Quid iuris dopo il commiato del rito “super-speciale” sulle impugnazioni delle ammissioni e esclusioni dalle gare?

14 Giugno 2019

La radicale espunzione dal sistema della giustizia amministrativa del rito “super-speciale”, prevista dall'art. 1, co. 4, d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (cd. “Sblocca cantieri”, di seguito anche solo d.l. n. 32), la cui conversione è stata approvata il 13 giugno dalle Camere parlamentari, incontrerà senza dubbio un non celato e fragoroso plauso da parte di operatori e studiosi.
Introduzione

La radicale espunzione dal sistema della giustizia amministrativa del rito “super-speciale”, prevista dall'art. 1, co. 4, d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (cd. “Sblocca cantieri”, di seguito anche solo d.l. n. 32), la cui conversione è stata approvata il 13 giugno dalle Camere parlamentari, incontrerà senza dubbio un non celato e fragoroso plauso da parte di operatori e studiosi.

È infatti circostanza fin troppo nota per essere nuovamente trattata funditus in questa sede, che la parentesi processuale introdotta dall'art. 204 del Codice sia rimasta, sin dalla sua introduzione, indigesta sia a coloro che misurandone l'impatto economico, si preoccupavano del possibile ingolfamento del sistema della giustizia, sia a quanti ne hanno sin da subito denunciato, sotto il profilo teorico, l'eccentricità rispetto alle tradizionali categorie processuali e la deviazione verso un modello processuale di tipo oggettivo.

Ad un anno dall'introduzione dell'art. 204 del Codice dei contratti, sulla spinta della migliore dottrina, l'iniziale gravissima imposizione di un ricorso immediato “al buio”, era stata superata dalla totale riscrittura del regime di pubblicità degli atti di gara stabilito dall'art. 29, co. 1, del Codice, come noto, funzionale alla decorrenza del termine di trenta giorni per l'impugnazione delle ammissioni e esclusioni, operata dall'art. 19 d.lgs. n. 56/2017 (cd. “decreto correttivo”) .

Come già evidenziato in altra sede, nonostante il dato normativo avesse chiaramente àncorato il dies a quo per ricorrere alla “concreta” disponibilità degli atti di gara e alla motivazione delle ammissioni e esclusioni e, dunque, ad una sicura conoscenza (non solo piena ma anche) “legale”, la giurisprudenza amministrativa, con alcune sporadiche eccezioni, si è tuttavia mostrata, nella sostanza, impermeabile alla modifica apportata dal “correttivo”.

La persistenza di tale incomprensibile ritrosia nell'applicazione del novellato co. 1 dell'art. 29 del Codice ha avallato la proliferazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, costantemente segnalati in questo Osservatorio, provocando un'inammissibile incertezza sul momento cruciale della decorrenza dei termini per impugnare le ammissioni, comprensibilmente determinando una sostanziale rinuncia da parte degli operatori (soprattutto piccoli-medi) all'impugnazione degli atti di gara.

Non stupisce, pertanto, l'insistenza con cui sia stata da più parti reclamata l'eliminazione dell'art. 204 del Codice, che in caso di conversione del citato d.l., potrebbe uscire di scena dopo tre anni dalla sua entrata in circolo nel sistema.

Nei limiti consentiti dal presente contributo, si analizzeranno, di seguito, lo specifico regime transitorio previsto dal citato d.l. n. 32 e gli effetti dell'abrogazione del rito “super-speciale” sul sistema delle controversie in materia di contratti pubblici.

Il regime transitorio dettato dal decreto “Sblocca cantieri”

Il co. 5 dell'art. 1 del citato d.l. n. 32 stabilisce che la suddetta abrogazione riguarda i “processi iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”.

Il legislatore ha così assunto quale riferimento temporale per l'entrata in vigore dell'abrogazione, “l'inizio” del procedimento giurisdizionale, espressione atecnica che però non favorisce l'individuazione di un termine chiaro per l'applicazione del nuovo regime.

La suddetta questione interpretativa è stata già affrontata dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado e risolta nel senso che il rito “super-speciale” continua ad applicarsi ai ricorsi notificati prima dell'entrata in vigore del decreto legge.

