Opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio

Lunella Caradonna
18 Giugno 2019

Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari e che nessuno può essere sottoposto a visite mediche o a ricovero ospedaliero contro la sua volontà in quanto l'art. 32 Cost. vieta i trattamenti sanitari obbligatori, consentendoli solo nelle ipotesi previste dalla legge.
Inquadramento

La disciplina dei trattamenti sanitari obbligatori era contenuta nella legge 13 maggio 1978, n. 180, recante «Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori», che è stata poi trasfusa nella legge 23 dicembre 1978, n. 833, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale.

Gli artt. 33 e 34 trattano degli accertamenti e dei trattamenti sanitari volontari e obbligatori, anche per malattia mentale, e l'art. 35 detta le regole del procedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale.

Il principio generale è che gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari e che nessuno può essere sottoposto a visite mediche o a ricovero ospedaliero contro la sua volontà in quanto l'art. 32 Cost. vieta i trattamenti sanitari obbligatori, consentendoli solo nelle ipotesi previste dalla legge.

Il conseguente corollario è che si può essere ricoverati in modo coattivo in strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate solo se ricorrono specifiche condizioni e se siano osservate determinate garanzie, ivi compresi il rispetto della dignità umana della persona e dei diritti civili e politici e, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.

In particolare, il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può avvenire in condizione di degenza ospedaliera solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; se la persona non vuole sottoporsi volontariamente a tali trattamenti e se non sussistano le condizioni che consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie al di fuori della struttura ospedaliera.

La fonte primaria è l'art. 32 Cost. che al primo comma tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e al secondo comma dispone che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La nozione di trattamento sanitario comprende sia le attività di carattere diagnostico che costituiscono i mezzi preliminari finalizzati alla formulazione di una diagnosi e alla individuazione della terapia più idonea, sia gli atti in senso stretto che il medico compie su una persona per tutelarne direttamente la salute.

In evidenza

Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario e senza il consenso informato l'intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatario o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente.

La pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo di perseguimento dei suoi migliori interessi (Cass. civ., sez. I, sent., 16 ottobre 2007, n. 21748).

Parimenti il diritto alla salute non può prescindere, ai fini di un'attenta considerazione, dalla dimensione individuale e collettiva del bene tutelato dall'art. 32 Cost. e si traduce non nella semplice assenza di malattia o in una condizione di integrità meramente fisica, ma in una complessiva situazione di integrità psico-fisica e in una dimensione di benessere complessivo derivante dall'equilibrio tra soma e psiche, che coinvolge gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto stesso (Corte cost., sent.,21 ottobre 2015, n. 221; Cass. civ., sent., 16 ottobre 2007, n. 21748).

Il procedimento. La convalida.

Il trattamento sanitario obbligatorio è disposto con provvedimento del sindaco del comune di residenza della persona sottoposta al trattamento o del comune dove la persona si trova.

Il sindaco dispone il provvedimento, nella sua qualità di autorità sanitaria, entro quarantotto ore dall'istanza avanzata da un medico qualsiasi e convalidata da un medico della struttura pubblica.

Il provvedimento con il quale viene autorizzato il trattamento sanitario obbligatorio viene inviato entro le quarantotto ore successive al giudice tutelare del tribunale, nella cui circoscrizione rientra il comune, per la convalida, accompagnato dalla proposta medica motivata richiamata dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

Il giudice tutelare, entro le successive quarantotto ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o a non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco.

Sarà il giudice tutelare (scelto dal legislatore perché come si legge nella relazione di presentazione alla legge è una categoria di magistrati capillarmente presenti sul territorio) che è competente per la tutela dei minori, degli interdetti, degli inabilitati e degli incapaci, a valutare l'opportunità di adottare i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e amministrare il patrimonio dell'infermo.

Il trattamento sanitario obbligatorio ha per legge la durata di 7 giorni, ma è previsto che il sanitario responsabile richieda una proroga del trattamento formulando tempestivamente una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, che a sua volta deve informarne il giudice tutelare per la convalida negli stessi tempi e nelle stesse forme sopra dette.

Analogamente il sanitario deve comunicare eventuali modifiche sulla necessità e sulla praticabilità del trattamento.

Chiunque può chiedere al sindaco la revoca o la modifica del provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio e il sindaco deve pronunciarsi entro dieci giorni.

