Aristide Police
Andrea Daidone
14 Agosto 2019

La disciplina europea sulle procedure di affidamento dei contratti pubblici, dettata prima dalle direttive nn. 17/2004 e18/2004 e ora dalle direttive nn. 24/2014 e 25/2014, ha tradizionalmente circoscritto il proprio ambito di applicazione ai contratti che, superando un certo valore economico, hanno una rilevanza anche fuori dai confini dei singoli Stati membri.Tale limite, come noto, è indicato dalle soglie ed è stato recepito dal legislatore nazionale, tra gli altri, dapprima agli artt. 28 (per i settori ordinari) e 215 (per i settori speciali) del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, successivamente, dagli artt. 35 (per i settori ordinari) e 114 (per i settori speciali) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Le soglie, in sostanza, costituiscono il metro per misurare la “rilevanza comunitaria” (o meno) dei contratti pubblici e, quindi, si impongono per delimitare con precisione l'ambito oggettivo di applicazione di quella – cospicua – parte delle disposizioni del Codice che ha chiara matrice sovranazionale.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

La disciplina europea sulle procedure di affidamento dei contratti pubblici, dettata prima dalle direttive nn. 17/2004 e 18/2004 e ora dalle direttive nn. 24/2014 e 25/2014, ha tradizionalmente circoscritto il proprio ambito di applicazione ai contratti che, superando un certo valore economico, hanno una rilevanza anche fuori dai confini dei singoli Stati membri.

Tale limite, come noto, è indicato dalle soglie ed è stato recepito dal legislatore nazionale, tra gli altri, dapprima agli artt. 28 (per i settori ordinari) e 215 (per i settori speciali) del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e, successivamente, dagli artt. 35 (per i settori ordinari) e 114 (per i settori speciali) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Le soglie, in sostanza, costituiscono il metro per misurare la “rilevanza comunitaria” (o meno) dei contratti pubblici e, quindi, si impongono per delimitare con precisione l'ambito oggettivo di applicazione di quella – cospicua – parte delle disposizioni del Codice che ha chiara matrice sovranazionale. Ciò al fine di garantire l'applicazione di una disciplina unificata di maggiore rigore finalizzata al coordinamento delle procedure nazionali di aggiudicazione con lo scopo di consentire la piena apertura degli appalti pubblici alle regole della concorrenza e a i principi del Trattato.

I contratti di “rilevanza comunitaria” misurati grazie a “soglie” di valore: spunti per l'interpretazione storica

Come recita il primo considerando della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 2004/18/CE, «l'aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza. Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore a una certa soglia è opportuno elaborare disposizioni per coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti in modo da garantire che a tali principi sia dato effetto pratico e che gli appalti pubblici siano aperti alla concorrenza».

Ebbene, non pare debbano spendersi parole per sottolineare come, sin dalla prima e più solenne individuazione della ratio che ispira l'esercizio della potestà normativa da parte dell'Unione europea per assicurare l'apertura del mercato dei pubblici appalti alla concorrenza, il legislatore si è posto un preciso self restraint e ha definito i limiti della propria competenza normativa in materia, o per usare il linguaggio da tempo invalso, ha delimitato l'ambito di applicazione oggettivo di tale disciplina ai soli appalti il cui valore superi una determinata “soglia”.

La fissazione di soglie di valore in materia di procedure per l'affidamento di appalti pubblici costituisce una costante della disciplina comunitaria sin dal suo primo apparire agli inizi degli anni settanta del secolo appena trascorso (direttive nn. 71/305/CEE e 89/440/CEE).

Analoghi limiti di applicazione alla disciplina comunitaria venivano dettati dalle direttive in materia di appalti pubblici di forniture e di pubblici servizi. Per le prime, già la direttiva 77/62/CEE e poi la direttiva 93/37/CEE stabiliva che «gli appalti di forniture il cui ammontare è inferiore a duecentomila ECU possono non essere sottoposti alla concorrenza» e che fosse «opportuno stabilire che le misure di coordinamento (delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture) non andassero applicate ai suddetti appalti».

