Affidamento condiviso del minore in caso di residenza all'estero di un genitore
02 Luglio 2019
Massima
L'affidamento condiviso del minore costituisce la regola, anche nel caso di rilevante distanza geografica tra la residenza del figlio e quella del genitore non collocatario, alla quale è possibile derogare, in favore dell'affidamento esclusivo, soltanto nel caso in cui si ravvisi un pregiudizio per l'interesse del minore, ovvero, in presenza di circostanze talmente gravi da compromettere il benessere e lo sviluppo psicofisico del figlio, alla luce di una manifesta carenza e comprovata inidoneità genitoriale. Il caso
Nell'ambito di una procedura di regolamentazione dell'affidamento del minore, nato da genitori non coniugati, il Tribunale ordinario dispone l'affidamento esclusivo del figlio alla madre in ragione sia della residenza all'estero del padre, il quale vive e lavora in Belgio, sia della elevata conflittualità tra i genitori, pur escludendo una inidoneità genitoriale di quest'ultimo. Su gravame proposto dal padre, la Corte d'Appello di Roma, con decreto, dispone l'affido condiviso del figlio minore, attribuisce ad entrambi i genitori l'esercizio della responsabilità genitoriale, in forma congiunta per le questioni di maggiore interesse per la vita del minore ed in forma disgiunta, secondo i tempi di permanenza presso ciascun genitore, per le questioni di ordinaria gestione, confermando la collocazione prevalente del figlio presso la madre e disciplinando le modalità e i tempi di visita del padre; ammonisce entrambi i genitori a cessare i comportamenti conflittuali pregiudizievoli al minore e di ostacolo al corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Avverso detta decisione ricorre per cassazione la donna secondo la quale la Corte d'Appello, non avendo svolto un'adeguata istruzione probatoria volta ad accertare la capacità genitoriale del padre, come richiesto dalla stessa, avrebbe errato nel ritenere non sussistenti circostanze tali da escludere l'affidamento condiviso. Eccepisce la ricorrente che dall'istruttoria, qualora fosse stata opportunamente condotta, sarebbero emerse sia l'inadeguatezza genitoriale del padre che la elevata conflittualità sussistente tra le parti, da quest'ultimo provocata, per nulla mitigata dalla distanza delle residenze dei due genitori (Roma per la madre, Bruxelles per il padre), del tutto incompatibile con l'applicazione di un affidamento condiviso del minore. Secondo la ricorrente, in sostanza, il provvedimento impugnato (che modifica l'affidamento da esclusivo in condiviso) sarebbe carente di una adeguata motivazione in merito all' interesse del minore. Inoltre, il giudice di secondo grado non avrebbe tenuto in alcuna considerazione l'elevata conflittualità tra le parti quale elemento ostativo dell'affidamento condiviso nell'interesse del figlio. Secondo gli Ermellini, invece, la Corte d'Appello ha correttamente motivato in merito alla idoneità genitoriale del padre, evidenziando l'assiduità di quest'ultimo nell'osservare i tempi di incontro con il figlio, nonostante la distanza e le difficoltà ad essa connesse, rispettando le visite previste e garantendo un rapporto genitore/minore saldo e costante. Parimenti aderente ai principi della Corte viene ritenuto il richiamo del giudice di secondo grado ai dettami normativi e giurisprudenziali, nazionali e sovranazionali, in merito alla necessaria effettività del diritto del genitore e del figlio a mantenere la relazione. Non si ravvisa, poi, nel provvedimento de quo, una carenza di motivazione atteso che la fattispecie ex art. 360 c.p.c. si realizza quando un fatto storico specifico viene pretermesso dal giudice nell'analisi di una doglianza, mentre resta irrilevante il semplice difetto di sufficienza della motivazione. Nel caso di specie, la Corte ritiene che non vi sia alcun fatto di cui sia stato omesso l'esame. In definitiva, le eccezioni sollevate, connesse tra loro, vengono ritenute infondate ed inammissibili dalla Corte la quale compensa le spese di giudizio, rigettando anche la domanda di condanna per lite temeraria formulata dal resistente, e respinge il ricorso.