Nella specie, un'impresa, dichiarata aggiudicataria di un appalto di lavori indetto dalla Città metropolitana di Reggio Calabria, veniva esclusa all'esito della verifica dei requisiti, con provvedimento adottato il 15 marzo 2019, comunicatole il successivo 18 marzo. L'esclusione veniva impugnata con ricorso notificato il 12 aprile 2019 e depositato il successivo 19 aprile, in coincidenza con l'entrata in vigore del citato d.l. n. 32.

Senza interrogarsi sull'applicabilità o meno, nel caso di specie, della disciplina processuale “super-speciale”, come noto funzionalmente legata alla verifica dei requisiti precedente (e non successiva) alla valutazione delle offerte, il TAR ha preliminarmente esaminato la portata del richiamato regime transitorio stabilito dal d.l. n. 32.

Il Collegio ha evidenziato che, sebbene il suddetto decreto abbia abrogato il rito “super speciale”, ciò non escludel'immediata impugnazione dei “provvedimenti autonomamente ed immediatamente lesivi che determinano le esclusioni dalla procedura di affidamento (come nel caso di specie)”, sia dei “provvedimenti che determinano le altrui ammissioni, la cui impugnazione, in virtù della disposizione abrogante, ritorna a dover essere posticipata al momento dell'aggiudicazione definitiva ovvero a quello in cui (per la prima volta) l'interesse a ricorrere da parte del concorrente, insoddisfatto dall'esito della gara, diventa concreto ed attuale”.

Con riferimento al sopracitato regime transitorio, il Collegio ha precisato che, “in virtù di un canone interpretativo ispirato a fondamentali esigenze di effettività della tutela giurisdizionale ma anche di ordine logico-sistematico”, l'inizio del processo deve intendersi “nell'ottica di chi agisce in giudizio ovvero di chi lo ha “iniziato”, riferendo pertanto l'abrogazione ai procedimenti in cui il ricorso introduttivo sia stato notificato (e non depositato) dopo il 19 aprile 2019.

I giudici hanno dichiaratamente circoscritto il suddetto principio “ai limitati fini della norma transitoria e nell'ambito della disciplina speciale del rito appalti”, evidenziando che nelle controversie in materia di contratti pubblici è solo dalla notifica del ricorso che dipende “la definitività della scelta del rito”, in quanto il ricorrente “non può poi trovarsi incolpevolmente esposto a irrimediabili conseguenze pregiudizievoli sull'immediatezza dell'accesso alla tutela giurisdizionale (id est, inammissibilità del ricorso, nel caso, ad esempio, di impugnazione dell'altrui ammissione) solo per effetto dell'entrata in vigore (in forza di un decreto legge non ancora convertito) di nuove disposizioni processuali intervenute tra la notifica e il deposito dell'atto introduttivo e modificative del regime legittimamente osservato - in conformità al tradizionale canone del tempus regit actum - quando il processo ha avuto “inizio” con la vocatio in ius della parte intimata”.

Al di là della circostanza che, nel caso di specie, era stata impugnata un'esclusione (provvedimento immediatamente lesivo e impugnabile nei trenta giorni dalla sua comunicazione a prescindere, come correttamente rileva la sentenza, dall'esistenza del rito “super-speciale”), peraltro disposta dopo la verifica dei requisiti post aggiudicazione e che pertanto il TAR ha inutilmente enunciato principi rispetto ad una normativa transitoria non rilevante, la soluzione interpretativa scelta viene argomentata sulla scorta di una excusatio non petita.

L'individuazione della “notifica” del ricorso quale primo momento di instaurazione del processo pur coincidendo in realtà con l'orientamento consolidato nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa secondo cui l'instaurazione del rapporto processuale costituisce una fattispecie a formazione progressiva, che inizia con la notifica e si perfeziona con il deposito del ricorso, viene inutilmente giustificata dal TAR sulla base delle peculiarità connesse alla specialità del rito.

La previsione nel d.l. n. 32 di uno specifico regime transitorio, di cui era invece carente l'originario art. 204 del Codice dei contratti, dimostra, del resto, la chiara volontà del legislatore di bloccare immediatamente l'instaurazione di ricorsi ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a. anche per le gare avviate in base alla disciplina codicistica precedente all'entrata in vigore del suddetto d.l.

