La crisi dei gruppi alla luce del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza

Alessandro Farolfi
22 Maggio 2019

Nonostante da tempo si sia osservato che la collaborazione fra imprese e non solo fra persone costituisce una risorsa essenziale nella competizione su mercati sempre più vasti e globalizzati, nondimeno il fenomeno della crisi e dell'insolvenza è stato sempre affrontato dal nostro ordinamento in una chiave di lettura da “isolamento del malato”, e quindi sotto la luce di una stretta applicazione della regola della responsabilità patrimoniale individuale del debitore, ciascuno di per sé considerato.
Premessa

Nonostante da tempo si sia osservato che la collaborazione fra imprese e non solo fra persone costituisce una risorsa essenziale nella competizione su mercati sempre più vasti e globalizzati (non a caso una famosa frase di Henri Ford recita “mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo”), nondimeno il fenomeno della crisi e dell'insolvenza è stato sempre affrontato dal nostro ordinamento in una chiave di lettura da “isolamento del malato”, e quindi sotto la luce di una stretta applicazione della regola della responsabilità patrimoniale individuale del debitore, ciascuno di per sé considerato.

La posizione della giurisprudenza di legittimità, in una situazione di sostanziale “silenzio” del legislatore sul fenomeno della crisi dei gruppi di imprese, rappresentata innanzitutto da Cass. sez, I, 13 ottobre 2015, n. 20559 e da Cass. sez. VI, 15 Luglio 2016, n. 14518, si è risolta nel senso di affermare che allo stato attuale della legislazione non potesse ritenersi ammissibile il concordato di un gruppo di imprese, posto che: i) la competenza territoriale del tribunale fallimentare stabilita dagli articoli 9, 161 e 195 l.fall. ha natura inderogabile; ii) il concordato deve riguardare individualmente le singole società del gruppo; iii) il concordato preventivo della società non si estende ai soci illimitatamente responsabili, i quali beneficiano soltanto dell'effetto esdebitatorio, ai sensi dell'articolo 184, comma 2, l.fall. unicamente per i debiti sociali, non per quelli personali di ciascuno di loro; iv) in presenza di un concordato di diverse società legate da rapporti di controllo, anche ove soggette a direzione unitaria, occorre tenere distinte le masse attive e passive, le quali conservano la loro autonomia giuridica, dovendo restare separate le posizioni debitorie e creditorie delle singole società; v) sul piano procedimentale, le maggioranze per l'approvazione del concordato devono essere calcolate in riferimento alle singole imprese del gruppo.

Può essere utile ricordare come il caso affrontato dalla prima delle citate decisioni vertesse su una vicenda nella quale alcune società di capitali – appartenenti ad un gruppo cantieristico navale – avevano conferito i propri complessi aziendali a favore di una società in nome collettivo neocostituita, ricevendo in cambio una partecipazione al capitale sociale della stessa e divenendone soci illimitatamente responsabili. L'operazione era stata compiuta – sotto la condizione risolutiva della mancata omologazione del concordato – allo scopo di presentare una proposta di ristrutturazione concordataria, finalizzata a conseguire la conservazione e la continuità delle imprese, salvaguardandone patrimoni e occupazione, intendendo fruire dell'effetto esdebitativo “a cascata” di cui all'art. 184, comma 2, l.fall., secondo cui “salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”. Tale soluzione di restructuring era stata ritenuta omologabile dal Tribunale ritenuto competente in ragione della sede della newco, con soluzione confermata dalla Corte d'Appello ma giudicata inammissibile dal S.C..

Più recentemente, Cass. sez. I, 17 Ottobre 2018, n. 26005, ha ulteriormente specificato che è inammissibile la proposta unitaria di concordato da parte di società fra loro collegate da vincolo di direzione e controllo che preveda l'attribuzione ai creditori di ciascuna società solo di parte del patrimonio di questa (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20559; Cass. 13 luglio 2018, n. 18761); il concordato preventivo può, pertanto, essere proposto unicamente da ciascuna delle società appartenenti al gruppo davanti al tribunale territorialmente competente per ogni singola procedura, senza possibilità di confusione delle masse attive e passive, per essere, quindi, approvato da maggioranze calcolate con riferimento alle posizioni debitorie di ogni singola impresa, con l'ulteriore precisazione che la separazione delle masse attive e passive rappresenta (anche in ragione del meccanismo di formazione delle maggioranze necessarie) un dato imprescindibile della normativa.

