Inail e “danno differenziale”: cancellata dalla legge n. 58/2019 la “riforma” ultimaFonte: L. 28 giugno 2019 n. 58
04 Luglio 2019
Il legislatore dovrebbe essere affidabile e, perlomeno, le sue leggi dovrebbero durare come minimo il tempo della legislatura in corso. Questo non è stato il caso dell'art. 1, comma 1126, della “Legge di Bilancio 2019” (legge 30 dicembre 2018, n. 145, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021» ), recante disposizioni intervenute sul fronte della questione del “danno differenziale” attraverso modifiche apportate agli artt. 10 (commi 6, 7 ed 8) ed 11 (commi 1 e 3) del d.P.R. 31 giugno 1965, n. 1124, nonché al comma 2 dell'art. 142 cod. ass., norma quest'ultima che, nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per la r.c.a., disciplina gli accantonamenti che le imprese assicuratrici, che garantiscono gli automobilisti, devono effettuare a favore di eventuali assicuratori sociali. Nondimeno, nel caso di specie non può che accogliersi positivamente la decisione dello stesso Governo di abrogare, a distanza di neppure sei mesi, tali novità dallo stesso caldeggiate a dicembre 2018 attraverso votazioni sottoposte a fiducia. Al riguardo, riprendendosi quanto già approfondito in altra sede (M. BONA, Legge di bilancio 2019 e “danno differenziale INAIL”: nessun segno meno per i lavoratori danneggiati, in www.ridare.it, Focus del 13 Marzo 2019), può succintamente ricordarsi quanto segue:
Indubbiamente l'intervento legislativo del dicembre 2018 dava luogo a profonde incertezze ed era altamente divisivo, in ogni caso andando a frapporre nuovi ostacoli fra i lavoratori danneggiati sul lavoro o in itinere ed il risarcimento integrale dei danni subiti. Orbene, la legge 28 giugno 2019, n. 58 (in GU n. 151 del 29 giugno 2019 (suppl. ord.); in vigore dal 30 giugno 2019), recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», ha introdotto in seno a detto decreto legge l'art. 3-sexies («Revisione delle tariffe INAIL dall'anno 2023»), che così dispone: «All'articolo 1, comma 1126, della citata legge n. 145 del 2018, le lettere a), b), c), d), e) e f) sono abrogate; le disposizioni ivi indicate riacquistano efficacia nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della medesima legge n. 145 del 2018». Dunque, a distanza di sei mesi dall'entrata in vigore dell'art. 1, comma 1126, della “Legge di Bilancio 2019”, sono state cancellate, grazie ad un emendamento introdotto alla Camera in sede di discussione della legge di conversione del d.l. n. 34/2019, le disposizioni che erano intervenute a modificare gli artt. 10 (commi 6, 7 ed 8) ed 11 (commi 1 e 3) del d.P.R. 31 giugno 1965, n. 1124, nonché il comma 2 dell'art. 142 cod. ass. Sopravvive, per ragioni del tutto imperscrutabili e, quindi, senza alcuna ratio legis, una sola norma, quella introdotta dalla lett. g) del comma 1126 della “Legge di Bilancio 2019” al comma 3 dell'art. 11 del d.P.R. n. 1124/1965, per cui «[n]ella liquidazione dell'importo dovuto [dal datore di lavoro all'INAIL in sede di regresso] il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le modalità di esecuzione dell'obbligazione possono essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile». Tale norma, come già si osservava in altro contributo (M. BONA, Legge di bilancio 2019 e “danno differenziale INAIL”: nessun segno meno per i lavoratori danneggiati, in www.ridare.it, cit.), non può che continuare a destare perplessità, risultando, innanzitutto a livello di “policy of law”, non solo sorprendente in negativo, ma pure allarmante (soprattutto nella prospettiva di un'estensione di principi di questo tipo ad aree della responsabilità civile, come già, purtroppo, avvenuto in seno alla responsabilità da attività medico-sanitarie con la “legge Gelli-Bianco”). Secondo questo “ritocco”, solo apparentemente banale, il magistrato adito in sede di regresso, qualora si presentino spazi per condannare il datore di lavoro a rifondere l'INAIL, può a sua totale discrezione ridurre l'importo oggetto di condanna in ragione della condotta tenuta dal datore di lavoro prima e dopo l'evento lesivo (la tipologia della condotta rilevante non è indicata) e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro; peraltro, lo stesso giudice, sempre a sua totale scelta, può definire le modalità di esecuzione dell'obbligazione in considerazione del «rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile». Questa novella è in primo luogo del tutto inspiegabile alla luce dell'incipit del comma 1126, ove si indica come le modifiche ivi contenute sarebbero state introdotte «[i]n relazione alla revisione delle tariffe operata ai sensi dell'articolo 1, comma 128, della legge 23 dicembre 2013, n. 147, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 e dei criteri di calcolo per l'elaborazione dei relativi tassi medi». In particolare, non è dato ravvisare alcuna relazione tra questa disposizione e la revisione, a favore dei datori, delle tariffe INAIL. Soprattutto, questa innovazione segue un modello di “diritto premiale” decisamente discutibile atteso che in realtà, all'opposto, andrebbero “premiati” i datori di lavoro virtuosi i quali non attendono il verificarsi di un sinistro per attuare le misure di sicurezza prescritte, non già i datori, per così dire, “pentiti” dopo un disastro ormai irrimediabile; premiare l'impresa che soltanto ex post realizza un ambiente di lavoro sicuro è aberrante e va contro ogni logica connessa alla prevenzione di infortuni e malattie professionali, fra l'altro in via di incremento proprio nel corso del 2018 e del 2019. Manifesta, inoltre, è la contrarietà di tale iniziativa legislativa ai più basilari principi di uguaglianza dinanzi alla legge e, pertanto, all'art. 3 Cost.: non solo essa risulta affidare al magistrato un livello di discrezionalità eccessivamente ampio sia quanto alla verifica dei requisiti per la concessione della “riduzione”, sia in relazione alla determinazione della sua entità (in teoria il giudice potrebbe ridimensionare la condanna ad importi irrisori), ma discrimina pure in ragione delle «risorse economiche del responsabile» trasformando il bilancio positivo di un'azienda in una sorta di zavorra. Ciò illustrato sull'assurdità della disposizione e venendo al tema del “danno differenziale” (tema, come si è sopra riferito, riportato per intero dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 nel solco tracciato dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale), non può che rimarcarsi come questa parte della novella del 2018 non possa annoverare effetti di sorta sulla tutela risarcitoria dei lavoratori danneggiati. Infatti, il comma 3, sia sul piano dell'interpretazione letterale che in considerazione della sua collocazione sistematica, riguarda solo e soltanto il rapporto INAIL-datore di lavoro nell'ambito dell'azione di regresso e, più nello specifico, la definizione dell'importo dovuto dall'azienda all'Istituto in tale scenario; manifestamente esso non delinea alcun criterio per la determinazione del danno civilistico e, dunque, non può neppure in qualche modo assimilarsi al - peraltro dalla oscura portata e, comunque, discutibile sul piano della legittimità costituzionale - art. 7, comma 3, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (la “legge Gelli-Bianco”), per il quale il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno conseguente all'attività di strutture sanitarie ed esercenti la professione sanitaria, tiene conto - non si sa bene in quale misura - della condotta dell'esercente tale professione il quale sia incorso in imperizia rispettando però le raccomandazioni previste dalle linee guida. Per affermare il contrario, ossia che la disposizione qui in commento delineerebbe un nuovo criterio risarcitorio nell'ambito della responsabilità datoriale per infortuni e malattie professionali, occorrerebbe stravolgere enormemente il senso letterale della nuova disposizione, senza, però, che in questa direzione vi siano indicazioni di sorta del legislatore a livello di ratio legis (indubitabile è, invero, l'assenza di qualsivoglia appiglio su quest'ultimo fronte). Il Dossier n. 78/6, intitolato «Legge di Bilancio 2019. Le modifiche approvate dal Senato della Repubblica. Il maxiemendamento del Governo 1.9000», Edizione provvisoria, del 23 dicembre 2018, redatto dal Servizio Studi e dal Servizio del Bilancio del Senato e dal Servizio Studi della Camera (cfr., in particolare, le pagg. 609-612 ove si illustra l'art. 1, commi 653-sexies - 653-undecies), conferma il punto ove a pag. 611, pur confusamente, così descrive la disposizione in questione: «La lettera g) inserisce, in primo luogo, il principio che, nella determinazione dell'importo dovuto dal datore di lavoro (e che l'INAIL, come