La riforma dei reati procedibili a querela. Un primo bilancio a un anno dall'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018
Alessandro Schillaci
29 Maggio 2019
A distanza di un anno dall'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018, attuativo della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, che ha ampliato il novero delle fattispecie di reato procedibili a querela, è opportuno riflettere sugli effetti concreti che la riforma ha apportato al sistema giuridico italiano, tenuto conto in particolare degli obiettivi che il legislatore si era prefissato.
Abstract
A distanza di un anno dall'entrata in vigore del d.lgs. 36/2018, attuativo della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, che ha ampliato il novero delle fattispecie di reato procedibili a querela, è opportuno riflettere sugli effetti concreti che la riforma ha apportato al sistema giuridico italiano, tenuto conto in particolare degli obiettivi che il legislatore si era prefissato.
Premessa
Nell'ambito della riforma varata con la legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), l'intento del legislatore non era soltanto quello di adeguare la normativa vigente al mutato valore dei beni giuridici tutelati, rideterminando le ipotesi più gravi (procedibili d'ufficio) rispetto a quelle meno gravi (procedibili a querela), ma anche di soddisfare le più impellenti esigenze deflattive e di riduzione del carico di lavoro presso gli uffici giudiziari.
Così, in continuità rispetto alla recente introduzione della causa di non punibilità dell'art. 162-ter c.p., il legislatore è nuovamente intervenuto riconoscendo nuove ipotesi di reato procedibili a querela. Ciò al fine di migliorare l'efficienza del sistema penale e di implementare meccanismi sempre più conciliativi per reati di minore gravità, rafforzando l'efficacia dell'azione penale per i reati più gravi.
Come vedremo, l'intento della riforma è stato in parte disatteso dalle successive norme attuative, che hanno ampliato le ipotesi di reati procedibili a querela, in misura non significativa e soprattutto poco incisiva, tenuto conto della scarsa rilevanza statistica delle fattispecie interessate dal cambiamento di regime di procedibilità, salvo pochissime eccezioni (minaccia, truffa e appropriazione indebita).
Il quadro normativo
Ciò chiarito, con legge delega 23 giugno 2017, n. 103, il Legislatore aveva indicato i seguenti principi e criteri direttivi:
a) Prevedere la procedibilità a querela
per reati contro la persona, puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria (ad eccezione del delitto dell'art. 610 c.p.)
e per i reati contro il patrimonio.
b) Mantenere la procedibilità d'ufficio
se la persona offesa è incapace per età o per infermità;
quando ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell'art. 339 c.p.;
nei reati contro il patrimonio, quando il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità.
c) Quanto al dies a quo per la presentazione della querela
per i reati commessi prima dell'entrata in vigore delle disposizioni attuative, il termine decorre dalla suddetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato;
per i reati per i quali è già pendente un procedimento penale, spetta al Pubblico Ministero o al Giudice informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la stessa è stata informata.
Come sopra ricordato, la riforma mirava ad allargare il ventaglio delle fattispecie incriminatrici soggette a querela di parte; ciò soprattutto in relazione ai reati la cui offensività non era tale da incidere su beni collettivi, ma solamente su beni strettamente individuali.
In questo modo, la valutazione della gravità del fatto era rimessa all'interesse del soggetto privato alla repressione della condotta illecita, fermo restando però che, a fronte di una successiva condotta riparatoria ritenuta congrua dall'organo giudicante, poteva trovare applicazione anche contro la volontà della persona offesa la causa di estinzione del reato dell'art. 162-ter c.p.
Ebbene, con d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 si è data parziale attuazione alle linee-guida fissate nella legge delega. Sono state così indicate le nuove fattispecie di reato procedibili a querela e al contempo sono stati ridotti i casi in cui le circostanze aggravanti danno luogo a procedibilità d'ufficio dei reati perseguiti.
Le modifiche riguardanti i “reati contro la persona”
Innanzitutto la riforma ha interessato i reati contro la persona sia pur incidendo in misura poco significativa.
