La “grammatura” richiesta per un prodotto non viola il principio di equivalenza

Redazione Scientifica
26 Luglio 2019

Il principio di equivalenza ha, per consolidata giurisprudenza, lo scopo di evitare che, attraverso la previsione di specifiche tecniche eccessivamente dettagliate - in alcuni casi addirittura...

Il principio di equivalenza ha, per consolidata giurisprudenza, lo scopo di evitare che, attraverso la previsione di specifiche tecniche eccessivamente dettagliate - in alcuni casi addirittura “nominative”, con indicazione ad esempio di un singolo brevetto, marchio o provenienza - risulti irragionevolmente limitato il confronto competitivo fra gli operatori economici, e in particolare vengano precluse offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta.

In ragione di ciò, proprio alla luce della ratio sottesa al principio di equivalenza, presupposto essenziale perché detto principio possa essere richiamato e trovare applicazione è che, sul piano qualitativo, si sia in presenza di una specifica in senso propriamente tecnico, e cioè di uno standard - espresso in termini di certificazione, omologazione, attestazione, o in altro modo - capace di individuare e sintetizzare alcune caratteristiche proprie del bene o del servizio, caratteristiche che possono tuttavia essere possedute anche da altro bene o servizio pur formalmente privo della specifica indicata.

Quanto sopra vale a escludere che detto principio sia invocabile in relazione alla mera “grammatura”, e cioè nel peso richiesto per il prodotto, in quanto sul piano qualitativo non si è in presenza di una specifica riconducibile a standard tecnici - del tipo delle certificazioni, attestazioni, omologazioni e similari - soggetto all'applicazione del principio d'equivalenza.

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