La sua decisione deve essere comunicata al giudice tutelare per la eventuale convalida negli stessi tempi e nelle stesse forme già evidenziate per la convalida del trattamento iniziale.

La tutela giurisdizionale: normativa

L'art. 5 del decreto 13 maggio 1978, n. 180 tratta della tutela giurisdizionale.

Si tratta di una norma che è stata sottoposta ad una profonda revisione con il decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.

In particolare, la legge 18 giugno 2009, n. 69, che reca alcune disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione e la competitività, nonché alcune norme in materia di processo civile, che hanno quale finalità la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, ha stabilito specifici principi e criteri di delega che vanno nella direzione di una diminuzione di riti alternativi, con la previsione, nella sostanza, di tre modelli unitari, il rito ordinario di cognizione, il rito del lavoro e il rito sommario di cognizione.

Per i procedimenti aventi ad oggetto i trattamenti sanitari obbligatori, instaurati dopo l'entrata in vigore, è stata prevista l'applicazione del procedimento di cui all'art. 702-bis e ss. c.p.c.

In attuazione della delega disposta dall'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è stato emanato il decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, che ha, per l'appunto, dettato delle disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.

É lo stesso decreto legislativo a precisare l'ambito applicativo di ogni singolo modello e, per quel che rileva in questa sede, a specificare che si intende per «Rito sommario di cognizione il procedimento regolato dalle norme del capo III-bis del titolo I del libro quarto del c.p.c.» (art. 1, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150).

L'art. 34, comma 22, del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, ha apportato delle modifiche all'articolo 5 della legge 13 maggio 1978, n. 180, oltre ad avere abrogato i commi 4, 5, 6, 7 e 8 dello stesso articolo.

Il comma 4 disponeva, in particolare, la fissazione da parte del presidente del tribunale dell'udienza di comparizione delle parti con decreto in calce al ricorso e la notifica, a cura del cancelliere, alle parti e al pubblico ministero; mentre i commi 5 e 6 prevedevano il potere di sospensione del trattamento sanitario obbligatorio in capo al presidente del tribunale, prima dell'udienza di comparizione e dopo avere sentito il pubblico ministero, da esercitare entro dieci giorni dalla richiesta.

Il comma 7 disciplinava il rito camerale, durante il quale il tribunale poteva assumere informazioni e raccogliere le prove disposte d‘ufficio o su richiesta delle parti e, all'esito, provvedeva in camera di consiglio.

Il comma 8, infine, disponeva l'esenzione dall'imposto di bollo del ricorso e dei successivi procedimenti e il non obbligo della registrazione della decisione del processo.

In seguito all'intervento legislativo del 2011, chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare.

É previsto che alle controversie che riguardano il provvedimento di convalida del giudice tutelare si applica l'art. 21 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.

I soggetti legittimati al ricorso sono individuati, oltreché naturalmente nel destinatario del provvedimento, in «chiunque vi abbia interesse».

Possono, quindi, fare ricorso coloro che dal ricovero dell'infermo, e dalla conseguente limitazione di libertà del medesimo, ricevono un pregiudizio, come il coniuge; il legale rappresentante (genitore o tutore); ed ancora il pubblico ministero che ha l'obbligo di controllare la tutela degli incapaci.

Anche il sindaco ha la legittimazione attiva alla tutela giurisdizionale di cui all'art. 5 della legge 13 maggio 1978, n. 180.

In relazione al soggetto legittimato vengono in rilievo due diversi tipi di interessi tutelati.

In relazione alla legittimazione della persona interessata e delle altre persone legate a quest'ultimo l'interesse protetto dal legislatore è quello diretto ad evitare trattamenti sanitari obbligatori in assenza dei presupposti di legge; mentre con riguardo al ricorso del sindaco vengono in evidenza gli interessi della collettività correlati alla malattia.

In evidenza

In materia di trattamento sanitario obbligatorio, ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833, avverso il decreto del tribunale che annulla l'ordinanza, con la quale è stato disposto il trattamento, è legittimato a proporre ricorso per cassazione, il sindaco, non già in rappresentanza del comune, estraneo alla procedura, bensì nella qualità di ufficiale di governo, e cioè di organo diretto dello Stato, con la conseguenza che è conforme al dettato normativo la mera spendita della relativa qualifica e privo di rilievo invalidante perché estraneo alla fattispecie il richiamo alla deliberazione della giunta comunale (Cass. civ., sez. I, sent., 1 dicembre 2011, n. 25713).