Partendo dal delitto di minaccia (art. 612 c.p.):
si prevede ora la procedibilità a querela anche per i casi in cui la condotta è posta in forma “grave” (art. 612, comma 2, c.p.);
è stata mantenuta la perseguibilità d'ufficio quando la minaccia sia stata compiuta in uno dei modi indicati dall'art. 339 c.p. (quando il fatto è commesso con l'utilizzo le ipotesi in cui avvenga con l'utilizzo di armi o corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, da persona travisata o da più persone riunite, con scritto anonimo o in modo simbolico, valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte).
Quanto al delitto di violazione di domicilio commesso da un pubblico ufficiale (art. 615 c.p.):
si prevede ora la procedibilità a querela nell'ipotesi in cui vi sia statamera inosservanza delle forme prescritte dalla legge(art. 615, comma 2, c.p.);
è stata mantenuta la procedibilità d'ufficio nel caso di abuso di poteriinerente alle proprie funzioni (art. 615, comma 1, c.p.).
È il caso del pubblico ufficiale che ecceda i limiti della propria competenza, avvalendosi del potere conferito per finalità diverse da quelle per cui gli è stato attribuito.
Quanto al delitto di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617-ter c.p.):
si prevede ora la procedibilità a querela nell'ipotesi meno grave in cui tanto l'autore materiale quanto la persona offesa siano soggetti non qualificati (art. 617-ter, comma 1, e 3, c.p.);
se invece il fatto è commesso a danno di unpubblico ufficiale, nell'esercizio o a causa delle sue funzioni o è compiuto da un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o infine da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, permane la procedibilità d'ufficio (art. 615-ter, comma 2, c.p.).
Quanto al delitto di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-sexies c.p.):
si prevede ora la procedibilità a querela nella fattispecie base (art. 617-sexies, commi 1 e 3, c.p.);
è stata mantenuta invece la procedibilità d'ufficio nel caso ricorra una delle circostanze indicate all'art. 617-quater, comma 4, c.p.Ciò avviene quando il fatto è commesso:
in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;
da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema; da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato) (art. 617-sexies, comma 2, c.p.).
Il delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni (art. 619 c.p.):
si prevede ora la procedibilità a querela nella fattispecie base (art. 619, commi 1 e 3 c.p.);
è stata mantenuta la procedibilità d'ufficio nel caso in cui l'autore, senza giusta causa, riveli, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, oltre all'aggravamento di pena (art. 619, comma 2, c.p.).
Tutte le previsioni sopra citate vanno coordinate con il disposto dell'art. 623-ter c.p. Tale norma ha ridotto la portata applicativa della novella legislativa, stabilendo che:
per i suddetti fatti perseguibili a querela, si procede (ancora) d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Come prevedibile, la riforma ha avuto una maggiore incisività in relazione ai reati contro il patrimonio.
Partendo dal delitto di truffa (art. 640 c.p.):
è stata mantenuta la procedibilità d'ufficio per le ipotesi aggravate espressamente indicate dall'art. 640, comma 2, c.p.
Si fa riferimento ai seguenti casi:
1) Se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) Se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'Autorità;
2-bis) Se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'art. 61 n. 5 c.p., cioè quando l'autore ha profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche con riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
si prevede ora la procedibilità a querela nei casi in cui sussistano circostanze aggravanti diverse da quelle indicate nel, comma 2, dell'art. 640 c.p.e non ricorra la circostanza aggravante dell'art. 61 n. 7 c.p.(art. 640 co. 3 c.p.).
Trattasi della modifica più significativa, in quanto è stato espunto dall'art. 640 co. 3 c.p. Il riferimento a “un'altra circostanza aggravante”, mantenendo la procedibilità d'ufficio alle sole ipotesi in cui vi siano circostanze aggravanti diverse da quelle tipizzate nel, comma 2, o da quella stabilita dall'art. 61 n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità).
Tutte le previsioni vanno lette nel combinato disposto con l'art. 649-bis c.p., che opera come norma di chiusura.
La norma de qua prevede che:
si procede d'ufficio quando ricorrano circostanze ad effetto speciale;
si procede altresì d'ufficio nei casi in cui la persona offesa è incapace per età o per infermità o il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità (per effetto delle modifiche introdotte con l. 9 gennaio 2019 n. 3).
