Tanto rumore per nulla (…o peggio). La riforma del processo penale prende forma

Antonella Marandola
11 Luglio 2019

La tanto attesa e annunciata legge delega di riforma del processo penale finalizzata alla semplificazione, speditezza e razionalizzazione dell'iter processuale pare finalmente prendere forma. A dispetto di quello che si prevedeva e, soprattutto, si auspicava...

La tanto attesa e annunciata legge delega di riforma del processo penale finalizzata alla semplificazione, speditezza e razionalizzazione dell'iter processuale pare finalmente prendere forma.

Il testo è rubricato al Capo II Delega al Governo per la modifuca del codice di procedura penale, del codice penale e per la revisione del regime sanzionatorio di contravvenzioni, di cui in verità non v'è traccia.

A dispetto di quello che si prevedeva e, soprattutto, si auspicava, poche e scarne appaiono le modifiche che verranno apportate attraverso i nuovi principi e criteri direttivi all'assetto del sistema processuale penale.

Una prima direttrice è quella di fluidificare gli obblighi notificatori, assegnando, in tal caso, un ruolo centrale al difensore, tanto da imporre una rivisitazione dei rapporti tra notificazione mediante consegna al difensore e gli altri criteri dettati, attualmente, dal codice di rito penale e nuovi oneri informativi a carico del querelante, indicando anche – ove occorra – l'indirizzo di posta certificata.

Un ruolo indubbiamente essenziale è svolto dalle improrogabili modifiche delle regole di valutazione per accedere all'archiviazione e/o emettere la sentenza di non luogo a procedere, (rappresenta una significativa novità l'impegno del giudice di motivare in maniera sommaria gli elementi di fatto o di diritto su cui la decisione è fondata) considerato il grave “stato” in cui versa la giustizia penale. In analoga ottica va letta l'innovazione del “filtro” introdotto per lo smistamento dei procedimenti per i reati a citazione diretta. Si tratta di un'udienza ad hoc, tenuta da un giudice diverso da quello che dovrà decidere: una sorta di udienza preliminare (merita ricordare che fra le opzioni riguardanti il rito ordinario è stata, invece, dalla più attenta dottrina prospettata –addirittura- la sua abolizione) che si svilupperà sugli atti contenuti nel fascicolo del p.m., all'esito della quale , alla ricorrenza delle condizioni che la legge vorrà indicare, potrà essere emessa la sentenza di non luogo a procedere.

Uno degli aspetti “toccati” dal provvedimento è quello della ridefinizione dei tempi delle indagini preliminari.

La riforma, da tempo auspicata era quella finalizzata a rendere “ragionevole” la loro durata .

Diverse le soluzioni proposte: tassatività dell'iscrizione della notizia, rafforzamento del controllo del giudice delle indagini preliminari, potenziamento del regime dell'inutilizzabilità degli atti compiuti fuori termine e introduzione di forme di responsabilità del pubblico ministero.

Nonostante le diverse soluzioni da tempo avanzate dagli operatori giuridici, il testo disattende, sotto tutti i punti di vista, il raggiungimento di quel fine.

Fatta eccezione per l'introduzione di un nuovo binario procedurale pari a 6 mesi per i reati di minore gravità, essa sembrerebbe toccare tutto, per non mutare nulla. Al contrario, appare peggiorare considerevolmente il regime della concessione delle proroghe, certo ridotto, ma incapace di allargare il contraddittorio, addirittura eliminato, nella prima versione del testo, per coloro i quali debbono subire l'indagine o hanno interesse alla prosecuzione. L'attuale versione rende alquanto incerto il modello operativo, prevedendo unicamente la richiesta del pubblico ministero.

Eliminato l'onere dell'avocazione del Procuratore Generale, introdotto dalla riforma Orlando ed espressamente abrogato dall'art. 15 lett. h) del testo, si fa carico al P.M., entro 3 mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari o nei termini di 5 mesi, per i reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. b) c.p.p., e 15 mesi, per quelli di cui al comma 2, lett. a), nn. 1, 3, e 4 c.p.p., di notificare l'avviso di conclusione delle indagini (che è l'atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio) o se non ha richiesto l'archiviazione, di notificare senza ritardo all'indagato e alla persona offesa dal reato che abbia chiesto di essere informata, «l'avviso del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate», informandoli della facoltà «di prenderne visione ed estrarne copia».

La notifica di questo avviso potrà essere ritardata, per casi specifici, «per un limitato periodo di tempo e con provvedimento motivato», nei procedimenti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), nn. 1, 3 e 4, c.p.p. si prevede altresì che dopo la notifica dell'avviso di deposito, l'omesso deposito della richiesta di archiviazione o il mancato esercizio dell'azione penale, da parte del pubblico ministero, vadano effettuate entro 30 giorni dalla richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della P.O.

A garantire l'effettività dell'obbligo soccorre, altresì, la sanzione della responsabilità disciplinare del Pubblico Ministero quando il fatto è dovuto a dolo o a negligenza inescusabile.

A rafforzare l'autonomia degli uffici di Procura interviene la dubbia formulazione della lett. i) dell'art. 15 che rivisita i cd. criteri di priorità. Con buona pace dell'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, la previsione fa carico agli uffici del P.M. di selezionare e trattare le notizie di reato, in ragione delle esigenze territoriali, secondo parametri da riportare in seno ai progetti organizzativi, redatti sulla scorta dei principi enunciati nelle delibere del C.S.M.: l'ambiguità della formulazione impiegata già sta impegnando i penalisti nella ricerca di una soluzione di equità e legalità che non assegni, impropriamente, all'organo di autogoverno della magistratura, il tema.

Sul versante dei riti speciali si rivisita il criterio di ammissibilità del giudizio abbreviato condizionato, il testo, originaramente prevedeva il patteggiamento, ampliandone considerevolmente il beneficio premiale, come traspare anche dall'invito alla rimodulazione delle preclusioni fondate sulla gravità dei reati. Innovazioni sono apportate al rapporto fra giudizio immediato e richiesta del rito abbreviato e, favorevolmente, al procedimento per decreto che potrà essere richiesto entro 1 anno dall'iscrizione ex 335 c.p.p. (ergo, dal nome della persona alla quale il reato è attribuito).

L'accelerazione dibattimentale, ormai essenziale, è perseguita dall'art. 17 lett. a) e b) che imporrà la predisposizione di metodi e criteri che consentano l'esaurimento, in maniera “serrata” delle udienze successive all'ammissione delle prove, e, entro un congruo termine, il deposito delle consulenze tecniche e della perizia.

Sul piano delle impugnazioni, alle poche indicazioni riguardanti la riduzione dell'appellabilità, per alcune minimali ipotesi, la sentenza di non luogo a procedere o di condanna, si contrappone la più ampia e alquanto discutibile soluzione di prospettare la doppia monocraticità per il vaglio delle decisioni emesse all'esito dei procedimenti a citazione diretta (con esclusione dei casi di cui all'art. 55, comma 2, lett. e-bis), f) e g) codice di procedura penale).

Questi, in estrema sintesi, alcuni punti del testo che investono il rito penale.

Ora, se la sinteticità delle indicazioni faciliterà, verosimilmente, la loro approvazione parlamentare – da effettuarsi in tempi brevi, atteso che quanto premesso deve fronteggiare la prossima entrata in vigore del discusso regime della prescrizione dei reati – stupisce, tuttavia, che il Governo sia delegato ad adottare, nel termine di 1 anno dalla data di entrata in vigore della legge, i decreti legislativi per la modifica del codice di procedura penale.