidamento procedurale, affermando esplicitamente la necessità di rispettare il principio di autonomia e separazione delle masse attive e passive.

Le ragioni della scelta di presentare il piano unitario devono essere esplicitate nella domanda e in ogni caso tale scelta è consentita in presenza della sua maggiore “convenienza” rispetto alla presentazione di piani autonomi, rilevata avuto riguardo al “miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese”.

È previsto che la domanda debba contenere informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le imprese del gruppo e che alla domanda debba essere allegato il bilancio consolidato di gruppo ove redatto.

Ad avviso di chi scrive, la formulazione della norma sollecita la discussione e la futura formazione di indirizzi interpretativi possibilmente omogenei relativamente ai seguenti profili.

In primo luogo, si pone l'interrogativo se il principio di autonomie delle masse (in adesione al principio del consolidamento soltanto procedurale nel solco dell'orientamento sancito dalla Suprema Corte con la nota sentenza n. 20559/2015) debba intendersi in termini assoluti oppure incontri possibili temperamenti.

La deroga al principio di autonomia pare introdotta dall'art. 285 CCI che, in presenza di determinati requisiti, ammette la realizzazione di operazioni societarie, anche riorganizzative, nonché trasferimenti infragruppo, in attuazione dei piani di gruppo.

Inoltre, il divieto di commistione delle masse sembra circoscritto alla fase precedente alla omologa, posto che la stessa formulazione dell'art. 85 CCI (ed anche 116 CCI) continua a prevedere che il piano possa prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso una pluralità di forme tecniche, comprese le operazioni straordinarie (che tipicamente possono comportare anche fenomeni di confusione delle masse).

In ogni caso, va ricordato che il quinto comma dell'art. 284 CCI estende la possibilità di presentare il piano unitario o “piani reciprocamente collegati e interferenti” anche nell'ambito degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento. In tal caso, non viene imposto il principio di separazione delle masse (che appare quindi derogabile per effetto di atti esecutivi del piano unitario dotato dei requisiti previsti dall'art. 56 CCI).

L'altro aspetto che merita una riflessione attiene al presupposto che autorizza la scelta di presentare un piano unitario (ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti) in luogo di piani distinti per ciascuna impresa.

Tale presupposto viene individuato nella “maggiore convenienza” di tale scelta, a sua volta declinata nel “miglior soddisfacimento” dei creditori delle singole imprese.

Il tema del miglior soddisfacimento è stato sino ad oggi esplorato rispetto alla singola impresa, in termini di giudizio comparato tra gli esiti del concordato con continuità e quelli derivanti da soluzioni alternative concretamente praticabili (e cioè la liquidazione in bonis ovvero il fallimento).

Il cono applicativo di tale principio trova ora una nuova estensione, riferita non più (o non solo) ai piani delle singole imprese in procedura, ma piuttosto alla necessità che i creditori di ciascuna ricevano un miglior soddisfacimento in esecuzione del piano di gruppo in luogo dei singoli piani.

In linea teorica, quindi, il piano di gruppo non potrà corrispondere alla somma degli effetti dei singoli piani ma dovrà produrre un beneficio differenziale – ripartito tra i creditori delle singole imprese - connesso alle “sinergie” esprimibili dal piano di gruppo. La mancanza di tale requisito per talune imprese del gruppo (la cui partecipazione al piano di gruppo risultasse comunque essenziale) potrebbe essere colmato mediante opportuni “dosaggi” di finanza esterna, al fine di ristabilire le condizioni di miglior soddisfacimento richieste dalla norma.

Le future elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali potranno contribuire a meglio determinare tale concetto, anche in relazione alle interferenze con il tema della convenienza (il quale richiama la possibilità che il giudizio comparato tra le varie alternative si svolga non solo in relazione agli effetti del piano unitario o di piani interconnessi, ma anche prendendo in considerazione l'effetto differenziale di eventuali azioni esperibili nell'alveo della procedura di liquidazione giudiziale).

Il contenuto del piano o dei piani di Gruppo (art. 285 CCI)

Il primo comma dell'art. 285 CCI manifesta la possibilità che il piano concordatario di gruppo od i piani concordatari interconnessi possano riguardare contemporaneamente imprese avviate alla liquidazione od alla continuità aziendale (l'impresa appartenente al Gruppo destinata al fallimento non potrà quindi rientrare nel Piano di Gruppo).

Come già previsto dall'art. 84, terzo comma, CCI, l'applicazione della disciplina del concordato in continuità discende dal riscontro della complessiva prevalenza dei flussi derivanti dalla continuazione della attività (diretta o indiretta) rispetto a quelli derivanti dalla liquidazione.