Anche nella direttiva 92/50/CEE in materia di appalti di pubblici servizi si faceva ricorso alle soglie di valore come limite di applicabilità della disciplina e si precisava, con una significativa e utile aggiunta, che «nell'intento di evitare formalità superflue la presente direttiva non deve applicarsi agli appalti di valore inferiore ad una determinata soglia» e che «detta soglia può in linea di massima coincidere con quella fissata per gli appalti pubblici di forniture».

Ognuna delle direttive comunitarie in materia di appalti recava quindi nel suo articolato una o più previsioni relative alle cosiddette “soglie” di valore, preoccupandosi non soltanto di individuare il valore della soglia al di sotto del quale non trovava applicazione la disciplina comunitaria, ma anche i criteri di riferimento per computare detto valore, le regole per evitare facili elusioni della disciplina a mezzo dell'uso strumentale delle soglie e le procedure per aggiornare nel tempo il valore delle stesse (la c.d. procedura di revisione).

Per i lavori pubblici, prima dell'entrata in vigore della direttiva unificata, la norma di riferimento era l'art. 6 direttiva 93/37/CEE; per le forniture l'art. 5 direttiva 93/36/CEE, per i servizi pubblici, infine, l'art. 7 direttiva 92/50/CEE.

Questo corpus di disposizioni vennero poi unificate dal legislatore comunitario nell'organica disciplina contenuta agli artt. 7, 8, 9 e 78 direttiva 18 del 2004, che ha costituito il vincolante binario che ha guidato il legislatore nazionale nel definire la misura della “rilevanza comunitaria” dei contratti pubblici.

Le soglie come limite alla competenza normativa dell'Unione Europea e dei suoi Stati membri?

Prima di passare ad un puntuale commento delle norme del Codice dei contratti pubblici che prevedono le “soglie”, pare utile sciogliere un interrogativo che immediato sovviene al giurista che si soffermi per un po' su disposizioni che, a prescindere dal loro rilevantissimo rilievo applicativo, sembrano così povere di implicazioni teoriche di un qualche spessore.

L'interrogativo che si pone è quello che attiene alla collocazione e alla valenza teorico-generale delle “soglie”. E' ben noto che, secondo la teoria delle fonti propria dell'ordinamento comunitario, le prescrizioni contenute nelle direttive hanno come propri destinatari in primo luogo ed in prima battuta gli Stati membri dell'Unione Europea che hanno l'obbligo di recepirle in un dato termine. Solo in caso di mancato recepimento entro il termine, in presenza di prescrizioni chiare, precise ed incondizionate, esse possono trovare diretta ed immediata applicazione e diventano self executing. Ebbene, se così è, e non vi è alcun dubbio o contrasto dottrinale o giurisprudenziale in proposito, appare evidente come la “soglia”, definendo l'ambito di applicazione oggettivo del precetto contenuto nella direttiva, concorre al contempo a definire i limiti dell'obbligo di recepimento da parte degli Stati membri.

Ci si domanda allora se tali “soglie” costituiscano un limite alla competenza normativa degli Stati membri e, al contempo, a quella dell'Unione.

A prima vista sembrerebbe che le soglie costituiscano proprio la definizione del limite della competenza normativa dell'Unione rispetto a quella degli Stati membri. Ad una lettura più attenta, pero, ci si avvede che questa soluzione non può trovare accoglimento. In tal senso milita l'assorbente rilievo secondo cui la soglia, o per meglio dire, la pluralità di soglie che le direttive hanno via via previsto e codificato sono frutto di un autolimite che il legislatore comunitario si è imposto e che può – nel tempo e a seconda dei casi e delle valutazioni di opportunità – essere modificato ed eventualmente rimosso.

L'evoluzione storica delle “soglie”, come è stata sia pur velocemente tratteggiata, dimostra appunto che il legislatore comunitario non incontra alcun limite nel modificare le soglie e che anzi la loro fissazione si fonda soltanto su valutazioni proprie della discrezionalità del legislatore comunitario, valutazioni di tipo politico quanto alla opportunità o utilità di far precedere (o meno) l'aggiudicazione di alcuni pubblici appalti da procedure ad evidenza pubblica di matrice comunitaria.