Le novità della riforma

Come si è anticipato, la legislazione nazionale ha fino ad oggi sostanzialmente ignorato il fenomeno della crisi dei gruppi di imprese e delle tecniche unitarie di ristrutturazione dei debiti, come pure delle relative procedure concorsuali di gruppo. Con l'eccezione di alcune disposizioni dettate in tema di amministrazione straordinaria (artt. 80 e ss. del d.lgs. 8.7.1999, n. 270 e art. 4-bis del d.l. n. 347/2003, convertito con legge 18.2.2004, n. 39) ed in tema di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa dei gruppi bancari od assicurativi insolventi (artt. 98 ss. d.lgs. 1.9.1993, n. 385 e dagli artt. 275 ss. d.lgs. 7.9.2005, n. 209), infatti, la disciplina concorsuale ha sostanzialmente omesso di affrontare questo fenomeno tutt'altro che raro, che pure nel codice civile trovava alcune disposizioni di potenziale rilievo. Viene in considerazione, ad esempio, l'art. 2497 c.c., che dopo aver delineato la responsabilità da abuso di direzione e coordinamento affermando che “le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società”, si occupa della legittimazione processuale in caso di fallimento, ritenendo che “nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”.

Peraltro, alcuni riferimenti indiretti alla comunanza degli interessi perseguiti attraverso una pluralità di imprese fra loro collegate o partecipate era comunque possibile trovare. Ad es. l'art. 124 l.fall., sia pure in tema di concordato fallimentare, estende le limitazioni temporali alla facoltà del debitore di avanzare una proposta concordataria alle “società cui egli partecipi o … sottoposte a comune controllo”, mentre il successivo art. 127, comma 6, l.fall. estende le esclusioni dal voto previste per i parenti, coniugi ed affini del fallito “ai crediti delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo”. Del pari, lo stesso art. 160, comma 1, lett. a), nella parte in cui specifica la natura del tutto atipica della proposta di concordato preventivo, attraverso la possibilità di utilizzo di operazioni straordinarie, poteva rappresentare un utile spunto alla ricostruzione dottrinale e per via giurisprudenziale della rilevanza concorsuale di forme di aggregazione fra imprese.

Tuttavia, si è dovuto attendere una normativa di rango sovranazionale come il Regolamento (UE) 2015/848, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale UE n. 141 del 5 giugno 2015, in tema di insolvenza transfrontaliera, per individuare una spinta definitiva verso la necessità di introdurre una disciplina organica della crisi dei gruppi di imprese (vds. in particolare il Capo V, agli artt. 56-77, ove pur rinunciando a disciplinare una competenza unitaria davanti ad un solo giudice nazionale, quando le imprese aderenti al gruppo siano collocate in stati membri diversi, ha comunque previsto un obbligo di cooperazione e di comunicazione fra giudici ed amministratori della diverse procedure; del pari, il precedente art. 2 par. 13 afferma che per gruppo deve intendersi “un'impresa madre e tutte le sue imprese figlie”, intendendosi per impresa madre “l'impresa che controlla, direttamente o indirettamente, una o più imprese figlie” aggiungendo ulteriormente che “un'impresa che redige il bilancio consolidato conformemente alla direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio è considerata quale impresa madre”).

Anche per tale motivo, quindi, la legge delega 19/10/2017, n. 155 contiene un art. 3 specificamente dedicato ai gruppi di imprese.

La legge delega si propone, in primo luogo, di delineare alcuni principi, per così dire strumentali e funzionali, rispetto alla regolamentazione della crisi di gruppo, volti ad agevolare la gestione unitaria o comunque coordinata della stessa:

a) il concetto di gruppo, in primis, per il quale vengono richiamati gli artt. 2497 e 2545-septies c.c., introducendo altresì una presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo di cui all'art. 2359 c.c. (che come è noto lo prevede nei seguenti casi: 1) società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa);

b) formulando specifici obblighi dichiarativi ed in tema di presentazione del bilancio consolidato, con lo scopo di informare i terzi sui legami di gruppo esistenti, anche in vista del loro (eventuale) assoggettamento a procedure concorsuali; a tal fine si propone inoltre di assegnare all'organo cui spetti la gestione della procedura concorsuale specifici poteri di indagine ed informativa, sia presso Consob o altri enti pubblici, che presso società fiduciarie, finalizzati all'emersione dei reali legami di gruppo.

In secondo luogo, si prevedono una serie di criteri di delega di carattere formale, volti a disciplinare in termini più specifici le formalità relative alla sottoposizione a procedura concorsuale del gruppo o di imprese appartenenti ad un gruppo, stabilendo che:

1) le imprese in crisi od insolventi del gruppo, purchè tutte sottoposte a giurisdizione italiana, possano presentare un unico ricorso contenente domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, o di ammissione al concordato preventivo oppure alla liquidazione giudiziale, favorendo la concentrazione di fronte ad una sola autorità giudiziaria della gestione della procedura, prevedendo invece forme di coordinamento quando le diverse società siano sottoposte a diversa giurisdizione;

2) anche in caso di ricorso unitario, resti inderogabilmente ferma (si dice “in ogni caso”) l'autonomia delle rispettive masse attive e passive (in tale punto si recepisce una prescrizione che era già stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità citata al par. precedente);

3) mantenere ferma la regola sulla postergazione nei casi previsti dall'art. 2467 c.c., introducendo deroghe a tale trattamento nel caso in cui si debba favorire l'erogazione di finanziamenti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo o relativa ad un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Infine, sono previsti alcuni principi di delega endo-concorsuali, volti cioè ad applicarsi alla crisi di gruppo in vista della sua più efficiente gestione, in termini derogativi rispetto alla comune procedura concorsuale (rectius misura di regolamentazione della crisi di impresa).