Il secondo comma dell'articolo in esame fissa alcuni indirizzi di contenuto del piano consentendo la prospettazione di operazioni di riorganizzazione implicanti eventualmente il trasferimento di risorse da una società all'altra, purché ciò: 1) sia necessario alle imprese per le quali è prevista la continuità; 2) sia rispondente al miglior soddisfacimento delle ragioni dei creditori di ciascuna impresa del Gruppo.

Il rispetto di tale duplice condizione sopra indicata deve essere evidenziato nel Piano ed attestata da un professionista indipendente.

Completano l'apparato normativo a tutela dei creditori e dei soci le previsioni inserite nei successivi tre commi dell'art. 285 CCI.

E pertanto (art. 285 CCI, terzo comma) viene data possibilità ai creditori dissenzienti (ma solo se si tratta di creditori dissenzienti di una classe dissenziente o, in caso di mancata formazione delle classi, solo se rappresentano almeno il 20% dei creditori ammessi al voto della società di cui sono creditori) di contestare gli effetti pregiudizievoli di operazioni “straordinarie”, in sede di opposizione all'omologa del concordato di Gruppo (i creditori non aderenti possono proporre opposizione all'omologazione degli accordi di ristrutturazione).

In tal caso, il metro di giudizio del Tribunale nell'omologare il concordato o gli accordi di ristrutturazione dei debiti si baserà (art. 285 CCI, quarto comma) sulla valutazione complessiva della situazione del Gruppo e sull'accertamento che i creditori dissenzienti siano soddisfatti in misura non inferiore a quella risultante dalla liquidazione della singola impresa debitrice.

Corrisponde poi al dichiarato obiettivo di stabilizzazione della procedura concordataria l'attribuzione ai soci (art. 285 CCI, quinto comma) della facoltà di opporsi alla omologazione del concordato di Gruppo, avverso le operazioni “straordinarie” ritenute pregiudizievoli. In tal caso, il Tribunale dovrà soppesare l'eventuale pregiudizio rispetto ai vantaggi compensativi derivanti alle singole società dal Piano di Gruppo.

La formulazione delle norme relative al contenuto del Piano ed all'intervento del professionista indipendente sollecitano le seguenti prime riflessioni.

Le modalità operative di elaborazione e rappresentazione del piano di Gruppo sono affrontate, nello specifico, dai “Principi per la redazione dei piani di risanamento” - settembre 2017 (pubblicati dal CNDCEC, a cura di AIDEA, ANDAF, APRI e OCRI).

Le prescrizioni contenute in tale documento (paragrafo 12) rappresentano un utile riferimento per offrire, nel rispetto dell'autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo, il quadro complessivo delle dinamiche economico-finanziarie-prospettiche del Gruppo, e le connesse ricadute rispetto alle singole società del gruppo (e conseguentemente dei creditori di queste ultime).

Il medesimo documento prevede la possibilità di effettuare operazioni di razionalizzazione societaria in funzione del piano, e di analizzare i rapporti tra le società del gruppo, al fine di consentire:

  • la visione di sintesi degli effetti delle iniziative di risanamento contenute nel piano, anche in funzione della molteplicità dei soggetti destinatari, caratterizzati da differenti esigenze di informativa, in termini di contenuti e grado di approfondimento;
  • la definizione, ove necessaria, di alcuni parametri finanziari (c.d. covenant) a livello di gruppo;
  • il monitoraggio del piano, qualora dall'andamento del gruppo dipenda la fattibilità dei piani a livello individuale di alcune o tutte le realtà dello stesso.

All'interno di questa cornice, la formulazione dell'art. 285 secondo comma CCI, consente ora l'effettuazione di operazioni contrattuali e riorganizzative implicanti eventualmente il trasferimento di risorse da una società all'altra, purché sia soddisfatta ed attestata la duplice condizione che ciò sia necessario alle imprese per le quali è prevista la continuità, e rispondente al miglior soddisfacimento delle ragioni dei creditori di ciascuna impresa del Gruppo.

Una situazione nella quale potrebbero ricorrere gli estremi della norma in esame è quella in cui le imprese del Gruppo siano titolari di asset (materiali ed immateriali) che, congiuntamente considerati, possano formare oggetto di cessione (nell'ottica della continuazione o della ripresa dell'attività) nell'ambito di unico contesto e come parte di una inscindibile operazione. E in tale contesto potrebbero anche rendersi necessari trasferimenti di risorse dall'una all'altra società idonei a consentire la temporanea prosecuzione della attività ovvero ad ottenere una migliore valorizzazione del complesso delle attività destinate al trasferimento a terzi.