Il ricorso immediato contro l'ammissione alla gara degli altri partecipanti nelle direttive UE e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE: il caso “Marina del Mediterraneo”

Il regime dell'impugnazione delle ammissioni alle gare, lungi dal costituire una questione di mero diritto interno, è stato più volte esaminato dalla Corte di Giustizia dell'UE.

Sul punto le direttive sostanziali e procedurali non dettano regole specifiche. Le prime (23/24/25/2014/UE) non costruiscono, infatti, un modello procedimentale di gara unico né impongono una distinzione tra le diverse fasi della procedura, ma al contrario ammettono una inversione delle fasi di verifica dei requisiti/esame delle offerte (prevista anche dall'art. 133, co. 8 del Codice dei contratti per i settori speciali e ora estesa anche nei settori ordinari dall'art. 1, comma 1 lett. f) del d.l. n. 32), individuando la definizione della procedura al momento della “decisione di aggiudicazione”.

Le seconde (direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE) non prevedono l'immediata impugnabilità della decisione di ammissione né impongono rimedi distinti per le diverse fasi della procedura.

Un'indicazione in tal senso era inizialmente contenuta nell'art. 1, par. 1 dell'originario schema delle “direttive ricorsi” proposto dalla Commissione UE (laddove stabiliva che “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari a garantire, a qualsiasi fase della procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico (...) ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali efficaci (...)”, formulazione espunta conseguentemente al parere contrario del Parlamento europeo.

La Corte di Giustizia dell'UE, dichiaratamente valorizzando l'esigenza di celerità delle procedure di ricorso sancita dalle “direttive ricorsi”, ha tuttavia più volte interpretato la definizione di “decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici” in senso “ampio”, includendovi tutti gli atti intermedi e “preparatori” alla decisione di aggiudicazione, precisando che gli Stati membri possono imporre la loro impugnazione nei termini di decadenza stabiliti dai singoli ordinamenti nazionali.

In particolare, nella sentenza “Stadt Halle”, la Corte, pur escludendo che le “direttive ricorsi” individuino un preciso momento della procedura di gara a partire dal quale gli Stati membri devono garantire la possibilità di proporre un ricorso contro le decisioni adottate dalle amministrazioni aggiudicatrici, ha evidenziato il divieto per gli stessi Stati di subordinare la proposizione di un ricorso al fatto che “la procedura di affidamento abbia formalmente raggiunto un determinato stadio”.

La suddetta questione è stata nuovamente esaminata nella sentenza “Marina del Mediterraneo in cui è stato affrontato nello specifico, il tema del regime di impugnabilità immediata della “decisione di ammissione” alla gara (asseritamente) adottata in violazione delle direttive contratti o del diritto nazionale che le trasponga.

Prima di analizzare la soluzione interpretativa raggiunta in tale pronuncia dalla Corte, occorre tuttavia soffermarsi su alcuni passaggi delle Conclusioni proposte dall'Avvocato Generale Bobek significativamente accolte solo in parte dalla suddetta sentenza.

L'Avvocato Generale aveva diviso le proprie Conclusioni in tre parti, esaminando, nel dettaglio la compatibilità con le “direttive ricorsi” della (i) possibilità di differire la proposizione del ricorso avverso gli “atti preparatori” al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione; (ii) possibilità di impugnare autonomamente la decisione di ammissione; (iii) possibilità di riconoscere un effetto diretto all'art. 1 par. 2, della direttiva 2007/66/CE.

Con riferimento alla prima questionel'Avvocato Generale aveva proposto alla Corte una soluzione affermativa sottolineando cheoccorre compiere “un ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi in gioco nell'ambito delle procedure in materia di appalti pubblici, ossia il diritto di accesso al giudice e a un ricorso giurisdizionale al fine di contestare taluni aspetti della procedura, da un lato, e l'efficacia della procedura nel suo complesso e l'opportunità dell'azione giudiziaria, dall'altro.(…)” sicché, in conclusione, aveva escluso che “le disposizioni nazionali che differiscono il ricorso giurisdizionale avverso gli atti preparatori sino a una fase successiva debbano di per sé essere ritenute incompatibili con la direttiva sulle procedure di ricorso, a condizione che sia reso accessibile un ricorso efficace avverso i suddetti atti in un momento successivo, al più tardi, in sede di adozione della decisione di aggiudicazione, la decisione più importante dell'autorità aggiudicatrice”.

