Sulla natura, sul contenuto e sui limiti dei contratti continuativi: note a margine di Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 27 dicembre 2018 n. 7256

Marco Velliscig
21 Giugno 2019

La sentenza in esame costituisce il primo arresto giurisprudenziale del Consiglio di Stato circa i limiti, necessariamente elaborati ed elaborandi in sede pretoria, dell'oggetto dei contratti continuativi introdotti all'art. 105, comma 3, lett. c-bis, dal D.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 (c.d. decreto correttivo), ed impone all'interprete di interrogarsi circa la natura ed il contenuto della fattispecie. In particolare i predetti negozi non paiono potersi qualificare come subcontratti, attese le loro specifiche caratteristiche che ne impongono, ontologicamente, l'autonomia rispetto al contratto d'appalto cui possono accedere.
Premessa

La disciplina pubblicistica del subappalto è notoriamente soggetta a frequenti modifiche legislative, spesso dettate dall'esigenza di trovare un contemperamento tra l'impostazione liberale delle normativa comunitaria e gli stringenti vincoli di quella nazionale (sul punto si veda C. DEODATO, Il subappalto: un problema o un'opportunità?, in lamministrativista.it) derivanti dallo storico disfavore verso l'istituto, considerato il principale viatico per l'infiltrazione di organizzazioni malavitose nella contrattualistica pubblica (basti ricordare che già l'art. 339 della legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865 n. 2248 prevedeva il divieto di subappalto senza il previo consenso della stazione appaltante e che la prima norma generale in materia è stata introdotta all'art. 18 della Legge 19 marzo 1990 n. 55, c.d. legge antimafia).

Non secondario indice della contrapposizione tra le due contrastanti anime della legislazione sul subappalto sono le frequenti rimessioni della norma nazionale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee: si veda, da ultimo e relativamente al limite quantitativo, Cons. St., Sez. VI, ord. 11 giugno 2018 n. 3553 (con nota di C. CICCOLO, Subappalto: rimessione alla CGUE della questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con il diritto eurounitario dei limiti quantitativi al subappalto, in lamministrativista.it) e T.A.R. Milano, Sez. I, ord. 19 gennaio 2018 n. 148 (con nota di G.A. GIUFFRÈ, Alla CGUE la questione pregiudiziale di compatibilità euro-unitaria del limite italiano al subappalto, in lamministrativista.it).

Nel contesto dell'attuale codice dei contratti pubblici, il quale mantiene forti limitazioni all'istituto (si veda G. TROPEA, La controversa disciplina del subappalto nel nuovo codice dei contratti pubblici, anche alla luce del decreto correttivo, in lamministrativista.it), la novella dell'anno 2017 ha introdotto una nuova fattispecie negoziale esclusa ex lege dall'ambito di applicazione della normativa sul subappalto.

Oltre alle due ipotesi già indicate all'art. 118, comma 12, del previgente D. lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (id est gli affidamenti di attività specialistiche a lavoratori autonomi e la subfornitura a catalogo di prodotti informatici) e alla terza introdotta dal D.lgs. n. 50/2016 (l'affidamento di servizi per importi esigui a imprenditori agricoli stabiliti in particolari zone), l'attuale formulazione dell'art. 105, comma 3, prevede che non costituiscano subappalto «le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto».

L'estrema sinteticità del disposto normativo comporta la necessità di indagare l'istituto che, ad una prima lettura, sembra determinare una restrizione non di poco momento dell'ambito di operatività delle norme sul subappalto, con il non secondario effetto di consentire, quantomeno in potenza, l'utilizzo del nuovo istituto al fine di eluderne la stringente normativa (si pensi ad esempio ai limiti quantitativi previsti al comma 2 dell'art 105, la responsabilità solidale per gli obblighi contributivi e retributivi prevista al comma 8, ecc).

L'elaborazione giurisprudenziale

Nel delineato contesto occorre pertanto muovere l'indagine dall'elaborato pretorio.

La giurisprudenza in materia (invero limitata) pare aver adottato un'interpretazione restrittiva (sul punto vedasi S. DEL FABRO, Contratti continuativi di cooperazione e limiti al subappalto, in zoppolatoeassociati.it) da un lato limitando l'utilizzo dell'istituto alle procedure indette dopo l'entrata in vigore del decreto correttivo (cfr. T.A.R. Milano, Sez. IV, sent. 28 maggio 2018 n. 1366; Cons. di Stato, Sez. V, sent. 18 gennaio 2019 n. 471 e id., Sez. III, sent. 16 gennaio 2019 n. 402; contra T.A.R. Bologna, Sez. II, sent. 20 giugno 2018 n. 514) dall'altro definendo in modo puntuale il contenuto delle prestazioni deducibili nei contratti continuativi.

