Bigenitorialità e rifiuto del minore alla frequentazione del genitore non collocatario
19 Luglio 2019
Massima
La natura incoercibile dei rapporti affettivi implica che non si può obbligare la figlia minore sedicenne a frequentare il padre, se la stessa dimostra una chiara avversione ad avere con il padre un rapporto continuativo. Il caso
Un padre presenta istanza al Tribunale per ottenere, oltre alla modifica delle condizioni economiche di mantenimento, l'affidamento congiunto della figlia di sedici anni. Il Tribunale, a fronte del fatto che la minorenne aveva ripetutamente espresso di non voler intrattenere rapporti continuativi con il padre, e anche alla luce della consulenza tecnica d'ufficio tenutasi nell'arco del processo, respinge la domanda. La Corte d'Appello, successivamente chiamata a pronunciarsi, in linea con quanto stabilito dal Giudice di prime cure, conferma il provvedimento già emesso, demandando ai servizi sociali il compito di monitorare la situazione, con la raccomandazione di adoperarsi per favorire la ripresa dei rapporti tra padre e figlia. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11170/19, emessa il 14 dicembre 2018 e pubblicata il 23 aprile 2019, respinge definitivamente il ricorso del padre, affermandosi allineata con l'orientamento assunto dal Tribunale e dalla Corte di Appello relativamente alla decisione di non imporre il rapporto affettivo, per sua natura incoercibile, tra padre e figlia, bensì decidendo di incaricare i servizi sociali del compito di monitorare la situazione, favorendo la naturale ripresa del rapporto tra padre e figlia. La questione
A favore di chi è stato previsto il principio della bigenitorialità, ed il diritto che dallo stesso viene garantito? È il diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio ovvero il diritto del figlio a mantenere (o non mantenere) un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi? Le soluzioni giuridiche
Il diritto alla bigenitorialità viene definito come il principio giuridico, oltre che etico, secondo il quale ogni bambino ha la legittima aspirazione, il legittimo diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso in cui gli stessi siano separati o divorziati e alla condizione che non esistano impedimenti che giustifichino l'allontanamento di un genitore dal proprio figlio. Questo diritto del figlio si fonda sul fatto che essere genitori è una responsabilità e un impegno che ci si assume nei confronti dei figli e non dell'altro genitore, per cui il rapporto che i genitori hanno con i figli non può e non deve dipendere né essere influenzato da un'eventuale separazione. Per molto tempo il concetto di bigenitorialità (o genitorialità condivisa) è stato usato prevalentemente in riferimento alle famiglie unite. A seguito della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, però, si è diffuso sempre di più il principio che il bambino ha diritto ad avere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, anche dopo la separazione. In Italia, la stella polare di questo importante principio è la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull'affido condiviso nonché il successivo decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (revisione in materia di filiazione). Il profilo più innovativo della nuova normativa risiede nella centralità riconosciuta al minore e al riconoscimento della sua esigenza di continuare a mantenere invariati i contatti con i genitori. Il bene tutelato è, quindi, il diritto del minore. Proprio in tale ottica, la legge ha previsto la presenza contemporanea ed alternata di entrambi i genitori nella vita del figlio anche dopo la disgregazione del nucleo familiare. In linea con questo principio, il genitore affidatario ha il dovere di favorire il rapporto del figlio con l'altro genitore, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, tenuto conto che entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. Ne discende che ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a far recidere ogni legame con lo stesso, oltre ad avere effetti deleteri sull'equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del figlio, potrebbe arrivare a configurare un'elusione dell'esecuzione di un provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice civile, oltre che la rappresentazione di una cosiddetta condotta di “alienazione parentale”. Il prevalente orientamento giurisprudenziale stabilisce che, in tema di affidamento del figlio minore, il principio di