Coerentemente alla suddetta posizione interpretativa la soluzione proposta per risolvere la seconda questione (relativa all'impugnabilità immediata dell'ammissione alla gara) era pertanto negativa. L'Avvocato generale aveva infatti evidenziato la netta demarcazione “fra gli atti che devono poter essere immediatamente oggetto di ricorso e quelli che non devono esserlo, intercorre tra gli atti che hanno effetti giuridici sfavorevoli per le imprese e quelli che non spiegano siffatti effetti” sicché “il ricorso immediato deve essere previsto per i primi, ma non necessariamente per i secondi”.

Sul punto veniva richiamata la giurisprudenza della Corte UE che ha sancito l'immediata impugnabilità delle clausole del bando cd. “escludenti” per ricavarne l'impossibilità di applicare la stessa regola anche ai ricorsi contro l'ammissione. A differenza delle clausole “escludenti” infatti, l'ammissione “non risulta incidere sfavorevolmente sulla posizione giuridica degli altri candidati”, ma produce “implicazioni meramente fattuali per un'impresa che prende parte a una gara”, specialmente se rapportata alla più ampia partecipazione dei concorrenti che, proprio in ragione di tale atto, “potrebbero essere obbligati a reagire in qualche modo e, se del caso, ad adeguare la propria strategia”.

La suddetta soluzione, aggiunge l'Avvocato Generale, può essere smentita nella misura in cui “tutte le regole in materia di appalti pubblici siano interpretate come massime di legalità oggettiva e astratta, che potrebbero essere fatte valere da ogni potenziale concorrente a titolo di diritto soggettivo”.

Infine, in una Postilla finale, l'Avvocato Generale ricorda che le “direttive ricorsi” pongono solo uno standard minimo di tutela sicché i modelli processuali compatibili con le riferite disposizioni sono molteplici e “esiste quindi una certa flessibilità, a condizione che sia previsto, in un determinato momento, un ricorso giurisdizionale efficace e veloce rispetto a tutti i passaggi della procedura di aggiudicazione”.

Come accennato, la Corte non ha accolto le soluzioni proposte dall'Avvocato Generale, ma in linea di continuità con i propri precedenti, ha esteso il perimetro della nozione di “decisione presa da un'amministrazione aggiudicatrice” anche alla “decisione di ammissione” aggiungendo che viola le “direttive ricorsi” “la normativa nazionale […in cui si] richieda, in ogni caso, che l'offerente attenda la decisione di aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi prima di poter proporre un ricorso contro l'ammissione di un altro offerente”.

La portata dei suddetti principi deve, tuttavia, essere necessariamente misurata con quanto precisato al pt. 36 della motivazione in cui, ai fini della loro concreta applicazione, la Corte ha demandato “al giudice del rinvio [di] determinare se le altre condizioni riguardanti l'accessibilità delle procedure di ricorso previste dalla direttiva 89/665 siano soddisfatte (…) in particolare determinare, nell'ambito della controversia principale, se Marina del Mediterráneo e a. abbiano o abbiano avuto un interesse ad ottenere l'aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi e siano stati lesi o rischino di essere lesi dalla decisione dell'Agenzia che ha ammesso l'offerta del secondo raggruppamento temporaneo d'imprese”.

Nel suddetto passaggio si precisa quindi che l'ampliamento dell'ambito oggettivo degli atti impugnabili (in cui devono essere inclusi anche gli atti di ammissione) è inscindibilmente legato alla sussistenza della legittimazione a ricorrere, di cui la direttiva 66 disciplina (solo) uno standard minimo che deve essere garantito dagli Stati membri nell'esercizio della loro autonomia procedurale.

La suddetta autonomia nella regolazione del processo è riconosciuta dalla stessa sentenza, del resto, al par. 37 in cui si conclude affermando che l'art. 1, par. 1, e l'art. 2, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/665ostano a una normativa nazionale in forza della quale la decisione di ammettere un offerente alla procedura di aggiudicazione, decisione che si asserisce violi il diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o la normativa nazionale che lo traspone, non figura tra gli atti preparatori di un'autorità aggiudicatrice che possono [quindi non necessariamente devono n.d.A.] essere oggetto di un ricorso giurisdizionale autonomo” (enfasi aggiunta).

