L'incerta delimitazione dell'ambito di operatività delle esenzioni da revocatoria

Simone Marzo
05 Luglio 2019

L'esenzione da revocatoria per gli atti indicati dall'art. 67, comma 3, l.fall., ed in particolare per gli atti esecutivi del piano attestato di risanamento, dell'accordo di ristrutturazione e del concordato preventivo di cui alle lett. d) ed e) di detto comma, riguarda solo l'azione revocatoria fallimentare disciplinata dai due precedenti commi del medesimo articolo, e non anche l'azione revocatoria ordinaria contemplata dall'art. 66 l.fall. ed espressamente disciplinata secondo le norme del codice civile.
Premessa

Con la pronuncia che ci si accinge a commentare i Giudici di legittimità intervengono, a quanto risulta per la prima volta, in merito ad uno dei principali dubbi interpretativi riguardanti una disposizione introdotta nel tessuto della legge fallimentare dall'art. 2, primo comma, lett. a), del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, rimasta sostanzialmente invariata sia in sede di conversione, ad opera della l. 14 maggio 2005, n. 80, sia all'esito della riforma organica del 2006/2007, ed infine confluita con minime (ma, come meglio si vedrà di seguito, non irrilevanti) variazioni nel corpo del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

La disposizione cui si fa riferimento è l'attuale terzo comma dell'art. 67, l.fall., con cui il legislatore della “miniriforma” del 2005 introdusse ex novo un lungo catalogo di atti esonerati dall'azione revocatoria.

Tale previsione ha rappresentato senza dubbio la più rilevante innovazione al sistema revocatorio proprio della disciplina dell'insolvenza fin dall'emanazione della legge fallimentare del 1942, tanto da aver indotto alcuni osservatori ad affermare che la pervasività delle cause di esenzione introdotte sarebbe così imponente da rovesciare quasi il rapporto di regola ed eccezione configurabile tra l'ambito applicativo generale dell'istituto e le relative esenzioni. Al tempo stesso, la novella di cui si discute ha immediatamente dato luogo a molte incertezze interpretative, la cui soluzione è stata resa ancor più complicata dalla difficoltà di individuare una ratio unitaria alla base delle diverse fattispecie di esenzione introdotte, dalle incoerenze sistematiche e dalla non precisissima tecnica legislativa con cui la novella è stata attuata [al riguardo, tra gli altri, D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, Giur. comm., 2007, I, 163].

I dubbi sull'ambito di operatività delle esenzioni da revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, l.fall.

Il principale nodo interpretativo giunto all'attenzione degli osservatori in merito all'attuale terzo comma dell'art. 67 l.fall. riguarda l'ambito applicativo delle esenzioni dalla revocatoria ivi contemplate. Si è cioè posto il problema di verificare se, nella parte in cui stabilisce che gli atti indicati nell'elenco “non sono soggetti all'azione revocatoria”, la disposizione intenda riferirsi alla sola azione revocatoria fallimentare prevista dallo stesso art. 67 (e, ancora più nello specifico, se alla sola azione revocatoria degli atti “normali” di cui al secondo comma o anche alla revocatoria di quelli “anormali” contemplati nel primo comma del medesimo articolo), oppure anche a tutte le altre azioni “recuperatorie” previste dalla legge fallimentare, ivi comprese le azioni di accertamento dell'inefficacia ex artt. 64 e 65 l.fall. e l'azione revocatoria ordinaria esercitata nel fallimento ex art. 66 l.fall. o, infine, se si riferisca anche all'azione revocatoria ordinaria esercitata ai sensi dell'art. 2901 c.c. al di fuori di una procedura concorsuale.