In particolare la giurisprudenza di primo grado, basandosi sul principio di personalità nell'esecuzione dell'appalto sancito al primo comma dell'art. 105 (cfr. T.A.R. Roma, Sez. III, sent. 29 gennaio 2019 n. 1135), ha chiarito che le prestazioni oggetto dei contratti continuativi devono avere carattere sussidiario e secondario rispetto a quelle oggetto dell'appalto pubblico (cfr. T.A.R. Palermo, Sez. III, sent. 6 dicembre 2018 n. 2583; contra T.A.R. Bologna, Sez. II, sent. 4 marzo 2019 n. 221) ed avere ad oggetto un facere (cfr. T.A.R. Trieste, Sez. I, sent. 31 dicembre 2018 n. 384).

Nell'orientamento volto a delimitare il contenuto delle prestazioni dei contratti de quibus si colloca la sentenza in esame, nella quale i Giudici di Palazzo Spada hanno stabilito il principio, basato sulla lettera della legge («…le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi…»), per cui «Le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (ora, come detto, espressamente così definite dall'art. 105, comma 3, lett. c-bis) del codice) sono rivolte a favore dell'operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest'ultimo come avviene nel caso del subappalto (che, non a caso è definito dall'art. 105, comma 2, come “Il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”)».

Le successive pronunce sembrano aver accolto tale interpretazione, laddove è stato ribadito che «il principale elemento che differenzia il subappalto dal contratto di cooperazione è quindi la “direzione” delle prestazioni, rivolte alla Stazione appaltante oppure al soggetto affidatario dell'appalto» (TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 15 febbraio 2019, n. 198).

Così riassunto l'attuale approdo giurisprudenziale, è opportuno soffermarsi brevemente sulle fattispecie del (genus) subcontratto e del (la species) subappalto, con particolare attenzione alla loro natura giuridica.

I subcontratti

Il Codice Civile non fornisce una definizione di subcontratto, limitandosi a regolarne specifiche ipotesi (cfr. A. FUSARO, Il subcontratto, in Trattato del contratto, III, Effetti, diretto da V. ROPPO, a cura di M. COSTANZA, Giuffré, 2006, 255 e ss.), talvolta premettendo il suffisso -sub al tipo contrattuale come, ad esempio, per la subenfiteusi (art. 968 c.c.), per la sublocazione (art. 1594 c.c.), per il subaffitto (art. 1624 c.c.), per il subappalto (art. 1656 c.c.), altre volte omettendolo (cfr. artt. 1717, 1770, 1804, comma 2, c.c.).

La migliore dottrina ha quindi sopperito al silenzio codicistico definendo il subcontratto come il negozio giuridico con cui «una parte reimpiega nei confronti di un terzo la posizione che gli deriva da un contratto in corso, detto contratto base» (C.M. BIANCA, Diritto civile, 3. Il contratto, Giuffré, II ed., 2000, 691), con l'effetto di far acquisire a quest'ultimo il diritto ad ottenere la prestazione ovvero di obbligarlo ad eseguirla in sua vece (cfr. V. ROPPO, Il contratto, Giuffré, 2001, 600).

La medesima dottrina ha inoltrespecificato che «il contratto riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume col terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto» (ibidem).

Un risalente orientamento (F. MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. CICU e F. MESSINEO, Tomo I, Giuffrè, 1968, 719 e ss.) identificava nei subcontratti un'ipotesi, tendenzialmente unilaterale (giacché di norma la patologia del contratto base si riverbera sul subcontratto ma non viceversa), di collegamento negoziale quale connessione teleologica tra più contratti, strutturalmente autonomi per causa e tipo, funzionalizzati al perseguimento di un effetto ulteriore rispetto a quelli tipici.

Attenta dottrina ha contestato tale interpretazione, sostenendo che non vi sia alcun effettivo nesso teleologico tra i due contratti in parola poiché le parti agiscono nel perseguimento di interessi autonomi (cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVI ed., Edizioni scientifiche italiane, 2013, 1050).

