Il diritto all'assegno di divorzio dopo la pronuncia delle Sezioni Unite
28 Giugno 2019
Massima
Il profilo assistenziale va calato nel contesto sociale della parte economicamente più debole, determinato sia da condizioni strettamente individuali sia da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori dal nucleo familiare. Il caso
Il Tribunale de L'Aquila ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi provvedendo all'affidamento e mantenimento dei figli e fissando altresì in euro 300,00 mensili l'assegno di divorzio che il marito era tenuto a versare alla moglie. Inoltre, i giudici di merito, hanno accertato che la moglie svolgeva lavori precari e a basso reddito e che il marito aveva continuato a svolgere la propria attività imprenditoriale con conseguente riconducibilità a lui dei redditi ricavati dall'impresa intestata formalmente alla convivente. Conseguentemente, il Tribunale, ritenuta l'inadeguatezza dei mezzi della moglie, raffrontati al tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, durato circa trent'anni, ha posto a carico del marito l'assegno predetto. Il marito ha interposto appello, chiedendo che venisse dichiarato che nulla era dovuto a titolo di assegno divorzile in favore della moglie, lamentando che il Tribunale aveva erroneamente fatto riferimento al “tenore di vita” goduto nel corso della vita matrimoniale, in tal modo perpetuando gli effetti del legame ormai sciolto senza tener conto della intervenuta autosufficienza economica della moglie. La questione
Alla luce delle condizioni economiche del coniuge richiedente e delle altre circostanze in atti è possibile e a quali condizioni ritenere sussistente il diritto dello stesso a ricevere un assegno divorzile dall'altro coniuge? Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento è stata tra le prime ad applicare i criteri interpretativi indicati dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 18287/2018. Va rammentato, al riguardo, che, relativamente all'interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come modificato dall'art. 10, l. n. 74/1987, il contrasto, sorto, sin da subito, in dottrina e giurisprudenza, riguardava il concetto di mancanza di mezzi adeguati: secondo un orientamento, avrebbe dovuto essere valorizzato il c.d. tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; secondo un altro orientamento, il diritto all'assegno avrebbe dovuto essere escluso ogni qual volta il coniuge richiedente si fosse trovato in una condizione economica tale da garantire allo stesso una dignitosa autonomia economica. A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite. Con la pronuncia 29 novembre 1990, n. 11490, è stata accolta l'interpretazione valorizzatrice del tenore di vita uguale o analogo a quello goduto durante il matrimonio, quale criterio riequilibratore delle eventuali scelte adottate, nel corso del matrimonio, di comune accordo o imposte al coniuge più debole, gli altri criteri indicati dalla norma rilevando esclusivamente per calmierare, ridurre o, se del caso, azzerare l'obbligo di contribuzione. Per accertare la mancanza di mezzi adeguati e l'incapacità a procurarseli, occorreva, quindi, non la sussistenza di uno stato di bisogno, quanto un apprezzabile deterioramento delle precedenti condizioni economiche, tenuto conto del tenore di vita effettivamente goduto o che avrebbe potuto essere ragionevolmente goduto in considerazione delle condizioni economiche dei coniugi rimanendo irrilevante il fatto che l'avente diritto fosse in grado di produrre un reddito dignitoso. L'orientamento della Suprema Corte, dopo quasi un ventennio di generale e tendenziale applicazione, quantomeno in termini di enunciazione di principio da parte dei Tribunali e delle Corti d'appello, ha cominciato ad essere messo in discussione. In particolare, occorre ricordare che con la sentenza 10 maggio 2017, n. 11504 (c.d. sentenza Grilli), la Corte di Cassazione ha, tra l'altro: - valorizzato l'effetto estintivo della pronuncia di divorzio rispetto al rapporto matrimoniale e ai relativi reciproci diritti-doveri di natura personale, ed economica, fermi gli obblighi connessi all'eventuale responsabilità genitoriale; - sottolineato che la natura assistenziale dell'assegno divorzile rappresenta un'esplicazione del dovere inderogabile di solidarietà economica, che non deve trasmodare in una illegittima locupletazione; - il parametro del tenore di vita applicato anche nella fase dell'an debeatur colliderebbe con la natura stessa del divorzio determinando una indebita "ultrattività" del vincolo matrimoniale; - valorizzato il principio di autoresponsabilità economica dei coniugi; - sottolineato che la funzione assistenziale dell'assegno divorzile è