L’esdebitazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza

Fabio Cesare
27 Maggio 2019

Il Codice della crisi e dell'Insolvenza ha trasformato l'istituto della esdebitazione attualmente disciplinata per il fallimento dall'art. 142 l.fall. per le sole imprese individuali e dalla Legge n. 3/2012 per i soggetti non fallibili.
Premessa

Il Codice della crisi e dell'insolvenza ha trasformato l'istituto della esdebitazione attualmente disciplinata per il fallimento dall'art. 142 l.fall. per le sole imprese individuali e dalla Legge n. 3/2012 per i soggetti non fallibili. La liberazione dai debiti si riforma ampliando la platea dei legittimati alla purgazione dei debiti comprendendo anche le persone giuridiche, e prevedendo una disciplina di favore per il sovraindebitato che non può offrire alcunché ai creditori concorrenti, ribaltando la tradizionale consecuzione tra procedura concorsuale e successiva discharge, che potrà essere esperita direttamente senza passare dalla liquidazione controllata, ex liquidazione del patrimonio. In tal caso, i creditori saranno soddisfatti solo in via eventuale, qualora dovessero sopravvenire “utilità rilevanti” dopo il decreto di esdebitazione.

Il quadro normativo

Il Codice della crisi e dell'insolvenza disciplina l'esdebitazione agli artt. 278-283: essa viene definita come un procedimento che determina la liberazione dei debiti determinando la novazione delle obbligazioni concorsuali in obbligazioni naturali, come tali inesigibili.

Il percorso dell'istituto nel nostro ordinamento inizia con l'introduzione dell'art. 142 dell'attuale l.fall. con il d.l. 5/2006: le finalità di ordine macroeconomico del modello statunitense di riferimento sono la liberazione del debitore dal peso dei debiti concorsuali, che ben difficilmente potranno essere soddisfatti.

Si attua così la c.d. fresh start policy, la possibilità cioè di ripartire da zero con una nuova intrapresa senza la necessità di ricorrere ad espedienti, come i prestanomi, che possono essere in grado di attrarre nell'alveo dell'illegalità la seconda vita del debitore.

Liberate le risorse al servizio dei debiti pregressi, possono ripartire i consumi individuali e la società può trarre vantaggio dalla liberazione di nuove energie dell'ex debitore.

L'istituto era però destinato alle sole imprese individuali fallibili. La legge 3/2012 ha istituito agli art. 14-terdecies e ss. un parallelo procedimento di esdebitazione rivolto a tutte le persone fisiche che avevano già intrapreso una liquidazione del patrimonio giunta al decreto di chiusura.

Si delinea già una fisionomia dell'istituto comune alle due normative: esso segue una procedura concorsuale liquidatoria (non è previsto per il concordato preventivo, per esempio), è destinato alle sole persone fisiche e non ha effetti generalizzati, perché sono escluse particolari categorie di debiti quali gli obblighi alimentari.

La legge delega del Codice della crisi e dell'insolvenza imponeva l'introduzione di una esdebitazione per il debitore incapiente privo di mezzi (art. 9, lett. c, d.lgs. 155/2017), imponendo il limite quinquennale per beneficiare dell'istituto in ogni caso per un massimo di due volte (art. 9, lett. f, d.lgs. 155/2017) e richiedendo al legislatore delegato l'estensione alle persone giuridiche (art. 9, lett I, d.lgs. 155/2017).

Simili principi hanno trovato piena applicazione nel Codice della crisi, che declina l'istituto in tre sottoprocedimenti: uno all'esito della liquidazione giudiziale, uno a seguito della liquidazione controllata e uno per il solo debitore persona fisica, incapiente e meritevole.

La nuova fisionomia dell'istituto: tratti comuni

La liberazione opera solo per la parte eccedente la percentuale di riparto attribuita nel concorso dei creditori di pari grado nella liquidazione giudiziale o nella liquidazione controllata. Dopo il decreto di esdebitazione, pertanto, i creditori che non hanno formulato istanza di insinuazione al passivo potranno procedere esecutivamente fino alla misura dell'importo ripartito nella procedura (art. 278, comma 2, CCI). Possono accedere all'istituto tutti i debitori, comprese le persone giuridiche. L'esdebitazione ha effetto anche per i soci illimitatamente responsabili, ma le condizioni richieste per il beneficio devono sussistere in capo a questi ultimi e dei legali rappresentanti degli enti che richiedono l'accesso all'istituto con riguardo ai tre anni anteriori alla domanda di liquidazione concorsuale. Restano invece salvi i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori, nonché degli obbligati in via di regresso con il debitore.