La questione
In tema di affidamento del minore, nel caso in cui un genitore risieda all'estero, e dunque vi sia una distanza geografica significativa tra quest'ultimo ed il figlio, nel contesto di un rapporto fortemente conflittuale tra i genitori, può ritenersi valida la scelta dell'affidamento condiviso in quanto regola, rispetto ad un affidamento esclusivo da intendersi come extrema ratio, nella misura in cui la sua applicazione non risulti pregiudizievole per l'interesse del minore, laddove il padre che vive all'estero dimostri una idoneità genitoriale adeguata e garantisca al figlio un rapporto effettivo e continuativo? Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente la Corte richiama il dato normativo dell'art. 316 c.c. (come modificato dall'art. 39, comma 1, d.lgs. n. 154/2013) per il quale «Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. (…) Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi». Il ragionamento logico degli Ermellini prosegue, poi, evocando talune pronunce a sostegno di un principio giurisprudenziale ormai consolidato, a livello sia nazionale che Europeo, secondo il quale l'affidamento condiviso costituisce la regola alla quale è possibile derogare, in favore dell'affidamento esclusivo come extrema ratio, soltanto nel caso in cui si ravvisi un «pregiudizio per l'interesse del minore». Il mero conflitto tra i genitori, dunque, non è di per sé elemento sufficiente ad escludere il regime preferenziale dell'affidamento condiviso laddove contenuto nei limiti di un disagio sostenibile per la prole, «mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibro e lo sviluppo psico-fisico dei figli e dunque tali da pregiudicare il loro interesse». Evidenzia la Corte che la scelta di un affidamento che non sia condiviso necessita non solo della prova in positivo della idoneità genitoriale dell'affidatario, ma anche e soprattutto della verifica in negativo della inidoneità educativa, ovvero della manifesta carenza, dell'altro genitore. Diretta conseguenza di detta impostazione è che l'affidamento condiviso non possa ragionevolmente ritenersi precluso dalla distanza tra le residenze dei due genitori, potendo tale circostanza incidere solo sui tempi e sulle modalità di gestione del minore presso ciascun genitore. Nel caso di specie non solo non si rileva alcuna inidoneità genitoriale del padre, ma addirittura la distanza geografica tra le parti in causa viene interpretata quale fattore positivo, avente la funzione di stemperare l'elevata conflittualità esistente tra i genitori per la quale entrambi sono stati ammoniti. La distanza, in sostanza, non costituisce elemento ostativo all'applicazione dell'affidamento condiviso. La Corte condivide tali approdi giurisprudenziali evidenziando l'assiduità del padre, genitore non collocatario e residente all'estero, nel rispettare il proprio diritto/dovere di visita nonostante le difficoltà logistiche ed organizzative annesse al caso, con ciò non soltanto escludendo qualsivoglia inadempimento nei confronti del minore, ma dando prova di una consapevolezza del significato della bigenitorialità e della capacità di affrontare le responsabilità derivanti dall'affido condiviso. In sostanza, il padre ha dimostrato di volersi assumere le proprie responsabilità di genitore e di saper affrontare il disagio che la distanza comporta. Alla luce di tali principi, la censura posta dalla madre su questioni di merito (quali, per esempio, il fatto che il padre si servisse di un autista per prelevare il minore o la mancata adesione alle proposte di svolgere attività tutti insieme) viene ritenuta del tutto infondata e sintomatica soltanto di una negativa valutazione, operata dalla donna, su fatti che non arrecano pregiudizio alcuno al figlio, ma riguardano soltanto le modalità di gestione dei tempi di visita del minore da parte del padre. Né la Corte ha ravvisato un difetto di motivazione nella pronuncia impugnata atteso che non viene dedotto (e dunque non viene rilevato) alcun fatto del quale sia stato erroneamente omesso l'esame. Pertanto, la pronuncia de qua risulta immune da vizi avendo la Corte territoriale correttamente valutato sia l'idoneità genitoriale che l‘interesse del minore, in linea con i criteri guida in tema di regolamentazione dell'affidamento e responsabilità genitoriale validi sul piano nazionale e sovranazionale. Osservazioni
