Sulla (ir)rilevanza dei reati depenalizzati ai fini dell’esclusione da una procedura di gara

Alessandra Coiante
04 Giugno 2019

Una fattispecie di reato, oggetto sia di declaratoria di incostituzionalità che di depenalizzazione, non può avere rilevanza a fini escludenti.

Il caso. La vicenda trae origine dall'impugnazione del provvedimento di esclusione da parte di un ATI partecipante alla procedura di gara. L'esclusione era stata disposta in quanto, a detta della Stazione Appaltante, il legale rappresentate della società mandante (nelle more cessato dalla carica) aveva omesso di dichiarare la sussistenza a suo carico di un decreto penale di condanna per omesso versamento IVA. L'ATI in sede di ricorso, lamentava, inter alia, la violazione e falsa applicazione dell'art. 83, comma 3, c.c.p., in quanto, a detta della ricorrente, il reato per il quale il legale rappresentate della mandante era stato condannato era stato depenalizzato e, inoltre, l'originaria previsione di legge era altresì stata colpita da declaratoria di incostituzionalità.

Secondo l'amministrazione resistente, invece, la dichiarazione del legale rappresentante avrebbe dovuto includere, in ogni caso, la condanna in questione, salva la valutazione da parte della stazione appaltante dell'incidenza della medesima sulla moralità professionale.

La soluzione del Collegio. Il TAR, in primo luogo, precisa che ritenere che l'omessa dichiarazione di condanne riportate per reati anche diversi da quelli tipici elencati al primo e al secondo comma dell'art. 80 c.c.p., possa condurre all'esclusione del concorrente, previa valutazione di affidabilità da parte della stazione appaltante, per quanto non sia una tesi “del tutto ovvia alla luce del disposto del nuovo codice dei contratti”, risulta comunque coerente con la maggioritaria giurisprudenza.

Ciò posto, il Collegio non ha ritenuto di condividere la posizione dell'Amministrazione là dove ritiene possibile valutare, a fini espulsivi, una condanna stabilita sulla base di una fattispecie di reato che, nelle more, è stata oggetto sia di una declaratoria di incostituzionalità che di una depenalizzazione, mutamenti che hanno reso la suddetta condotta priva di alcun disvalore penale.

La pronuncia di incostituzionalità (Corte cost. n. 80/2014), precisa il TAR, “ha un effetto abrogante ex tunc, ed incide de plano sui rapporti non esauriti mentre, per i rapporti esauriti (quale è il caso del decreto penale di condanna divenuto definitivo assimilabile ad un giudicato), la cancellazione degli effetti penali presuppone una richiesta di revoca della sentenza di condanna rivolta al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 673 c.p.c.”, revoca che, nel caso di specie è stata effettivamente depositata dalla ricorrente.

Ferma la disciplina della revoca della condanna, in ogni caso, il c.c.p. detta anche una disciplina specifica sancendo l'irrilevanza del reato depenalizzato. L'art. 80, comma 3, c.c.p., infatti, nella versione applicabile ratione temporis, precisava, quanto alle cause di esclusione derivanti da condanne, che: “l'esclusione non va disposta e il divieto non si applica quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima.” Dal momento che il legislatore ha prescritto l'irrilevanza, a fini escludenti, dei reati depenalizzati (a prescindere dalla revoca della sentenza), l'amministrazione non potrebbe pervenire, discrezionalmente, a conseguenze diverse se non opposte a quelle previste ex lege.

In conclusione il TAR, per le ragioni suesposte, accoglie il ricorso.