La “pronta soluzione” della CGUE sul rito “super-speciale” e le ricadute sul sistema degli atti impugnabili

I principi espressi nella soprarichiamata sentenza Marina del Mediterraneo sono stati confermati dall'ordinanza 14 febbraio 2019, della IV sezione della CGUE in risposta ai due quesiti pregiudiziali sollevati nel 2018 dal TAR Piemonte relativamente alla compatibilità del rito “super-speciale” con il diritto euro-unitario.

Il suddetto giudice a quo aveva evidenziato, con sentenza non definitiva (sez. I, 13 novembre 2017, n. 1129), che, nonostante nella specie il ricorrente avesse censurato l'assenza dei requisiti di partecipazione in capo al all'aggiudicatario della gara, la preclusione processuale stabilita dall'art. 120, co. 2-bis, c.p.a. avrebbe impedito l'esame di tali doglianze. Il Collegio, pertanto, con ordinanza del 17 gennaio 2018, n. 88, aveva rimesso in via pregiudiziale alla CGUE i seguenti due quesiti:

(i) se la disciplina euro-unitaria in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente gli artt. 6 e 13 della CEDU, 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e 1 e 2 Dir. 89/665/CEE, osti ad una normativa nazionale, quale l'art. 120, co. 2-bis, c.p.a., che, impone all'operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l'ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l'ammissione/esclusione dei partecipanti;

(ii) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente gli artt. 6 e 13 della CEDU, 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e 1 e 2 Dir. 89/665/CEE, osti ad una normativa nazionale quale l'art. 120, co. 2-bis, c.p.a, che preclude all'operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l'illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell'aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l'atto di ammissione nel termine suindicato.

La CGUE, dopo lo scambio delle osservazioni scritte tra le parti, ha ritenuto che i suddetti due quesiti potessero essere agevolmente definiti sulla base del richiamo ai precedenti della stessa Corte e, ai sensi dell'art. 99 del proprio Regolamento di procedura, li ha pertanto definiti con ordinanza.

I giudici lussemburghesi hanno evidenziato preliminarmente che, in base all'art. 2-quater della direttiva 89/665/CE, gli Stati membri devono garantire un termine per ricorrere di almeno dieci/quindici giorni (a seconda della modalità di comunicazione del provvedimento), decorrente dalla comunicazione del provvedimento, accompagnata dalla “relazione sintetica dei motivi pertinenti” e che “l'obiettivo di celerità” nella definizione delle procedure di ricorso perseguito dalle “direttive ricorsi” deve essere realizzato dal legislatore interno “nel rispetto delle esigenze di certezza del diritto”, sicché gli Stati membri hanno “l'obbligo di istituire un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile onde consentire ai singoli di conoscere i loro diritti ed obblighi” (par. 29 dell'ordinanza).

Il termine di trenta giorni previsto dall'art. 120, co. 2-bis, c.p.a. è pertanto compatibile con le “direttive ricorsi” solo a condizione che gli atti siano comunicati e accompagnati da “una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che i suddetti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata” (par. 32 dell'ordinanza).

La Corte ha richiamato la sua costante giurisprudenza secondo cui, l'efficacia del controllo giurisdizionale, garantito dall'art. 47 della Carta di Nizza, presuppone che “l'interessato possa conoscere la motivazione su cui si fonda la decisione adottata nei suoi confronti, vuoi in base alla lettura della decisione stessa vuoi a seguito di comunicazione della motivazione effettuata su sua richiesta, al fine di consentirgli di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il giudice competente, nonché per porre pienamente in grado quest'ultimo di esercitare il controllo sulla legittimità della decisione nazionale in questione” (par. 33 dell'ordinanza).