In particolare: l'opposizione e il nuovo rito

Come già detto, l'art. 21 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 ha dettato delle profonde modifiche al rito che disciplina l'opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio.

Innanzitutto il legislatore ha specificamente previsto che alle controversie di cui all'articolo 5 della legge 13 maggio 29178, n. 180 si applica il rito sommario di cognizione, ove non sia diversamente disposto.

Il legislatore ha stabilito la competenza del tribunale in composizione collegiale e la partecipazione al giudizio di opposizione del pubblico ministero, conformemente al dettato normativo di cui all'art. 70 c.p.c.

L'intervento del pubblico ministero è espressamente previsto a pena di nullità rilevabile d'ufficio (art. 70, comma 1, n. 5, c.p.c.).

Anche il sindaco può depositare il ricorso in opposizione, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di quarantotto ore entro il quale il giudice tutelare emette il provvedimento (art. 3, comma 2, l. 13 maggio 1978, n. 180).

Il ricorso in opposizione può essere presentato a mezzo del servizio postale.

Le parti possono stare in giudizio personalmente e farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato.

Il presidente del tribunale, in deroga a quanto previsto dall'articolo 5, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l'udienza di comparizione e d'ufficio.

Il presidente del tribunale provvede sulla richiesta di sospensione entro dieci giorni.

Ciò costituisce un'espressa deroga all'art. 5 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150.

Nel corso del giudizio di opposizione il tribunale può assumere informazioni e disporre l'assunzione di prove d'ufficio.

Il procedimento è esente dal contributo unificato e la decisione non è soggetta a registrazione.

In relazione al profilo dell'impugnazione del provvedimento del tribunale, la giurisprudenza di legittimità, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 1 settembre 2011, n, 150, aveva affermato, con orientamento unanime, che il provvedimento di convalida del tribunale, poiché incideva in modo significativo sulla libertà personale ed era definitivo, era impugnabile mediante ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.

Il sistema previsto si configurava, quindi, come un sistema di doppia impugnazione: il giudice tutelare doveva convalidare il provvedimento del Sindaco e il tribunale collegiale decideva sul provvedimento del giudice tutelare.

I Giudici di legittimità avevano precisato che il controllo del tribunale era anche un controllo di merito avente ad oggetto, in applicazione della norma di cui all'art. 34 della legge 23 dicembre 1973, n. 833, l'esistenza delle specifiche condizioni previste dalla legge: alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, la mancata accettazione di tali interventi da parte dell'infermo e l'insussistenza di condizioni e circostanze tali da consentire l'adozione di tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere (Cass. civ., sez. I, sent., 23 giugno 1998, n. 6240).

Successivamente, in seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che ha consentito la deduzione del vizio di motivazione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. anche per provvedimenti contro i quali era ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, la Corte di cassazione ha affermato che il precedente orientamento non fosse più applicabile alla luce della modificazione intervenuta nell'art. 360 c.p.c. la quale attribuisce alla Corte un più penetrante potere di controllo in ordine alla motivazione del provvedimento emesso dal tribunale nel procedimento di convalida.

In evidenza

Il decreto emesso dal tribunale sul reclamo proposto dall'interessato avverso il decreto di convalida, adottato dal giudice tutelare, in ordine al provvedimento con cui il sindaco abbia disposto un trattamento sanitario obbligatorio è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., non essendo previsto altro mezzo di impugnazione dall'art. 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e trattandosi di provvedimento che, in quanto annoverabile tra quelli restrittivi della libertà personale, ha carattere decisorio, incidendo sul diritto soggettivo dell'interessato. Qualora, inoltre, detto decreto sia stato emesso in data successiva all'entrata in vigore del quarto comma dell'art. 360 c.p.c., è attribuito un più penetrante potere di controllo in ordine alla motivazione dell'indicato provvedimento emesso dal tribunale nel procedimento di convalida, rendendo sindacabile l'accertamento in fatto in esso contenuto non già sotto il profilo della mera esplicazione delle condizioni prescritte per l'assoggettamento al trattamento sanitario obbligatorio, ma sotto il profilo della correttezza logico-giuridica dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito (Cass. civ., sez. I, sent., 30 settembre 2011, n. 20078).