La soglia, in altri termini, costituisce la cristallizzazione in un dato momento storico della valutazione politica del legislatore comunitario quanto all'adeguatezza ed alla proporzionalità di un mezzo (le procedure di evidenza pubblica di matrice comunitaria) ad un fine (la tutela della concorrenza nel mercato dei pubblici appalti e delle commesse pubbliche).

A fronte della discrezionalità del legislatore comunitario nella individuazione delle soglie, il legislatore nazionale non può che adeguarsi a riconoscere in quelle soglie la misura della rilevanza comunitaria dei contratti pubblici e, quindi, dell'applicabilità ad essi di una serie di norma di matrice comunitaria.

(Segue). Le soglie come elementi che concorrono alla delimitazione dell'ambito oggettivo di applicazione di parte della disciplina.

La delimitazione delle fattispecie cui la disciplina delle soglie trova applicazione è particolarmente dettagliata e complessa con riferimento alla disciplina europea in materia di pubblici appalti.

Tra le previsioni che concorrono a delimitare l'ambito oggettivo di applicazione della disciplina si devono distingue tre tipi di previsioni: quelle che si riferiscono alla forma dell'affidamento, quelle che hanno ad oggetto il contenuto della prestazione ed infine quelle che si occupano del valore economico degli affidamenti.

In sostanza, occorre aver riguardo al “tipo” (negoziale o provvedimentale) dell'affidamento, all'oggetto della prestazione richiesta sul mercato, e, da ultimo, al valore economico complessivo della prestazione richiesta.

Dei primi due profili si occupa, ad esempio,l'art. 3 del codice dei contratti pubblici del 2016 che, facendo ricorso ad una serie di definizioni, delimita l'ambito oggettivo di applicazione sia in relazione al “tipo” o, se si vuole, alla forma dell'affidamento, sia al contenuto della prestazione oggetto dell'affidamento a terzi .

Poi, come si è accennato, per definire l'ambito di applicazione oggettivo delle norme in commento, accanto a quelle appena ricordate relative al "tipo" (negoziale o provvedimentale) dell'affidamento e all'oggetto delle prestazioni richieste, il legislatore nazionale, sulla scorta della disciplina comunitaria, ne ha introdotte altre che hanno riguardo il valore economico complessivo delle prestazioni richieste (si veda, ad esempio, lo stesso art. 3, lett. ee), del d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui per “« ;contratti di rilevanza europea ;» si intendono quei contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell'imposta sul valore aggiunto è pari o superiore alle soglie di cui all'art. 35 e che non rientrino tra i contratti esclusi”).

Si deve anzi segnalare come già nella costruzione della direttiva unificata del 2004 , già nell'art. 1 si definiscono proprio l'oggetto e l'ambito di applicazione della disciplina in discorso. La sez. 2 del capo I del tit. I, agli artt. 4, 5 e 6, formula la disciplina generale delle soglie. Di ciò è ben consapevole il legislatore nazionale che al tit. I della seconda parte del codice, si preoccupa in primo luogo di ribadire le soglie di valore grazie alle quali si desume la rilevanza comunitaria (o meno) dei contratti pubblici.

Le soglie fissate nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.

Già il primo considerando della direttiva 2014/24/UE prescriveva che per gli appalti pubblici con valore superiore a una certa soglia fosse opportuno elaborare disposizioni per coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti in modo da garantire che a tali principi sia dato effetto pratico e che gli appalti pubblici siano aperti alla concorrenza.

Il legislatore nazionale, con l'art. 35 del nuovo codice, non soltanto conserva una pluralità di soglie diverse in ragione del diverso oggetto della prestazione nei settori ordinari e speciali, ma introduce in modo compiuto ed articolato anche una differenziazione di soglia a seconda della natura dell'amministrazione aggiudicatrice.