L'ordinanza non ha condiviso i dubbi sollevati dal giudice a quo sulla mancanza di interesse a ricorrere contro gli atti (di ammissione). Sul punto la Corte ha richiamato, infatti, il proprio precedente (Marina del Mediterraneo) in cui aveva espressamente riconosciuto l'autonoma impugnabilità degli atti di ammissione alla gara e l'art. 1, par. 3, della direttiva n. 89/665, laddove stabilisce chi può ricorrere contro gli atti di gara (i.e. “per lo meno” chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione), precisando che tale previsione legittima “qualunque offerente che ritenga che un provvedimento di ammissione di un concorrente a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico sia illegittimo e rischi di cagionargli un danno, in quanto simile rischio è sufficiente a giustificare un immediato interesse ad impugnare detto provvedimento, indipendentemente dal pregiudizio che può inoltre derivare dall' assegnazione dell'appalto ad un altro candidato” (par. 36 dell'ordinanza).

In conclusione, con riferimento alla prima questione, la CGUE ha pertanto affermato il seguente principio:

“(…) la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell' articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di 30 giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata”.

Con riferimento al secondo quesito, la CGUE ha richiamato la propria giurisprudenza in cui ha ripetutamente affermato che la:

realizzazione completa degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 89/665 sarebbe compromessa se ai candidati e agli offerenti fosse consentito far valere, in qualsiasi momento del procedimento di aggiudicazione, infrazioni alle norme di aggiudicazione degli appalti, obbligando quindi l'amministrazione aggiudicatrice a ricominciare l'intero procedimento al fine di correggere tali infrazioni”. L'ordinanza ha tuttavia sottolineato che il suddetto principio, sancito in astratto, non esclude - una volta applicato in concreto - che un termine di decadenza per contestare gli atti di gara “possa pregiudicare i diritti conferiti ai singoli dal diritto dell'Unione, segnatamente il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall'articolo 47 della Carta”.

La Corte, pertanto, ha rimesso al giudice a quo la verifica se:

(a) nelle circostanze di cui al procedimento principale, il ricorrente fosse effettivamente venuto (o sarebbe potuto venire) a conoscenza, grazie alla comunicazione ai sensi dell'art. 29 del Codice da parte della stazione appaltante, sia delle ammissioni e dei relativi motivi di illegittimità, e, dunque, sia stato posto “effettivamente in condizione di proporre un ricorso entro il termine di decadenza di 30 giorni di cui all'articolo 120, comma 2-bis, c.p.a.”;

(b) gli artt. 29 e 53, co. 2 e 3, del Codice impediscano alla ricorrente di “venire effettivamente a conoscenza dell'illegittimità del provvedimento di ammissione del raggruppamento di imprese aggiudicatario dalla stessa lamentata e di proporre un ricorso, a decorrere dal momento in cui la medesima ne ha avuto conoscenza, entro il termine di decadenza di cui all'articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo” (parr. 46 e 47 dell'ordinanza).

L'ordinanza ha precisato infatti che “il giudice nazionale deve fornire alla normativa interna che è chiamato ad applicare un'interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 89/665e che qualora tale interpretazione non fosse possibile “deve disapplicare le disposizioni nazionali contrarie a tale direttiva (..) dal momento che l'articolo 1, paragrafo 1, della stessa è incondizionato e sufficientemente preciso per essere fatto valere nei confronti di un'amministrazione aggiudicatrice” (par. 48 dell'ordinanza).

In conclusione, con riferimento al secondo quesito, la Corte ha affermato il seguente principio “la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di 30 giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata”.

L'obbligo di comunicazione degli atti di ammissione prevista dal d.l. “Sblocca cantieri”

La richiamata giurisprudenza della Corte, come visto, spinge verso l'autonoma impugnabilità degli atti di ammissione. Un radicale commiato dell'autonoma impugnazione degli stessi atti non trova peraltro conforto nell'art. 1, co. 1, lett. f) dello stesso d.l. laddove inserisce nell'art. 76, del Codice un co. 2-bis, recante l'obbligo di dare, immediatamente o al massimo entro cinque giorni, “avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all'articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell'amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, del provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della verifica della documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80, nonché' la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali, indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti”.

La lettura coordinata dell'art. 29, co. 1, e dell'art. 76, co. 2-bis, del Codice, nonché dell'art. 120, co. 5, c.p.a. (nonostante l'intervenuta soppressione del rito super-speciale sulle ammissioni/esclusione) potrebbe ingenerare negli operatori del settore l'incertezza circa la doverosità (e non, conformemente a quanto ritenuto dalla CGUE, la mera facoltà) dell'impugnazione delle altrui ammissioni a decorrere dalla comunicazione individuale.