Per il concordato preventivo si prevede, in particolare:

a) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale e il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia;

b) la contemporanea e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa;

c) l'esigenza di disciplinare gli effetti dell'eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata;

d) l'esclusione dal voto delle imprese del gruppo che siano titolari di crediti nei confronti delle altre imprese assoggettate alla procedura;

e) i criteri per la formulazione del piano unitario di risoluzione della crisi del gruppo, eventualmente attraverso operazioni contrattuali e riorganizzative infragruppo, purchè funzionali alla continuità aziendale ed al migliore soddisfacimento dei creditori, fatta salva la tutela in sede concorsuale per i soci e per i creditori delle singole imprese, nonchè per ogni altro controinteressato.

Mentre nel caso di gestione unitaria della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo la delega prevede:

a) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore, ma di distinti comitati dei creditori per ciascuna impresa del gruppo;

b) un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo;

c) l'attribuzione al curatore, anche nei confronti di imprese non insolventi del gruppo, del potere di:

  • azionare rimedi contro operazioni antecedenti l'accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse a un'altra impresa del gruppo, in danno dei creditori;
  • esercitare le azioni di responsabilità di cui all'art. 2497 c.c.;
  • promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale;
  • nel caso in cui ravvisi l'insolvenza di imprese del gruppo non ancora assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, segnalare tale circostanza agli organi di amministrazione e di controllo ovvero promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza di dette imprese;
  • la disciplina di eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale, in conformità alla disposizione dell'articolo 7, comma 10, lettera d) (che come è noto prevede una direttiva volta ad incentivare l'utilizzo di questo istituto, al fine di pervenire alla chiusura anticipata della liquidazione giudiziale, favorendo le proposte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove quest'ultimo apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l'attivo).

Tali direttive sono state recepite nel testo del Codice della Crisi e dell'Insolvenza.

Competenza

L'art. 27 CCI disciplina la competenza territoriale degli uffici giudiziari introducendo una distinzione molto rilevante, con riguardo ai procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e le controversie che ne derivano:

a) se relativi ad imprese in amministrazione straordinaria o gruppi di imprese di rilevante dimensione, la competenza viene attribuita al tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese nel cui distretto si colloca il centro degli interessi principali del debitore;

b) per le altre imprese debitrici si ha riferimento al tribunale nel cui circondario il debitore ha il proprio centro degli interessi principali.

A sua volta l'art. 2 CCI, nella parte contenente le definizioni, individua i gruppi di imprese di rilevante dimensione adottando i parametri quantitativi previsti dall'art. 3 par. 6 e 7 della Direttiva UE 2013/34, il che significa farvi rientrare sia i gruppi di medie dimensioni di cui al par. 6 che quelli di grandi dimensioni (in definitiva vi rientrano i gruppi non “piccoli”, che superano almeno due dei limiti del precedente par. 5: a) totale dello stato patrimoniale: 4.000.000 EUR; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 8.000.000 EUR; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 50).

La norma compie un sostanziale riferimento al c.d. COMI (centre of main interests), concetto già conosciuto in ambito comunitario. Infatti, già il Reg. CE 1346/2000 sulle procedure di insolvenza transfrontaliere si preoccupava di dettare le disposizioni sul potenziale conflitto di giurisdizione e sulla individuazione della legge applicabile facendo riferimento al criterio del COMI, generalmente inteso dalla giurisprudenza, ai fini della individuazione della competenza del giudice, come il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi interessi (in questo senso, nella giurisprudenza sovranazionale, possono citarsi la causa C 241/04 - Eurofood, causa C 396/09 - Interedil, causa C 191/10 - Rastelli). Tale nozione è stata espressamente ribadita e definita dal successivo Reg. UE 848/2015, il cui art. 3.1 afferma che "sono competenti ad aprire la procedura d'insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore (procedura principale di insolvenza). Il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”. In detto regolamento si prevede, altresì che per le società e le persone giuridiche vale la presunzione (già applicata nella precedente formulazione della norma) per cui il COMI coincide con il luogo in cui si trova la sede legale dell'impresa, precisandosi che, ove detta sede sia stata spostata in un altro Stato membro nei tre mesi antecedenti la domanda di apertura della procedura di insolvenza, l'originaria presunzione non opera e la verifica andrà effettuata in concreto.