La fattispecie si collocherebbe nell'ambito di un concordato di Gruppo in continuità (secondo la definizione contenuta nell'art. 84 CCI), e lo sbocco di tali operazioni è la possibilità di configurare un ramo d'azienda oggetto di cessione in realtà riferito ad una pluralità di beni appartenenti alle singole imprese del Gruppo

Posto che tali beni potrebbero anche essere alienati separatamente medianti procedure liquidatorie riguardanti le singole imprese, la valutazione da compiere riguarda in primo luogo l'accertamento della massimizzazione del valore complessivo di realizzo attraverso la cessione congiunta degli asset (superiore cioè alla somma delle parti).

Tale condizione dovrebbe essere verificata tutte le volte in cui l'offerta per il complesso dipenda dalla interconnessione degli asset riferiti alle singole imprese, di talché la vendita atomistica di alcuni di essi comporti la riduzione del valore riferito al complesso delle attività.

Tuttavia ciò non è sufficiente per soddisfare l'ulteriore requisito previsto dalla norma e cioè che attraverso le operazioni in esame venga conseguito l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del Gruppo.

Non è detto infatti che tutte le masse traggano egualmente ed esclusivamente beneficio dalla vendita unitaria.

Ed anzi talune società potrebbero patire gli effetti di una vendita atomistica (si pensi all'impresa titolare di beni materiali la cui forzata inattività comporta inevitabilmente la progressiva perdita di funzionalità di impianti e infrastrutture), mentre altre risultarne del tutto indifferenti (si pensi all'impresa del Gruppo titolare di brevetti, di competenze e del know how con forza attrattiva invariata anche nel caso di liquidazione giudiziale) o danneggiate nel procedimento di allocazione del valore complessivo di realizzo.

L'articolazione del piano di Gruppo dovrà quindi esplicitare i criteri seguiti nella verifica di tale condizione (il miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del Gruppo) ed i criteri seguiti nella allocazione del valore di realizzo del complesso alienato tra le varie imprese, tenuto conto degli apporti di ciascuna.

L'asseverazione dei requisiti prescritti dall'art. 285 secondo comma CCI è affidata ad un professionista indipendente.

Al riguardo sorge un interrogativo sulla possibilità di coincidenza o meno con il professionista attestatore del Piano.

Ferme restando alcune aree di sovrapposizione (l'espressione del giudizio richiesto dall'art. 285 secondo comma CCI, potrebbe rappresentare una attestazione “integrativa” o “speciale” rispetto a quella “principale” richiesta all'attestatore), sembra plausibile che l'incarico possa essere affidato ad altro professionista indipendente, con vesti di “arbitratore” su aspetti eminentemente economici che possono incidere sul processo di allocazione dei valori e sul miglior soddisfacimento dei creditori di ciascuna impresa del Gruppo.

Da ultimo, un dubbio interpretativo che sorge dalla formulazione letterale dell'art. 285 secondo comma CCI (riferita al “piano o i piani concordatari”) ed avvalorato dalla relazione illustrativa (che fa riferimento ad operazioni infragruppo nell'ambito del piano di concordato) è se la previsione si applichi anche al piano od ai piani predisposti in relazione agli accordi di ristrutturazione di Gruppo, con obbligo anche in tal caso di attestazione da parte del professionista indipendente.

Il procedimento di concordato di Gruppo (art. 286 CCI)

La trattazione degli aspetti procedimentali del concordato di Gruppo è concentrata nell'articolo in esame, chiarendo anzitutto i criteri di individuazione del foro competente qualora venga proposta la domanda per l'apertura di una procedura unitaria.

Viene quindi specificato che, se le diverse imprese appartenenti al gruppo hanno il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese, nella cui circoscrizione si trova il centro degli interessi principali del soggetto che esercita (in base alle segnalazioni pubblicitarie previste dall'art. 2497-bis c.c.) l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all'ultimo bilancio approvato.

Rappresenta l'espressione plastica del consolidamento procedurale la previsione che, in accoglimento del ricorso, il Tribunale competente designi un unico giudice delegato e un unico commissario giudiziale, con previsione di unico fondo per le spese di giustizia (i costi della procedura saranno ripartiti fra le varie imprese del gruppo in proporzione alle rispettive masse attive).