Come messo in luce dalla dottrina [cfr., G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l.fall., Il fallimento, 2009, 15-16; id., Le esenzioni dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione. Concordato preventivo, in AA.VV., Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Torino, 2016, II, 1478; R. Amatore, Il regime normativo delle esenzioni nelle revocatorie, Il fallimento, 2014, 747], il dato letterale non è di grande conforto nel risolvere tale dubbio. Da un lato, infatti, la collocazione della norma nel corpo dell'art. 67 l.fall. potrebbe suggerire che l'esenzione in parola sia stata concepita come eccezione rispetto alla sola revocatoria fallimentare prevista dal medesimo articolo [così, espressamente, G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, Padova, 2006, 857; C. D'Ambrosio, Le esenzioni da revocatoria nella composizione stragiudiziale della crisi di impresa, Giur. comm., 2007, I, 367; A. Nigro, commento all'art. 67 l.fall., in AA.VV., La legge fallimentare dopo la riforma, Disposizione generali e fallimento, t. I, Art. 1-83-bis, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2010, 929-930; G. Limitone, commento all'art. 67 l.fall., in AA.VV., La legge fallimentare, commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2014, 853]; anzi, secondo una lettura ancor più restrittiva, l'esenzione da revocatoria non potrebbe in nessun caso riguardare gli atti “anormali” di cui al primo comma dell'art. 67, l.fall., tutelando soltanto gli atti “normali” di cui al secondo comma del medesimo articolo [così, S. Fortunato, La natura dell'azione revocatoria nella nuova legge fallimentare. Profili generali, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, a cura di S. Bonfatti, G. Falcone, Milano, 2005, 7; B. Meli, La revocatoria fallimentare: profili generali, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, Bologna, 2006, 123]. D'altro canto, il generico riferimento all'“azione revocatoria” potrebbe indurre a riconoscere alla norma una portata più ampia, tale da esentare gli atti ivi elencati certamente all'azione revocatoria fallimentare di cui al medesimo articolo, ma anche all'azione revocatoria ordinaria esercitata nell'ambito di una procedura concorsuale [così, B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, Giur. comm., 2006, I, 209]. Anche secondo tale impostazione, però, il campo di applicazione della norma non potrebbe ricomprendere anche le azioni di cui agli artt. 64 e 65 l.fall., che non prevedono fattispecie revocatorie propriamente dette [così sempre, B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit., 210], mentre resterebbe dubbia la soluzione da accogliere con riguardo all'azione revocatoria esercitata al di fuori di una procedura concorsuale.

Queste considerazioni hanno indotto altri osservatori ad affrontare la questione basandosi non tanto sull'equivoco dato letterale, quanto piuttosto sulla ratio delle esenzioni e sul grado di compatibilità tra ciascuna delle fattispecie di esenzione ed i rimedi in senso lato “revocatori”. Da tale diverso approccio interpretativo, non affidato esclusivamente al canone letterale, è anche scaturita la rinuncia alla ricerca di una risposta necessariamente unitaria alla problematica in esame, come conseguenza della già riferita difficoltà che si incontra nel ricostruire unitariamente le rationes delle eterogenee fattispecie di esenzione previste dalla norma [in tal senso, L. Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, Il fallimento, 2007, 1051; D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit., 172; G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l.fall., cit., 16; R. Amatore, Il regime normativo delle esenzioni nelle revocatorie, cit., 747].

Nemmeno per tale via, però, la dottrina è riuscita a giungere a conclusioni condivise. Limitando l'attenzione alle fattispecie riguardanti gli atti esecutivi dei piani attestati contemplati alla lett. d) del terzo comma dell'art. 67 l.fall., nonché agli atti esecutivi del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione omologato ai sensi dell'art. 182-bis, l.fall., di cui alla successiva lett. e), tra i sostenitori di tale impostazione vi è chi ha ritenuto che a dette esenzioni dovrebbe essere assicurato il massimo ambito applicativo possibile e che, dunque, esse dovrebbero riguardare tutte le azioni in senso lato “revocatorie”, comprese le azioni volte all'accertamento dell'inefficacia ex art. 64 e 65 l.fall. e l'azione revocatoria ordinaria, tanto se esercitata nell'ambito di una procedura concorsuale quanto se esercitata dal singolo creditore al di fuori di esse, poiché una diversa conclusione porterebbe ad elidere la portata delle stesse ed a frustrarne la ratio, finendo paradossalmente per assoggettare gli atti de quibus ad una disciplina più severa proprio al di fuori della procedura concorsuale [così, S. Bonfatti, P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, 86-87; L. Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, cit., 1052; P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 414; G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l.fall., cit., 19-20; id., Le esenzioni dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione. Concordato preventivo, cit., 1484; R. Amatore, Il regime normativo delle esenzioni nelle revocatorie, cit., 748-749]. Altri, pur confermando la validità di tali osservazioni, hanno ciononostante affermato che la previsione di cui all'art. 67, terzo comma, l.fall. non potrebbe in nessun caso aspirare a “disattivare” istituti estranei alla disciplina concorsuale, come la revocatoria ordinaria esercitata al di fuori di una procedura concorsuale [così, D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit., 173]; infine, sempre sul presupposto (affermato, ma non dimostrato) per cui l'eventuale esenzione non potrebbe in alcun caso riguardare la revocatoria esercitata fuori dalla procedura concorsuale, altra dottrina ha ritenuto di dover escludere l'operatività della norma di esenzione anche per la revocatoria ordinaria esercitata ai sensi dell'art. 66 l.fall. [in tal senso, N. Abriani, L. Quagliotti, An e quantum della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, Il Fallimento, 2008, 380].