In relazione al delitto di frode informatica (art. 640-ter c.p.):
si ha procedibilità a querela nel caso in cui l'autore del fatto, alterando il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza averne diritto su dati informazioni o programmai contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con l'altrui danno (art. 640-ter, comma 1 e 4, c.p.);
è stata mantenuta la procedibilità d'ufficio quando ricorre una delle circostanze previste dall'art. 640, comma 2, n. 1 c.p Si fa riferimento ai seguenti casi: 1. Quando il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare 2. Se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore di sistema (art. 640-ter, commi 2 e4, c.p.).
è stata mantenuta la procedibilità d'ufficio quando il fatto è stato commesso con furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti (art. 640-ter co. 3 e 4 c.p.);
si ha procedibilità d'ufficio qualora ricorra una delle circostanze dell'art. 61, comma 1, n. 5 c.p.(in particolare: l'aver approfittato di circostanze inerenti la persona, anche in riferimento all'età), nonché la circostanza aggravantedell'art. 61 n. 7 c.p.(quando è stato cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità).
Sulla falsariga di quanto previsto per il reato di truffa, anche in relazione alla frode informatica è necessario un coordinamento con l'art. 649-bis c.p.
La norma de qua prevede:
la procedibilità d'ufficio se ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale;
lo stesso dicasi nel caso in cui la persona offesa sia incapace per età o per infermità o il danno arrecato alla persona offesa risulti di rilevante gravità (per effetto delle modifiche introdotte con l. 9 gennaio 2019 n. 3).
Per quanto riguarda il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.):
si ha procedibilità a querela anche quando il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario ovvero se ricorre taluna delle circostanze indicate dall'art. 61 n. 11 c.p. (l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità).
La previsione de qua va letta nel combinato disposto con l'art. 649-bis c.p. che riconosce per questi fatti la procedibilità d'ufficio:
qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero la persona offesa è incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità.
Una riforma solo parziale: le principali fattispecie di reato escluse
La riforma ha solo parzialmente soddisfatto le esigenze deflattive perseguite dal Legislatore-delegante. Va considerata infatti la limitata portata applicativa delle norme modificate, in base anche alla scarsa rilevanza statistica delle fattispecie di reato, ora riconosciute come procedibili a querela.
In relazione ai reati contro la persona, è evidente che il legislatore delegato non è intervenuto nei settori di maggiore rilievo in sede processuale: - si pensi al delitto di lesioni personalidoloseexart. 582 c.p. quando dal fatto deriva una malattia superiore ai 20 giorni; - si consideri anche il delitto di lesioni personali colpose ex art. 590 ultimo comma c.p., quando vi è stata violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.; - si veda anche il delitto di lesioni personali stradali gravi o gravissime di cui all'art. 590-bis c.p.su cui torneremo a breve; - così anche per il delitto di omissione di soccorso di cui all'art. 593 c.p., che si mantiene procedibile d'ufficio.
Per quanto concerne i reati contro il patrimonio, la riforma sarebbe stata più incisiva se avesse riguardato le ipotesi di furto aggravato ex art. 625 c.p.o il delitto di ricettazione qualora il danno sia di particolare tenuità e si riesca a individuare la persona offesa ex art. 648, comma 2, c.p.
La questione di legittimità costituzionale del tribunale di la spezia in relazione al reato di lesioni colpose stradali gravi o gravissime dell'art. 590-bis c.p.
Tra le fattispecie di reato escluse dalla riforma legislativa, senza dubbio ha ricevuto maggiori critiche il regime di procedibilità riservato alle lesioni colpose stradali gravi o gravissime dell'art. 590-bis, comma 1, c.p.
È stata, in particolar modo, criticata la scelta del Governo di non prevedere la procedibilità a querela quantomeno nelle ipotesi in cui le lesioni colpose stradali gravi o gravissime non fossero determinate dalla guida in stato di ebbrezza o dall'uso di sostanze stupefacenti da parte del colpevole.
La questione è stata recentemente posta all'attenzione della Corte Costituzionale.
