Mancata conoscenza del genitore biologico e tutela dell'identità personale

Edoardo Rossi
29 Maggio 2019

È necessario avviare un percorso di sostegno alla genitorialità nell'ipotesi in cui la madre abbia nascosto alla figlia la vera identità del padre biologico.
Massima

Qualora la madre abbia nascosto alla figlia la vera identità del padre biologico, è necessario avviare un percorso di sostegno alla genitorialità per aiutare la minore a conoscere le proprie origini ed i contesti di vita familiare relativi alle rispettive figure genitoriali.

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta si è occupato del caso in cui una madre aveva celato alla propria figlia la reale paternità, facendole credere di essere figlia dell'attuale marito.

La questione

Il Collegio giudicante affronta la tematica del diritto all'identità personale sotto vari aspetti - non trascurando i riferimenti all'ordinamento internazionale, le cui Convenzioni (ratificate in Italia e pertanto divenute norme pregnanti e di primo rango) sanciscono in maniera chiara ed univoca i diritti dei minori - richiama l'art. 315 bis, comma 1, c.c., che enuncia il c.d. diritto alla bigenitorialità quale valore primario sancito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 30 novembre 1989, ratificata in Italia con l. n. 176/1991, e che consacra il minore come soggetto di diritti personali, tutelando i suoi propri interessi e non più, come per il passato, gli interessi dei genitori o la protezione dei beni del minore.

Soluzioni giuridiche

La pronuncia del Tribunale è incentrata sulla necessità per una minore - a cui la madre aveva celato la reale paternità - di conoscere la vera identità paterna. Il Tribunale ha infatti ritenuto che la condotta del genitore, anche se posta in essere con l'intento di proteggere la propria figlia, non corrisponda al superiore interesse della minore. Il Tribunale ha statuito pertanto la necessità di un sostegno alla genitorialità con interventi individuali e di coppia - tramite il Consultorio Familiare competente - al fine di intraprendere un percorso educativo che aiuti la minore ad evolvere in un processo di crescita basato sulla conoscenza delle proprie origini, in modo da conoscere l'identità del padre biologico e di intraprendere e mantenere con lo stesso - qualora ve ne siano le condizioni - un rapporto significativo.

Il diritto all'identità personale viene affermato anche dalla giurisprudenza (Cass. civ. sez. I, sent. 15 dicembre 2011, n. 27069), precedente alla riforma della filiazione, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale, riconosciuto non contestualmente dai genitori, attribuisce al giudice il potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste dall'art. 262, commi 2 e 3, c.c., avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore ed escludendo qualsiasi automaticità, nonché l'esigenza di equiparare sempre e comunque l'attribuzione del cognome del figlio naturale a quello del figlio nato nel matrimonio (nella specie, la Corte ha ritenuto corretto che ad un minore, che fino ad allora aveva sempre vissuto con la madre, fosse aggiunto il cognome del padre a quello della madre, in modo da garantire, anche in prospettiva, la tutela della sua identità personale, in relazione all'instaurato ambiente familiare e sociale di vita).

Dal punto di vista normativo la definizione dell'identità personale, deducibile in via deduttiva dall'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza ai diritti fondamentali della persona umana sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, viene prevista dall'art. 1, l. n. 675/1996 e successivamente dall'art. 2, d.lgs. n. 196/2003 in materia di protezione dei dati personali, senza tuttavia fornirne la definizione.

La tutela dell'identità personale sta alla base anche dell'art. 8 CEDU, il quale prevede che il diritto al rispetto della propria sfera privata e familiare può venir meno solamente di fronte ad esigenze tassativamente indicate, la cui prevalenza derivi da esigenze di carattere pubblico.

