La conciliazione nelle controversie per responsabilità sanitaria

12 Giugno 2019

Tra le novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco alcune riguardano la conciliazione. Si tratta della previsione del procedimento ex art. 696-bis c.p.c., quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e dell'onere di comunicazione preventiva dell'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato posto a carico della struttura sanitaria privata e delle imprese assicuratrici, della medesima struttura o del professionista sanitario, quale requisito di ammissibilità delle azioni di rivalsa che tali soggetti possono esercitare nei confronti del professionista.
Premessa

Tra le novità introdotte dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. legge Gelli-Bianco) alcune riguardano la conciliazione.

Si tratta della previsione del procedimento ex art. 696-bis c.p.c., quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 8), e dell'onere di comunicazione preventiva dell'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato posto a carico della struttura sanitaria privata e delle imprese assicuratrici, della medesima struttura o del professionista sanitario, quale requisito di ammissibilità delle azioni di rivalsa che tali soggetti possono esercitare nei confronti del professionista (art. 13).

Questo secondo adempimento è chiaramente diretto a consentire all'esercente la professione sanitaria la partecipazione alla trattativa stragiudiziale e alla eventuale soluzione transattiva che dovesse essere raggiunta all'esito di essa.

Il presente contributo intende esaminare le peculiarità di una tale fase.

La disciplina rilevante e il suo regime transitorio

L'art. 13 della legge n. 24/2017 è stato modificato dall'art. 11, comma 1, lett. d), della legge 11 gennaio 2018, n.3 (cd. legge Lorenzin), che ha elevato a quarantacinque giorni dagli originari, e francamente esigui, dieci il termine per provvedere alle predette comunicazioni.

É opportuno innanzitutto definire il regime transitorio della nuova disciplina, contenuta per lo più nell'art. 13.

La legge n. 24/2017 non contiene norme di diritto intertemporale e dunque, ai sensi dell'art. 11 delle Preleggi, trova piena applicazione il principio di irretroattività nei limiti fissati dalla Suprema Corte e ribaditi anche recentemente.

La Cassazione, con riguardo alla successione di leggi processuali nel tempo, ha infatti affermato che, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio (Cass. civ., sez. III., 15 febbraio 2011, n. 3688).

Analoga è la conclusione alla quale sono giunti i Giudici di legittimità con riguardo al regime intertemporale delle norme sostanziali poiché hanno affermato che: «il principio della irretroattività della legge comporta che la nuova norma non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, sicché la disciplina sopravvenuta è invece applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati» (Cass. civ.,sez. I, 3 luglio 2013, n. 16620; Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2016, n. 16039).

Orbene, qualunque sia la natura della disciplina in esame (a ben vedere, non riguardando la comunicazione una attività strettamente processuale, è difficile negare che abbia carattere sostanziale) deve ritenersi che la sua formulazione originaria venga in rilievo a fronte di pretese risarcitorie esplicitate, in via giudiziale o stragiudiziale, dopo la sua entrata in vigore (1 aprile 2017), anche per fatti illeciti commessi prima di tale momento, poiché esse costituiscono il presupposto per l'azione di rivalsa.

La modifica di cui all'art. 11, comma 1, lett. d), della legge 11 gennaio 2018, n.3, trova invece applicazione alle pretese risarcitorie formalizzate dopo il 15 febbraio 2018.

Termine per l'invio e contenuto dell'informativa

Al professionista va comunicata, con le modalità specificamente indicate (pec o raccomandata con avviso di ricevimento), agli indirizzi che strutture sanitarie e compagnie di assicurazione dovranno aver cura di acquisire nel corso del rapporto con lui, l'inizio della trattativa stragiudiziale.

Occorre innanzitutto chiedersi se la comunicazione, che, non consistendo in una manifestazione di volontà, ben potrà provenire da un impiegato o da un commesso dell'ente, possa essere effettuata in forme diverse da quelle espressamente previste.

All'interrogativo può rispondersi affermativamente solo rispetto a modalità che assicurino la ricezione della comunicazione da parte del destinatario, come la consegna a mani che peraltro, stando al tenore della norma, potrà essere provata solo per iscritto.