Con ordinanza del 8 ottobre 2018, il Tribunale di La Spezia ha infatti sollevato questione di legittimità costituzionale del d.lgs. 36 del 10 aprile 2018:
nella parte in cui, in possibile violazione dell'art. 76 Cost., non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall'art. 590-bis, comma 1, c.p., e ciò in contrasto con il disposto dell'art. 1, comma 1,6 lett. a) della legge delega n. 103 del 27.06.2017, che assegnava al Governo, entro il termine di un anno dalla sua entrata in vigore, il compito di adottare decreti legislativi con cui prevedere la procedibilità a querela per reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 4 anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all'art. 610 c.p. e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilità d'ufficio qualora ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell'art. 339 c.p.; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità.
Il Giudice rimettente ha dato atto che si tratta di una scelta consapevole del Governo.
Dalla “Relazione illustrativa” al d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 emerge infatti che il riferimento nella legge delega alla procedibilità d'ufficio nel caso di “stato di incapacità della persona offesa per infermità” vale a giustificare la mancata estensione della procedibilità a querela per i delitti dell'art. 590-bis, comma 1, c.p. In sostanza, si equipara la vittima di un sinistro stradale che ha subìto, a causa del sinistro, lesioni gravi o gravissime, ad una persona offesa che si trova in stato di incapacità per infermità o età.
Si tratta però di argomentazione non condivisa dal Giudice rimettente.
La legge delega infatti intendeva escludere la procedibilità a querela per delitti, con pena non superiore nel massimo a 4 anni, posti in essere ai danni di persona offesa che già prima della commissione del reato versava in stato di incapacità per età o infermità. Questo perché le persone in tale stato non erano in grado di presentare querela.
La situazione però è diversa con riferimento alla vittima di un sinistro stradale che ha riportato lesioni gravi o gravissime a seguito dell'incidente. Si pensi alla persona che, a seguito di tamponamento, subisca il “colpo di frusta” che può determinare una malattia della durata di molti giorni. È evidente che non si trovi in uno stato di incapacità. Si pensi anche al caso della vittima che, a seguito di sinistro stradale, subisca l'amputazione di un arto. Non per questo la stessa si trova in stato di incapacità.
Secondo il Giudice rimettente, si tratta di una scelta eccessivamente rigorosa da parte del Legislatore-delegato, in contrasto con le finalità deflattive dell'intervento, che rischia di depotenziare il ricorso a forme di ristoro alle quali normalmente le vittime del reato aspirano. In tal senso, la remissione della querela e l'estinzione del reato per condotte riparatorie ai sensi dell'art. 162-ter c.p. costituiscono una spinta formidabile al risarcimento dei danni e a una rapida definizione dei procedimenti, che però finiscono per essere vanificati se i fatti di reato si mantengono procedibili d'ufficio.
Si sottolinea infine che i delitti di lesioni personali stradali gravi o gravissime, commessi da persona che non si trovava sotto l'effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti, non costituiscono fonte di particolare allarme sociale, come comprensibilmente avviene quando i medesimi reati sono commessi da chi si trovava sotto l'effetto di sostanze alcoliche o di stupefacenti.
Conclude il Tribunale di La Spezia che si debba tenere distinta l'ipotesi dell'art. 590-bis, comma 1, c.p. da quelle più gravi dei commi 4, 5 e 6, riconoscendo per la prima la procedibilità a querela.
Sul punto la Corte Costituzionale non si è ancora pronunciata, ma certamente appaiono rilevanti i possibili effetti che una sentenza di accoglimento sarebbe in grado di provocare anche sui procedimenti pendenti.
Sulla natura “mista” e l'efficacia retroattiva: l'intervento delle Sezioni Unite
Nella parte introduttiva del presente contributo si è ricordato che il Legislatore-delegante ha previsto che la nuova normativa, che estende la procedibilità a querela a talune fattispecie di reato, debba trovare applicazione anche in relazione ai procedimenti penali in corso.
Con d.lgs. n. 36/2018 si è dato attuazione a tale previsione, stabilendo che:
per ifatti commessi prima della data di entrata in vigore del decreto (9 maggio 2018), la persona offesa, se già era a conoscenza della notizia di reato (al tempo procedibile d'ufficio), deve presentare la querela entro 3 mesi dalla suddetta data;
per i fatti di cui però risulta già pendente un procedimento penale, il Pubblico Ministero, nel corso delle indagini preliminari, ovvero il Giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, se necessario previa ricerca anagrafica, deve informare la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.
