“Saluto fascista” durante la seduta del Consiglio comunale: esclusa la particolare tenuità del fatto

21 Maggio 2019

L'imputato in occasione della seduta pubblica della Commissione congiunta del Consiglio comunale di Milano eseguiva il “saluto fascista” noto anche come “saluto romano” compiendo così una manifestazione esteriore tipica...

Con sentenza n. 21409, depositata in data 16 maggio 2019, la prima Sezione della Corte di Cassazione rigettava il ricorso del consigliere comunale condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di cui all'art. 2 decreto legge 26 aprile 1993 n. 122 – convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 1993 n. 205. Da entrambe le sentenze era emerso che l'imputato in occasione della seduta pubblica della Commissione congiunta del Consiglio comunale di Milano eseguiva il “saluto fascista” noto anche come “saluto romano” compiendo così una manifestazione esteriore tipica di un'organizzazione politica che persegue finalità vietate dall'art. 3 l. 13 ottobre 1975 n. 654 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966). Deve rilevarsi per una maggiore comprensione del contesto in cui sorge il reato che la vicenda criminosa si inserisce in una protesta che si era sviluppata a causa di un insediamento Rom che aveva creato delle tensioni sociali per cui l'imputato aveva organizzato la manifestazione contro il Comune di Milano accusato di inerzia.

Durante la seduta della Commissione Consiliare l'imputato veniva invitato ad assistere alla stessa e contemporaneamente a desistere dall'organizzazione della protesta. Un consigliere tenendo in mano il volantino della suddetta manifestazione chiedeva se fossero presenti gli organizzatori della protesta perché in quel caso avrebbe abbandonato l'aula della seduta consiliare. A fronte della domanda l'imputato rispondeva effettuando il saluto fascista pronunciando le seguenti parole: “presenti e ne siamo fieri”.

La Corte la precisato «non può in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il “saluto fascista” accompagnato dalla parola ‘presente' integra la fattispecie dell'art. 2 del d.l. n. 122 del 1993, per la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, che appare pregiudizievole dell'ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi. Sul punto è sufficiente richiamare il principio di diritto secondo cui:“il cosiddetto saluto romano o saluto fascista è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel d.l. n. 122/1993 convertito, con modificazioni, nella legge 25/6/1993 n. 205 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) e inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale ed etnico”; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall'art. 2 del citato decreto legge (sez. I n. 215184 del 4/3/2009, S, Rv. 243792; si veda, in senso sostanzialmente conforme Sez. II, n. 37390 del 10/7/2007, S., Rv. 237311)».

Si rileva, inoltre, che in più occasioni è stata ritenuta manifestamente infondata – dalla stessa Corte – la questione di costituzionalità dell'art. 3 della l. 654 del 1975, cui l'art. 2 del decreto legge 122 del 1993 rimanda nel caso in cui vieta la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale, per contrasto con l'art. 21 della Costituzione «in quanto la libertà di manifestazione di pensiero cessa quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista. In tali occasioni, si evidenziava che l'incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali ed etnici, nazionali o religiosi ha contenuto fattivo di istigazione a una condotta che realizza un quid pluris rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali, rendendo manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate (Sez. III, n. 37581 del 3/10/2008 M. riv. 241071; Sez. V, n. 31655 del 24/8/2001 G. Rv. 22022)”.

La Cassazione ha inoltre motivato, in merito alla mancata concessione del riconoscimento dell'esimente dell'art. 131-bis c.p., ritenendo che proprio le circostanze di tempo e di luogo nelle quali era inserita la condotta criminosa commessa durante la seduta consiliare a margine della manifestazione di protesta organizzata dallo stesso imputato non consentivano di ritenere sussistenti le condizioni legittimanti l'applicazione della suddetta esimente. La mancata concessione della suddetta esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto discende dalla valutazione della Corte territoriale Milanese dei fatti illeciti contestati nel rispetto dei parametri previsti all'art. 133 c.p. le cui connotazioni soggettive e oggettive della condotta dell'imputato non permettevano l'esclusione della punibilità per tenuità del fatto.

Anche in punto di mancata applicazione dell'attenuante della provocazione di cui all'art. 62 n. 2 c.p. gli Ermellini hanno ritenuto di motivare – rigettando anche l'ultimo motivo di ricorso- affermando che non era possibile ritenere sussistente un rapporto di causalità tra l'atteggiamento del consigliere che aveva posto la domanda e il comportamento criminoso dell'imputato.

La ricostruzione effettuata dalla Corte d'Appello di Milano non permetteva, infatti, di ritenere sussistenti i requisiti della provocazione invocati dal ricorrente atteso che dalle risultanze processuali non emergeva che il Consigliere Comunale avesse aggredito verbalmente o anche solo irriso i ricorrente. Il Consigliere si era limitato a manifestare il suo risentimento perché nell'aula consiliare erano presenti, in qualità di ospiti, alcuni esponenti di estrema destra senza rivolgersi all'imputato ed esprimendo il suo punto di vista meramente politico.

«Queste univoche risultanze processuali impongono di escludere la ricorrenza degli indicatori, oggettivi e soggettivi, dell'attenuante della provocazione, così come tipizzati dall'art. 62 n. 2 cod. pen., con la conseguenza di dovere ritenere inapplicabile, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali veniva effettuato il “saluto fascista”, la mitigazione sanzionatoria invocata in favore di (omissis) dal suo difensore(Sez. V, n. 12588 del 13/2/2004; F., Rv. 228020; Sez. I, n. 9373 del 10/6/1994, C, Rv. 200136)».

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.