La questione della “cristallizzazione delle medie”

Come noto, nel 2014, il legislatore ha introdotto l'art. 38, co. 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, riprodotto nel vigente Codice dei contratti pubblici, all'art. 95, comma 15, per evitare che le variazioni sulle ammissioni/esclusioni dalle gare, ancorché accertate giurisdizionalmente, sortiscano effetti in punto di determinazione delle medie e delle soglie di anomalia, ormai cristallizzate, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, al momento dell'aggiudicazione.

Tale regola, espressione del principio di conservazione degli atti giuridici, ha subito dei contemperamenti a seguito dell'introduzione dell'onere di immediata impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni. La dottrina e la giurisprudenza amministrativa avevano infatti precisato che l'autonomia della fase di ammissione e esclusione e la previsione di un apposito rito “super-speciale” impediscono l'immediata “cristallizzazione delle medie” giacché l'accoglimento dell'impugnazione delle ammissioni “non può non retroagire”, e che, diversamente opinando, “la stabilizzazione della soglia sarebbe "sterilizzata" da ogni eventuale illegittimità di una ammissione o esclusione tempestivamente contestata”.

L'art. 1, co. 1, lett. s) del decreto n. 32 ha modificato il richiamato art. 95, co. 15, del Codice specificando che deve considerarsi irrilevante, ai fini del calcolo delle medie nella procedura, e per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase amministrativa di prima ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte.

La specificazione dell'inciso “fase amministrativa di prima ammissione” induce a ritenere che il legislatore abbia voluto sgombrare il campo da ogni dubbio circa la possibile ridiscussione delle medie e della soglia di anomalia successivamente all'aggiudicazione. La suddetta modifica e il richiamo alla fase di ammissione, al contempo, non esclude, ma anzi avvalora, la tesi della possibile, autonoma impugnabilità degli atti di ammissione.

Quid iuris

Se, come visto, il regime transitorio dell'abrogazione del rito “super-speciale” non provoca particolari problemi interpretativi nell'individuazione del momento processuale cui il termine “iniziati" si riferisce (notifica), quid iuris nel caso in cui nella vigenza del suddetto (mini-)rito il concorrente avesse deciso di non impugnare le ammissioni degli altri concorrenti, ma impugnasse, dopo il 19 aprile 2019, l'aggiudicazione della gara contestando anche i requisiti di ammissione del primo classificato?

Un'interpretazione rigorosa che sostenesse la validità della preclusione stabilita dall'art. 120, co. 2-bis, c.p.a. fino al 19 aprile imporrebbe al giudice di dichiarare ormai tardive le censure sollevate sull'ammissione dell'aggiudicatario.

Potrebbe, tuttavia, diversamente sostenersi che il regime transitorio stabilito dall'art. 1, co. 5 del d.l. n. 32 non si riferisca solo ai ricorsi contro le ammissioni, ma a tutti i processi instaurati dopo la data di entrata in vigore del suddetto d.l. e, dunque, anche a quelli proposti per impugnare le aggiudicazioni.

Tale preferibile lettura trova, del resto, conforto nel regime transitorio del d.l. n. 32 per due ordini di motivi.

In primo luogo il dato letterale ("Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto") si riferisce all'abrogazione dell'art. 204 del Codice tout court incluso, pertanto, sia l'onere di immediata impugnazione che la relativa preclusione processuale.

Tale interpretazione è, in secondo luogo, come già detto, confortata dalla chiara volontà del legislatore di dettare una specifica disciplina transitoria per eliminare immediatamente il rito “super-speciale” (e dunque anche la suddetta preclusione) dal circuito processuale.

Per evitare di appesantire il sistema con ulteriori contrasti giurisprudenziali sarebbe comunque opportuno che legge di conversione specificasse che, anche per le gare bandite precedentemente all'entrata in vigore del d.l. n. 32, i vizi relativi alla fase di ammissione alla gara potranno essere fatti valere al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione.

Con l'espunzione della parentesi processuale introdotta dall'art. 204 del Codice e il venir meno della preclusione a contestare, al termine della gara, i vizi relativi alla fase di ammissione, al momento dell'impugnazione dell'aggiudicazione la giurisprudenza amministrativa dovrà, evidentemente, ancora confrontarsi con la questione dell'ordine di esame delle censure reciprocamente escludenti.