Si aggiunga che, secondo la più recente giurisprudenza, la normativa de qua ha natura mista (sia processuale sia sostanziale). Essa quindi costituisce condizione di procedibilità, ma anche di punibilità, potendo trovare applicazione retroattiva ai sensi dell'art. 2 c.p., laddove più favorevole al reo.
La Suprema Corte si è trovata ad affrontare un caso di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 11 c.p. che, all'epoca dei fatti, risultava procedibile d'ufficio (Cass. pen. Sez. II, n. 225/2019).
Il ricorrente evidenziava che, nelle more del procedimento, vi era stata remissione di querela della persona offesa a cui era seguita l'entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2018 che stabilisce la procedibilità a querela se ricorre taluna delle circostanze indicate dall'art. 61 n. 11 c.p. (l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestatore d'opera, di coabitazione o di ospitalità). Tale disciplina doveva trovare applicazione nel caso di specie, con conseguente declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell'imputato.
La Corte di Cassazione ha accolto il motivo del ricorso, sottolineando che il principio del favor rei opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in relazione al regime di procedibilità che inerisce alla fattispecie, trattandosi di profilo inscindibilmente legato al fatto come qualificato di diritto.
Sulla base di ciò, stante la natura mista della normativa che riconosce una condizione di procedibilità, prima non prevista, essa deve trovare applicazione nel caso in esame, in quanto più favorevole ai sensi dell'art. 2 c.p. Con la conseguenza che, non essendo contestate altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, la remissione di querela comporta la declaratoria di non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
La Corte ha così annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado perché il reato è estinto per remissione di querela della persona offesa e accettazione della stessa da parte dell'imputato.
In un'altra vicenda interessante, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se le modifiche riguardanti il regime di procedibilità del reato di minaccia “grave”ex art. 612, comma 2, c.p. fossero idonee ad incidere sulla previsione di irrevocabilità della querela per atti persecutori (Cass. pen., Sez. V, n. 12801/2019,).
È noto infatti che, nel delitto di cui all'art. 612-bis c.p., il termine di proposizione della querela è di 6 mesi. La remissione può essere soltanto processuale. Il legislatore ha inoltre stabilito l'irrevocabilità della querela se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi indicati dall'art. 612, comma 2, c.p.Pertanto, con la modifica introdotta con d.lgs. 36/2018, l'imputato sosteneva che la querela per atti persecutori mediante minacce reiterate fosse ora rimettibile.
La Suprema Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, sostenendo che la modifica normativa relativa al delitto di minaccia grave non ha alcuna implicazione sulla irrevocabilità della querela.
Del resto, nel delitto di atti persecutori la condotta è diversa e più grave rispetto alla minaccia, trattandosi infatti di condotte reiterate che non esauriscono il loro disvalore in relazione a ciascun episodio, ma che, combinate e ripetute, generano un quid pluris, che corrisponde a uno degli eventi previsti dalla fattispecie incriminatrice (un perdurante stato d'ansia o di paura, un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata affettivamente ovvero un'alterazione delle abitudini di vita).
Vale la pena infine soffermarsi su un'ultima tematica di diritto intertemporale concernente la valutazione del mutato regime di procedibilità in sede di legittimità, risolta dalle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez.Unite, 21 giugno 2018, n. 40150).
La vicenda trae origine da un'imputazione per appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 11 c.p., avendo l'autore materiale del fatto omesso il versamento delle indennità relative ad alcune mensilità, con abuso di relazione di prestazione d'opera.
L'imputato presentava ricorso per cassazione che veniva però assegnato dal Primo Presidente alle Sezioni Unite al fine di valutare (tra le varie questioni) se l'inammissibilità dello stesso fosse di ostacolo all'applicazione del d.lgs. n. 36/2016 nel procedimento in corso e se, in caso affermativo, fosse necessario informare la persona offesa per l'esercizio di tale diritto, sospendendo il decorso del termine di prescrizione.
Sul punto, il Supremo Consesso ha preliminarmente chiarito la portata applicativa della disposizione transitoria contenuta nell'art. 12 d.lgs. 36/2018.