bigenitorialità non si deve tradurre in una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore con i genitori. Ciò che viene valorizzato, semmai, è il diritto del figlio ad avere presente entrambi i genitori in maniera significativa nella sua vita. Rilevano, a tal fine, il modo in cui i genitori hanno, in precedenza dell'evento separativo, svolto i propri compiti, le loro rispettive capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita, innanzitutto del figlio, nonché di ciascun genitore, e l'ambiente sociale e familiare che egli è in grado di offrire al minore. L'Ordinanza che qui si commenta è in linea con quanto stabilito nella legge n. 54/2006, nonché con l'art. 337-ter del codice civile, riformato dal predetto decreto legislativo, nella parte in cui raccomanda che: «il giudice adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa». La Suprema Corte, infatti, oltre ad evidenziare l'incoercibilità dei rapporti affettivi – e in particolar modo in presenza di una figlia minore di sedici anni che manifesta palesemente la sua avversione a frequentare in maniera continuativa il padre - stabilisce che il diritto del figlio alla bigenitorialità, lo si può esercitare anche nella sua accezione negativa, vale a dire, il diritto di “non mantenere” con un genitore un rapporto continuativo. Con questa pronuncia, la Suprema Corte mette così in luce come il principio della bigenitorialità sia posto, innanzitutto, a tutela di un diritto dei figli e non solo ed esclusivamente a tutela di un diritto dei genitori. Tale decisione è stata assunta in entrambi i gradi di giudizio, confermata poi dalla Suprema Corte. In tal modo l'organo giudicante si è messo in una posizione di ascolto delle chiare manifestazioni di volontà della figlia sedicenne. E ciò anche sulla scorta di risultanze istruttorie emerse durante una consulenza tecnica d'ufficio che, evidentemente, ha tenuto a sua volta in considerazione l'espressa volontà dalla ragazza. Osservazioni
L'imponente evoluzione che ha avuto il diritto di famiglia dovrebbe portare dottrina e giurisprudenza ad occuparsi della portata e degli specifici confini entro cui circoscrivere il concetto di bigenitorialità, teleologicamente orientato a garantire l'effettività del diritto dei figli a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, anche in costanza di separazione. Il compito dell'organo di nomofilichia si fa particolarmente arduo quando sul piano concreto si verifica l'esistenza di una grave conflittualità tra i genitori, alimentata da una competitività esasperata, tesa a distorcere le finalità dell'istituto mediante sopraffazioni egoistiche idonee a sacrificare le aspirazioni esistenziali dei figli. Nello specifico, in tema di affidamento dei figli minori, il giudice deve orientare la propria decisione sia tenendo in alta considerazione l'interesse morale e materiale dei figli minori che valutando le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione causata dalla disgregazione dell'unione, nel tentativo di contemperare, quindi, il principio della bigenitorialità - posto a tutela di un diritto del figlio - con le complessive esigenze della sua vita concreta. Nei casi di separazione personale dei coniugi, quindi, il giudice, al fine di applicare al meglio il principio di bigenitorialità, deve tenere sempre conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti in relazione ai figli, valutandone le rispettive capacità di relazione affettiva, l'attenzione, la comprensione, l'educazione e la disponibilità ad un assiduo rapporto genitore-figlio e considerando la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. AA.VV., Nell'esclusivo interesse del minore, p. 16 e ss; Dogliotti, L'interesse dei figli nella separazione (a proposito di una ricerca interdisciplinare), in Dir. fam. e pers., 1990, p. 221; Zanetti - Vitali, L'affidamento “congiunto”, o “condiviso” dei figli minori e le proposte di legge, cit., p. 733; Finocchiaro, L'audizione del minore e le Convenzioni de l'Aja, 29 maggio 1993; Manera, Il minore come soggetto di diritti, ossia rilevanza della sua volontà nell'affidamento a uno dei genitori, in Giur. Merito, 1983, I, p. 360; Longo, Diritti del minore, mediazione familiare e affidamento condiviso, in Fam. e dir., 2003, p. 87 ss.; Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 584; Graziosi, Note sul diritto del minore ad essere ascoltato nel processo, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1992, p. 1281 ss., in particolare p. 1295. |