Il caso esaminato

L'ordinanza in commento si inserisce nel frastagliato panorama dottrinale sopra delineato ed esamina, nell'ambito del più ampio problema riguardante il campo di operatività dell'art. 67, comma 3, l.fall., il tema della eventuale operatività dell'esenzione prevista per gli atti di cui alla lett. e) del menzionato articolo con riferimento all'azione revocatoria ordinaria esercitata ai sensi dell'art. 66 l.fall.. Prima di esaminare il contenuto della pronuncia sembra opportuno fornire alcune sintetiche indicazioni circa la fattispecie concreta dalla quale la stessa è scaturita.

Dando esecuzione ad un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis l.fall., una società concedeva garanzia in favore di un proprio creditore chirografario per debiti preesistenti; dichiarata l'insolvenza ed intervenuta l'amministrazione straordinaria a carico della medesima società, gli organi della procedura ammettevano il credito in questione con rango chirografario e, nel successivo giudizio di opposizione allo stato passivo, eccepivano l'inopponibilità dell'atto di costituzione della garanzia da cui scaturiva il titolo di prelazione vantato dal creditore opponente, formulando eccezione revocatoria ai sensi degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c. (è opportuno ricordare che la disciplina dettata dalla legge fallimentare in tema di azioni revocatorie e per la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli è applicabile anche nell'ambito delle procedure di amministrazione straordinaria, giusto il rinvio operato dall'art. 49 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e dall'art. 6 del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347).

Il Tribunale respingeva l'eccezione revocatoria sollevata dall'organo della procedura sul presupposto che “l'esenzione dalla revocabilità (di cui all'art. 67, comma 3, l.fall.; n.d.a.) comprende anche la revocatoria ordinaria, per ragioni di corretta interpretazione (sistematica) della norma esonerativa”, oltre che “per la considerazioni che, in ogni caso, della fattispecie di cui all'art. 2901 c.c. non sarebbe configurabile il consilium fraudis, essendo gli accordi funzionali alla liberazione di risorse necessarie per il pagamento integrale dei creditori estranei”.

In sostanza, per il Giudice dell'opposizione allo stato passivo la previsione secondo cui gli atti elencati nel menzionato terzo comma dell'art. 67 l.fall. “non sono soggetti all'azione revocatoria” era da interpretare nel senso che detti atti (tra i quali, quelli di cui alla lett. e), che venivano in rilievo nel caso concreto) sono esentati anche dalla revocatoria ordinaria esercitata nell'ambito del fallimento (o, come nel caso di specie, dell'amministrazione straordinaria) ai sensi dell'art. 66 l.fall.. Proprio tale questione, tra le altre, è stata portata all'attenzione della Suprema Corte nel giudizio da cui è scaturita l'ordinanza in commento.