Sono esclusi dall'esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimentari e i debiti da fatto illecito aquiliano, nonché le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

A prescindere dalla durata della liquidazione e fermo il limite quinquennale tra una e al massimo una seconda procedura di liberazione dei debiti, il debitore può richiedere l'accesso all'istituto decorsi tre anni dall'apertura della procedura di liquidazione, ridotti a due se ha richiesto tempestiva istanza di composizione della crisi a norma dell'art. 19 CCI oppure al momento della chiusura della procedura se anteriore.

L'art. 280 CCI fissa le condizioni per ottenere il beneficio:

  • il debitore non deve aver subito condanne definitive per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per essi sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati o v'è stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il beneficio può essere riconosciuto solo all'esito del relativo procedimento;
  • non devono risultare distrazioni dell'attivo o passività insussistenti;
  • il debitore non deve aver cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
  • il debitore deve aver collaborato con la procedura e deve aver fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento.
L'esdebitazione nella liquidazione giudiziale

Il decreto di chiusura della liquidazione giudiziale, disciplinato dagli art. 236-237 CCI, determina la fine dello spossessamento e, per quanto qui interessa, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni esecutive per la porzione non soddisfatta dal riparto (art. 236 comma III CCI). Il medesimo provvedimento determina la dichiarazione di inesigibilità dei crediti in seguito alla verifica delle condizioni previste dal citato art. 280 CCI, sentiti gli organi della procedura che avranno il compito di offrire al giudicante il corredo informativo necessario per valutare la sussistenza dei requisiti per l'esdebitazione, dei quali il curatore dovrà aver dato atto nei rapporti riepilogativi di cui all'art. 130 CCI.

Il procedimento prevede l'istanza di parte se sono trascorsi almeno tre anni dall'apertura della liquidazione giudiziale (ridotti a due se il debitore ha proposto tempestiva istanza di composizione della crisi).

Il decreto del tribunale che dichiara l'inesigibilità dei crediti concorsuali non soddisfatti è comunicato ai creditori e al pubblico ministero, che hanno la facoltà di proporre reclamo entro il termine di trenta giorni.

L'esdebitazione di diritto nel sovraindebitamento (art. 282 CCI)

All'esito della liquidazione controllata, il debitore sovraindebitato può ottenere l'esdebitazione “di diritto” nel provvedimento di chiusura, senza proporre un'istanza apposita. Il procedimento è semplificato: il Tribunale dovrà pronunciare il decreto verificando solo l'insussistenza di procedimenti penali indicati nel citato art. 280 CCI e per il solo consumatore dovrà riscontrare l'assenza di colpa grave, malafede o frode nella determinazione del sovraindebitamento, il che farebbe presuppore che per l'imprenditore minore simili requisiti non debbano essere riscontrati.

L'esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCI)

L'esdebitazione del debitore incapiente è regolata da una disciplina peculiare (art. 283). Essa presuppone un ricorso diretto del debitore, senza il passaggio dalla liquidazione controllata.

Sono legittimati all'istituto per una sola volta nella vita, le sole persone fisiche meritevoli che non siano in grado di offrire ai creditori il pagamento di una utilità nemmeno in via indiretta e neanche in prospettiva futura. Essa impone un monitoraggio quadriennale dell' OCC sul reddito del ricorrente per verificare l'esistenza di utilità rilevanti.

Queste ultime sono definite nell'eccedenza di reddito per un importo pari all'assegno sociale aumentato della metà, moltiplicato al paramento dell'ISEE di cui al DPCM 5 dicembre 2013 n. 159 per ogni membro della famiglia.

Le utilità rilevanti, dalle quali sono esclusi i finanziamenti, sono destinate ai creditori, ma solo se siano idonee a pagare i creditori concorrenti in una misura di almeno il 10% del valore del credito. Il codice non specifica se la percentuale in discorso debba riferirsi i creditori chirografari o quelli prelatizi.

La domanda è presentata dall'OCC, i cui compensi sono ridotti della metà, la cui relazione ricalca i contenuti della relazione particolareggiata dell'attuale liquidazione del patrimonio: vanno indicate le cause dell'indebitamento e la diligenza impiegata nell'assunzione delle obbligazioni. Le ragioni dell'incapacità di adempierle, gli eventuali atti impugnati dai debitori, la completezza e attendibilità della documentazione depositata.