detto, deve anticipare) nei casi in cui, in base alla normativa, sussista la responsabilità civile del datore di lavoro al risarcimento di una quota ulteriore rispetto alla prestazioni INAIL, il giudice può procedere ad una riduzione della somma spettante, tenendo conto della condotta precedente e successiva all'evento lesivo e dell'eventuale adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. In secondo luogo, la novella prevede che le modalità di esecuzione dell'obbligazione in esame possano essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile». Infatti, fermo restando che il Dossier, quale atto meramente interno predisposti da soggetti privi di funzioni legislative, non può assurgere a testimonianza della ratio legis, esso conferma come l'intervento in commento abbia per oggetto soltanto l'«importo dovuto dal datore di lavoro» all'INAIL in sede di regresso. D'altro canto, una qualsiasi diversa interpretazione, che ipotizzi sulla base del nuovo comma 3 dell'art. 11 del testo unico del 1965 tagli al credito risarcitorio del lavoratore verso il datore, sarebbe comunque manifestamente incostituzionale per le stesse ragioni in base alle quali si potrebbe censurare l'art. 7, comma 3, della predetta “legge Gelli-Bianco”. Nello specifico, esso, interpretato nel senso di intaccare il diritto del lavoratore al risarcimento integrale del danno da violazione di diritti inviolabili, andrebbe innanzitutto a ledere la tutela di tali diritti in direzione opposta a quella indicata dalla Corte costituzionale. Inoltre, per tale via si configurerebbe una norma “speciale” (in negativo!) per i danneggiati da infortuni sul lavoro e malattie professionali con conseguente oggettiva e, soprattutto, irrazionale discriminazione tra questi e tutti gli altri danneggiati da inadempimenti e/o fatti illeciti (dunque, con violazione dell'art. 3 Cost.), senza, inoltre, alcuna “contromisura” a favore dei lavoratori danneggiati (assenza di contropartita rilevante ai fini dell'incostituzionalità della disposizione, come può evincersi, ad esempio, dal precedente Corte cost., 11 novembre 2011, n. 303 e Corte cost., 8 novembre 2018, 194). La Corte costituzionale, invero, è stata sempre molto chiara nell'affermare che, essendo il «giudizio di eguaglianza […] in sé un giudizio di ragionevolezza», ai fini dell'art. 3 Cost. eventuali disparità di trattamento di situazioni fra loro assimilabili non possono reggersi su «elementi normativi arbitrariamente discriminatori», viceversa necessitando di precise razionali giustificazioni («una “motivazione” obiettivata nel sistema»), cioè del «“perché” una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica distinzione», altrimenti, in assenza di «una carenza di “causa” o “ragione” della disciplina introdotta» e dinanzi a «scelte arbitrarie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza», non ricorrendo un «corretto uso del potere normativo», bensì un autentico «vizio di legittimità costituzionale», «proprio perché fondato sulla “irragionevole” e per ciò stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe» (così Corte cost., 28 marzo 1996, n. 89; cfr., altresì, ex plurimis Corte cost., 12 gennaio 2000, n. 5 e Corte cost., 7 luglio 2005, n. 264). Aggiungasi che non avrebbe senso da un lato affermare che il riconoscimento del danno punitivo, retto sulla valutazione della condotta del reo, è impedito dalla nostra Costituzione in quanto questa, fra l'altro, «preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario» (così Cass. civ., SS.UU., 5 luglio 2017 n. 16601), e, dall'altro lato, ammettere che gli stessi percorsi valutativi alla base dei “punitive damages” possano rilevare, per così dire, “alla rovescia” avverso i danneggiati. Potrebbe anche osservarsi come così si farebbe “pagare” al danneggiato il “premio” stabilito, a totale discrezione dal giudice, per il comportamento, comunque colposo, dell'autore dell'illecito, ciò in palese violazione anche degli artt. 24 e 24, commi 2 e 3, Cost. (+ art. 1 del Protocollo 1 CEDU). Ad ogni modo, tutte queste questioni non necessitano qui di ulteriore approfondimento: la norma sopravvissuta alla falcidia operata dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 – lo si ribadisce – non detta alcun criterio rilevante per la determinazione del danno risarcibile al lavoratore leso nella sua salute od ai suoi famigliari. |