Figli nati fuori dal matrimonio: è possibile agire per il mancato mantenimento in via stragiudiziale?

Paola Silvia Colombo
13 Giugno 2019

In caso di mancato pagamento del mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, l'avente diritto può agire in via stragiudiziale senza necessità dell'intervento del giudice?

In sede di separazione di una coppia di fatto con affidamento condiviso del figlio minore collocato in via prevalente presso la madre, con accordo omologato dal Tribunale, viene stabilito che il padre versi alla madre un assegno di mantenimento per il figlio di € 200,00 oltre la corresponsione degli assegni familiari (di cui non viene stabilito l'ammontare variando di mese in mese a seconda del reddito percepito dal padre-lavoratore dipendente). Il mantenimento viene versato ma gli assegni vengono liquidati dal datore di lavoro al padre che non ottempera all'accordo e non li versa alla madre collocataria. E' possibile presentare un ricorso ex art. 709 ter c.p.c. e far condannare il padre a versare alla madre le somme degli assegni indebitamente incassate? Ancora, è possibile chiedere al giudice nel medesimo ricorso di chiedere al datore di lavoro il versamento degli assegni direttamente alla madre (casalinga), oppure, è necessario instaurare un ricorso ex novo, in quanto in questo secondo caso, si vuole implicitamente modificare l'accordo che prevedeva la liquidazione degli assegni al padre per poi riversarli alla madre? E' necessario chiamare in causa l'Inps?

Il legislatore ha previsto delle specifiche forme di tutela a garanzia dell'adempimento dell obbligazioni di mantenimento in favore dei figli. Una di questa è quella che concerne la possibilità di ottenere il pagamento diretto delle somme dovute dal terzo ( c.d. debitor debitoris) tenuto al versamento di somme in favore del genitore inadempiente.

Tale forma di garanzia non ha una disciplina uniforme.

In caso di separazione trova, infatti, applicazione l'art. art. 156, comma 6, c.c. che prevede espressamente l'intervento del Giudice il quale, su istanza della parte interessata, in caso di inadempimento dell'obbligato, può ordinare al terzo, tenuto a corrispondere a quest'ultimo perdiocamente somme di denaro, di versare direttamente gli importi dovuti all'avente diritto.

In caso di divorzio trova, invece, applicazione l'art. 8, comma 2, l. n. 898/1970 che consente all'avente diritto di procedere in via stragiudiziale (senza che sia necessario, quindi, l'intervento del Giudice) inviando prima all'ex coniuge inadempiente una raccomandata, con la quale si richiede il pagamento delle somme dovute entro 30 giorni e poi, notificando al terzo (datore di lavoro o altro soggetto) il provvedimento che stabilisce l'obbligo di pagamento con espressa richiesta di versamento diretto delle somme.

In caso di figli nati fuori dal matrimonio, come nel caso di specie, si è posto a lungo il problema di capire quale sia lo strumento da utilizzare (il ricorso al Giudice exart. 156 c.c. o l'ordine di pagamento diretto ai sensi dell' art. 8 sulla legge del divorzio) per obbligare il terzo (nel caso in esame L'INPS tenuto al versamento degli assegni familiari che quindi è parte in causa), creditore del genitore inadempimente, a corrispondere direttamente all'altro genitore le somme dovute in forza dell'accordo intervenuto e recepito dal Tribunale.

Sul punto è intervenuto il Tribunale di Milano (Pres. G. Servetti) - con decreto del 24 marzo 2013 - e la Corte di Appello di Milano - con provvedimento del 20 marzo 2018 - che hannochiarito che per i figli nati fuori dal matrimonio è inammissibile il ricorso al Giudice dovendosi invece incardinare la procedura semplificata stragiudiziale prevista dall'art. 8, l. n. 898/1970.

Ciò alla luce della disposizione contenuta nell'art. 3, comma 2, l. n. 219/2012 (c.d. decreto filiazione) il quale sancisce che «il Giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche perdiodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'art. 8, comma 2, l. n. 898/1970».

Secondo i Giudici detta norma, pur formulata in modo poco chiaro, richiama in modo preponderante lo strumento del pagamento diretto da parte del terzo previsto dalla legge divorzile (messa in mora, invio della raccomandata, azione diretta contro il terzo) che dovrà quindi trovare applicazione, anche in ragione dei principi di economia e semplificazione processuale, in luogo del ricorso al Giudice previsto dall'art. 156, comma 6, c.c.

Tale orientamento risulta ad oggi maggioritario anche se esistono pronuce di segno contrario secondo cui sarebbe necessario l'instaurazione di un procedimento innanzi al Tribunale con conseguente emanazione di apposito provvedimento dal parte del Giudice (Cfr. Trib. Bari, sent. 25 marzo 2014, n. 5506 e Trib. Roma, sent. 7 gennaio 2015) che ordini al terzo il pagamento delle somme.

Nel caso di specie, quindi, non occorre presentare alcun ricorso al Giudice né tanto meno chiamare in causa l'INPS. Sarà sufficiente inviare una lettera di messa in mora al genitore inadempiente con la richiesta di pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione e l'avvertimento che decorsi inutilmente i 30 giorni ci si rivolgerà direttamente all'INPS.

Trascorsi i 30 giorni senza che sia intervenuto l'adempimento, il Legale notificherà direttamente all'Ente una richiesta di pagamento diretto facendo riferimento al provvedimento in virtù del quale il genitore è obbligato al mantenimento e allegando detto provvedimento.

A seguito del suo ricevimento, l'INPS sarà tenuto a versare direttamente gli assegni familiari al genitore che ha diritto ad ottenere il percepimento delle somme non corrisposte sponatenamente dall'altro.

Non è possibile, invece, presentare ricorso ex art. 709 ter c.p.c. per ottenere la condanna del genitore inadempiente al pagamento delle somme dovute e non versate, atteso che la procedura prevista da tale norma è funzionale ad ottenere dei provvedimenti sanzionatori da parte del Giudice (ammonimento, condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria) e non a garantire la soddisfazione del credito rivendicato rimasto insoluto.

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