Sebbene il dialogo tra i giudici amministrativi e la CGUE abbia finalmente raggiunto alcuni “punti fermi” relativamente alle gare in cui abbiano partecipato solo due concorrenti, opportunamente cristallizzati dall'ordinanza dell'Adunanza Plenaria n. 6/2018, permangono ancora alcuni nodi da sciogliere, attualmente rimessi al vaglio della stessa CGUE, nell'ipotesi in cui le imprese in gara siano più di due.

La soluzione fornita dalla CGUE circa la possibilità di includere tra gli atti impugnabili anche quelli di ammissione potrebbe, tuttavia, consentire il superamento di tale querelle.

Come visto, dai richiamati approdi della Corte emerge che le “direttive ricorsi” non impongono al Legislatore interno di prevedere una separazione “in fasi” della procedura di gara né, dunque, obbligano a che vi sia una “decisione di ammissione” immediatamente impugnabile. Gli stessi precedenti hanno, tuttavia, precisato che qualora l'ordinamento nazionale contempli nell'iter della gara l'emanazione di una “decisione di ammissione”, la stessa deve poter essere immediatamente impugnabile in quanto le stesse direttive ostano a regole processuali interne che impongano ai ricorrenti di attendere l'esito della procedura per impugnare gli atti di ammissione potenzialmente in contrasto con il diritto dell'UE.

La Corte, ricavandosi sempre maggiore spazio nell'autonomia procedurale interna ha allargato al massimo le maglie delle disposizioni delle “direttive ricorsi” e degli standard minimi di tutela che gli Stati membri devono rispettare, tramite l'introduzione di regole processuali compatibili con il diritto euro-unitario, nell'ottica di garantire l'effettività delle “direttive contratti”. Se l'inclusione dell'ammissione tra gli atti immediatamente impugnabili, consente di correggere le violazioni in tempo utile per consentire il (corretto) proseguimento della gara,d'altra parte, la Corte UE, afferma che l'ammissibilità della suddetta impugnazione non può prescindere dall'esistenza dell'interesse all'aggiudicazione e di una lesione non derivante dalla (sola) violazione della normativa UE, ma dall'ammissione degli altri partecipanti alla gara.

La scelta di rendere autonomamente impugnabile la “decisione di ammissione” consente non solo di impedire la cristallizzazione delle medie e della soglia di anomalia rispetto a concorrenti privi dei requisiti, ma anche di limitare gli effetti paradossali delle censure reciprocamente escludenti nell'ipotesi in cui alla gara abbiano partecipato più di due partecipanti.

Si pensi al caso, non infrequente, in cui, al termine della gara, cui abbiano preso parte tre partecipanti (Alfa, Beta e Gamma), collocandosi rispettivamente al I, II e III posto, i primi due (Alfa e Beta) propongano ricorso contro le rispettive ammissioni. Qualora entrambe le censure escludenti fossero fondate, in base all'orientamento della V sezione del Consiglio di Stato, il giudice dovrebbe esaminare entrambi i ricorsi e rimettere la decisione tra l'eventuale scorrimento della graduatoria e la riedizione della gara, nella discrezionalità della stazione appaltante. Se si seguisse l'orientamento della III sezione del Consiglio di Stato, invece, i ricorsi (principale e incidentale) potrebbero essere entrambi esaminati solo qualora Alfa e Beta abbiano denunciato che i vizi delle rispettive ammissioni affliggano anche la partecipazione di Gamma.

Le criticità che assistono entrambi i richiamati orientamenti della V e della III sezione, ben evidenziate dall' ordinanza n. 6/2018 dell'Adunanza Plenaria, potrebbero, tuttavia, essere superati qualora si fornisse la possibilità ai due ricorrenti di impugnare (nell'ambito del medesimo processo) l'ammissione di Gamma, così evitando che l'eventuale scorrimento della graduatoria provochi l'inaccettabile conseguenza che l'affidamento a favore del terzo goda del beneficio dell'inoppugnabilità, in quanto gli altri due concorrenti, definitivamente esclusi dalla gara, risultano ormai privi di legittimazione a ricorrere.

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