Le soglie, in sostanza, variano sia in ragione della diversa natura dei soggetti committenti, sia del diverso oggetto delle prestazioni appaltate.

Le soglie di rilevanza comunitaria (da ultimo modificate — a decorrere dal 1° gennaio 2018 — per effetto di quanto disposto dal reg. UE 2365/2017 e dal reg. UE 2366/2017 che modificano, rispettivamente, la direttiva 2014/24/UE e la direttiva 2014/23/UE) sono:

  • euro 5.548.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;
  • euro 144.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato III; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato VIII;
  • euro 221.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; tale soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, allorché tali appalti concernono prodotti non menzionati nell'allegato VIII;
  • euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX.
Modalità di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici e delle concessioni.

Quanto al calcolo del valore, il legislatore nazionale, come già quello sovranazionale, facendo tesoro di tutta l'esperienza derivante dall'applicazione delle precedenti direttive in materia di appalti pubblici, degli innumerevoli e costanti tentativi di elusione mediante sostanziale aggiramento delle soglie e dei proficui rimedi elaborati anche in sede giurisprudenziale, dedica una lunga parte dell'art. 35 (dal co. 4 al co. 18) alla definizione dei metodi di calcolo del valore da utilizzare per valutare l'applicazione delle soglie (per le precedenti formulazioni dei metodi di calcolo si vedano l'art. 29 del d.lgs. n. 163 del 2006; gli artt. 9 e 56 della direttiva 2004/18/CE; l'art. 17 della direttiva 2004/17/CE; l'art. 2 del d.lgs. 24 luglio 1992, n. 358; l'art. 4 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157; l'art. 9 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158).

La disciplina in commento, recentemente modificata ad opera dell'art. 24 del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 e dall'art. 1, comma 1, lett. e) del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, configura un ben articolato insieme di precetti puntuali per il calcolo del valore stimato dei singoli affidamenti e differenzia i metodi in ragione dell'oggetto dell'affidamento, della durata della prestazione oggetto dell'affidamento,del "tipo" negoziale o contrattuale prescelto per l'affidamento e delle amministrazioni coinvolte .

La lettura dei commi dell'art. 35 sopra richiamati è chiara e non pone particolari problemi ermeneutici. Nonostante ciò preme anzitutto precisare che il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull'importo totale pagabile al netto dell'IVA, valutato dalle stazioni appaltanti.

L''art. 167 del codice si occupa poi di indicare i metodi di calcolo del valore applicabile alle concessioni sancendo che per determinarne il valore, ai fini di cui all'art. 35, “si fa riferimento al fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell'IVA, stimato dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è calcolato al momento dell'invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto un bando, al momento in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione”.

Sotto tale ultimo profilo, nel prevedere che l'importo debba considerare il fatturato totale generato per tutta la durata del contratto, si è inteso porre fine alla prassi invalsa presso le pubbliche amministrazioni nazionali di “deprezzare” l'affidamento, con un sensibile sviamento nella possibilità dei concorrenti sul mercato di valutare la convenienza complessiva in caso di sua aggiudicazione.

Il valore della concessione, infatti, deve essere correlato al complesso degli introiti che possono essere ricavati, sotto qualsiasi forma, dal concessionario, comprensivi quindi sia di quelli rinvenibili dal mercato che di quelli ricevuti direttamente dall'ente concedente o da altri soggetti, comunque in relazione all'oggetto della concessione (cioè alla gestione del servizio).

In questa logica, non vi è spazio per parametrare tale valore al canone corrisposto dal concessionario, che evidentemente non rappresenta per quest'ultimo un introito quanto un esborso — peraltro eventuale — cui lo stesso concessionario deve far fronte nell'ambito del rapporto concessorio.

Non avrebbe infatti alcuna logica determinare il valore della concessione con riferimento a un elemento quale il canone concessorio che, oltre ad essere del tutto eventuale, non è in alcun modo indicativo degli effettivi valori economici che sono generati dal rapporto concessorio.