La decisione della Suprema Corte

Nel decidere l'opposizione allo stato passivo, il Tribunale di Milano aveva mostrato di condividere l'orientamento dottrinale secondo cui l'esenzione da revocatoria sancita dall'art. 67, comma 3, l.fall. dovrebbe riguardare, oltre sicuramente alle fattispecie revocatorie di cui ai primi due commi del medesimo articolo, anche l'azione revocatoria ordinaria esercitata dagli organi della procedura ai sensi del precedente art. 66 l.fall.. La Cassazione si discosta invece da tale orientamento, affermando che l'esenzione in oggetto riguarderebbe soltanto le azioni revocatorie di cui all'art. 67 l.fall. e ritenendo conseguentemente che l'eccezione revocatoria proposta dagli organi della procedura nel caso di specie non potesse essere respinta senza una concreta verifica circa la sussistenza dei presupposti di revocabilità di cui all'art. 2901 c.c..

A conforto di tale decisione la Corte adduce diversi argomenti, tra i quali ed innanzitutto due di carattere letterale: il primo è relativo alla formulazione testuale dell'art. 66 l.fall., secondo cui l'azione revocatoria ordinaria può essere esercitata dal curatore (o dall'omologo organo delle altre procedure cui la previsione sia applicabile) “secondo le norme del codice civile”; il secondo richiama l'art. 69-bis, primo comma,l.fall. che, nel dettare la disciplina in tema di decadenza dall'azione e computo dei termini, fa espresso riferimento alle “azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione”. Secondo i Giudici di legittimità, la prima norma confermerebbe che la disciplina dell'azione revocatoria ordinaria, anche se esercitata in sede concorsuale ai sensi dell'art. 66 l.fall., resterebbe assoggettata interamente alla disciplina codicistica, con conseguente non operatività delle fattispecie di esenzione di cui al successivo art. 67, comma 3, l.fall.; anche la seconda previsione dimostrerebbe inoltre, a contrario, l'inapplicabilità delle esenzioni in parola all'azione revocatoria ex art. 66 l.fall., considerato che nelle ipotesi in cui il legislatore ha inteso dettare una disciplina speciale applicabile anche a tale azione lo ha espressamente previsto.

Sul piano sistematico, poi, la Cassazione fa notare come anche l'ambito di operatività dell'esenzione da revocatoria prevista dall'art. 12, comma 5, l. 27 gennaio 2012, n. 3 per gli atti esecutivi dell'accordo di composizione della crisi del debitore sovraindebitato, nel caso di successivo intervento della dichiarazione di fallimento, è espressamente limitato alle sole azioni revocatorie di cui all'art. 67 l.fall., restando perciò tali atti assoggettabili all'actio pauliana ex art. 2901 c.c. esercitata ai sensi dell'art. 66 l.fall..

Infine, sempre sul piano sistematico, la Corte rileva come il diverso trattamento riservato all'azione revocatoria ordinaria ed a quella fallimentare in punto di operatività o meno delle esenzioni ex art. 67, comma 3, l.fall non potrebbe ritenersi arbitrario, ma anzi sarebbe “ampiamente giustificato dalla nota diversità”, quanto a funzioni e disciplina, tra le due tipologie di azioni.

Alcune perplessità in ordine alle motivazioni alla base della decisione

Come si è visto in precedenza, la questione portata all'attenzione della Suprema Corte non era di banale soluzione e, d'altro canto, la conclusione raggiunta dai Giudici di legittimità trova autorevoli conferme anche in dottrina. Le ragioni addotte a sostegno della decisione assunta, però, destano qualche perplessità.

In ordine agli argomenti di carattere letterale, si è già visto come gli stessi non sembrino decisivi nell'orientare l'interprete nell'uno o nell'altro senso. È quanto meno dubbio, ad esempio, che la formulazione letterale dell'art. 66 l.fall. sia davvero in grado di dimostrare la limitazione dell'ambito di operatività delle esenzioni di cui al terzo comma del successivo art. 67 l.fall.. Il richiamo alla disciplina codicistica contenuto nel menzionato art. 66 sembra infatti funzionale ad individuare la disciplina dei presupposti oggettivi e soggettivi dell'eventuale azione revocatoria ordinaria esercitata nell'ambito del fallimento o di altra procedura concorsuale; se tale azione possa o meno essere esercitata nell'ambito della procedura concorsuale, però, è questione diversa, che si pone più a monte della prima, e che dovrebbe essere risolta in base alla disciplina concorsuale, ivi compreso l'art. 67, comma 3, l.fall., quale lex specialis rispetto agli artt. 2901 e ss., c.c.. In tal senso, dunque, il richiamo al codice civile contenuto nell'art. 66 l.fall. appare neutrale rispetto al problema esaminato dalla Cassazione, che riguarda il significato da attribuire al successivo art. 67, comma 3, l.fall..