Si diceva che il concetto di COMI ha influenzato anche il legislatore nazionale, posto che il comma 3 del già citato art. 27 CCI precisa che il centro degli interessi principali del debitore si presume – salvo prova contraria - coincidente:

  • per la persona fisica esercente l'attività di impresa con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale;
  • per le persone giuridiche ed enti, anche non svolgenti attività di impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale o, se sconosciuta, avuto riguardo a quanto previsto per la persona fisica non imprenditrice, con riguardo alla persona del legale rappresentante (cioè residenza o domicilio o, se questi sono sconosciuti, ultima dimora o in mancanza luogo di nascita, con la norma di chiusura che se il luogo di nascita non è in Italia la competenza spetta al Tribunale di Roma).

L'art. 28 CCI a sua volta riprende l'attuale art. 9 l.fall., in tema di trasferimento della sede in periodo “sospetto”, per il rischio cioè che detto trasferimento sia preordinato ad una scelta di competenza sulla futura procedura di crisi o insolvenza più che corrispondere a reali esigenze imprenditoriali: il trasferimento infatti non rileva quando è intervenuto nell'anno anteriore alla domanda di regolazione della crisi o dell'insolvenza o di apertura della liquidazione, ovvero dopo l'inizio della procedura di composizione assistita della crisi, se anteriore. In questo punto si vuole evitare che, una volta intrapreso il percorso il percorso dinanzi all'OCRI (la cui individuazione è fatta con esclusivo riferimento alla sede legale, come si evince dall'art. 16, comma 2, CCI) il debitore, magari a seguito di difficoltà insorte, possa scegliersi un foro diverso, eventualmente più “benevolo”, semplicemente trasferendo la propria sede.

L'art. 286 CCI, con specifico riferimento ai gruppi di imprese, ci dice poi che se le imprese appartenenti al gruppo hanno il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, allora si farà riferimento al COMI della società o ente o persona fisica che esercita l'attività di direzione e coordinamento, oppure, in mancanza, a quello dell'impresa che in base all'ultimo bilancio approvato presenta la maggiore esposizione debitoria.

L'art. 286 deve naturalmente essere combinato con l'art. 27 già citato, non soltanto per quanto riguarda la definizione di COMI, ma anche nel senso che quando si tratti di un gruppo di imprese di rilevante dimensione prima si individuerà la località in cui la prima norma porterebbe la competenza territoriale, quindi, in base alla seconda, si individuerà nell'ufficio giudiziario ove sorge la sezione specializzata per le imprese competente su detta località l'A.G. destinata a trattare il procedimento concorsuale unitario.

Tali disposizioni hanno il pregio di superare le incertezze e le problematiche che si ponevano in assenza di una disciplina positiva, posto che ignorare o ritenere inammissibile un unico procedimento concorsuale per le stesse imprese di un unico gruppo significava non soltanto prevedere ricorsi formalmente distinti per ciascuna di esse, ma proporre gli stessi, quando avessero sede non coincidente, avanti a diversi tribunali, così impedendo in radice di perseguire obiettivi di coordinamento e maggiore efficienza reciproca.

Si ricorda, infatti, che Cass., 19.7.2012, n. 12557, aveva affermato che la competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento della società si radica, ai sensi dell'art. 9 l. fall., presso la sede legale della società medesima, dovendosi presumere che essa sia anche la sede effettiva, salva prova contraria ad onere della parte che afferma la competenza di un diverso foro; inoltre, tale decisione aveva aggiunto, ai fini della prova contraria, che non è sufficiente allegare che la sede effettiva della società fallenda si trovi nel luogo in cui è il centro direttivo del gruppo del quale la società medesima fa parte, atteso che il collegamento societario, se non mette capo a una direzione unitaria delle singole imprese, non sposta l'attività direttiva, amministrativa e organizzativa di ciascuna impresa partecipante.

Con le nuove disposizioni l'incertezza in ordine alla prova volta a superare la presunzione di coincidenza della sede legale con la sede effettiva viene meno: l'appartenenza al gruppo e – deve aggiungersi – il fatto che la procedura concorsuale riguardi più imprese del gruppo è sufficiente a radicare il procedimento avanti al tribunale competente in relazione al COMI della capogruppo. Non sembra invece che il nuovo criterio di radicamento della competenza possa operare quando la procedura riguardi una sola impresa appartenente al gruppo, proprio perché in questo caso tale appartenenza resta per così dire “sullo sfondo”, non rilevando in modo diretto dal punto di vista processuale, né essendovi in concreto quelle esigenze di coordinamento processuale fra più procedimenti (cui è del resto connaturata l'esigenza, di cui si dirà, della nomina unitaria di organi).