Tale conclusione trova conforto in quella giurisprudenza di legittimità, formatasi nella vigenza dell'art. 22 l. n. 990/1969 (Cass. civ., 27 giugno 1978, n. 3160; Cass. civ., 8 agosto 1978, n. 3855), che aveva affermato che la forma della comunicazione della richiesta risarcitoria all'assicuratore con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno può essere sostituita da altre equivalenti, che diano identiche o superiori garanzie di certezza circa l'avvenuta comunicazione di essa, quindi anche dalla notificazione all'assicuratore dell'istanza di accertamento tecnico preventivo, quando in tale istanza sia manifesta la volontà di ottenere il risarcimento e con essa sia provocata la partecipazione dell'assicuratore al procedimento di ATP.

Non è chiaro peraltro nemmeno quali siano le informazioni sulla trattativa che vanno date al professionista ed in particolare se sia sufficiente comunicare la somma richiesta a titolo di risarcimento danni o se occorra riferire anche tutti i particolari utili a valutare la convenienza di una soluzione conciliativa, come ad esempio i profili di responsabilità addebitati o gli elementi sui quali si fonda l'assunto del danneggiato (dati che invece sono, o dovrebbero essere, esplicitati nell'atto introduttivo del giudizio).

A tali incertezze ha inteso ovviare la Regione Veneto atteso che alla circolare del 10 luglio 2017, con la quale sono state date alle aziende sanitarie indicazioni piuttosto dettagliate sulla procedura di gestione dei sinistri per responsabilità professionale è stato allegato un fac-simile di comunicazione ex art. 13 l. n. 24/2017.

Tale documento prevede che alla informativa sia allegata la richiesta del danneggiato o del suo rappresentante (evidentemente si tratta soprattutto del suo avvocato).

La norma in esame non individua con esattezza nemmeno il dies a quo del termine, di dieci o di quarantacinque giorni, a seconda del regime applicabile, per l'invio della comunicazione, poiché fa riferimento alla nozione di “avvio delle trattative”, che appare oltremodo equivoca.

Infatti da un lato può escludersi che essa alluda alla richiesta risarcitoria del danneggiato, sotto qualunque forma espressa (costituzione in mora o istanza di mediazione), poiché la trattativa implica una interlocuzione con la controparte.

Modalità di svolgimento della trattativa

La norma non chiarisce nemmeno se la trattativa possa consistere anche solo in contatti informali e sommari tra danneggiato e soggetti tenuti al risarcimento o richieda almeno una formalizzazione della disponibilità conciliativa, sia pure di massima, dei secondi.

La circolare della Regione Veneto menzionata al paragrafo precedente ha optato per la prima delle due ipotesi avendo previsto che l'informativa sia inviata al sanitario interessato a seguito della sola ricezione della richiesta di risarcimento danni del danneggiato.

In ogni caso, qualora il danneggiato dovesse promuovere direttamente la mediazione, solo l'adesione ad essa della struttura sanitaria o della compagnia di assicurazione integrerà il presupposto di applicazione della norma.

Può invece escludersi che la partecipazione al primo incontro di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 28/2010, non seguita dalla manifestazione di volontà di iniziare la procedura, faccia sorgere l'onere di comunicazione poiché in tal caso la trattativa non si può considerare iniziata.

D'altro canto, poiché la previsione non richiede che il promotore della trattativa sia il danneggiato, qualora l'iniziativa conciliativa sia assunta dalla struttura sanitaria o dalla compagnia assicurativa esse devono notiziare il professionista senza attendere il riscontro della controparte.

Non è nemmeno chiaro se nel corso della trattativa che dovesse essere avviata i partecipanti siano tenuti ad osservare un dovere di riservatezza ma la risposta pare dover essere positiva se si considera che solo una simile condizione può garantire concrete possibilità conciliative.

Una conferma di tale lettura si ha dal già citato modello di informativa ex art. 13 l. n. 24/2017 predisposto dalla Regione Veneto poiché esso contiene una espressa avvertenza al sanitario circa l'obbligo di riservatezza che egli assume con la partecipazione alla trattativa.

Al fine di meglio definire modalità e tempi della trattativa le parti potrebbero anche ricondurla alle forme della negoziazione assistita da avvocati, che avrebbe carattere facoltativo atteso che le cause di responsabilità sanitaria sono soggette alternativamente alla mediazione o al procedimento di ATP.

Infatti, poichè la convenzione di negoziazione assistita può avere anche un contenuto più ampio di quello minimo contemplato dall'art. 2 del d.l. n. 132/2014, in essa le parti potrebbero, ad esempio, convenire un arbitraggio o un Atp da esperirsi nel corso della trattativa o nominare dei CTP che le assistano con la loro competenza tecnica.