Quanto all'argomento a contrario tratto dalla formulazione dell'art. 69-bis, primo comma, l.fall., vi sono da fare due considerazioni. Occorre innanzitutto notare come l'art. 69-bis, primo comma, l.fall. sia in realtà caratterizzato da una formulazione letterale più specifica rispetto a quella dell'art. 67, comma 3, l.fall., considerato che la prima disposizione si riferisce alle “azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione”, mentre la seconda soltanto alla “azione revocatoria”. Ciononostante, secondo la Cassazione, all'art. 69-bis, primo comma, l.fall. dovrebbe essere attribuito una portata applicativa più ampia rispetto a quella dell'art. 67, comma 3, l.fall.; ed anzi, seguendo il percorso argomentativo esposto dalla Corte, proprio la maggiore specificità letterale dell'art. 69-bis, primo comma, l.fall. costituirebbe un argomento in favore dell'interpretazione restrittiva della disposizione, formulata testualmente in termini più ampi, di cui all'art. 67, comma 3, l.fall..

Inoltre, per trarre argomenti in merito all'interpretazione dell'art. 67, comma 3, l.fall., oltre che con l'art. 69-bis, l.fall. la Corte avrebbe potuto effettuare un confronto ben più immediato con il successivo quarto comma del medesimo art. 67; avrebbe così constatato che, nel contemplare altre fattispecie di esenzione (già previste nella originaria formulazione della legge fallimentare), tale ultima disposizione fa testuale riferimento alle “disposizioni di questo articolo”, in tal modo limitando chiaramente il proprio ambito di operatività alla sola revocatoria fallimentare. Applicando la stessa argomentazione a contrario esposta dalla Corte, dunque, si potrebbe ritenere che quando il legislatore ha voluto limitare l'ambito di operatività delle norme di esenzione alla sola revocatoria fallimentare, lo ha fatto espressamente, come nel quarto comma dell'art. 67 l.fall.; ed invece, visto che il precedente terzo comma dell'art. 67 fa generico riferimento all'azione revocatoria tout court, volendo interpretare la disposizione in stretta aderenza al dato letterale, non si potrebbe che interpretarla come riferita anche all'azione revocatoria ordinaria, quanto meno se esercitata nell'ambito di una procedura concorsuale ai sensi dell'art. 66 l.fall..

Anche l'argomento fondato sul raffronto con l'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012 appare opinabile. Come spesso accade, in presenza di due disposizioni destinate a disciplinare fattispecie oggettivamente analoghe (nel caso di specie, l'art. 67, comma 3, lett. d) ed e), l.fall., e l'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012), laddove una sia formulata in termini più ampi (l'art. 67, comma 3, l.fall., che fa generico riferimento all'azione revocatoria) e l'altra in termini più puntuali (l'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012, che si riferisce all'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.fall.), dal punto di vista interpretativo si pone la seguente alternativa: si può ritenere che la previsione più specifica non faccia altro che esplicitare meglio la stessa regola già enunciata dalla previsione testualmente più generica, oppure si può ritenere che, adottando una previsione più puntuale, il legislatore abbia proprio voluto discostarsi dalla norma più generale, dettando consapevolmente una disciplina dall'ambito applicativo più ristretto. Nell'ordinanza in commento la Corte si è orientata nel primo senso, ritenendo che la norma di cui all'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012 rappresenti un significativo indice del fatto che anche l'art. 67, comma 3, ancorché formulato sul piano letterale in senso più generico, debba essere interpretato nel senso di limitare la propria applicabilità alla sola revocatoria fallimentare. Sul piano strettamente logico, oltre che dal punto di vista tecnico-giuridico, la seconda ipotesi ricostruttiva è tuttavia altrettanto valida della prima; con altrettanta efficacia argomentativa si potrebbe cioè ritenere che proprio la differente formulazione letterale riscontrabile tra l'art. 67, comma 3, l.fall. e l'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012 costituisca un argomento per attribuire alla prima disposizione un significato diverso da quello reso palese dal tenore testuale della seconda.