Piano unitario o piani di gruppo nella distinzione di masse attive e passive

La norma fondamentale contenuta nell'art. 284 CCI evidenzia l'opportunità di ricorrere alla scelta di un piano unitario di gruppo od a piani che siano fra loro reciprocamente collegati o interferenti e riguardanti le imprese appartenenti al medesimo gruppo. Tanto, sia in vista dell'ammissione ad una procedura di concordato preventivo, che ai fini della richiesta di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Tuttavia, seppure tale scelta sia sotto più profili sostanziali e procedurali incentivata, non può ritenersi obbligatoria ma facoltativa, come si evince, in modo convincente, dal fatto che il comma 3 di detta disposizione precisa che tale scelta deve essere espressa e la relativa domanda deve illustrare le ragioni del ricorso ad un piano unitario o reciprocamente collegato ed interferente, nonché del fatto che tale scelta risulti maggiormente conveniente, in vista del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, rispetto alla decisione di presentare un piano autonomo per ciascuna impresa (coinvolta nella ristrutturazione). Il che val quanto dire che, in linea teorica, e salvo verifica che potrà essere offerta soltanto dalle prime esperienze applicative del nuovo istituto, che il ricorso alla presentazione di più piani autonomi resta comunque non illegittima e tale da non dover essere espressamente motivata. In tal caso è comunque previsto un dovere di cooperazione da parte dei diversi organi (cfr. art. 288 CCI).

La norma tradisce poi l'esigenza di tutelare l'effettivo consenso ed il patrimonio informativo a disposizione dei creditori:

a) da un lato, come avvertito, la domanda di accesso ad una delle citate misure di regolazione della crisi deve espressamente indicare che si tratta di un piano unitario o di piani collegati, così da rendere evidente ai creditori che le loro valutazioni debbono appunto estendersi alla verifica di dati relativi ad una pluralità di imprese;

b) dall'altro, la domanda deve essere motivata con riguardo al perseguimento, attraverso le modalità di presentazione congiunta o unitaria, del migliore interesse dei creditori, vera e propria clausola generale dell'attuale e (prossimo) futuro del sistema della concorsualità;

c) ancora, la domanda deve fornire informazioni analitiche – quindi non generiche o prive di un addentellato concreto alla crisi ed alle imprese coinvolte – sulla struttura del gruppo, nonché sui vincoli partecipativi e contrattuali esistenti fra le imprese, allegando se predisposto il bilancio consolidato; tale ultima prescrizione è poi rafforzata dal successivo art. 289 CCI.

Analoghe indicazioni sono richieste anche per il piano attestato unitario od i piani collegati di risanamento, con la prescrizione che essi devono risultare idonei a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria di ciascuna impresa ed assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna.

Tale ultima prescrizione rappresenta la plastica applicazione di un principio generale contenuto sia nella legge delega (e già peraltro affermato dalla giurisprudenza di legittimità), relativo alla necessità che l'unitarietà o la reciproca interferenza e collegamento fra i piani lasci intatta l'autonomia delle rispettive masse attive e passive di ciascuna impresa. Tale scelta è consustanziale, peraltro, al fatto che la nozione di gruppo non determina di per sé la nascita di un nuovo ed unitario soggetto giuridico ma, pur con le reciproche influenze e condizionamenti, si assiste alla permanenza in vita di più soggetti giuridici autonomi, eventualmente sottoposti a direzione e coordinamento da parte di una impresa-madre. Ciò che determina a sua volta l'esigenza che per ciascuna impresa debitrice del gruppo coinvolto dalla procedura concorsuale si debba verificare la propria e specifica massa attiva e passiva, in relazione al paradigma generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. ed alla necessità di verificare il gradimento dei creditori con riferimento a ciascun soggetto debitore.

Naturalmente questo non impone il necessario coinvolgimento di tutte le imprese del gruppo nell'operazione complessiva di tournaround ma soltanto di quelle in stato di crisi o di insolvenza, pur se nulla esclude che altre imprese sane del gruppo possano svolgere il ruolo di soggetti finanziatori, datori di “finanza esterna” e persino di assuntori (vds. come forma di esempio di questa possibilità l'art. 85, comma 4, CCI).

Peraltro, rispetto a questa particolare tipologia di piano unitario (o di piani fra loro reciprocamente interferenti e collegati) valgono pur sempre le norme generali previste per il concordato preventivo o per l'accordo di ristrutturazione, desumendosene ad esempio l'atipicità della proposta concordataria di gruppo (art. 84 comma 3), la possibilità di sottoporre a falcidia i creditori privilegiati purchè ad essi non sia offerto un trattamento deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria (che ai sensi dell'art. 84 co. 7 dovrà tenere conto del valore di mercato del bene o diritto su cui si esercita la prelazione detratte le spese di procedura specifiche ed una quota di quelle generali). Del pari si applicheranno le ipotesi di classamento obbligatorio (e particolare interesse sembra in questa sede rivestire la necessità che siano collocate in classe autonoma i creditori proponenti il concordato o le parti ad essi correlate di cui all'art. 85, comma 5, CCI, sia pure da coordinare con l'esclusione dal voto disposta dall'art. 286, comma 6).