In ossequio al principio di autonomia delle masse passive, è prevista la contestuale e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa. Nella prassi, tale indicazione si potrà tradurre nella predisposizione di un'unica relazione ex art. 105 CCI da parte del Commissario Giudiziale, suddivisa in sezioni dedicate alla analisi degli effetti del piano rispetto alle singole imprese del Gruppo, con allegati distinti elenchi dei creditori riferiti a ciascuna impresa.

Nel prevedere che “sono escluse dal voto le imprese del gruppo titolari di crediti nei confronti dell'impresa ammessa alla procedura”, il sesto comma dell'art. 286 CCI allarga le ipotesi di esclusione dal voto ai crediti infragruppo di qualsiasi natura, senza distinzione tra commerciali o finanziari (sin qui implicanti ricadute ai fini del voto a seconda del riconoscimento o meno dei caratteri della postergazione ex lege).

In funzione della stabilizzazione della procedura appare rilevante anche l'introduzione nel settimo comma del limite alla risoluzione od annullamento del concordato, alle imprese del Gruppo per le quali si verifichino i relativi presupposti (con estensione ad altre imprese solo in presenza significativa compromissione dell'attuazione dei corrispondenti piani).

Al riguardo, in assenza di regolamentazione preventiva di tali aspetti nell'ambito della domanda di accesso alla procedura, l'espressione utilizzata nella norma - che fa riferimento ad una situazione “significativamente compromessa” per l'estensione dell'annullamento o risoluzione ai piani di altre imprese del Gruppo - sembra destinata ad originare futuri dubbi interpretativi.

La procedura unitaria di liquidazione giudiziale (art. 287 CCI)

Anche per quanto riguarda la liquidazione giudiziale si prevede la facoltà di presentare un unico ricorso davanti ad un unico tribunale (individuato nel caso di contemporanea presentazione del ricorso con i medesimi criteri di competenza previsti per le procedure di regolazione concordata della crisi).

La logica che guida l'eventuale unificazione delle procedure è data dalla possibilità di affrontare in modo più efficiente il dissesto, con un maggior coordinamento nella liquidazione degli attivi (e anche con più immediata disponibilità di informazioni idonee a poter impostare le azioni recuperatorie e risarcitorie).

In tal caso il Tribunale nomina un unico giudice delegato ed un unico curatore (salvo che non sussistano specifiche ragioni che lo sconsiglino come la presenza di conflitti di interesse nel promuovere, ad esempio, azioni nell'interesse delle masse tra loro autonome e potenzialmente contrapposte), con individuazione di un programma unitario di liquidazione coordinata delle singole masse e ferma restando l'autonomia delle masse attive e passive.

Per agevolare l'eventuale riconduzione ad unità di procedure afferenti ad imprese del medesimo Gruppo, l'ultimo comma dell'art. 287 CCI dispone che il curatore dell'impresa assoggettata a liquidazione giudiziale, nel ravvisare l'insolvenza di altra impresa del Gruppo, ne dia avviso agli organi sociali di quest'ultima affinché si attivino oppure promuova direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza.

Obblighi di collaborazione ed informazione reciproca (artt. 288-289 CCI)

Le disposizioni contenute nell'art. 288 CCI corrispondono all'obiettivo di coordinamento tra autonome procedure di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo, mediante cooperazione tra gli Organi di gestione delle diverse procedure. Si tratta quindi di attuare, in alternativa alla presentazione di un ricorso unitario, la gestione delle procedure coordinando le rispettive attività e nel costante scambio di flussi informativi.

L'obiettivo di coordinamento e di completezza informativa è riflesso anche nell'art. 289 CCI che pone a carico dell'impresa appartenente al Gruppo che presenta domanda di accesso ad una procedura l'obbligo di rendere nota la struttura del Gruppo ed i vincoli partecipativi, depositando il bilancio consolidato di Gruppo ove redatto.

Le norme comuni (artt. 290-291-292 CCI)

Con l'art. 290 CCI trova ingresso nell'ordinamento l'azione revocatoria infragruppo applicabile sia nel caso di gestione unitaria della liquidazione giudiziale, sia nel caso di gestione separata delle singole procedure.

Il primo comma dell'art. 290 CCI prevede l'estensione del periodo sospetto (fino a cinque anni dal deposito dell'istanza di liquidazione giudiziale) e la sanzione di inefficacia per “atti e contratti” che abbiano prodotto l'effetto di spostare risorse a favore di un'altra società del Gruppo, con pregiudizio per i creditori fatto salvo l'accertamento di vantaggi compensativi ex art. 2497, primo comma, c.c.