In particolare, i giudici di Strasburgo (Corte EDU, sent. 25 settembre 2012) hanno riscontrato la violazione dell'art. 8 CEDU nella normativa italiana, non dando alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l'accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini o la reversibilità del segreto. In queste condizioni, la Corte EDU ha ritenuto che l'Italia non abbia cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa, oltrepassando il margine di discrezionalità che le era stato accordato. Nell'adempiere ad entrambi gli obblighi (positivo e negativo), lo Stato deve trovare un giusto equilibrio tra i concorrenti interessi generali e dei singoli, nell'ambito del margine di apprezzamento che gli è conferito. Inoltre, la procedura decisionale prevista deve essere equa e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall'art. 8 CEDU.

Conseguentemente, la condotta di una madre, la quale cela la vera identità del padre biologico alla figlia, non risulta adeguata al superiore interesse della minore, che è quello di conoscere la verità.

Osservazioni

L'individuazione del diritto all'identità personale quale diritto inviolabile, costituisce un bene in sé e va inteso come interesse del soggetto ad essere se stesso; il danno prodotto si sostanzia in una violazione del requisito della verità, determinando una lesione del diritto alla personalità di cui l'identità personale è parte integrante. In effetti, la protezione del minore diventa un valore sempre più sentito nella coscienza individuale e collettiva. Anche l'evoluzione normativa e giurisprudenziale negli ultimi tempi dimostra come sia sempre più avvertita l'idea che ai minori occorra assicurare una tutela speciale per riequilibrare la loro posizione rispetto agli adulti e garantire una normativa che tenga conto dello loro specifiche esigenze e delle particolari situazioni che ne possono caratterizzare la condizione giuridica.

Il diritto al rispetto della vita privata implica che ciascuno, compreso i minori, possa stabilire, in sostanza, la propria identità. L'identità di un individuo involge diversi aspetti e si compone di molteplici elementi, tra cui il nome, il diritto all'immagine e all'identità sessuale. Altro elemento dell'identità di ciascuno, attinente all'ambito della vita privata è stato ritenuto anche l'accertamento, nel diritto interno, del legame di filiazione rispetto al padre biologico.

L'identità di ciascuno ricomprende, quindi, anche il riconoscimento della filiazione biologica. Il diritto alla propria identità, ivi compresa alla propria filiazione, include, conseguentemente, anche il diritto di acquisire una particolare cittadinanza e i diritti di successione nei confronti dei genitori c.d. intenzionali. Anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini trova pertanto fondamento nella nozione di vita privata.

In tale direzione deve inquadrarsi anche la sentenza della Corte Cost. n. 286/2016 che attiene al diritto di attribuzione ai figli del doppio cognome al momento della nascita. A tale riguardo la regola relativa all'attribuzione del cognome paterno al momento della nascita sia al figlio nato dal matrimonio che al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto da entrambi i genitori, è stata considerata incostituzionale.

La Corte ritiene che siffatta limitazione pregiudichi il diritto all'identità personale del minore e, al contempo, costituisca un'irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell'unità familiare. Il valore dell'identità della persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni e la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, portano ad individuare nei criteri di attribuzione del cognome al minore profili di identità personale, che si proietta nella propria personalità sociale, ai sensi dell'art. 2 Cost. È proprio in tale prospettiva che la stessa Corte Costituzionale aveva, da tempo, riconosciuto il diritto al mantenimento dell'originario cognome del figlio, anche in caso di modificazioni del suo status derivanti da successivo riconoscimento o adozione. Tale originario cognome si qualifica, infatti, come autonomo segno distintivo della sua identità personale (Corte Cost. sent. n. 297/1996). In questa stessa cornice si inserisce anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha ricondotto il diritto al nome nell'ambito della tutela offerta dall'art. 8 CEDU.

La piena ed effettiva realizzazione del diritto all'identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l'affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l'attribuzione del cognome di entrambi i genitori. Viceversa, la previsione dell'inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all'identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno.

Guida all'approfondimento

ORLANDI M., La tutela internazionale dei diritti del fanciullo, Padova, 1995

PUTATURO DONATI M. G., Il diritto al rispetto della «vita privata e familiare» di cui all'art. 8 della CEDU, nell'interpretazione della Corte Edu: il rilievo del detto principio sul piano del diritto internazionale e su quello del diritto interno, in Europeanrights, 2015

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