Parimenti applicabile appare, poi, la moratoria biennale imposta ai creditori privilegiati del cui bene gravato da causa di prelazione non sia prevista la liquidazione (art. 86). Proprio a questo riguardo va evidenziato come la rubrica della norma parli espressamente di “moratoria nel concordato in continuità”, pur se il testo successivo parli semplicemente di “piano” senza alcuna aggettivazione. La necessità di dare coerenza al testo normativo rispetto alla esplicita rubrica, la ragione di continuità rispetto all'attuale moratoria annuale prevista dall'art. 186-bis l.fall. e la puntuale relazione di accompagnamento inducono comunque a ritenere l'interrogativo come puramente teorico: la nuova moratoria biennale si applica soltanto al concordato in continuità. Afferma la relazione di accompagnamento, del resto, che “al fine di consentire al debitore di non impegnare immediatamente, come dovrebbe in mancanza della presente disposizione, le utilità derivanti dalla continuità aziendale nel pagamento -integrale o per la parte coperta dal valore del bene su cui grava la garanzia (si tratta, ovviamente, dei beni dei quali non è prevista la liquidazione)- dei creditori il cui credito è assistito da privilegio o garantito da pegno o ipoteca, ma di utilizzarle per la gestione dell'impresa, è previsto che il debitore possa usufruire di una moratoria della durata massima di due anni, anziché di un anno, come già disposto dall'art. 186-bis, secondo comma, r.d. n.267 del 1942, dalla data dell'omologazione”.

Tale disposizione, come altre particolarmente rilevanti ai fini di incentivare il ricorso a misure che permettano la prosecuzione dell'attività aziendale, pone il problema della individuazione della natura della proposta, considerato che l'art. 285 CCI precisa che il piano unitario od i piani concordatari di gruppo possono prevedere sia la liquidazione di alcune imprese, che la continuazione dell'attività di altre imprese dello stesso gruppo. Il che conferisce alla soluzione unitaria o reciprocamente collegata una duttilità che altrimenti avrebbe dovuto essere perseguita necessariamente attraverso ricorsi distinti, con il rischio di scollamenti e discrasie temporali, oltre che un sicuro aumento dei costi complessivi.

Del tutto opportunamente, quindi, lo stesso art. 285, comma 1, CCI precisa che “si applica tuttavia la sola disciplina del concordato in continuità quando, confrontando i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell'attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulta che i creditori delle imprese di gruppo sono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretto o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino”.

Si tratta di un forte incentivo alla soluzione di gruppo: mantenendo infatti distinti i ricorsi, la valutazione sulla natura liquidatoria o in continuità si svolgerà inevitabilmente in modo atomistico per ciascuna proposta, avuto riguardo ai criteri dettati dall'art. 84 cit. Nel caso della soluzione di gruppo, invece, si potrà “lucrare” una qualificazione assorbente dell'intero piano in termini di continuità attraverso una valutazione unitaria. In altri termini, alla soluzione liquidatoria prevista per una delle imprese del gruppo continuano ad applicarsi le sole disposizioni in tema di concordato in continuità se la stessa si inserisce in una più ampia proposta unitaria o collegata di gruppo nella quale, ad esempio, altra impresa generante maggiori flussi prosegue la propria attività caratteristica. Il che porta a ritenere che la soluzione liquidatoria, in caso atomistico debba rispettare la “spada di damocle” delle percentuali minime di soddisfacimento dei creditori chirografari e dell'apporto esterno di cui all'art. 84 ult. co., mentre sia esentata da tale “onerosa” soglia minima di soddisfacimento nel caso di proposta unitaria. Naturalmente in quest'ultimo caso occorrerà che la valutazione complessiva di convenienza sia comunque motivata, come si è detto all'inizio del paragrafo.

Appare comunque rilevante compiere sin da ora due annotazioni: a) nel caso di concordato di gruppo la valutazione di prevalenza complessiva dei flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività piuttosto che dalla liquidazione è formulata in termini di prevalenza assoluta: non sono infatti contemplate – e forse su questo punto si può esprimere un rammarico – quelle presunzioni di continuità che l'art. 84 comunque consente a difesa dei livelli occupazionali; b) nei flussi della liquidazione non sono compresi i proventi derivanti dalla cessione del magazzino, con una disposizione che probabilmente minus dixit quam voluit, dovendosi ritenere che “magazzino” possa avere qui il significato di vendita dei prodotti o dei servizi che l'impresa cede a terzi ordinariamente; l'impresa in continuità non è una realtà statica, ma è destinata a sopravvivere unicamente se opera per ed in funzione del mercato, sì che deve ritenersi – ad esempio - che ove ordinariamente venda auto, i veicoli in magazzino o comunque non ancora ceduti a terzi, anche se in corso di completamento, non genereranno flussi incidenti sul “piatto” della liquidazione, bensì sul versante della continuità, ed analogamente dovrà dirsi per gli immobili od i cantieri di una società operante nel settore immobiliare o delle costruzioni in genere.