Inoltre, occorre sempre ricordare che l'elemento che connota l'istituto della concessione, sia di lavori che di servizi, è rappresentato dalla gestione (dell'opera o del servizio), per cui appare naturale che anche il relativo valore sia parametrato con riferimento agli introiti ricavabili — direttamente o indirettamente — da tale gestione.

Il metodo di calcolo, come già accadeva nella precedente versione del codice, tiene conto dell'importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto.

Sin da subito viene così esplicitato lo sforzo che anima il legislatore e quindi la ratio che deve orientare anche l'interprete nella lettura sistematica e funzionale di tale norma.

In questo senso, ad esempio, l'inclusione nel valore stimato di qualsiasi forma di eventuale opzione o di rinnovo costituisce un'implicita ma non derogabile prescrizione in merito all'annosa e controversa questione dell'ammissibilità (o meno) del rinnovo di contratti di appalto giunti a scadenza.

Problemi applicativi - Il rinnovo dei contratti in essere

L'inclusione nel valore stimato di qualsiasi forma di eventuale opzione o di rinnovo costituisce una implicita ma non derogabile prescrizione anche in merito all'annosa e controversa questione dell'ammissibilità (o meno) del rinnovo di contratti di appalto giunti a scadenza.

A fronte della costante prassi delle pubbliche amministrazioni nazionali di procedere al rinnovo dei contratti in essere, in luogo di espletare procedure di gara per nuovi affidamenti, si è sviluppata una legislazione di dubbia legittimità comunitaria e comunque di carattere occasionale e sistematico (si ricordi che già l'art. 6, comma 1, l. 24 dicembre 1994, n. 724 aveva tassativamente disposto il divieto di rinnovo tacito e la nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto).

Tutto ciò ha inevitabilmente dato corpo ad un ingente contenzioso.

Le previsioni delle direttive europee, poi recepite nell'art. 35di cui si discorre, nel prevedere che l'importo di eventuali e futuri rinnovi debba essere computato nel calcolo dell'importo stimato, pongono termine alla prassi invalsa presso le pubbliche amministrazioni nazionali e non possono che precludere la possibilità di rinnovi che non siano stati originariamente previsti e che non abbiano costituito materia di apprezzamento dei possibili concorrenti sul mercato al fine di valutare la convenienzacomplessiva dell'affidamento in caso di sua aggiudicazione. Il valore dell'appalto, dunque, viene calcolato prendendo come riferimento “l'importo massimo stimato” e non l'importo reale o prevedibile dello stesso; ciò che vale per la stima, dunque, non è l'oggetto attuale dell'affidamento ma le astratte potenzialità di crescita, sia in termini di dimensioni quantitative della prestazione originariamente affidata, sia in termini di durata.

In evidenza - Il divieto di elusione e, in particolare, il divieto di frazionamento

Occorre evidenziare tra l'altro che è necessario collocare temporalmente il calcolo del valore stimato nel momento più prossimo all'avvio della procedura di affidamento (v. il co. 7 dell'art. 35, nonché, sotto il vigore del previgente codice, la deliberazione AVCP n. 74 del 1° agosto 2012).

La ratio è evidente, quanto più il calcolo viene effettuato in prossimità dell'affidamento tanto più si eliminano o (più realisticamente) si riducono i margini di errore nel calcolo dell'effettiva consistenza del valore dell'affidamento.

Non assumono quindi alcun rilievo, né possono essere validamente assunte ai fini del calcolo del “valore stimato”, quelle previsioni che le amministrazioni aggiudicatrici dovessero aver posto in essere prima dell'avvio del procedimento di affidamento.

Del resto, nel momento in cui si assume una soglia (o meglio più soglie) di valore per determinare il campo di applicazione di una disciplina, l'introduzione di precise prescrizioni a garanzia dei confini che la “soglia” pone è esigenza irrinunciabile a tutela della effettività della disciplina.

Ebbene, è proprio alla soddisfazione di tale esigenza che attende il legislatore europeo che si preoccupa di garantire l'effettività della disciplina con una ben precisa sanzione, quella dell'illegittimità di ogni metodo di calcolo che, pur rispettando la lettera delle prescrizioni dettate, tenda a raggiungere un risultato elusivo.