In particolare, ha rilevato che:
se non è pendente alcun procedimento, la persona offesa è tenuta a presentare querela entro 3 mesi dal giorno di entrata in vigore della predetta normativa;
se invece è già stato instaurato un procedimento penale, a prescindere dalla conoscenza della notizia di reato, è necessario che il Pubblico Ministero o il Giudice provvedano a informare la persona offesa della sua facoltà.
In relazione a tale profilo, è stato aggiunto che:
l'avviso alla persona offesa non deve essere dato qualora la stessa, con un qualsiasi atto del procedimento, abbia manifestato un'istanza di punizione nei confronti del colpevole.
la volontà di ottenere la punizione non richiede particolari formule, ben potendo desumersi dall'atto di costituzione di parte civile o dalla persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio;
in tutte queste ipotesi, non è necessario informare la persona offesa della facoltà di presentare la querela.
Quanto alla valutazione delle modifiche legislative attinenti all'introduzione di una condizione di procedibilità, nel caso di ricorso per cassazione inammissibile, è stato precisato:
l'inammissibilità del ricorso non pregiudica la valutazione di una norma sopravvenuta che preveda una abolitio criminis, una declaratoria di illegittimità costituzionale, ovvero una attenuazione della pena (salvo l'ipotesi in cui il ricorso sia stato dichiarato inammissibile perché proposto tardivamente);
ciò vale anche in presenza di estinzione del reato per morte dell'imputato o di remissione di querela che sia stata ritualmente accettata;
così anche in relazione ad una causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p.
quando la norma sopravvenuta concerne una condizione di procedibilità, l'inammissibilità del ricorso pregiudica una valutazione di tale rilievo in sede di legittimità.
A sostegno le Sezioni Unite hanno puntualizzato che, nel caso di remissione di querela, esiste una previsione che ne consente la rilevazione fino a condanna irrevocabile in senso “formale”(art. 152, comma 3, c.p.).
Negli altri casi, invece, il ricorso inammissibile dà luogo alla formazione di un giudicato “sostanziale” che, nell'attesa di essere “formalizzato”, oppone già un limite alla retroattività dei mutamenti legislativi concernenti la perseguibilità dei reati (eccezion fatta per le ipotesi sopra elencate).
Pertanto, solo in presenza di un rapporto processuale “valido”, in ragione cioè di un ricorso ammissibile, è possibile applicare la normativa sopravvenuta di cui al d.lgs. 36/2018, verificando l'effettiva (e attuale) volontà della persona offesa di ottenere (ancora) la punizione del colpevole.
In definitiva, le Sezioni Unite hanno affermato che: “in presenza di un ricorso inammissibile non deve darsi alla persona offesa l'avviso previsto dal d.lgs. 10 aprile n. 36, art. 12, comma 2,, per l'eventuale esercizio del diritto di querela”.
In conclusione
A prescindere dalla modesta portata applicativa della novella legislativa in commento, si segnala come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia mantenuto finora un atteggiamento prudente, allineandosi all'intento del Governo di contenere gli effetti della riforma.
In tal senso, la soluzione avallata dalle Sezioni Unite non appare pienamente condivisibile perché riduce ulteriormente il campo di applicazione del d.lgs. 36/2018.
Ed appare, per certi versi, illogica sol che si consideri l'ipotesi in cui, pur in presenza di un ricorso per cassazione “inammissibile” la persona offesa – debitamente informata e richiesta di manifestare la volontà di punizione del colpevole – avrebbe assunto un comportamento inerte, equivalente a una “rinuncia” tacita della querela, meritevole di rilievo alla stessa stregua della remissione di querela avvenuta nelle more del procedimento per cassazione, suscettibile invece di un trattamento differenziato e più favorevole al reo, secondo le Sezioni Unite.
In relazione a ciò, si auspica pertanto una maggiore apertura da parte del Legislatore-delegato in un'ottica di reale riduzione del carico giudiziario, mettendo al centro soprattutto la volontà della persona offesa.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Le modifiche riguardanti i “reati contro la persona”
La questione di legittimità costituzionale del tribunale di la spezia in relazione al reato di lesioni colpose stradali gravi o gravissime dell'art. 590-bis c.p.
Sulla natura “mista” e l'efficacia retroattiva: l'intervento delle Sezioni Unite