Il piano unitario od i piani collegati di gruppo, ancora, possono inoltre prevedere, dal punto di vista contenutistico, operazioni contrattuali e riorganizzative, trasferimenti di risorse infragruppo, purchè attestate da un professionista indipendente, il quale dovrà analizzare: a) la necessità delle stesse ai fini della continuità aziendale (per come formulata la disposizione parrebbe anche se prevista in via residuale per una o più imprese del gruppo e, quindi, anche se il piano nel suo complesso non può qualificarsi in continuità); purchè b) le stesse siano coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese (e su questo la norma sembra esplicitamente consentire taluni sacrifici ai creditori di alcune imprese a vantaggio di tutti gli altri complessivamente intesi).

Nel concordato preventivo solo i creditori dissenzienti appartenenti ad una classe dissenziente o i creditori dissenzienti che rappresentino almeno il 20% dei creditori ammessi al voto per una singola società (deve ritenersi soltanto di quella asseritamente “danneggiata” dall'operazione e non di una qualsiasi società del gruppo, potendo difettare altrimenti un concreto interesse ad agire) possono contestare il carattere pregiudizievole di dette operazioni, attraverso l'opposizione alla omologazione.

Analogamente tale pregiudizio può essere fatto valere solo dai creditori non aderenti nell'accordo di ristrutturazione, attraverso l'opposizione alla sua omologazione.

Tale situazione determina il c.d. cram down e la necessità di una valutazione di convenienza complessiva del piano o dei piani collegati rispetto all'alternativa liquidatoria della singola società asseritamente “pregiudicata”.

Innovativa è la previsione che anche i soci si possono dolere del carattere pregiudizievole di dette operazioni, ma soltanto attraverso l'opposizione alla omologazione del concordato. A questo proposito, tuttavia, la norma compie un esplicito omaggio alla teoria dei “vantaggi compensativi” affermando che il tribunale procede comunque all'omologazione in ragione del loro apporto alle singole società del gruppo da parte del piano di gruppo. Si deve infatti ricordare che l'art. 2497 c.c., dopo aver affermato la responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, prevede che “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Poiché la norma fa riferimento ai vantaggi compensativi derivanti “dal piano di gruppo” deve ritenersi che la venuta ad esistenza di questi vantaggi non debba essere necessariamente immediata, ma si possa produrre anche in seguito, purchè entro il termine fissato per l'adempimento della proposta e la completa esecuzione del piano. Ciò significa, almeno a parere di chi scrive, che il pregiudizio può effettivamente emergere e non essere immediatamente eliso, purchè detto vantaggio compensativo seppure futuro non sia del tutto eventuale, ma possa ritenersi ragionevolmente certo e tale da poter essere oggetto della specifica attestazione richiesta dall'art. 285 cit.

Profili procedimentali di coordinamento

Dal punto di vista procedimentale, oltre a quanto già rilevato sulla possibilità di predisporre un piano unitario o più piani collegati e reciprocamente interferenti di gruppo, nonché in ordine alla competenza territoriale “concentrata”, si deve rilevare come il necessario coordinamento sia ricercato attraverso la nomina di organi della procedura unitari. E' infatti previsto dall'art. 286 CCI che se il tribunale accoglie il ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato, allora provvede alla nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale per tutte le imprese dello stesso gruppo e dispone, inoltre, il deposito di un unico fondo spese quale cauzione per i costi di giustizia. I costi sono poi imputati e ripartiti fra le imprese del gruppo in proporzione delle rispettive masse attive. E' curioso osservare come in altro settore della crisi, ma questa volta da sovraindebitamento, l'ammissibilità di procedure familiari abbia imposto analoghe forme di coordinamento, prevedendosi all'art. 66 CCI la possibilità di presentare un unico progetto di risoluzione della crisi per i membri della stessa famiglia, da parte di un unico organismo di composizione della crisi, cui pure spetta un compenso unitario, ma ripartito fra i membri ricorrenti in proporzione all'entità dei debiti di ciascuno (soluzione quest'ultima che può rivelarsi non sempre efficiente, facendo gravare costi prededucibili in proporzione più elevati sul soggetto maggiormente sovraindebitato piuttosto che su quello “dotato” di più attivo).

Al commissario giudiziale della procedura di gruppo (che naturalmente può anche essere un collegio di professionisti, specie nei procedimenti più complessi, purchè ciò non comporti un aumento dei relativi costi) spettano poteri di informazione verso la CONSOB o altre pubbliche autorità o società fiduciarie, volti a ricostruire l'effettiva ramificazione dei collegamenti infragruppo e la reale riconducibilità delle partecipazioni. Si deve ritenere che quanto accertato debba entrare a pieno titolo nel contenuto della relazione ex art. 172 l.fall. e che, con riferimento alla indicazione di azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie esperibili nell'alternativa liquidatoria (cfr. art. 105, comma 2, CCI), il commissario debba anche indagare in ordine alla sussistenza di eventuali azioni di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento (sulla cui legittimazione in caso di liquidazione vds. art. 291), come pure l'esistenza di atti revocabili, tenendo conto in proposito di quanto previsto dall'art. 290 CCI (azioni di inefficacia fra imprese del gruppo).