Con la nuova normativa introdotta dal decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, l'art. 21, non essendo stata espressamente esclusa l'appellabilità del provvedimento emesso dal tribunale in sede di opposizione alla convalida del giudice tutelare, si applica l'art. 702-quater c.p.c.

In evidenza

I Giudici di legittimità hanno affermato che i provvedimenti del tribunale assunti su ricorso avverso l'ordinanza di convalida del trattamento sanitario obbligatorio emessa dal giudice tutelare sono appellabili ex art. 702-quater c.p.c., in quanto il procedimento è integralmente regolato secondo il modello del rito sommario di cognizione, ai sensi dell'art. 21 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 (Cass. civ., sez. I, sent., 13 novembre 2015, n. 23297).

Si discute sui vizi possibili oggetto di censura in sede di ricorso, anche alla luce del fatto che non opera nel caso in esame il filtro di ammissibilità sulla mancanza della ragionevole probabilità di accoglimento di cui agli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.

Ed ancora si afferma l'operatività del divieto dei «nova» ammessi nel procedimento di appello nel procedimento sommario di cognizione, ove il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione (avuto specifico riguardo ai nuovi mezzi di prova e nuovi documenti) e che non consentiti nel rito di cognizione ordinario in seguito al decretolegge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

Sono pure ammessi nuovi mezzi di prova o nuovi documenti se la parte dimostra di non avere potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile.

Si applica, poi, anche la norma che prevede la possibilità di delega da parte del presidente del collegio dell'assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio.

Il decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 ha, inoltre, disposto che quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza pronunciata dal giudice, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti (art. 4, commi 1 e 2).

Ha, inoltre, affermato che il giudice, quando dichiara la propria incompetenza, dispone che la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del presente decreto; che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento e che restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento (art. 4, commi 4 e 5,d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150).

Nelle controversie regolate dal rito sommario di cognizione non si applicano i commi secondo e terzo dell'art. 702-terc.p.c.

Non è consentito al giudice, quindi, se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell'articolo 702-bisc.p.c., dichiararla inammissibile con ordinanza non impugnabile.

Allo stesso modo, se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, il giudice non può fissare l'udienza di cui all'articolo 183 c.p.c., con conseguente applicazione delle disposizioni del libro II che tratta del processo di cognizione.

Considerazioni conclusive

La nuova normativa in tema di opposizione al provvedimento di convalida del trattamento sanitario obbligatorio si ispira a criteri di semplicità, snelli, volendo offrire al giudice la possibilità di conformare le fasi del processo di opposizione alle necessità e alle esigenze che si presentano, in concreto, nei singoli casi specifici.

La possibilità per le parti di stare in giudizio senza ministero di difensore e di farsi rappresentare da persona munita di mandato che agisce quindi in nome e per conto del ricorrente, così come il rito sommario di cognizione prescelto depongono nel senso che la procedura scelta dal legislatore per le opposizioni ai provvedimenti di convalida dei trattamenti sanitari obbligatori, pur essendo una procedura alternativa al processo a cognizione ordinaria, è un procedimento a cognizione piena.

Si tratta, infatti, è bene ribadirlo, di un procedimento che, anche se motivato, nell'ambito dell'opera di semplificazione attuata dal legislatore con l'emanazione del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, dall'esigenza di rendere più celere la definizione delle controversie, va qualificato rito speciale ed implica la cognizione piena delle domande e delle eccezioni delle parti.

Rimane da chiedersi se la volontà del legislatore diretta alla semplificazione dei riti come si concilia e se si concilia con i rilevanti interessi coinvolti, sia quelli individuali, che collettivi.

Riferimenti
  • M. Cataldi, Il procedimento sommario di cognizione, Torino, 2013;
  • S.P. Panunzio, Trattamenti sanitari obbligatori e Costituzione (a proposito della disciplina delle vaccinazioni), in Diritto e società, 1979, , pp. 900-901;
  • A.M. Sandulli, La sperimentazione clinica sull'uomo, in Diritto e società, 1978, p. 508;
  • A. Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013.
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