connessa al raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del coniuge; Il revirement operato dalla Cassazione è stato, nel periodo immediatamente successivo, seguito, in vario modo, da diversi Tribunali e Corti d'appello. Al fine di dirimere nuovamente il contrasto interpretativo in ordine alla corretta delimitazione del concetto di mancanza di mezzi adeguati e impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, la pronuncia delle Sezioni Unite del 2018, come succintamente ricordato dalla sentenza in esame, ha evidenziato, tra le altre cose, il carattere prevalentemente perequativo-compensativo dell'assegno, in quanto il c.d. criterio assistenziale va calato nel contesto sociale della parte economicamente più debole, e l'adeguatezza dei mezzi va considerata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche tenendo conto del contributo dato dal coniuge richiedente alla vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi per una sola parte. Da qui la funzione equilibratrice dell'assegno, non però finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita coniugale, quanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. Sulla scorta di tale principio, quindi, la Corte d'appello ha semplicemente ridotto, senza eliminarlo, l'assegno divorzile ad euro 200,00 valorizzando le seguenti circostanze: - lo squilibrio della situazione economica delle parti a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale; - la titolarità in capo al marito di un reddito imponibile di circa 16.000,00 – 18.000,00 euro annui; - il fatto che la moglie durante la vita coniugale durata circa 30 anni (1981-2011) non aveva svolto attività lavorativa esterna, dedicandosi, in accordo col marito, esclusivamente alla cura della casa e delle due figlie; - il contributo prestato dalla moglie alla vita coniugale era valutabile economicamente quanto meno come risparmio di spesa per il marito per il mancato pagamento di personale di casa; - la moglie, dopo trent'anni senza impiego e all'età di circa 55 anni si trovava ad essere pregiudicata nella prospettiva di una idonea e stabile occupazione lavorativa, pur svolgendo la stessa attività di domestica presso privati dalla quale poteva ritrarre al massimo un reddito pari a non più di 700,00 euro mensili. Osservazioni
L'orientamento delle Sezioni Unite, fatto immediatamente proprio dalla Corte d'Appello, non va esente da critiche. Infatti, se è pur vero che il matrimonio deve considerarsi il luogo degli affetti per eccellenza, con conseguente centralità dei doveri di natura personale propri della disciplina matrimoniale (ex artt. 143 c.c.), è anche vero che esso è un negozio giuridico che, per i rilevanti profili patrimoniali che lo caratterizzano, se non è sussumibile in una vera e propria tipologia contrattuale, ne condivide certamente la struttura e i principi. Il pregio della c.d. sentenza Grilli, più sopra citata, e superata dalla pronuncia delle Sezioni Unite, è stato quello di avere valorizzato il principio di autoresponsabilità economica dei coniugi, in linea con quanto previsto anche dalle legislazioni di altri Paesi dell'Unione Europea, principio che guida non solo le scelte e le decisioni adottate nel corso del rapporto matrimoniale, ma, ancor prima, la stessa scelta di stipulare il matrimonio. Al riguardo, occorre considerare come il negozio matrimoniale, oltre ad avere certamente natura anche onerosa (per le obbligazione di natura patrimoniale che gravano su entrambi i coniugi), sia caratterizzato da una rilevante componente aleatoria che comprende il rischio, fin dal momento della celebrazione, della possibile successiva separazione e divorzio. Ecco allora che la componente aleatoria di tale negozio, pur tenendo conto del principio di solidarietà familiare, non consente di valorizzare, in punto an debeatur, il profilo risarcitorio dell'assegno divorzile. Colui che, infatti, in assenza di costrizioni effettive (e non soggettivamente ritenute tali), si unisce in matrimonio e nel corso dello stesso compia scelte per sé pregiudizievoli, ma sostanzialmente evitabili, perché non realmente necessitate, non può trovare poi successivamente una tutela riequilibratrice e ripristinatoria, ma esclusivamente assistenziale, nel solo caso in cui per condizioni di età, salute ecc.. si venga di fatto a trovare in una condizione di impossibilità di vivere dignitosamente sotto il profilo economico. V. CIANCIOLO, L'assegno di divorzio dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287, in Le tutele legali nelle crisi di famiglia, Rimini, 2018 E. QUADRI, L'assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: gli ex coniugi persone singole di fronte al loro passato comune, NGCC, 9/2017, 1261 ss. |