Ma vi è anche un'altra prescrizione di carattere generale, finalizzata a sanzionare la più nota e la più aspramente combattuta delle forme di elusione della disciplina europea per l'aggiramento delle soglie che ne delimitano il campo di applicazione.

Il riferimento è all'espresso divieto di frazionamento degli affidamenti che si legge nel comma 6 dell'art. 35, secondo cui appunto « Un appalto non può essere frazionato allo scopo di evitare l'applicazione delle norme del presente codice tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino ».

A tal riguardo, l' art. 1, comma 20, lett. g), nn. 1 e 2), del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, modificando i commi 9 e 10 dell'art. 35 del Codice, ha sancito che – per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture – il computo del valore complessivo stimato della totalità dei lotti si applica anche nel caso di appalti aggiudicati per lotti distinti (e non solo in caso di aggiudicazione contemporanea di lotti distinti, come precedentemente previsto).

Nello specifico, le modifiche sono volte al recepimento di quanto indicato nella procedura di infrazione n. 2018/2273, che ha censurato i predetti commi dell'art. 35 del Codice, laddove prevedevano che il valore dell'appalto fosse dato dal “valore complessivo stimato della totalità di tali lotti” qualora vi fosse la possibilità di “appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti separati”. Nell'ambito della procedura d'infrazione, la Commissione europea ha osservato che,aggiungendo la qualifica “contemporaneamente”, la normativa italiana restringeva l'applicabilità dell'obbligo di computare il valore complessivo stimato della totalità dei lotti (previsto dall'art. 5, paragrafi 8 e 9, della direttiva 2014/24), per cui invece tale criterio deve essere applicato anche quando l'appalto “può dare luogo ad appalti aggiudicati per lotti distinti”.ù

Per completezza si precisa che l'art. 1, comma 21, del già citato d.l. n. 32/2019 prevede l'applicabilità delle disposizioni sopra richiamate alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 55/2019, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

Importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria nei settori speciali

Nello stesso articolo 35 del Codice, al co. 2, si prescrive, con un pregevole sforzo di sintesi e semplificazione, che nei settori speciali le soglie di rilevanza comunitaria sono, ai sensi di quanto recentemente disposto dal reg. UE 2364/2017 che modifica la direttiva 2014/25/UE:

  • euro 5.548.000 per gli appalti di lavori;
  • euro 443.000 per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;
  • euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati all'allegato IX.

Come noto, fino all'entrata in vigore del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, gli appalti nei settori speciali avevano formato oggetto di autonoma e separata regolamentazione (proprio per questo si erano guadagnati l'appellativo di “settori esclusi”), posto che le direttive del 2004 erano state varate anche con il fine precipuo di garantire la tutela della concorrenza in relazione a procedure di affidamento di appalti da parte di enti operanti in quei settori sottratti (poi divenuti speciali).

L'esclusione di tale tipologia di servizi, in realtà, era stata prevista fin dalle prime direttive comunitarie in materia di appalti pubblici; infatti, la direttiva 71/305/CEE in materia di lavori, recepita con l. 8 agosto 1977, n. 584, e la direttiva 77/62/CEE in materia di forniture, recepita con l. 30 marzo 1981, n. 113, non disciplinavano i settori speciali.

Viceversa, il secondo considerando della direttiva 2014/25/UE stabilisce che, al fine di assicurare l'apertura alla concorrenza degli appalti pubblici di enti che operano nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, è opportuno stabilire disposizioni di coordinamento per i contratti con valore superiore a una certa soglia. Tale coordinamento, pur necessario per assicurare l'applicazione dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in considerazione della natura dei settori interessati, mira a istituire un quadro per pratiche commerciali leali, garantendo comunque la massima flessibilità.