L'orientamento attualmente maggioritario, richiamando la disciplina della sublocazione (in specie l'art. 1595, comma 3, c.c.), qualifica i subcontratti come contratti derivati, caratterizzati dalla replica del tipo negoziale e dell'oggetto del contratto base e dalla stretta dipendenza ad esso, in termini di derivazione (c.d. subderivazione) e subordinazione, con la conseguente e necessaria cessazione al momento della cessazione del contratto base.

Anche la disciplina della contrattualistica pubblica conosce e norma l'istituto dei subcontratti distinguendoli, a contrariis, dalla presunzione iuris et de iure contenuta al secondo comma dell'art. 105 e dall'elenco previsto al terzo comma (ferme le considerazioni che si diranno circa i contratti continuativi) assoggettandoli al solo onere di comunicazione alla stazione appaltante ai sensi dell'art. 105, comma 2, del Codice («…L'affidatario comunica alla stazione appaltante, prima dell'inizio della prestazione, per tutti i sub-contratti che non sono subappalti, stipulati per l'esecuzione dell'appalto, il nome del sub-contraente, l'importo del sub-contratto, l'oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati. Sono, altresì, comunicate alla stazione appaltante eventuali modifiche a tali informazioni avvenute nel corso del sub-contratto»).

Il subappalto

Il subappalto è un negozio bilaterale tipico (sinallagmatico e ad effetti obbligatori) regolato nella disciplina civilistica agli artt. 1656 e 1670 c.c. e definito come il contratto con cui una parte, l'appaltatore, affida ad un terzo, il subappaltatore, l'esecuzione delle prestazioni che egli si è impegnato a compiere, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio, nei confronti del committente, rispetto al quale il terzo resta estraneo.

Il tipo negoziale, autonomo rispetto al contratto d'appalto (P. RESCIGNO, Codice Civile, Tomo I, X ed., Giuffrè, 2018, 3258), è unico nonostante le prestazioni dedotte possano consistere nella realizzazione di un'opera ovvero nell'esecuzione di un servizio (D. RUBINO, Dell'appalto, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. SCAJOLA e G. BRANCA, Modena, 1961).

In quanto subcontratto ha natura derivata e soggiace alla medesima disciplina del contratto base (il che non significa che il concreto contenuto pattizio non possa essere diverso), ne condivide la causa e ne segue la sorte.

Il subappalto di un opus pubblico, ferma la natura di contratto derivato (cfr. ex multis Cons. di Stato, Sez. III, sent. 30 novembre 2018 n. 6822 e id., Sez. V, sent. 16 marzo 2018 n. 1698 nonché, in dottrina, A. CIANFLONE, G. GIOVANNINI, V. LOPILATO, L'appalto di opere pubbliche, XIII ed. , Tomo II, Giuffré, 2018, 1770 e ss.), ha sempre goduto di una disciplina specifica (circa la stratificazione normativa che ha caratterizzato il subappalto si veda S. FANTINI, Il subappalto, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, R. GAROFOLI, Tomo V, Giuffrè, 2008, 3401. cfr. anche G.A. Giuffrè, Subappalto, in l'amministrativista.it e, id., il subappalto nei contratti pubblici tra autonomia imprenditoriale e limiti di interesse pubblico, in Rivista italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 1, 1 febbraio 2018, 85 e ss.), attualmente prevista all'art. 105 del Codice che, stanti i rinvii agli artt. 114 e 174, si configura come norma di applicazione generale.

La giurisprudenza amministrativa ha fatto propria una nozione sostanziale di subappalto, indentificandolo in ogni contratto stipulato tra l'appaltatore ed un terzo in forza del quale alcune prestazioni sono eseguite da quest'ultimo (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2006 n. 518). Tale impostazione trova attualmente conferma nella definizione legislativa contenuta al comma 2 dell'art. 105Il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto»).

Il subappalto pubblico attiene alla fase esecutiva del contratto d'appalto ed è regolato dal generale principio di esecuzione in proprio («I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto a pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 106, comma 1, lettera d). È ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo»).

Tale principio, introdotto nell'ordinamento sin dalla disciplina antimafia del 1990 (la legge sui lavori pubblici del 1865 parlava invece del principio di conduzione personale), si fonda sul carattere fiduciario del contratto di subappalto.

Ciò comporta la conferma del generale divieto di ricorrere al subappalto nei pubblici affidamenti salvo i casi previsti e regolati dalla normativa («È ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo»).

