L’ex coniuge contribuisce poco o nulla alla ricchezza familiare: salva la funzione assistenziale dell’assegno
10 Luglio 2019
Massima
Pur in caso di squilibrio reddituale tra i coniugi, è esclusa l'applicabilità del criterio perequativo-compensativo dell'assegno divorzile quando il coniuge economicamente più debole non ha contribuito alla formazione della ricchezza familiare, ovvero vi ha contribuito, ma in termini ridotti. In tali circostanze opera soltanto la funzione assistenziale/alimentare in senso stretto dell'assegno. Ne consegue che l'assegno da riconoscere al coniuge economicamente più debole dovrà essere contenuto nella somma necessaria per un'esistenza dignitosa, anche alla luce delle possibilità lavorative, effettive e potenziali (età, titolo di studio ecc.) del coniuge richiedente. Il caso
La Signora C. e il Signor M. si sono uniti in matrimonio in data 6 marzo 1995 e si sono separati con sentenza, resa dal Tribunale di Torino, in data 30 novembre 2011. Il provvedimento è stato oggetto di impugnazione. Il procedimento di secondo grado si è concluso nel mese di dicembre 2014. Successivamente, con sentenza 14 aprile 2016, il Tribunale di Torino ha accertato il difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal Signor M. nei confronti del figlio nato prima del matrimonio. In data 16 marzo 2016 il Signor M. ha proposto giudizio per lo scioglimento del matrimonio avanti al Tribunale di Torino. In sede di udienza presidenziale, il Presidente ha previsto un assegno di contributo al mantenimento della Signora C. a carico del marito, di euro 1.400,00 mensili, confermando la previsione di un contributo al mantenimento della moglie disposto in sede di separazione. Nella fase istruttoria del giudizio è stata accertata la condizione patrimoniale-reddituale delle parti. Durante il matrimonio, durato 13 anni, la famiglia ha condotto una vita assai agiata, garantita unicamente dalle risorse economiche del Signor M. e dalla famiglia di origine di quest'ultimo. La Signora C., oltre a dedicarsi al figlio, ha svolto una propria attività lavorativa autonoma quale antiquaria. Il patrimonio della Signora C., come riconosciuto dalla stessa, «è conseguenza delle intestazioni, o cointestazioni, di immobili dovute ad atti di liberalità del sig. M. il quale aveva acconsentito alla intestazione alla moglie di immobili successivamente venduti dopo la separazione». L'entità del patrimonio della Signora C., di natura mobiliare e immobiliare, è stata complessivamente accertata in sede di separazione in un poco più di 1.000.000,00 di euro. Del pari, in sede di separazione, il valore del patrimonio del Signor M. è stato complessivamente accertato in euro 7.810.000,00. Dalle dichiarazioni dei redditi 2017 delle parti risulta che, per l'anno di imposta 2016: - il Signor M. ha percepito € 4.500,00 netti al mese, frutto dei propri investimenti mobiliari e immobiliari, non svolgendo il ricorrente alcuna attività di lavoro dal 1995; - la Signora C. ha percepito € 1.015,00 netti al mese, versati dal marito a titolo di assegno di mantenimento. Nel corso del giudizio, la Signora C. non è riuscita a provare il depauperamento del proprio patrimonio, con conseguente deterioramento della propria condizione economica, a motivo di investimenti immobiliari errati, né il marito ha raggiunto la prova dello svolgimento di lavoro irregolare da parte della moglie nel campo dell'arredamento e dell'antiquariato dopo il 2005, attività che avrebbe determinato una modificazione in melius della condizione economica della convenuta. In sede di precisazione delle conclusioni, la Signora C. ha insistito nella richiesta di assegno divorzile nella misura ritenuta di giustizia, mentre il Signor M. ha chiesto la revoca dell'assegno, con effetto dal deposito del ricorso introduttivo del procedimento. La questione
Alla luce di patrimoni consistenti da parte di entrambi i coniugi, la presenza di uno squilibrio patrimoniale e reddituale tra gli stessi, unito al ridotto contributo del coniuge economicamente più debole alla formazione della ricchezza familiare, esclude l'operatività dell'assegno divorzile in entrambe le sue funzioni assistenziale e compensativa? Le soluzioni giuridiche
Negli ultimi due anni, la Giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata sui criteri di determinazione dell'assegno divorzile, pervenendo a soluzioni contrastanti. La sentenza della Corte di Cassazione, I Sezione, n. 11504/2017, seguita da molte altre, ha attribuito all'assegno divorzile una funzione meramente assistenziale, ritenendo che il diritto a percepire tale assegno sia da escludersi nel caso di “autosufficienza economica” del coniuge richiedente, indipendentemente da ogni valutazione relativa al tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, in ciò differenziandosi dal consolidato orientamento precedente. Successivamente, la Sentenza della Corte di Cassazione SS. UU. n. 18287/2018, ha temperato i criteri posti dalla pronuncia n. 11505/2017, ritenendo che l'assegno divorzile assolva una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Così