Quanto sin qui detto conferma, in definitiva, che la questione portata all'attenzione dei Giudici di legittimità avrebbe forse dovuto essere affrontata senza attribuire valore dirimente ad argomenti tratti dall'equivoca formulazione testuale della disposizione da interpretare (l'art. 67, comma 3, l.fall.) o, ancor meno, dalla formulazione di altre disposizioni (gli artt. 67, comma 4, e 69-bis, primo comma, l.fall., e l'art. 12, comma 5, l. n. 3 del 2012); ciò tanto più che, come la dottrina ormai da tempo aveva avvertito, un simile approccio presupporrebbe una precisione ed una consapevolezza circa il significato tecnico dei termini utilizzati da parte del legislatore storico che è assai dubbio vi siano state nella stesura delle disposizioni da interpretare [in tal senso, S. Bonfatti, P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 86; G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l.fall., cit., p. 16; R. Amatore, Il regime normativo delle esenzioni nelle revocatorie, cit., 747].

Merita infine una notazione il richiamo alle diversità di funzione e disciplina riscontrabili tra l'azione revocatoria fallimentare e l'azione revocatoria ordinaria, che giustificherebbe una loro diversa considerazione anche ai fini dell'operatività dell'art. 67, comma 3, l.fall.. Non v'è dubbio che tali diversità sussistano effettivamente (con riguardo alla disciplina e, ove si accolga la concezione antindennitaria della revocatoria fallimentare, anche con riguardo alla funzione). Non è però detto che tali differenze si debbano necessariamente riflettere sull'interpretazione da attribuire all'art. 67, comma 3, l.fall..

Ad esempio, per riprendere la suggestiva sintesi proposta dalla Cassazione, pur ammettendo che “mentre la revocatoria ordinaria colpisce atti idonei ad indurre l'insolvenza del debitore, quella fallimentare colpisce gli atti compiuti quando questi era già insolvente”, occorrerebbe spiegare per quale motivo l'art. 67, comma 3, l.fall. dovrebbe interpretarsi nel senso di esentare dalla revocatoria gli atti compiuti dal debitore già insolvente e non anche gli atti compiuti dal debitore in bonis ma idonei ad indurlo in insolvenza. Ed allo stesso modo, sul piano della disciplina, non è chiaro in che termini il “diverso ambito temporale coperto dalle due azioni” (così nella sentenza impugnata) avrebbe inciso sull'interpretazione dell'art. 67, comma 3, l.fall..

In realtà, la Cassazione utilizza tale argomento non già per dimostrare la correttezza della propria interpretazione dell'art. 67, comma 3, l.fall., bensì per giustificare il diverso trattamento tra revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare che scaturisce da tale interpretazione. Detto in altri termini, poiché le azioni sono diverse tra loro, sarebbe giustificato un loro diverso trattamento ai fini dell'applicabilità o meno dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, l.fall.. Tale assunto, però, non fa venir meno tutti i dubbi circa la correttezza dell'interpretazione dell'art. 67, comma 3, l.fall. fornita dalla Corte, cioè circa l'effettiva configurabilità, sulla base di tale norma, di un diverso trattamento ai fini in discussione tra revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare.

Le residue incertezze sul tema, anche alla luce delle previsioni del Codice della crisi e dell'insolvenza

Pur tra le perplessità di cui si è dato conto, l'ordinanza in commento risolve il tema dell'operatività delle esenzioni previste dall'art. 67, comma 3, l.fall. con riguardo all'azione revocatoria ordinaria esercitata nell'ambito di una procedura concorsuale ai sensi dell'art. 66 l.fall.. Alla luce del decisum della Cassazione, si dovrebbe a fortiori escludere che le esenzioni in parola possano riguardare l'azione revocatoria ordinaria esercitata dai creditori al di fuori di una simile procedura. Resta invece qualche dubbio in ordine alle azioni per l'accertamento dell'inefficacia ai sensi degli artt. 64 e 65 l.fall..