I contratti continuativi

Come ricordato, la novella del 2017 ha normato l'istituto dei contratti continuativi, stabilendo che:

«3. Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: c-bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto».

La norma non offre alcuna definizione del negozio in esame, rimettendola all'interprete, ma si limita ad escluderne, tramite una presunzione assoluta ed ai soli fini della normativa sulla contrattualistica pubblica, la natura di subappalto qualora ricorra la condizione temporale ivi indicata.

In prima approssimazione pare potersi affermare che i contratti continuativi richiamati dalla norma siano una fattispecie negoziale di natura atipica, quantomeno bilaterale, ad effetti obbligatori e a forma libera (fermo quanto si dirà circa la necessaria forma scritta ad partecipationem) con cui una parte si impegna, verso (si suppone, ma nulla osta al contrario) un corrispettivo, ad eseguire in favore di un'altra una o più prestazioni collegate (rectius sospensivamente condizionate) all'aggiudicazione ed esecuzione da parte della seconda di futuri contratti d'appalto pubblici (quantitativamente anche indeterminati, purché determinabili).

Elemento centrale dell'impianto normativo è quindi il fattore temporale, giacché da esso discendono conseguenze non di poco momento.

… la loro (triplice?) natura …

Elemento precipuo della fattispecie normata dal Codice è la riconducibilità di un medesimo rapporto negoziale a tre differenti istituti “ratione temporis”: il subappalto, il subcontratto e il contratto continuativo.

Infatti, la norma prevede che le prestazioni indicate (in specie la collaborazione, i servizi e la fornitura) non costituiscano subappalto solo qualora siano rese dal terzo in forza di contratti continuativi sottoscritti prima dell'indizione della procedura d'affidamento. Ciò comporta una bipartizione temporale: le medesime prestazioni (ed i relativi titoli) mutano natura (rientrando o meno nella definizione di subappalto), ai fini pubblicistici, in base al momento in cui il titolo che ne ha dato causa è stato perfezionato.

Infatti i contratti continuativi stipulati prima dell'indizione della gara ontologicamente non presentano (né potrebbero presentare) il carattere derivato tipico dei subcontratti, giacché manca in toto il contratto base (e finanche la procedura diretta alla sua stipulazione «…sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto»).

Trattasi quindi di contratti autonomi che possono trovare nel contratto d'appalto (successivamente stipulato da una delle due parti) al più una condizione sospensiva (quale evento futuro e incerto) della loro efficacia.

Non sussistendo il prefato collegamento l'efficacia del contratto continuativo non è legata a quella del contratto d'appalto poiché lo precede e ben può sopravvivergli (al contrario, i subcontratti cessano di avere efficacia al termine del contratto base da cui derivano, secondo il principio simul stabunt simul cadent).

Al contrario, qualora tali contratti siano stipulati contestualmente o dopo l'indizione della procedura d'affidamento dell'appalto pubblico, non rientrando nell'ambito di applicazione della novella legislativa, essi potranno essere alternativamente qualificati (ai fini di quello specifico procedimento) come subcontratti o subappalti pubblici, a seconda che presentino o meno le caratteristiche quantitative e funzionali individuate al secondo periodo dell'art. 105, comma 2, del Codice.

...ed il loro contenuto

Chiarita la portata dirimente dell'elemento temporale, si può quindi procedere all'analisi del contenuto negoziale del contratto.

L'oggetto del contratto consiste, come chiarito anche in sede pretoria, nell'esecuzione di “prestazioni, id est un facere, nei confronti del solo aggiudicatario.

La richiamata giurisprudenza, infatti, si fonda sull'interpretazione letterale della norma valorizzandone l'inciso «prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari».

Quanto all'oggetto di tali prestazioni, da un lato il comma 3 dell'art. 105 espressamente limita la propria efficacia ai soli contratti di servizi o forniture («Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto») mentre, dall'altro, la lettera c-bis cita testualmente tre distinte ipotesi: a dire la cooperazione, il servizio e la fornitura («..in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura…»).

Occorre quindi domandarsi se i contratti de quibus possano essere utilizzati anche nell'ambito di affidamenti di lavori, interpretando estensivamente il termine “cooperazione” quale sinonimo di “lavori”, in ossequio alla nota triade dell'oggetto della contrattualistica pubblica “lavori, servizi e forniture”.