che, per il riconoscimento dell'assegno divorzile, si debba valutare il raggiungimento, da parte del coniuge richiedente, non solo dell'autosufficienza in astratto, ma anche, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. E ciò, alla luce dello squilibrio reddituale dei coniugi, della durata del matrimonio, dell'età del coniuge richiedente, delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate. Il Tribunale di Torino, con la sentenza in commento, ha dichiarato di aderire all'orientamento delle Sezioni Unite ed ha conseguentemente accertato, in primo luogo, lo squilibrio della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi. Nell'indagare, poi, il contributo fornito alla vita familiare dal coniuge richiedente, nel caso di specie, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che la Signora C. abbia fornito un contributo trascurabile alla formazione della ricchezza familiare, della quale si sarebbe, anzi, avvantaggiata attraverso atti di liberalità del marito nei suoi confronti - durante la convivenza matrimoniale - e specificamente attraverso intestazioni o cointestazioni di immobili, alienati dalla Signora C. dopo la separazione. Tale circostanza, secondo il Tribunale, esclude l'applicabilità del criterio compensativo e perequativo dell'assegno di divorzio. Tuttavia, sempre secondo i Giudici di prime cure, continua ad operare nel caso di specie la residua funzione assistenziale dell'assegno di divorzio, che trae origine dalla dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi. Al fine di determinare il quantum dell'assegno, il Tribunale considera l'età ormai raggiunta dalla Signora C.- 58 anni -, l'impossibilità per la stessa di reperire un impiego – e dunque un reddito – e i gravosi oneri di locazione da cui è gravata. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale riconosce il diritto della Signora C. di percepire un assegno divorzile, ritenendo tuttavia di doverne contenere la quantificazione in € 1.200,00 mensili, somma ritenuta necessaria per un'esistenza dignitosa. Osservazioni
La sentenza in commento rappresenta un'apprezzabile analisi da parte del Tribunale, che cerca di fornire un criterio sempre più concreto per valutare l'effettiva necessità di un assegno di divorzio. Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente escluso l'operatività della funzione perequativa – compensativa dell'assegno divorzile, alla luce del trascurabile contributo fornito dalla moglie alla formazione del patrimonio del marito, tuttavia, venuta meno tale funzione, i Giudici di prime cure hanno ritenuto che, nel caso di specie, il riconoscimento dell'assegno divorzile a favore della moglie assolvesse la propria funzione assistenziale, in una sorta di automatismo, alla luce della sperequazione del patrimonio delle parti - quello del marito, milionario, sette volte più capiente di quello della moglie, anch'esso, peraltro, milionario – e degli ulteriori parametri posti dalla norma di cui all'art. 5 legge divorzio. Tuttavia, se è corretto affermare che, in caso di non operatività della funzione compensativa - perequativa dell'assegno divorzile, permane la funzione assistenziale dell'assegno stesso, nondimeno l'operatività di tale funzione deve essere del pari valutata, e dunque accertata ovvero esclusa, alla luce della situazione economica e patrimoniale del coniuge economicamente più debole. La sperequazione del patrimonio delle parti, se impone di indagarne i motivi, non vale certo a fondare il riconoscimento di un assegno divorzile a favore del coniuge meno abbiente, che dispone, a propria volta, di un patrimonio di tutto rispetto, nella specie milionario. Se, da un lato, il Tribunale ha evidenziato un contributo della C. del tutto inadeguato alla formazione della ricchezza familiare ed ha altresì sottolineato come la stessa si sia in realtà arricchita dalla relazione con il marito, senza rinunce di tipo lavorativo – economico, dall'altro, poiché la moglie dispone di un patrimonio proprio molto consistente, non si comprende la decisione dei Giudici di prime cure di non revocare l'assegno divorzile. Il Tribunale di Torino, dunque, se da un lato ha dichiarato di aderire all'interpretazione dell'art. 5 legge divorzio elaborata dall'ultima pronuncia del Supremo Collegio a Sezioni Unite, dall'altro, tuttavia, pare, nella propria pronuncia, avere reintrodotto il parametro dell'adeguatezza dei mezzi economici del coniuge richiedente l'assegno al tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, con specifico riferimento alla legittimità dell'assegno stesso, secondo il consolidato schema previgente. E' indubbiamente difficile abbandonare schemi consolidati, ma è altrettanto vero che la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 offre, più della precedente pronuncia n. 11504/2017, una nuova interpretazione di matrimonio, più aderente alla realtà e ad una nozione di solidarietà più rispettosa del ruolo che entrambi i coniugi hanno svolto durante il matrimonio.
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