Confrontando le soglie di rilevanza comunitaria operanti nei settori c.d. ordinari con quelle che devono essere applicate agli appalti nei settori c.d. speciali, appare evidente che il legislatore delegato ha fissato, per i contratti aventi ad oggetto servizi e forniture, limiti di valore più elevati di quelli predeterminati nei settori ordinari: mentre, in quest'ultimo caso, gli appalti di servizi e di forniture rilevanti in sede comunitaria devono superare rispettivamente 144.000 euro e 221.000 euro, nei settori speciali le disposizioni della parte terza trovano applicazione solo nel caso in cui tali contratti superino i 443.000 euro.

Per quanto riguarda i c.d. contratti sotto soglia, l'art. 36 – profondamente inciso dal già citato d.l. n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 55/2019 - prevede che le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi per gli appalti di lavori, forniture e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, rientranti nell'ambito definito dagli artt. da 115 a 121, applicano la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti, la quale, comunque, deve essere conforme ai principi dettati dal Trattato UE a tutela della concorrenza.

In linea di massima, la tecnica normativa adottata per i contratti sotto soglia nei settori speciali è analoga a quella utilizzata dal legislatore delegato per i contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria nei settori ordinari: vale a dire, vi è un rinvio alle norme generali che regolamentano tale regime di contratti con la previsione di qualche disposizione derogatoria ispirata alla logica di semplificazione, riduzione dei termini ed utilizzo di strumenti flessibili.

L'esatta qualificazione di un ente aggiudicatore ;all'interno di una delle categorie sopra citate risulta essenziale: proprio in virtù di tale operazione è infatti possibile determinare la specifica disciplina che deve essere osservata per l'aggiudicazione dell'appalto, dal momento che, mentre le amministrazioni sono obbligate ad applicare, salvo alcune deroghe tassativamente previste, le disposizioni della parte III, le ;imprese pubbliche ed i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi ;si devono attenere a quanto stabilito nei rispettivi regolamenti, i quali devono comunque essere conformi ai principi dettati dal Trattato.

In effetti già nel codice del 2006, l'art. 238 distingueva la disciplina che doveva essere applicata dagli “enti aggiudicatori” per procedere all'affidamento degli appalti sotto soglia nei c.d. settori esclusi a seconda che si trattasse, da un lato, di “amministrazioni aggiudicatrici”, dall'altro, di “imprese pubbliche” o di “soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi”. A differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi per gli appalti di lavori, forniture e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, rientranti nell'ambito definito dagli artt. da 208 a 213 del codice del 2006, applicavano la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti, la quale, comunque, doveva essere conforme ai principi dettati dal Trattato CE a tutela della concorrenza (art. 238, co. 7). In questo senso, il vecchio codice, più che dettare una disciplina “generale”, e per evitare di incidere con rigorosi limiti sulle modalità operative di tali enti aggiudicatori, ha rimesso all'autonomia di questi ultimi la disciplina di “specifiche” procedure per l'aggiudicazione degli appalti de quibus attraverso l'imposizione di un unico limite: nella scelta delle regole cui conformare lo specifico modus procedendi, le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi dovevano osservare i principi dettati dal Trattato CE a tutela della concorrenza.

Ad ogni modo la differenziazione sembra offrire la soluzione ad una questione che da tempo ha diviso la giurisprudenza nazionale: il problema dell'esistenza di un discrimen tra ;organismo di diritto pubblico ed ;impresa pubblica. La scelta di sottoporre gli organismi di diritto pubblico ;ad una disciplina diversa da quella cui sono assoggettate le imprese pubbliche ;manifesta infatti la volontà del legislatore delegato di accogliere la posizione assunta da quanti, distinguendo nettamente le figure di cui si discorre, individuano l'elemento discriminatore nel differente modus operandi che le caratterizza (recentemente cfr. Cons.St., Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6534).

La scelta di imporre agli ;organismi di diritto pubblico ;una serie di obblighi più specifici di quelli previsti per le ;imprese pubbliche trova giustificazione in ragione del fatto che questi, di regola, non agiscono come comuni operatori del mercato nel rispetto della logica della concorrenza; dall'altro, risulta manifesto come il legislatore nazionale, in settori tradizionalmente caratterizzati da una tendenziale chiusura del mercato, abbia ritenuto sufficiente assoggettare le ;imprese pubbliche ;(e quindi soggetti che operano ispirandosi a logiche tipicamente imprenditoriali) al più tenue dovere di conformare la propria attività ai principi, peraltro da queste generalmente osservati, dettati dai Trattati europei a tutela della concorrenza.