È prevista l'inversione dell'onere della prova (giustificata secondo la relazione illustrativa dalla esistenza del rapporto di Gruppo) a carico dell'impresa beneficiaria dell'atto che dovrà dimostrare la mancata conoscenza dei caratteri pregiudizievoli dell'atto o del contratto.

Il terzo comma dell'art. 290 CCI completa il regime revocatorio infragruppo stabilendo che il curatore della procedura di liquidazione giudiziale relativa ad una società appartenente al Gruppo possa esperire nei confronti di altre società del Gruppo l'azione revocatoria prevista dall'art. 166 CCI, per atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, e l'estensione del periodo sospetto per atti compiuti prima del deposito (due anni nei casi di cui all'art. 166, primo comma, lett. a) e b); un anno nei casi di cui all'art. 166, primo comma, lett. c) e d).

L'aspetto da chiarire riguarda il rapporto che si instaura tre le fattispecie previste dal primo e dal terzo comma dell'articolo in esame, ed in particolare sarà necessario inquadrare le tipologie degli atti e contratti assoggettabili allo speciale regime revocatorio previsto dal primo comma, necessariamente diversi da quelli colpiti dall'azione ex art. 166 CCI (salvo ritenere che il primo comma dell'art. 290 sia in realtà riferito ad una sorta di azione revocatoria ordinaria di atti e contratti infragruppo).

Passando ora all'esame dell'art. 291 CCI, il dubbio interpretativo riguarda la latitudine del portato dell'articolo e cioè se la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni di responsabilità previste dall'art. 2497 c.c. sia riferito alla sola azione dei creditori (così recependo quanto già previsto dall'art. 2497, quarto comma c.c.) oppure anche l'azione dei soci (un indice testuale a conferma di quest'ultima tesi è l'indicazione al plurale delle azioni in esame e la precisazione contenuta nella relazione illustrativa che segnala l'attribuzione al curatore di tutte le azioni di responsabilità previste dall'art. 2497 c.c.). Tuttavia l'utilizzo del plurale, senza estendere al curatore la legittimazione ad esercitare l'azione dei soci ex art. 2497 c.c. potrebbe risiedere in altre ragioni e segnatamente nella collocazione della disciplina nel contesto della liquidazione giudiziale di una pluralità di società appartenenti al Gruppo (da cui potranno discendere plurime azioni esperire dal curatore nell'interesse di una pluralità di masse creditorie).

Per concludere, l'art. 292 CCI dà attuazione al principio contenuto nell'art. 3, primo comma, lett. f) della legge delega e, con portata innovativa, stabilisce la postergazione di crediti di finanziamento concessi, dopo il deposito della domanda che ha dato luogo alla apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore, sia dall'ente o persona fisica che esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti delle imprese etero dirette, sia dalle società del Gruppo a favore dell'ente che su di esse esercita attività di direzione e coordinamento (finanziamenti cosiddetti ascendenti o “up-stream”). Nel caso di rimborso di tali crediti (postergati) si applica l'art. 164 CCI.

Così articolata, la norma fa sorgere l'esigenza di coordinamento con quanto prescritto dall'art. 164 comma 3 CCI che sancisce l'inefficacia del rimborso dei finanziamenti infragruppo solo in relazione a finanziamenti discendenti (effettuati dalla capogruppo a favore della società etero diretta), ed a quelli “cross-stream” fra società sorelle (controllate cioè dal medesimo ente).

Inoltre, il testo dell'art. 292 CCI non cita i requisiti di postergazione ex lege previsti dall'art. 2467, secondo comma c.c. (che invece sono richiamati dall'art. 164 CCI), affermando invece che la postergazione può riguardare solo i crediti derivanti da rapporti di finanziamento infragruppo sorti dopo il deposito della domanda che ha dato luogo alla apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore.

Riferimenti dottrinali e giurisprudenziali

Per la dottrina cfr. POLI, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di Gruppo” dopo l'intervento della S.C., in il Fallimento, 2/2016; Galletti, Concordato preventivo e Gruppi di imprese: cessione e diversione dei beni e attestazioni condizionate, in www.ilfallimentarista.it, 2012; Lamanna, La “crisi” del Gruppo di imprese: breve report sull'attuale stato dell'arte, in www.ilfallimentarista.it, 2012; Vitiello, Il concordato preventivo di Gruppo, in www.ilfallimentarista.it, 2012.

Per la giurisprudenza Trib. Terni 29 dicembre 2010, in www.ilcaso.it; Tribunale Roma 25 luglio 2012 in www.ilfallimentarista.it; Cass. Civ., 13 ottobre 2015, n. 20559.

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