A tal punto i creditori di ciascuna impresa del gruppo sottoposta a procedura sono chiamati a votare simultaneamente ma separatamente sulla proposta presentata dalla società loro debitrice. In altri termini, il conteggio appare operato non in modo complessivo ma rispetto all'entità dei creditori ammessi al voto per ciascuna impresa debitrice, dovendo valutarsi per ciascuna il raggiungimento o meno delle maggioranze, per credito e per classe (queste ultime se previste). Il che rappresenta, del resto, un riflesso della distinzione delle masse passive che il legislatore delegante e, prima ancora, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto costituire un principio irrinunciabile.

E' poi prevista, sempre a questo riguardo, l'esclusione dal voto per i crediti di altre società del gruppo, mentre la risoluzione e l'annullamento sono ispirate alle regole comuni in tema di invalidità parziale (cfr. ad es. art. 1419 c.c.): la risoluzione o l'annullamento del concordato di gruppo non si verificano quando i relativi presupposti riguardano solo una o più società del gruppo, a meno che ciò determini una significativa compromissione circa le possibilità di attuazione del piano anche nei confronti delle altre imprese. In altri termini non vale – a meno che la proposta non sia così congegnata – una regola ispirata al principio simul stabunt simul cadent, ma la patologia riguardante la crisi di una società del gruppo si riverbererà sulle altre soltanto quando venga così compromessa la possibilità di adempimento anche delle altre imprese del gruppo coinvolte del piano o dai piani coordinati.

Dal punto di vista degli effetti della crisi di gruppo è poi importante ricordare l'art. 292 CCI che, in primo luogo, ribadisce la regola della postergazione per i crediti che il soggetto capo gruppo vanta nei confronti delle imprese sottoposte a direzione e coordinamento sorti, anche per escussione di garanzie, dopo il deposito della domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore. Gli eventuali rimborsi avvenuti nell'anno anteriore devono ritenersi inefficaci, ai sensi del nuovo art. 164 CCI. Tali disposizioni, precisa però la norma, non si applicano ai finanziamenti di cui all'art. 102 (che riguarda i finanziamenti erogati dai soci, tanto anteriormente alla omologazione che in esecuzione del concordato omologato, ma nei limiti dell'ottanta per cento del loro ammontare).

Da ricordare, infine, come anche la liquidazione giudiziale di gruppo riceva alcune disposizioni ad hoc, essenzialmente concentrate nell'art. 287 CCI, prevedendo in primo luogo l'esigenza di nomina di un solo G.D., di un unico Curatore ma di Comitati dei creditori distinti per ciascuna impresa del gruppo. Tale regola, tuttavia, non è tassativa, consentendosi soluzioni diverse quando sussistano specifiche ragioni.

Il programma di liquidazione dovrà naturalmente tenere conto degli attivi delle diverse imprese insolventi appartenenti allo stesso gruppo, mentre le spese generali (fra cui deve ritenersi il compenso del curatore) dovrà essere imputato proporzionalmente alle singole imprese, in proporzione, anche in questo caso, dell'attivo di ciascuna.

Al curatore è inoltre affidato il compito di sollecitare gli organi di amministrazione e controllo laddove si avveda che un'impresa del gruppo, pure insolvente, non risulta ancora sottoposta alla procedura di liquidazione giudiziale, ovvero di promuovere egli stesso il relativo procedimento di accertamento (deve ritenersi, a fronte della natura speciale della disposizione e del principio di conservazione del testo normativo, altrimenti superfluo, che tale potere spetti anche laddove la impresa in liquidazione giudiziale non sia creditrice della società insolvente ed ancora non sottoposta a procedura concorsuale).

La competenza è regolata dal principio di prevenzione e, in caso di pluralità di istanze pendenti, dal COMI dell'impresa che esercita l'attività di direzione o coordinamento, sia essa una società o una persona fisica.

Approfondimenti e indicazioni bibliografiche

DI MAJO, Il fenomeno del concordato c.d. di gruppo e il diniego espresso dalla corte di cassazione, in dirittodegliaffati.it; DONGIACOMO, Concordato di gruppo, Il Libro dell'Anno del diritto 2017, in Treccani.it; FAUCEGLIA, Uno, nessuno, centomila: il concordato preventivo di gruppo, in Giur. comm., 2016, II, 118 ss.; GALLETTI, I concordati di gruppo e la teoria dei vantaggi compensativi, in IlFallimentarista; PALLADINO, Ancora sul concordato di gruppo: questioni di competenza territoriale e rapporti con la dichiarazione di insolvenza, in IlFallimentarista; POLI, Il concordato preventivo di gruppo, in Giur. comm., 2014, II, 735 ss.; POLI, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l'intervento della S.C., in Fallimento, 2016, 144 ss.; RAVINA, Il concordato di gruppo: presupposti di ammissibilità e fusione, in IlFallimentarista; VITIELLO, Il concordato preventivo "di gruppo", in IlFallimentarista.

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