Attribuendo decisivo rilievo al dato letterale, come ha fatto la Corte, trarrebbe infatti vigore l'opinione già avanzata in passato in dottrina, secondo cui gli atti previsti dall'art. 67, comma 3, l.fall. non potrebbero ritenersi esentati dalle azioni di inefficacia ex artt. 64 e 65 l.fall., che non sono propriamente azioni revocatorie. Ed in effetti, ancorché la fattispecie esaminata riguardasse soltanto l'operatività o meno dell'esenzione ex art. 67, comma 3, l.fall. con riferimento alla revocatoria ordinaria, nell'ordinanza in commento si afferma testualmente che “l'interpretazione letterale e sistematica delle norme implicate induce a ritenere che l'esenzione di cui al predetto terzo comma dell'art. 67 legge fall. si riferisca solo all'azione revocatoria fallimentare disciplinata dai due commi precedenti”. Alla luce di tale precisa affermazione, si potrebbe dunque escludere che le esenzioni in oggetto coprano anche le azioni di inefficacia di cui agli artt. 64 e 65 l.fall..

L'ultima notazione induce infine a rivolgere uno sguardo alle previsioni del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza approvato con il d.lgs. n. 14 del 2019 e destinato ad entrare in vigore decorso il lungo periodo di vacatio legis ivi previsto.

Salvo alcune differenze non rilevanti ai fini in discussione, le ipotesi di esenzioni attualmente previste dal terzo comma dell'art. 67 l.fall. trovano corrispondenza in quelle enunciate dal terzo comma dell'art. 166, c.c.i.. L'incipit di tale comma è analogo a quello dell'art. 67, comma 3, l.fall., disponendo che gli atti ivi elencati “non sono soggetti all'azione revocatoria”. Limitatamente alle ipotesi di cui alle lett. d) ed e), relative rispettivamente agli atti esecutivi del piano attestato ed agli atti esecutivi del concordato e dell'accordo di ristrutturazione omologato, il legislatore del nuovo Codice ha però ritenuto opportuno precisare che “L'esclusione opera anche con riguardo all'azione revocatoria ordinaria”.

In virtù di tale precisazione, non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che l'esenzione (o esclusione) dall'azione revocatoria per gli atti esecutivi di un piano attestato, di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo riguarderà anche la revocatoria ordinaria esercitata nell'ambito delle procedure concorsuali ai sensi dell'art. 165 c.c.i. (corrispondente all'attuale art. 66 l.fall.). Nel vigore del nuovo Codice, dunque, l'orientamento da ultimo adottato dalla Cassazione non dovrebbe più avere seguito. Anche con tale precisazione, però, sembrano destinate a restare incerte due questioni già discusse nel vigore dell'attuale legge fallimentare; ed anzi, in merito ad una di esse, i dubbi potrebbero addirittura aumentare.

La prima questione riguarda l'operatività delle esenzioni in parola con riguardo all'azione revocatoria ordinaria esercitata al di fuori di una procedura concorsuale. Probabilmente, inserendo la precisazione sopra riferita nel corpo delle lett. d) ed e) del terzo comma dell'art. 166 c.c.i., con riguardo agli atti ivi previsti il legislatore ha inteso “disattivare” anche la revocatoria ordinaria esercitata fuori da una procedura di insolvenza. D'altro canto, come già messo in luce dalla dottrina all'indomani della riforma del 2005, sarebbe forse poco coerente una disciplina che assicurasse una tutela revocatoria ordinaria più intensa di quella esperibile nell'ambito di una procedura concorsuale.

Ciò detto, occorrerebbe comunque riflettere sul fatto che, esentando tali atti anche dalla revocatoria ordinaria promossa al di fuori di una procedura concorsuale, si finirebbe per privare della tutela revocatoria anche creditori che, pur non avendo prestato alcun consenso alla pianificazione ed attuazione di piani attestati o accordi di ristrutturazione (il problema non dovrebbe porsi con riferimento al concordato preventivo, il cui funzionamento è retto dal criterio deliberativo e non da quello strettamente consensuale), potrebbero concretamente subire da tali atti un pregiudizio rilevante agli effetti dell'art. 2901 c.c..