Un approfondimento in tema di affidamento dei figli minori non può prescindere dal richiamo alla l. n. 54/2006 (in vigore dal 16 marzo 2006), normativa di riferimento del diritto di famiglia che ha delegittimato quella antica e radicata impostazione per la quale l'affidamento esclusivo del minore costituiva la scelta privilegiata ed ha introdotto il principio della bigenitorialità, da intendersi quale legittima aspirazione, nonché diritto imprescindibile del figlio, di avere rapporti continuativi e costanti con entrambe le figure genitoriali. Quando la responsabilità genitoriale è in capo ad entrambi i genitori, questi decidono di comune accordo sulle questioni di maggiore interesse per la prole in ambito scolastico, educativo, religioso e di salute, tenendo conto delle capacità e inclinazioni dei figli ed assicurano al minore di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. In tema di figli nati fuori dal matrimonio, soltanto di recente è intervenuta la legge n. 219/2012 (e ss. d.lgs. n. 154/2013, pubblicato l'8 gennaio 2014 entrato in vigore il 7 febbraio 2014) volta ad eliminare ogni residua discriminazione presente nel nostro ordinamento tra i figli nati nel e fuori dal matrimonio, così garantendo la completa eguaglianza giuridica degli stessi. Si tratta di una normativa che, anche in linea con il dato costituzionale per il quale «E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» (art. 30 Cost.), ha introdotto un principio dell'unicità dello stato di figlio, mediante l'equiparazione dei figli “naturali” a quelli “legittimi”, di talchè si possa finalmente affermare l'esistenza di un unico status, quello di figlio, con la previsione di un unico organo giudiziario competente per tutti i procedimenti di affidamento dei minori. Nell'ambito di detta riforma l'art. 337 ter c.c. statuisce il dovere del giudice di valutare «prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori» proprio alla luce del predetto diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori. L'affidamento del figlio ad uno solo dei genitori è ipotizzabile, dunque, soltanto nei casi in cui si ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento condiviso sia contrario all'interesse del minore stesso. Dunque, l'affidamento condiviso è la regola, alla quale si può derogare soltanto in presenza di specifici e limitati casi di comprovato pregiudizio per il minore quali, per esempio, la discontinuità nell'esercizio del diritto di visita del genitore non collocatario, il precario stato di salute psico-fisica di uno di essi, il disinteresse genitoriale economico o affettivo. In alcuni casi, anche l'elevata conflittualità tra i genitori ha determinato la scelta dell'affidamento esclusivo, rilevandosi che l'alto grado di litigiosità tra i coniugi comprometteva i presupposti costituivi dell'affidamento condiviso quali «un accordo sugli obiettivi educativi, una buona alleanza genitoriale ed un profondo rispetto dei rispettivi ruoli» (Cass. civ. sez. I, n. 17191/2011). Allo stesso modo, l'ipotesi di una distanza tangibile tra il luogo di residenza del figlio e quello del genitore non collocatario, ha dato vita a soluzioni giurisprudenziali, di legittimità e di merito, non sempre univoche. Non sono mancate pronunce che hanno disposto l'affidamento esclusivo a causa della grande distanza di residenza tra il figlio ed il genitore non collocatario, soprattutto nei casi in cui il diritto di visita non veniva esercitato con continuità o era realizzato soltanto a mezzo di strumenti tecnologici (quali Skype, Whatsapp, etc.), ma l'orientamento maggioritario e più recente è uniforme nel ritenere che, in ogni caso, la lontananza di per sé non precluda la scelta dell' affidamento condiviso, incidendo al più sui tempi e sulle modalità di visita del minore. In sostanza, ciò che rileva nella valutazione del regime di affidamento non è la distanza in sé, ma la possibilità per il figlio di coltivare, anche con il proprio genitore non collocatario, un rapporto affettivo positivo, equilibrato e concreto. Laddove tale relazione genitore/figlio viene tutelata ed assicurata al minore, alla luce di una concreta e continuativa frequentazione, come nel caso di specie, la distanza diventa elemento del tutto neutro e legittima la previsione di un affidamento ordinario, ovvero, condiviso. E dunque, la distanza oggettiva tra i luoghi di residenza dei genitori non osta di per sé all'affidamento condiviso, se non in presenza di una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell'inidoneità o dell'altro genitore. E ciò perché, nel superiore interesse, deve essere garantita prioritariamente la bigenitorialità, ovvero, la presenza di entrambi i genitori nella vita del figlio, consistente nella cooperazione tra i due, nonché, nell'osservanza dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione.
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