Quest'ultima consta dell'elenco dei creditori con l'importo delle somme dovute, l'elenco degli atti di straordinaria amministrazione, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, l'indicazione delle entrate del debitore.

Nella relazione, l'OCC deve anche indicare se siano stati erogati finanziamenti con un errata valutazione del merito creditizio, che abbiano potuto trarre in inganno il debitore sulla sua capacità di adempiere alle obbligazioni. Quest'ultima disposizione sembra doversi leggere non nel senso che sia precluso al debitore l'accesso all'istituto qualora siano stati erogati finanziamenti senza la prospettiva di poterli adempiere, ma se vi sia una responsabilità dell'ente creditizio nell'aver alterato la percezione del debitore nella sua capacità di presumere l'inadempimento alle obbligazioni assunte, come chiarisce la relazione illustrativa al codice.

Una simile violazione, potrebbe forse aprire la strada a una via risarcitoria dei creditori per abusiva erogazione del credito, in coerenza con le disposizioni che sanzionano l'erogazione illecita del credito al consumo nel piano del consumatore inibendo la facoltà di proporre opposizione al procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore alla finanziaria che si sia resa responsabile del dissesto oppure abbia violato le regole imposte dall'art. 124 bis TUB (art. 69, comma 2, CCI).

Il giudice concede la liberazione dei debiti con decreto valutata la meritevolezza del debitore e l'assenza di atti in frode, nonché l'assenza di dolo o colpa grave nella determinazione del sovraindebitamento. Nel medesimo decreto, reclamabile entro trenta giorni, devono essere indicate le modalità per la presentazione annuale, la cui omissione determina la revoca del beneficio, per la verifica delle utilità rilevanti da ripartire ai creditori.

Osservazioni

Nella riforma, l'esdebitazione trova una disciplina sistematica comune alla liquidazione controllata e alla liquidazione del patrimonio. Essa costituisce un'opzione da considerare sin da subito per la scelta degli istituti da esperire nella crisi dell'imprenditore insolvente privo dei requisiti più stringenti necessari per accedere al concordato liquidatorio, nel quale peraltro l'imprenditore deve formulare delle dichiarazioni autoincriminanti, poiché è costretto ad indicare anche gli illeciti gestori a norma dell'art. 87 lett. d) per poter accedere alla procedura (mentre nell'istanza di liquidazione giudiziale in proprio non sussiste alcun obbligo simile). In quest'ottica, la liquidazione giudiziale seguita dall'esdebitazione può costituire una valida alternativa rispetto al concordato liquidatorio anche per l'intuibile riduzione dei costi rispetto alla procedura minore, le cui maglie di accesso si sono sempre più ristrette.

Il successo dell'esdebitazione del debitore incapiente rischia invece di essere assai condizionata dall'interpretazione che ne faranno i Tribunali per tre ordini di motivi.

Anzitutto, i giudici dovranno formulare un giudizio positivo su una condotta del debitore e non un suo singolo atto: la “meritevolezza”, secondo uno schema che sembrava ormai archiviato dal diritto concorsuale, rischia di permeare l'istituto con valutazioni di ordine morale suscettibili di interpretazioni assai difformi e condizionate dalle mutevoli sensibilità di ogni Tribunale.

Inoltre, la verosimile assenza di risorse per il compenso (dimezzato) dell'OCC, che deve adempiere al (più) gravoso compito di redigere una più delicata relazione particolareggiata, può determinare un rischio di selezione inversa dei professionisti chiamati ad assistere questa tipologia di debitori: i più efficienti e i più preparati si rivolgeranno ad altre attività considerate più redditizie, salvo che non intervenga il patrocinio a spese dello Stato in modo più stabile di quanto non avvenga oggi a sostegno di queste professionalità.

Infine, l'art. 283 CCI non identifica le modalità per effettuare il riparto ai creditori concorrenti in caso sopravvengano utilità rilevanti. Si può forse ipotizzare che l'OCC apra un procedimento di liquidazione controllata nel quale egli stesso è di norma chiamato a ricoprire il ruolo di liquidatore giudiziale, in modo da procedere al pagamento dei creditori concorrenti con gli importi sopravvenuti. Diversamente, il riparto sarà talmente deformalizzato da esporre l'OCC al rischio di una qualche forma di responsabilità nei confronti dei singoli creditori, che, impossibilitati a far valere le proprie ragioni sul progetto di distribuzione, rivolgeranno le proprie istanze nei confronti di chi lo ha predisposto ed eseguito.

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