Accogliendo tale chiave di lettura, qualora dovessero sorgere eventuali dubbi circa l'ambito di applicazione, questi potrebbero essere risolti procedendo attraverso valutazioni sostanziali e verificando, volta per volta, le concrete modalità operative in cui si esteriorizza l'attività dell'ente aggiudicatore.

Per tali ragioni, dovrebbe essere qualificato come impresa pubblica l'ente aggiudicatore che, pur presentando uno stretto legame con i pubblici poteri, offre beni o servizi sul mercato perseguendo uno scopo di lucro, in concorrenza con le altre imprese ed assumendo i rischi derivanti dall'attività svolta; diversamente, rientrerebbe nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici sub specie di ;organismo di diritto pubblico quel soggetto che è dotato di personalità giuridica, che è sottoposto ad un vincolo di stretta dipendenza da altri ;enti aggiudicatori ;e che, essendo istituito specificamente per soddisfare bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, non opera applicando metodi imprenditoriali.

Linee guida ANAC n. 4 e regime di diritto transitorio.

ANAC, Linee guida n. 4, “Procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e gestione degli elenchi di operatori economici”, approvate con delibera 26 ottobre 2016, n. 1097 e aggiornate al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, con delibera n. 206 del 1° marzo 2018 (v., inoltre, Parere 30 aprile 2019, n. 1312 del Consiglio di Stato, a seguito della consultazione avviata dall'ANAC per l'aggiornamento delle Linee guida n. 4, successivamente all'avvio, da parte della Commissione europea, di una procedura di infrazione).

Le linee guida dell'ANAC sopra citate cesseranno di avere efficacia quando verrà adottato il regolamento previsto dall'art. 1, comma 20, lett. gg, n. 4 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55 che ha aggiunto all'art. 216 del Codice il comma 27-octies secondo cui: “Nelle more dell'adozione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettere a) e b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del presente codice, le linee guida e i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni di cui agli articoli 24, comma 2, 31, comma 5, 36, comma 7, 89, comma 11, 111, commi 1 e 2, 146, comma 4, 147, commi 1 e 2, e 150, comma 2, rimangono in vigore o restano efficaci fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma, in quanto compatibili con il presente codice e non oggetto delle procedure di infrazione nn. 2017/2090 e 2018/2273. Ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione, nelle more dell'entrata in vigore del regolamento, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANAC sono autorizzati a modificare rispettivamente i decreti e le linee guida adottati in materia. Il regolamento reca, in particolare, disposizioni nelle seguenti materie: a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e dell'esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i) lavori riguardanti i beni culturali. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento cessano di avere efficacia le linee guida di cui all'articolo 213, comma 2, vertenti sulle materie indicate al precedente periodo nonché quelle che comunque siano in contrasto con le disposizioni recate dal regolamento”.

La revisione delle soglie

La tecnica legislativa, tendente a riportare in un unico articolo l'intera — o quasi — disciplina delle soglie, si coglie a maggior ragione allorquando si consideri che al co. 3 dell'art. 35 del codice viene anche previsto il sistema di revisione e rideterminazione delle soglie (prima riportato nell'art. 248 del d.lgs. n. 163 del 2006) secondo cui: “Le soglie di cui al presente articolo sono periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea, che trova diretta applicazione alla data di entrata in vigore a seguito della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea”.

In tal senso, il legislatore nazionale non ha fatto altro che prendere atto del fatto che i provvedimenti con cui la Commissione procede a revisione periodica delle soglie trovano applicazione diretta (v. art. 6 della direttiva 2014/24/UE e, da ultimo, quanto disposto dai reg. UE 2017/2364, 2017/2365 e 2017/2366).

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