Analogamente, le parti potrebbero: definire la tempistica, più o meglio dettagliata di eventuali sedute, e se di esse debba redigersi o meno un verbale; derogare, in tutto o in parte, al dovere di riservatezza o individuare la documentazione che si scambieranno nella procedura; definire le modalità per risolvere le situazioni di stallo della negoziazione che dovessero verificarsi.

La scelta delle negoziazione assistita consentirebbe anche di beneficiare della disciplina in tema di esecutività dell'accordo conciliativo che fosse raggiunto all'esito di essa (art. 5 d.l. n. 132/2014).

Essa peraltro risulterebbe sicuramente onerosa dal punto di vista economico poiché quella forma di Adr richiede la partecipazione necessaria dei rispettivi difensori.

È opportuno infine evidenziare che se dovessero esservi più danneggiati, con ciascuno dei quali venissero avviate distinte trattative, di ognuna di esse andrebbero notiziati i sanitari interessati.

Qualora, dopo l'esito infruttuoso della trattativa, venisse promosso il giudizio risarcitorio, o anche l'ATP ex art. 8 d.lgs. n. 28/2010, tale evenienza integrerà la diversa ipotesi della “instaurazione del giudizio” e andrà quindi comunicata al professionista, in applicazione della prima parte del primo comma dell'art. 13.

Le criticità della nuova disciplina

Il legislatore avrebbe dovuto definire con maggior cura il contenuto dell'informativa sull'avvio delle trattative e la nozione stessa di “avvio delle trattative” nel momento in cui ha scelto, in modo assai poco ragionevole, di configurare come condizioni di ammissibilità dell'azione, come tali verificabili d'ufficio, non solo l'omissione delle comunicazioni ma anche la loro incompletezza e tardività.

Non ha nemmeno ritenuto necessario chiarire se, a fronte di tali difetti, la partecipazione effettiva del sanitario alla trattativa sia idonea a sanarli.

Tale approssimazione ha reso questa disciplina particolarmente gravosa per strutture sanitarie e compagnie di assicurazione.

In tale ottica va anche evidenziato che, sebbene a far evitare la decadenza dalla rivalsa possa essere sufficiente l'invio, e non anche la ricezione, della comunicazione preventiva, il termine stabilito per essa, anche dopo la sua elevazione a quarantacinque giorni, non è ampio e gli enti con organizzazioni complesse potranno avere serie difficoltà ad osservarlo.

Al fine di limitare le conseguenze della nuova previsione se ne propone una interpretazione restrittiva secondo la quale l'omissione, il ritardo o l'incompletezza delle comunicazioni possano assumere rilievo solo se colpevoli. Potrà quindi, ad esempio, escludersi la sanzione della inammissibilità nel caso in cui la comunicazione sia stata inviata ad un indirizzo errato per colpa del sanitario.

Parimenti deve ritenersi che la partecipazione effettiva alla trattativa sani i vizi di comunicazione.

L'adempimento in esame, oltre che gravoso per enti ospedalieri e compagnie, per le ragioni fin qui dette, è anche inutile poiché anche in sua assenza la disciplina avrebbe offerto più che adeguate garanzie al professionista. Infatti se le trattative di quei soggetti con il danneggiato non vanno a buon fine, l'ente ospedaliero non deve corrispondere alcunchè e non ha diritto di regresso mentre se vanno a buon fine, la transazione è inopponibile al medico per espressa previsione di legge (art. 9, comma 4, l. n. 24/2017).

Pertanto è oltremodo dubbia la compatibilità di questa parte della novella con la Carta costituzionale alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale sui limiti all'accesso alla tutela giurisdizionale. Sul punto è opportuno ricordare che, con la recentissima sentenza 20 novembre 2017, n. 241, la Corte ha giudicato irragionevole e ingiustificato e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., l'art. 152, ultimo periodo, disp. att. c.p.c., come modificato dall'art. 38, comma 1, lett. b), n. 2, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 che, nei giudizi previdenziali, al fine di vincolare il giudice a liquidare le spese nei limiti di valore della prestazione dedotta, prescriveva alla parte, a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare il suddetto valore nelle conclusioni del ricorso introduttivo.

Tali principi, riguardando qualsiasi adempimento di carattere meramente formale, ben possono applicarsi anche all'adempimento in esame.

(Fonte: ilprocessocivile.it)

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