Assegnazione della casa familiare e figli maggiorenni: no alla pronuncia d'ufficio
31 Luglio 2019
Massima
In presenza di figli maggiorenni non autosufficienti, occorre riproporre in sede di giudizio di divorzio la domanda di assegnazione della casa famigliare da parte di chi risulti già assegnatario in sede di separazione, in considerazione alla diversa connotazione della posizione giuridica rispetto ad un figlio minorenne. Il caso
Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, in una pronuncia di divorzio tra due coniugi, tra le varie statuizioni prese, assegnava la casa coniugale all'ex moglie, in considerazione della convivenza con il figlio maggiorenne, ma non autosufficiente. La donna risultava già beneficiaria della casa familiare nel giudizio di separazione, ma nel successivo procedimento divorzile la richiesta di assegnazione non era stata reiterata. La Corte d'Appello di Napoli revocava l'assegnazione della casa familiare, sul presupposto che non era stata formulata alcuna specifica istanza di assegnazione e, pertanto, la decisione del Tribunale era stata assunta extra petita. La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi anche su tale punto, aseguito di ricorso incidentale da parte della moglie, rigettava la domanda. La questione
La questione concerne, in presenza di figli maggiorenni ma economicamente non indipendenti, la necessità di una espressa domanda di assegnazione della casa famigliare, non potendo il giudice provvedervi d'ufficio, come invece può avvenire in presenza di figli minorenni. Le soluzioni giuridiche
L'art. 6, comma 6 della l. n. 898/1970 - che richiama quanto previsto nell'art. 337 sexies c.c. - stabilisce il criterio in base al quale il giudice deve provvedere all'assegnazione della casa coniugale. La traduzione letterale delle norme e l'elaborazione giurisprudenziale postulano soltanto l'indisponibilità e l'irrinunciabilità del diritto al godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario, in relazione ai figli minori. Con riguardo invece, ai figli maggiorenni, l'art. 337 septies c.c. prevede che il giudice possa disporre, valutate le circostanze, in favore di questi ultimi, qualora siano non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. E' pertanto necessario che la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di giudizio di divorzio anche da parte di chi risulti già in precedenza assegnatario della stessa come da statuizioni assunte in sede di separazione, non potendo il giudice provvedervi d'ufficio proprio in ragione della diversa connotazione giuridica che caratterizza il figlio maggiorenne, soprattutto in termini di autodeterminazione individuale rispetto al minore.
Osservazioni
Secondo un principio generale ormai affermato e consolidato da costante giurisprudenza (Cass. Civ. n. 20864/2018; Cass. Civ. n. 25604/2018; Cass. Civ. n. 21334/2013; Cass. Civ. n. 23591/2010, etc.) la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti, per consentire loro la permanenza nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti e garantire il mantenimento delle consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate. L'art. 337 sexies del codice civile disciplina in modo specifico l'assegnazione della casa familiare in tutti i casi in cui, essendosi disgregata la coppia genitoriale (a seguito di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, cessazione della convivenza fuori del matrimonio), il figlio rimanga domiciliato presso uno dei genitori al quale il giudice attribuisca conseguentemente il diritto di rimanere ad abitare nell'immobile costituente la casa familiare, ancorché essa sia in comproprietà tra i genitori, ovvero di proprietà dell'altro genitore o di terzi. Tale diritto si configura come diritto personale di godimento e non diritto reale, come da consolidata giurisprudenza (Cass. Civ., n. 17971/2015; Cass. Civ., n. 20448/2014; Cass. Civ., n. 8361/2011) e viene meno, tra le altre cause indicate (allontanamento stabile, convivenza more uxorio dell'assegnatario, matrimonio dell'assegnatario), per la cessazione delle esigenze dei figli o per il raggiungimento dell'autosufficienza economica oppure per la fine della convivenza del genitore assegnatario. È pertanto legittima l'assegnazione della casa familiare al genitore non proprietario, solo se correlata all'affidamento dei figli minori ovvero alla convivenza con i figli maggiori di età non ancora autosufficienti. L'autosufficienza dei figli maggiorenni dal punto di vista economico (che consiste nel percepire un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato) o la cessazione della convivenza con il genitore assegnatario, legittimano quindi il genitore comproprietario dell'immobile, estromesso dal godimento della casa familiare, a richiedere la revoca dell'assegnazione. In assenza di una normativa che disciplini in maniera specifica i provvedimenti da adottare, la Corte ha inteso privilegiare l'aspetto procedurale della questione, condizionando l'assegnazione della casa familiare alla formulazione di una precisa domanda nel caso di convivenza di un genitore con un figlio maggiorenne non economicamente indipendente, figura che è stata oggetto di attente riflessioni attinenti sia alla definizione della categoria che alla prova della raggiunta autosufficienza economica ed alla misura del mantenimento. |