Tuttavia, contro tale tesi milita l'emergenza testuale della norma che da un lato fa espresso riferimento alla categoria “cooperazione” e, dall'altro, espressamente esclude i lavori dall'ambito di applicazione del comma 3 («Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità…»).

L'interpretazione letterale, e rispettosa del principio ubi lex voluit dixit, porterebbe quindi ad escludere che i prefati negozi possano avere ad oggetto prestazioni lavorative.

Questa seconda, e più rigorosa, interpretazione, tuttavia, lascia impregiudicato il dubbio circa il significato da dare al termine “cooperazione” che, di fatto, rimane sfornito di significato e ragion d'essere (con conseguente abrogazione implicita della norma in parte qua).

Né tale aggettivo potrebbe riferirsi al contratto in sé giacché la parola “collaborazione” è lessicalmente collegata ai termini “servizi” e “forniture” tramite l'uso della virgola, in funzione enumerativa, e delle congiunzioni “e/o”.

Quanto alla forma, essendo contratti privatistici e atipici, pare potersi applicare il principio della libertà delle forme.

Tuttavia la norma stabilisce l'(unico) onere per gli operatori economici che intendano avvalersene di “depositare” i contratti presso la stazione appaltante «…prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto»).

Sicché pare potersi concludere che la forma scritta sia richiesta quantomeno ai fini della spendita del vincolo negoziale nella procedura competitiva pubblica mentre, nel silenzio della norma, non sembra necessaria la data certa.

Quanto, infine, al profilo temporale, fermo quanto già dedotto circa la necessaria preesistenza del negozio all'indizione della procedura per l'affidamento dell'appalto, merita soffermarsi sulla definizione codicistica dei contratti. La norma infatti non si limita ad indicare genericamente i contratti di (rectius che abbiano ad oggetto) collaborazione, servizi o forniture ma li definisce «continuativi».

Tale aggettivo pare richiamare la stabilità del rapporto negoziale in oggetto, a dire che il vincolo tra i due contraenti deve connotarsi da una ripetitività o durata non limitata all'esecuzione del singolo appalto cui accede.

In favore di tale lettura è possibile richiamare, in via analogica, il disposto dell'art. 1677 c.c. che norma, all'interno del capo VIII (Libro IV, Titolo III) relativo al contratto d'appalto, la «prestazione continuativa o periodica di servizi» rinviando, proprio in ragione della stabilità del vincolo (come chiarito nella Relazione al Codice), (anche) alle disposizioni sul contratto di somministrazione in quanto compatibili.

In conclusione

La presunzione introdotta con la novella del 2017 ha quindi individuato, ai fini pubblicistici, una nuova (e singolare) categoria di negozi d'impresa caratterizzata dall'estrema ampiezza dell'ambito applicativo e potenzialmente idonea ad eludere la stringente normativa sul subappalto sedimentatasi da decenni nell'ordinamento nazionale, innanzi alla quale la (prima) giurisprudenza pare avere adottato (quasi unanimemente) un'interpretazione restrittiva.

Dal sintetico disposto legislativo può tuttavia desumersi che i negozi de quibus costituiscono una (nuova) categoria di contratti d'impresa non riconducibile, nonostante la collocazione sistematica della norma, nel genus dei subcontratti, giacché i contratti continuativi ontologicamente non presentano alcun collegamento genetico o funzionale con il contratto d'appalto pubblico (al quale devono preesistere e ben possono sopravvivere) e presentano una disciplina difforme con riferimento all'onere di comunicarli alla stazione appaltante, tanto rispetto al profilo temporale quanto contenutistico.

Infatti il secondo comma dell'art. 105 dispone l'onere per l'operatore economico di “comunicare” alla stazione appaltante, «prima dell'inizio della prestazione», taluni elementi del subcontratto (il nome del sub-contraente, l'importo del sub-contratto, l'oggetto e le eventuali modifiche a tali informazioni).

I contratti continuativi, invece, sono soggetti ad un più “gravoso” onere di deposito del titolo presso la stazione appaltante, da effettuarsi non entro il termine dell'inizio dell'esecuzione bensì «prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto».

Alla luce di quanto esposto, quindi, si propone di qualificare i contratti continuativi come un tertium genus all'interno della disciplina dell'esecuzione dei contratti pubblici che si affianca a quella dei subcontratti (e, a fortiori, del subappalto).

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