Quanto al secondo aspetto dubbio è opportuno ricordare che, nonostante non siano mancate voci contrarie [cfr., G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, cit., p. 857; B. Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit., 210], nel vigore della legge fallimentare l'inclusione delle azioni di cui agli artt. 64 e 65 l.fall. nell'ambito di operatività delle esenzioni ex art. 67, comma 3, l.fall. è stata spesso motivata sottolineando che la distinzione tra inefficacia ex artt. 64 e 65 l.fall. e revocatoria ex art. 67 l.fall. abbia ormai da tempo perso rilevanza, tanto che sia la giurisprudenza sia lo stesso legislatore utilizzano una nozione di “revocabilità” così ampia da ricomprendervi qualunque fattispecie di impugnabilità di atti pregiudizievoli per i creditori [in tal senso, G. Tarzia, L'ambito di applicazione delle esenzioni del nuovo art. 67 l.fall., Il fallimento, 2008, 639; G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l.fall., cit., 15-16; id., Le esenzioni dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione. Concordato preventivo, cit., 1479; R. Amatore, Il regime normativo delle esenzioni nelle revocatorie, cit., 747].

Nel contesto del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza, però, tale assunto potrebbe non trovare più fondamento. Nel Codice è innanzitutto tenuta ferma la distinzione tra gli atti privi di effetto, contemplati dagli artt. 163 e 164 c.c.i. (sostanzialmente corrispondenti agli attuali art. 64 e 65 l.fall.) e gli atti propriamente revocabili (secondo le norme del codice civile, ex art. 165 c.c.i., oppure secondo il regime speciale previsto dall'art. 166 c.c.i., corrispondente all'attuale art. 67 l.fall.); inoltre, confermando quanto attualmente sancito dall'art. 69-bis, primo comma, l.fall., l'art. 170 c.c.i. ribadisce che le relative azioni non possono essere promosse trascorsi tre anni dall'apertura della procedura e comunque cinque anni dal compimento dell'atto.

Proprio l'art. 170 c.c.i., tuttavia, tanto nella rubrica (“Limiti temporali delle azioni revocatorie e d'inefficacia”) quanto nel testo (“Le azioni revocatorie e di inefficacia disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse dal curatore decorsi tre anni dall'apertura della liquidazione giudiziale e comunque si prescrivono decorsi cinque anni dal compimento dell'atto”) menziona distintamente le “azioni revocatorie” da quelle “di inefficacia”, mettendo così in dubbio l'idea secondo cui la distinzione normativa tra inefficacia e revocabilità avrebbe definitivamente perso ogni rilevanza agli occhi del legislatore.

Considerato che nell'art. 170 c.c.i. il legislatore mostra di distinguere con precisione tra “azioni revocatorie” e “azioni di inefficacia”, si sarebbe portati a ritenere che lo stesso legislatore, menzionando espressamente nell'art. 166, comma 3, c.c.i. la sola “azione revocatoria”, abbia inteso riferirsi soltanto alle azioni revocatorie propriamente dette e non anche alle “azioni di inefficacia” di cui gli art. 163 e 164 c.c.i.. Ciò tanto più che il medesimo legislatore, nelle lett. d) ed e) del menzionato terzo comma dell'art. 166 c.c.i., ha avvertito la necessità di delineare con maggiore precisione l'ambito di operatività delle ipotesi di esenzione ivi previste, estendendolo testualmente all'azione revocatoria ordinaria, ma non anche alle “azioni di inefficacia”.

Come si vede, contrariamente agli auspici manifestati già nei commenti alla novella del 2005 [cfr. G. Tarzia, L'ambito di applicazione delle esenzioni del nuovo art. 67 l.fall., cit., 640], sembra che le incertezze in merito alla portata applicativa delle esenzioni dalla “revocatoria” per gli atti esecutivi di un piano attestato, di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo siano destinate a permanere e ad alimentare dibattiti non soltanto dopo l'intervento della Cassazione ma, salvo successivi interventi correttivi, anche dopo l'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza.

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